N. 16 SENTENZA 10 - 16 gennaio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Questione  di  legittimita'  costituzionale  -  Separazione  da altre
  questioni   sollevate  con  il  medesimo  ricorso  -  Riserva,  per
  quest'ultime, di distinte decisioni.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448.
Termini   normativi   della   questione   -   Parametri   -   Riforma
  costituzionale  del Titolo V della Parte seconda della Costituzione
  - Decisione alla stregua dei nuovi principi costituzionali.
- Costituzione, art. 117, secondo comma, lettera p), e terzo comma, e
  art. 119.
Enti  locali  -  Finanza  -  Riqualificazione  urbana  dei  Comuni  -
  Istituzione, presso il Ministero dell'interno, del Fondo relativo a
  tale  programma  - Ripartizione del Fondo tra gli enti interessati,
  con  riserva  di  una quota non inferiore all'85 per cento a Comuni
  compresi  in  aree  specificate - Genericita' della finalita' degli
  interventi previsti, riconducibile a materie e ambiti di competenza
  concorrente  o  residuale  delle  Regioni  - Mancato coinvolgimento
  delle Regioni interessate - Illegittimita' costituzionale.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 25, comma 10.
- Costituzione, artt. 117 e 119.
(GU n.3 del 21-1-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel   giudizio   di   legittimita'  costituzionale  dell'articolo 25,
comma 10,  della  legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria   2002),  promosso  con  ricorso  della  Regione  Umbria,
notificato  il  26 febbraio 2002, depositato in cancelleria l'8 marzo
successivo ed iscritto al n. 24 del registro ricorsi 2002.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  17  giugno 2003  il  giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi  l'avvocato  Giandomenico  Falcon  per  la Regione Umbria e
l'avvocato   dello  Stato  Paolo  Cosentino  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato il 26 febbraio 2002, e depositato
nella  cancelleria  di  questa Corte il successivo 8 marzo (reg. ric.
n. 24  del  2002),  la  Regione  Umbria impugna numerose disposizioni
della  legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2002),   censurando,   tra   l'altro,  l'articolo 25,  comma 10,  per
violazione   degli   articoli 117   e   119,   quinto   comma,  della
Costituzione.
    La  norma  denunciata  prevede l'istituzione, presso il Ministero
dell'interno, del Fondo per la riqualificazione urbana dei comuni. Si
tratta  di  un  Fondo  istituito  ex novo per il 2002, ma destinato a
permanere  negli esercizi successivi, diretto a finanziare l'adozione
di  programmi  di sviluppo e riqualificazione del territorio da parte
dei  comuni:  una  quota non inferiore all'85% e' riservata ai comuni
minori   (con  popolazione  non  superiore  a  40.000  abitanti),  in
particolare delle regioni meridionali. La norma prevede ancora che le
modalita'  degli interventi e la ripartizione del Fondo «tra gli enti
interessati»   saranno   disciplinate  con  regolamento  governativo,
sentita la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali.
    Ad avviso della ricorrente, si tratta di intervento diretto dello
Stato a favore dei comuni che, sia per quanto riguarda la definizione
della tipologia dei comuni beneficiari, sia per cio' che attiene alla
ripartizione  tra  le  regioni  di  appartenenza,  sia  infine per la
disciplina  attuativa, esclude qualsiasi ruolo delle regioni. L'unico
titolo  che  lo  Stato  potrebbe  vantare in materia e' la competenza
concorrente  in  materia  di  «governo del territorio». Ma la Regione
Umbria  ritiene  che  tale  competenza  non  possa includere generici
«programmi  di  sviluppo  e riqualificazione del territorio» adottati
dai  comuni,  e prevalentemente dai comuni minori, privi di qualunque
impatto  strategico  sul  territorio;  ed  in ogni caso la competenza
statale  in  ordine  alla definizione dei principi fondamentali della
materia  non  potrebbe  giustificare  che lo Stato istituisca proprie
autonome  linee  di  intervento  diretto,  frazionato sul territorio,
riservandosene la disciplina.
    Sarebbero  pertanto  lese  le attribuzioni legislative regionali,
sia    in    generale   sia   con   riferimento   ai   limiti   posti
dall'articolo 117,   sesto  comma,  della  Costituzione  (illegittima
attribuzione di poteri regolamentari statali); ne resterebbe altresi'
leso  il  principio  di leale collaborazione, che non potrebbe essere
soddisfatto  da  un  generico richiamo «di stile» al d.lgs. 28 agosto
1997,  n. 281  (specie  dopo  che  la  disposizione  ha espressamente
previsto  che sia la sola Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali
ad   essere  sentita);  ne  sarebbe  vulnerata,  infine,  l'autonomia
finanziaria   delle   regioni,   garantita   dall'articolo 119  della
Costituzione,  poiche'  questo  finanziamento,  di  non  trascurabile
grandezza,  verrebbe  sottratto  ai trasferimenti finanziari verso le
regioni.
    Sotto  quest'ultimo profilo, la Regione ricorrente esclude che il
Fondo    contestato   possa   essere   ricondotto   alla   previsione
dell'articolo 119,    quinto    comma,   della   Costituzione.   Tale
disposizione  prevede infatti che lo Stato, per motivi specificamente
elencati   (promuovere  lo  sviluppo  economico,  la  coesione  e  la
solidarieta'  sociale;  rimuovere  gli squilibri economici e sociali;
favorire  l'effettivo esercizio dei diritti della persona; provvedere
a  scopi  diversi  dal  normale esercizio delle loro funzioni), possa
destinare  risorse  aggiuntive  ed  effettuare  interventi  speciali,
purche'  a  favore  di  determinati  enti locali o regioni. In questo
caso,  invece,  il  finanziamento  sarebbe  rivolto verso destinatari
indeterminati,  poiche'  il  particolare  favor  per i comuni minori,
specialmente  del  Mezzogiorno,  sarebbe posto soltanto come criterio
cui deve ispirarsi la futura disciplina regolamentare.
    2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri si e' costituito in
giudizio e ha concluso per la non fondatezza della questione.
    Ad  avviso  dell'Avvocatura, limite intrinseco della legislazione
riguardante  il  rapporto Stato-Regioni sarebbe l'interesse nazionale
che,   nel   caso   in  questione,  si  rifletterebbe  nel  principio
riguardante  la  legislazione  esclusiva  dello  Stato  in materia di
«determinazione  dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i  diritti  civili  e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale» (articolo 117, secondo comma, lettera m), della
Costituzione).
    Inoltre,  la  norma denunciata rientrerebbe nell'ambito di quanto
previsto dall'articolo 119, quinto comma, della Costituzione circa il
potere  dello  Stato  di  destinare  risorse aggiuntive ed effettuare
interventi speciali in favore di determinati comuni, province, citta'
metropolitane  e  regioni  «per  promuovere lo sviluppo economico, la
coesione   e   la  solidarieta'  sociale,  per  favorire  l'effettivo
esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi
dal  normale  esercizio  delle  loro  funzioni».  Questa disposizione
costituirebbe  l'esatto pendant, in materia di autonomia finanziaria,
di   quanto   previsto   nella   lettera   m)   del   secondo   comma
dell'articolo 117 della Costituzione.
    Ne'  alcun  rilievo avrebbe la deduzione della Regione ricorrente
circa  l'indeterminatezza degli enti destinatari delle risorse, posto
che  l'articolo 25,  comma 10,  della  legge n. 448 del 2001 prevede,
proprio al fine di rispettare l'autonomia degli enti interessati, che
la  ripartizione  del  Fondo  non  sia stabilita a priori ma avvenga,
avuto  riguardo  alle  esigenze  concrete,  su  proposta del Ministro
dell'interno,   «sentita  la  Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie
locali».
    3.  -  Nella  memoria  depositata in prossimita' dell'udienza, la
Regione  Umbria  osserva  che il Fondo per la riqualificazione urbana
dei comuni si colloca in quella logica della settorializzazione della
finanza  pubblica - sicuramente contrastante con l'articolo 119 della
Costituzione - in base alla quale, in passato, si sono sottratte alle
regioni  risorse  finanziarie  ad  esse  spettanti per attribuirne la
gestione a singoli Ministeri.
    Attraverso  la  costituzione  di  questo  Fondo  si  tenderebbe a
ricreare  il «corto circuito» tra Governo (Ministero dell'interno) ed
enti  locali, escludendo le regioni dagli interventi e dalla relativa
potesta' normativa.
    Replicando  alla  difesa  dell'Avvocatura, la Regione ritiene che
l'interesse  nazionale  non  costituisca  piu'  limite generale della
competenza  regionale.  La tesi contraria costituirebbe una diretta e
radicale contraddizione con il fondamentale impianto del nuovo Titolo
V:  a nulla infatti servirebbe l'accurata delimitazione delle materie
e  dei compiti rispettivi, compiuta dai commi secondo, terzo e quarto
dell'articolo 117   della  Costituzione,  ove  l'interesse  nazionale
dovesse  poi  essere  considerato quale clausola generale in grado di
fondare la competenza statale in qualunque materia.
    Secondo  la Regione, anche la competenza esclusiva statale di cui
alla   lettera   m   del   secondo   comma   dell'articolo 117  della
Costituzione,  concernente  la «determinazione dei livelli essenziali
delle  prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere  garantiti su tutto il territorio nazionale», sarebbe priva di
qualsiasi  collegamento con la norma denunciata, detta competenza non
potendo  essere  presa  in  considerazione  quando vengano in rilievo
specifiche  competenze  regionali,  in  tal  caso  lo  Stato  essendo
abilitato  ad intervenire al piu' in via sostitutiva ex articolo 120,
secondo comma, della Costituzione.
    Ne'  a fondare la legittimita' della norma denunciata varrebbe il
richiamo  all'articolo 119,  quinto  comma,  della  Costituzione,  il
quale,   ad   avviso   della   regione,  riguarda  enti  territoriali
specificatamente indicati e non categorie di enti.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  regione  Umbria  ha  impugnato,  unitamente  ad  altre
disposizioni  della  legge  28 dicembre  2001, n. 448, l'articolo 25,
comma 10,  ai sensi del quale «Per l'anno 2002, ai fini dell'adozione
di  programmi  di  sviluppo  e  riqualificazione  del  territorio, e'
istituito   presso   il   Ministero  dell'interno  il  Fondo  per  la
riqualificazione urbana dei comuni. Con regolamento adottato ai sensi
dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400 [vale a
dire  con  regolamento  governativo  di  esecuzione], su proposta del
Ministro   dell'interno,   sentita   la  Conferenza  Stato-citta'  ed
autonomie  locali,  sono dettate le disposizioni per l'attuazione del
presente  comma  e  per  la  ripartizione  del  Fondo  tra  gli  enti
interessati,  assicurando  ai  comuni con popolazione non superiore a
40.000  abitanti  compresi  nelle  aree  di cui all'articolo 44 della
presente  legge  [cioe'  nei  comuni  siti  nelle  regioni  Campania,
Basilicata,  Sicilia,  Puglia,  Calabria  e  Sardegna,  nonche' nelle
regioni   Abruzzo   e   Molise,   e   nei   territori  delle  sezioni
circoscrizionali   del   collocamento   in  cui  il  tasso  medio  di
disoccupazione  sia  superiore  alla  media  nazionale  e  che  siano
confinanti  con  le  aree  del  c.d.  «obiettivo  1»  definito  dalla
Comunita'  europea]  una  quota  non  inferiore  all'85 per cento del
totale  delle  disponibilita' del Fondo. Resta fermo quanto stabilito
dal  decreto  legislativo  28 gennaio  1997,  n. 281  [che disciplina
l'attivita'   della   Conferenza  Stato-Regioni  e  della  Conferenza
unificata risultante dalla riunione di quest'ultima con la Conferenza
Stato-citta'  ed  autonomie locali]». Il successivo comma 11 fissa in
103.291.379,82   euro   l'entita'   delle   risorse   del  Fondo  per
l'anno 2002.
    La  regione,  osservato  che  si  tratta  di un Fondo destinato a
permanere  anche  negli  anni successivi al 2002, e che esso realizza
interventi  diretti  dello  Stato che escludono qualsiasi ruolo della
Regione   sia   per   la   definizione  della  tipologia  dei  comuni
beneficiari, sia per la ripartizione del Fondo stesso, sia infine per
la  disciplina  attuativa,  ritiene  che lo Stato non abbia titolo ad
effettuare   interventi   diretti,  frazionati  sul  territorio,  per
programmi,   come   quelli   in   questione,   adottati  dai  comuni,
prevalentemente  minori, e privi di qualunque impatto strategico, per
di piu' escludendo qualsiasi partecipazione delle regioni.
    Sarebbero  lese  dunque  le  attribuzioni  legislative regionali;
sarebbe  violato il divieto di attribuzione di potesta' regolamentare
allo  Stato  in  materie in cui esso non abbia competenza legislativa
esclusiva;   sarebbe   altresi'   violato   il   principio  di  leale
collaborazione, e sarebbe lesa l'autonomia finanziaria delle regioni,
poiche'   il   finanziamento   in  questione  verrebbe  sottratto  ai
trasferimenti finanziari a favore delle regioni.
    2.  -  La presente decisione concerne esclusivamente la questione
di    legittimita'    costituzionale    sollevata    nei    confronti
dell'articolo 25,  comma 10,  della  legge  n. 448 del 2001, restando
riservata  a  separate  pronunce  la  decisione delle altre questioni
sollevate col ricorso della Regione Umbria.
    3. - La questione e' fondata.
    Il  Fondo in esame ha i suoi antecedenti in diversi provvedimenti
legislativi  statali  anteriori  alla riforma del Titolo V, parte II,
della  Costituzione  recata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.
In  particolare,  l'articolo 16 della legge 17 febbraio 1992, n. 179,
aveva  previsto  la  formazione di «programmi integrati» promossi dai
comuni  al fine di «riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio ed
ambientale»,   e  caratterizzati  dalla  presenza  di  pluralita'  di
funzioni,  dalla  integrazione di diverse tipologie di intervento, da
una  dimensione  tale da incidere sulla riorganizzazione urbana e dal
possibile concorso di piu' operatori e risorse finanziarie pubblici e
privati.  Il  contributo  statale  alla  realizzazione  dei programmi
integrati  faceva  carico  ai  fondi  per  i  programmi  di  edilizia
agevolata  di cui all'art. 4-bis del decreto legge 12 settembre 1983,
n. 462  (convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 1983,
n. 637). A tali programmi si riferisce la sentenza n. 393 del 1992 di
questa  Corte,  che  dichiaro'  l'illegittimita'  costituzionale  dei
commi 3,  4,  5,  6 e 7 dell'articolo 16 della legge n. 179 del 1992,
per violazione delle competenze regionali in materia urbanistica e di
edilizia residenziale pubblica.
    Dopo  le  modifiche  apportate  alla  legge  n. 179  del 1992 del
decreto  legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni,
dalla  legge  4 dicembre 1993, n. 493, il finanziamento di «programmi
di  riqualificazione  urbana»  fu  disposto  ai sensi del decreto del
Ministro  dei  lavori pubblici 21 dicembre 1994, successivamente piu'
volte modificato e integrato con altri decreti ministeriali.
    L'articolo 11  del  decreto legge n. 398 del 1993 prevedeva a sua
volta  dei  «programmi di recupero urbano» che godevano di contributo
statale.
    L'articolo 54,  comma 1,  lettera  e),  del d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 112,  ha  mantenuto  in  capo allo Stato le sole funzioni relative
«alla  promozione  di  programmi  innovativi  in  ambito  urbano  che
implichino   un   intervento   coordinato   da   parte   di   diverse
amministrazioni  dello  Stato».  Il  decreto  del Ministro dei lavori
pubblici  8 ottobre  1998 ha disposto la destinazione delle somme non
utilizzate   per   i   programmi   di  riqualificazione  urbana  alla
promozione,  alla  partecipazione  e  alla realizzazione di programmi
innovativi in ambito urbano denominati «programmi di riqualificazione
urbana  e  di  sviluppo  sostenibile del territorio». Un conflitto di
attribuzioni  sollevato,  in relazione a detto decreto, dalla Regione
Veneto   (sempre   in   riferimento  alla  disciplina  costituzionale
anteriore  alla  riforma  di  cui  alla legge costituzionale n. 3 del
2001),  e'  stato  dichiarato  inammissibile  da  questa Corte con la
sentenza n. 507 del 2002.
    4.  -  La  presente questione di legittimita' costituzionale deve
invece  essere  esaminata  e  decisa  alla stregua del nuovo Titolo V
della parte seconda della Costituzione.
    Rilevano  a  questo  proposito,  da  un  lato,  i  nuovi principi
relativi  alla  attribuzione  delle  funzioni  legislative  a Stato e
regioni, e delle funzioni amministrative a comuni, altri enti locali,
regioni  e  Stato;  dall'altro  lato  i  nuovi  principi  in  tema di
autonomia finanziaria delle regioni e degli enti locali.
    Per quanto attiene alle funzioni amministrative, la legge statale
non e' piu' competente a determinare «le funzioni» dei comuni e delle
province,   ne'   ad   attribuire  loro  le  funzioni  «di  interesse
esclusivamente  locale»  nelle  materie di competenza regionale, come
accadeva  alla  stregua  degli  articoli 128  e 118, primo comma, del
vecchio  testo,  ma  solo  a  disciplinare le «funzioni fondamentali»
degli   enti   locali   territoriali  (articolo 117,  secondo  comma,
lettera p).  Per  il resto, il legislatore statale puo' dettare norme
nelle    sole    materie    di    competenza    esclusiva    elencate
nell'articolo 117,  secondo  comma, e principi fondamentali in quelle
di competenza concorrente elencate nell'articolo 117, terzo comma.
    Sul  piano  finanziario,  in base al nuovo articolo 119, gli enti
locali  e  le  regioni  hanno  «autonomia finanziaria di entrata e di
spesa»  (primo comma) e godono di «risorse autonome» (secondo comma).
Tributi  ed  entrate  proprie,  da  essi  stessi  stabiliti secondo i
principi  di  coordinamento della finanza pubblica, compartecipazioni
al gettito di tributi statali riscossi sul loro territorio, e accesso
ad un fondo perequativo per i territori con minore capacita' fiscale,
da  utilizzarsi  «senza vincoli di destinazione», sono le risorse che
debbono   consentire   a   regioni  ed  enti  locali  di  «finanziare
integralmente  le funzioni pubbliche loro attribuite» (secondo, terzo
e  quarto  comma). Per il resto, e' prevista solo la possibilita' che
lo Stato destini risorse aggiuntive ed effettui interventi finanziari
speciali   «in   favore   di  determinati  comuni,  province,  citta'
metropolitane  e  regioni»  per  gli  scopi  indicati, o «diversi dal
normale esercizio delle loro funzioni» (quinto comma).
    5.  -  In  questo  contesto,  non  possono  trovare  oggi  spazio
interventi  finanziari  diretti  dello  Stato  a  favore  dei comuni,
vincolati  nella  destinazione,  per  normali  attivita' e compiti di
competenza  di  questi  ultimi,  fuori dall'ambito dell'attuazione di
discipline  dettate  dalla  legge  statale  nelle  materie di propria
competenza,  o  della disciplina degli speciali interventi finanziari
in  favore  di  determinati  comuni, ai sensi del nuovo articolo 119,
quinto  comma.  Soprattutto  non  sono  ammissibili siffatte forme di
intervento nell'ambito di materie e funzioni la cui disciplina spetta
invece  alla  legge regionale, pur eventualmente nel rispetto (quanto
alle  competenze  concorrenti)  dei principi fondamentali della legge
dello Stato.
    Gli interventi speciali previsti dall'articolo 119, quinto comma,
a  loro  volta,  non  solo  debbono  essere  aggiuntivi  rispetto  al
finanziamento  integrale  (articolo 119, quarto comma) delle funzioni
spettanti  ai comuni o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di
perequazione  e  di  garanzia enunciate nella norma costituzionale, o
comunque  a  scopi  diversi  dal normale esercizio delle funzioni, ma
debbono essere indirizzati a determinati comuni o categorie di comuni
(o province, citta' metropolitane, regioni). L'esigenza di rispettare
il  riparto  costituzionale  delle competenze legislative fra Stato e
regioni  comporta  altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino
ambiti   di  competenza  delle  regioni,  queste  siano  chiamate  ad
esercitare   compiti   di  programmazione  e  di  riparto  dei  fondi
all'interno del proprio territorio.
    Ove  non  fossero  osservati  tali limiti e criteri, il ricorso a
finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire uno strumento indiretto
ma  pervasivo  di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni
degli  enti  locali, e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi
governati  centralmente  a quelli legittimamente decisi dalle regioni
negli ambiti materiali di propria competenza.
    6.  -  La  norma impugnata non rispetta i criteri ed i limiti ora
indicati.  Essa  istituisce  infatti un Fondo per il finanziamento di
interventi  comunali definiti in modo alquanto generico, come diretti
allo   «sviluppo   e   riqualificazione   del   territorio»   o  alla
«riqualificazione urbana dei comuni». Finalita' la cui genericita' e'
resa  evidente  dal  fatto che ogni intervento sul territorio puo' di
per   se'  essere  presentato  come  volto  allo  «sviluppo»  o  alla
«riqualificazione»  del territorio medesimo. E del resto lo schema di
decreto   sottoposto   dal  Ministero  dell'interno  alla  Conferenza
Stato-citta'  per  l'attuazione  della  norma  in  questione  (e  non
tradottosi finora in un provvedimento approvato), prevede che possono
essere  concessi i finanziamenti, nella misura dal 20 al 50 per cento
della  spesa  complessiva,  per  la «progettazione e realizzazione di
opere  pubbliche»  e  per «istituzione, incremento e miglioramento di
servizi  pubblici»  (articolo 2); e, nell'elencare, all'articolo 3, i
tipi  di  interventi  ammissibili  al finanziamento per i tre settori
(essi  stessi  comprensivi pressoche' della totalita' dei compiti dei
comuni)  dei  «servizi a rete», dei «trasporti e telecomunicazioni» e
dei «servizi alla collettivita», indica praticamente tutto l'universo
degli  interventi, dei servizi e delle infrastrutture comunali: dagli
impianti  relativi ad acqua, fognatura, depurazione, gas, smaltimento
dei  rifiuti,  ai  servizi  e  alle  infrastrutture  di  trasporto  e
mobilita',  alle  infrastrutture  di  ogni  genere  (scolastiche,  di
assistenza,  di tempo libero), agli interventi «destinati a stimolare
l'aggregazione sociale» o di «risanamento e restauro ambientale».
    E'  palese come si sia in presenza semplicemente di uno strumento
di  finanziamento, fra l'altro sempre solo parziale, di normali opere
e  servizi  comunali,  cui  possono accedere tutti i comuni, salva la
sola  riserva di una quota non inferiore all'85 per cento del Fondo a
favore  di  comuni  piccoli  e  medio-piccoli  (con  meno  di  40.000
abitanti)  situati nelle regioni meridionali (nonche' in Abruzzo e in
Molise) o in altri territori svantaggiati in termini di occupazione.
    Uno  strumento  di  finanziamento  che  non  puo'  in  alcun modo
configurarsi come appartenente alla sfera degli «interventi speciali»
di  cui  al  quinto  comma  dell'articolo 119 della Costituzione, sia
perche'  non  risulta  alcuna  specifica finalita' qualificante degli
stessi,  diversa  dal  «normale  esercizio» delle funzioni dei comuni
(cui  spetta  sviluppare  e riqualificare il proprio territorio), sia
perche'  esso e' disposto in favore non gia' di «determinati» comuni,
ma  della  generalita'  degli  enti,  sia  pure  con  un  criterio di
preferenza  a  favore di comuni di dimensioni date, situati in alcune
aree  del  paese,  individuate  a  loro  volta  con un criterio assai
generico.
    D'altra parte la «riqualificazione urbana» dei comuni rappresenta
una  finalita'  non  riconducibile  a materie o compiti di competenza
esclusiva  dello  Stato, e riconducibile invece a materie e ambiti di
competenza  concorrente  (a  partire  dal «governo del territorio») o
«residuale»  delle  regioni.  La norma impugnata non prevede peraltro
alcun   ruolo   delle   regioni   volta  a  volta  interessate  nella
attribuzione  dei  finanziamenti,  mentre  si  limita  a  chiamare la
Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie locali (nemmeno la Conferenza
Stato-Regioni  o  la Conferenza unificata) ad esprimere un parere sul
regolamento di attuazione, restando oscuro e sostanzialmente privo di
portata   normativa   il   generico  richiamo  («resta  fermo»)  alle
disposizioni del d.lgs. n. 281 del 1997.
    In   definitiva   l'intervento  in  questione  si  atteggia  come
prosecuzione  di  una pratica di trasferimento diretto di risorse dal
bilancio  dello  Stato  ai  comuni  per scopi determinati dalla legge
statale, in base a criteri stabiliti, nell'ambito della stessa legge,
dall'amministrazione  dello Stato: pratica che ha trovato nel passato
frequente  impiego,  sulla  base  della  premessa  per cui la finanza
locale  era materia rimessa alla legislazione statale e alla gestione
amministrativa     del     Ministero    dell'interno    (al    quale,
significativamente,  la  norma  impugnata  attribuisce  il compito di
disporre  dei  finanziamenti  in  questione), ma che oggi risulta del
tutto   estranea   al   quadro  costituzionale  delineato  dal  nuovo
articolo 119 della Costituzione.
    E'  ben  vero  che,  per  quanto  riguarda  l'assetto dei tributi
locali,   l'attuazione  di  tale  norma  costituzionale  richiede  il
preventivo  intervento  del legislatore statale, che detti principi e
regole   di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema
tributario,   non   potendosi   ammettere,   in   mancanza  di  cio',
l'emanazione  di  discipline  autonome  delle  singole  regioni o dei
singoli enti locali (cfr. sentenze n. 296, n. 297 e n. 311 del 2003).
Ma  cio'  non  vale,  invece, per quanto riguarda la disciplina della
spesa  e  il trasferimento di risorse dal bilancio statale: in questo
campo,  fin  d'ora lo Stato puo' e deve agire in conformita' al nuovo
riparto di competenze e alle nuove regole, disponendo i trasferimenti
senza  vincoli  di  destinazione  specifica, o, se del caso, passando
attraverso  il filtro dei programmi regionali, coinvolgendo dunque le
regioni interessate nei processi decisionali concernenti il riparto e
la  destinazione  dei  fondi,  e  rispettando altresi' l'autonomia di
spesa degli enti locali.
    Ne',  infine,  la  previsione  del Fondo puo' giustificarsi, come
vorrebbe  l'Avvocatura  erariale, sulla base di un presunto interesse
nazionale,  che  si  rifletterebbe,  nella specie, nella attribuzione
allo  Stato  della competenza esclusiva in materia di «determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili
e  sociali  che  devono  essere  garantiti  su  tutto  il  territorio
nazionale» (art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione).
Da  un  lato,  infatti,  l'interesse  nazionale non e' piu', oggi, un
limite   autonomo  della  legislazione  regionale,  ne'  puo'  essere
autonomo  fondamento  di un intervento legislativo statale in materie
di  competenza  regionale  (cfr.  sentenze n. 303 e n. 370 del 2003).
Dall'altro  lato,  e'  palese che le finalita' del Fondo in questione
non  hanno  nulla  a che fare con la garanzia, su tutto il territorio
nazionale,  di  livelli essenziali di prestazioni concernenti diritti
delle persone.
    La    norma    impugnata    deve    dunque    essere   dichiarata
costituzionalmente  illegittima. Poiche' la caducazione di tale norma
-  a  differenza  di  altre, contenute nella stessa legge, oggetto di
pronunzie di accoglimento di questa Corte (sentenze n. 370 del 2003 e
n. 13  del  2004)  - non comporta diretto e immediato pregiudizio per
diritti   delle   persone,   non   sussistono   ragioni   di   ordine
costituzionale   che   si   oppongano   ad   una   dichiarazione   di
incostituzionalita'  in  toto:  con  la  conseguenza  che  i fondi in
questione  dovranno  essere  assoggettati,  se del caso, ad una nuova
disciplina  legislativa,  rispettosa  della  Costituzione, per essere
destinati alla finanza locale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riservata  ogni decisione sulle ulteriori questioni sollevate col
ricorso in epigrafe,
    Dichiara    l'illegittimita'   costituzionale   dell'articolo 25,
comma 10,  della  legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria 2002).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2004.
                       Il Presidente: Chieppa
                         Il redattore: Onida
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 16 gennaio 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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