N. 89 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 26 novembre 2003
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 26 novembre 2003 (della Regione Friuli-Venezia Giulia) Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condono per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Previsione e disciplina - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia (per l'ipotesi in cui la normativa statale sia applicabile nelle Regioni ad autonomia speciale) - Denunciata impossibilita' di considerare la disciplina del condono come norma fondamentale di riforma economico-sociale, ovvero di giustificarla nel quadro delle materie «coordinamento della finanza pubblica» e «ordinamento penale» - Invasione della potesta' legislativa esclusiva spettante alla Regione in materia urbanistica - Contrasto con i principi di ragionevolezza, di eguaglianza e di buon andamento amministrativo - Violazione della tutela del territorio e del principio costituzionale di indisponibilita' dei valori costituzionalmente tutelati - Richiamo alla sentenza n. 416/1995 della Corte costituzionale. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, commi 1, 2, 3, 25 e 26, lett. a). - Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, n. 12, e 8; Costituzione, artt. 3, primo comma, 5, 9, 97, primo comma, 117 e 118. In subordine: Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condono per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Attribuzione alle Regioni del potere di condizionare la sanabilita' degli abusi minori, e non degli abusi maggiori e di quelli minori commessi in zone vincolate - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza - Incidenza sulle competenze legislative ed amministrative spettanti alla Regione in materia urbanistica. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, comma 26, lett. a). - Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, n. 12, e 8; Costituzione, art. 3, primo comma. In subordine: Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condono per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Inapplicabilita' agli abusi per i quali il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato - Mancata previsione Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciata violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento dell'amministrazione - Incidenza sulle competenze legislative ed amministrative spettanti alla Regione in materia urbanistica. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, comma 25. - Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, n. 12, e 8; Costituzione, artt. 3, primo comma, e 97, primo comma. In subordine: Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condono per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Determinazione di modalita', termini e procedure con norme di dettaglio autoapplicative - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciata esorbitanza dalle competenze legislative esclusive dello Stato - Carattere invasivo delle norme statali anche se cedevoli - Contrasto con i principi di uguaglianza e di buon andamento amministrativo - Incidenza sulle competenze legislative e amministrative spettanti alla Regione in materia urbanistica. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, commi 3, 25, 26, lett. a), 28, 32, 35, lett. a) e b), 37, 38, 40 e Allegato I. - Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, n. 12, e 8; Costituzione, artt. 3, primo comma, e 97, primo comma. In subordine: Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condono per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Mancata previsione di un termine di ultimazione piu' risalente, nonche' della necessita' che in tutti i casi l'ultimazione sia attestata sotto propria responsabilita' dal costruttore o direttore dei lavori - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciata possibilita' che vengano condonate opere abusive in corso di costruzione o ancora da costruire - Irragionevolezza - Contrasto con i principi di buona amministrazione e di tutela del territorio. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, commi 25 e 35. - Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, n. 12, e 8; Costituzione, artt. 3, 9 e 97. In subordine: Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condono per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Previsione del silenzio-assenso sulle domande di sanatoria - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciata irragionevolezza - Lesione delle competenze regionali in materia urbanistica - Discriminatoria previsione di un regime meno severo per le domande relative ad opere dichiaratamente abusive, rispetto a quelle conformi alla disciplina urbanistica - Compromissione dei tempi di azione delle amministrazioni comunali. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, comma 37. - Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, n. 12, e 8; Costituzione, artt. 3, 9 e 97. In subordine: Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condono per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Previsione di un limite di volume per ogni singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria - Mancata precisazione che non sono ammesse piu' richieste riferite alla medesima area - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciata irragionevolezza - Lesione delle esigenze di tutela del territorio e delle competenze regionali in materia. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, comma 25. - Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, artt. 4, n. 12, e 8; Costituzione, artt. 3, 9, 97, 117 e 118. In subordine: Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Condono per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Previsione introdotta con decreto-legge - Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia - Denunciata violazione del principio di leale collaborazione - Mancata consultazione della Conferenza Stato-Regioni - Inidoneita' dei decreti-legge a porre norme fondamentali di riforma o principi fondamentali in materie di competenza legislativa concorrente. - Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, commi 1, 2, 3, 4, 25 e 26, lett. a). - Costituzione, art. 117, comma terzo; decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, art. 2, commi 3 e 5.(GU n.3 del 21-1-2004 )
Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore Riccardo Illy, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 3220 del 24 ottobre 2003, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, dall'avv. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma presso l'ufficio di rappresentanza della Regione, piazza Colonna, 355; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione e dell'andamento dei conti pubblici pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2 ottobre:, 2003 - Supp. ord. n. 157, ed in particolare dei commi: 1, 2, 3, 4, 25, 26, lett. a), qualora si debba intendere che con essi il legislatore statale prevede, nonostante la salvaguardia disposta dal comma 4, un nuovo condono edilizio destinato ad operare anche nella regione Friuli-Venezia Giulia; 25, in quanto non eccettua dal condono gli abusi per i quali il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato; 26, lett. a), in quanto subordina la sanabilita' alla legge regionale per gli abusi minori in zone non vincolate, sottraendo a questo regime gli abusi maggiori e gli abusi minori in zone vincolate; 3, 25, 26, lett. a), 28, 32, 35, lett. a) e b), 37, 38, 40 e allegato 1, in quanto, con disciplina dettagliata ed autoapplicativa, stabiliscono le condizioni, le modalita', i termini e le procedure relative al condono edilizio; 25 e 35, in quanto consentono di «far passare» per gia' costruite opere in corso di costruzione o ancora da costruire; 37, in quanto prevede un meccanismo di silenzio-assenso; 25, in quanto prevede un limite di volume per ogni singola richiesta; 1, 2, 3, 25, 26, lett. a), in quanto contenuti in un decreto-legge, in violazione dell'art. 4, n. 12, e dell'art. 8 della legge Costituzionale n. 1/1963, degli articoli 3, comma primo, 5, 9, 97, comma primo, della Costituzione nonche' del principio di ragionevolezza, di indisponibilita' dei valori costituzionalmente tutelati e del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le regioni. F a t t o La Regione Friuli-Venezia Giulia e' dotata di potesta' legislativa primaria in materia urbanistica, ai sensi dell'art. 4, n. 12, del proprio, Statuto speciale; nella medesima materia, spetta ad essa la potesta' amministrativa, ai sensi dell'art. 8 dello Statuto. Le funzioni amministrative sono state trasferite alla Regione Friuli-Venezia Giulia dall'art. 27 d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902. La disciplina regionale dell'attivita' edilizia e' poi stata dettata con la legge regionale 19 novembre 1991, n. 52. Lo «storico» condono edilizio fu introdotto dalla legge n. 47 del 1985, come evento assolutamente eccezionale e correlato a rilevanti innovazioni nella disciplina edilizia. A distanza di nove anni la legge n. 724 del 1994 riapri' i termini del condono. Ed ora, a distanza ancora di nove anni, l'art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003 prevede un nuovo condono, riprendendo con modifiche le regole sostanziali e procedurali del 1985 e del 1994. L'art. 32 del decreto-legge, che contiene la normativa qui impugnata, e' intitolato «Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attivita' di repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per la definizione degli illeciti e delle occupazioni di aree demaniali». Il comma 1 dichiara la finalita' di «pervenire alla regolarizzazione del settore». Il comma 2 dichiara altresi' che «la normativa e' disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in conformita' al titolo V della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3» e che sono «comunque fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo del territorio». Il comma 3 precisa che «le condizioni, i limiti e le modalita' del rilascio del predetto titolo abilitativo sono stabilite dal presente articolo e dalle normative regionali». In questi termini, pur «se talune delle citate formulazioni non sembrano davvero perspicue - come quella che non si sa a quali fini precisa trattarsi di una normativa adottata «nelle more» dell'adeguamento delle leggi regionali al testo unico sull'edilizia - l'intitolazione dell'articolo e i primi commi possono dare l'impressione di una normativa «positiva», o comunque - per quanto riguarda piu' strettamente il condono - di una normativa messa a disposizione delle regioni e delle autonomie locali come un principio facoltizzante, secondo cui la legislazione statale in materia di «governo del territorio» autorizzerebbe le regioni che lo ritenessero a permettere ai propri enti locali di rilasciare concessione in sanatoria. entro i limiti fissati in primo luogo dalle stesse seguenti disposizioni dell'art. 32, in secondo luogo dalle leggi delle singole regioni. Se cosi' fosse, il condono introdotto dall'art. 32 si presterebbe pur sempre ad obbiezioni di legittimita' e merito - non sembrando davvero consono alle ragioni di garanzia che presiedono al riconoscimento di una legislazione statale di principio in materia di governo del territorio la fissazione di regole che consentono invece il «non governo» o addirittura il malgoverno - ma almeno nessuna comunita' regionale si vedrebbe costretta ad accettare la sanzione definitiva di quanto di urbanisticamente disordinato ed irregolare possa essere accaduto negli ultimi anni. Sennonche', il carattere rispettoso, se non del territorio, almeno delle autonomie territoriali si rivela esso stesso pura apparenza quando si considerino le rimanenti disposizioni dell'art. 32, dalle quali emergono invece i tratti inconfondibili del vecchio e classico condono, nella stessa versione della legge n. 47 del 1985 e della legge n. 724 del 1994: insomma, del «solito» condono, che si prospetta cosi' come evento ciclico e ricorrente della storia italiana. Sommando tutti i periodi, ne risulta che - tranne le eccezioni per le zone soggette a particolari vincoli - chiunque negli ultimi venti anni abbia effettuato opere edilizie in spregio delle regole sostanziali e formali di governo del territorio ha potuto o potra' trarre vantaggio dal proprio illecito, senza che alcuna considerazione urbanistica possa essergli opposta, alla sola condizione di versare allo Stato una somma di danaro. E che coloro che al contrario hanno rinunciato ad opere che pure sarebbero state per loro vantaggiose in ossequio alla normativa urbanistica o nell'attesa di regolari permessi avranno una nuova ragione di chiedersi - se davvero le regole sono queste - se non avrebbero fatto meglio in passato, e non faranno meglio in futuro, a violare anch'essi le norme. A parte i primi commi, sopra citati, la «vera» disciplina del nuovo condono inizia con il comma 25, che stabilisce che «le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, nonche' dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 mc.», e che «le suddette disposizioni trovano altresi' applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per singola richiesta di titoli abilitativi edilizi in sanatoria». Posto che «la misura dell'oblazione e dell'anticipazione degli oneri concessori, nonche' le relative modalita' di versamento, sono disciplinate nell'allegato 1» (comma 38), l'operativita' di quanto enunciato e' poi assicurata dal comma 28, il quale dispone da un lato che «i termini previsti dalle disposizioni sopra richiamate e decorrenti dalla data di entrata in vigore dell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, ove non disposto diversamente sono da intendersi come riferiti alla data di entrata in vigore del presente decreto», dall'altro che «per quanto non previsto dal presente decreto si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, e al predetto art. 39». Ulteriori norme sono dettate dal comma 32 («la domanda relativa alla definizione dell'illecito edilizio, con l'attestazione del pagamento dell'oblazione e dell'anticipazione degli oneri concessori, e' presentata al comune competente, a pena di decadenza, entro il 31 marzo 2004, unitamente alla dichiarazione di cui al modello allegato e alla documentazione di cui al comma 35») e dal comma 35, il quale prevede con precisione e dettaglio la documentazione da allegare alla domanda (pur ammettendo che vi possa essere «ulteriore documentazione eventualmente prescritta con norma regionale»). L'allegato I precisa addirittura che la domanda di definizione degli illeciti edilizi «deve essere compilata utilizzando il modello di domanda allegato». La disciplina e' completata dalle norme di chiusura del comma 37, secondo cui «il pagamento degli oneri di concessione, la presentazione della documentazione di cui al comma 35, della denuncia in catasto, della denuncia ai fini dell'imposta comunale degli immobili di cui al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, nonche', ove dovute, delle denuncie ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l'occupazione del suolo pubblico, entro il 30 settembre 2004, nonche' il decorso del termine di ventiquattro mesi da tale data senza l'adozione di un provvedimento negativo del comune, equivale a titolo abilitativo edilizio in sanatoria; e dal comma 40, che avverte il bisogno di precisare che «alla istruttoria della domanda di sanatoria si applicano i medesimi diritti e oneri previsti per il rilascio dei titoli abilitativi edilizi, come disciplinati dalle amministrazioni comunali per le medesime fattispecie di opere edilizie», e che «ai fini della istruttoria delle domande di sanatoria edilizia puo' essere determinato dall'amministrazione comunale un incremento dei predetti diritti e oneri fino ad un massimo del 10 per cento da utilizzare con le modalita' di cui all'art. 2, comma 46, della legge 23 dicembre 1996, n. 662». L'art. 32 d.l. n. 269/2003 contiene anche - al comma 4 - una clausola di salvaguardia per le autonomie speciali, che, pero', ha un contenuto piuttosto generico. Infatti, essa stabilisce che «sono in ogni caso fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano». Piu' precisa era la clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 39, comma 21, legge n. 724/1994, la quale precisava che "le disposizioni del presente articolo non si applicano alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano, se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti delle stesse e dalle relative norme di attuazione ad esclusione di quelle relative alla misura dell'oblazione ed ai termini per il versamento di questa". In relazione a tale disposizione, e' stata sollevata a suo tempo questione di costituzionalita' in via principale dalla provincia di Trento, ma codesta Corte nella sentenza n. 418/1995 non ha avuto occasione di soffermarsi sulla compatibilita' del condono con la potesta' primaria delle regioni speciali in materia urbanistica: infatti per la provincia di Trento opera 1'art. 2 d.lgs. n. 266/1992. che gia' da se' implica l'inapplicabilita' diretta delle norme sul condono. La genericita' dell'art. 32, comma 4, rende non facile determinare quali sono le conseguenze della clausola di salvaguardia, cioe' in che misura le norme sul condono intendano applicarsi nella Regione Friuli-Venezia Giulia ed in che misura, invece, esse intendano applicarsi solo nelle regioni ordinarie. E' chiaro che, qualora si ritenesse che la conseguenza dell'art. 32, comma 4, sia la non applicabilita' - in Friuli-Venezia Giulia - delle norme sul condono edilizio (specificate in epigrafe) salvo eventualmente quelle strettamente attinenti all'estinzione del reato, le ragioni di doglianza di seguito illustrate verrebbero meno; il presente ricorso e' dunque proposto ipotizzando che l'art. 32, comma 4, non vada interpretato in questo senso. Questa eventualita' si prospetta non solo per la genericita' della clausola ma anche perche' la disciplina del condono, nella sua concreta formulazione, non scinde - come pure agevolmente si sarebbe potuto e (ad avviso della ricorrente regione) eventualmente dovuto fare - le norme attinenti all'estinzione del reato da quelle attinenti alla sanatoria dell'illecito amministrativo. Quanto alle possibili interpretazioni alternative, non pare rilevante cercare di determinare se l'intento del decreto-legge sia quella di lasciare alle regioni speciali i limitati poteri che vengono attribuiti alle regioni ordinarie (sui quali si tornera) o, invece, un piu' ampio margine di intervento, nel senso che, in virtu' della clausola di cui all'art. 32, comma 4, la Regione Friuli-Venezia Giulia possa derogare alle norme sul condono nella ampia misura consentita dalla sua potesta' primaria in materia urbanistica. Infatti, la capacita' della legge regionale di derogare (legittimamente) ad una legge statale deriva dalle norme costituzionali e non dall'intento deI legislatore statale. Non rileva, dunque, in che misura il legislatore statale consideri cedevoli le proprie norme: quello che conta e' se le norme statali si applichino nella regione Friuli-Venezia Giulia, ledendo le competenze regionali in materia urbanistica. Ove applicabile anche nella regione Friuli-Venezia Giulia, il quadro sopra esposto di una normativa statale che drasticamente determina - tranne che per specifiche aree di particolare pregio o in particolari situazioni - il venire meno di qualunque attivita' di repressione degli abusi edilizi compiuti - con totale frustrazione anche dell'attivita' amministrativa in corso - non risulta affatto alterato dai riferimenti che lo stesso art. 32 opera a poteri o compiti regionali, in quanto si tratta di poteri e compiti che rimangono nel quadro marginali ed eventuali, o che addirittura determinano situazioni paradossali. Gia' si e' accennato che secondo il comma 3 «le condizioni, i limiti e le modalita' del rilascio del predetto titolo abilitativo sono stabilite dal presente articolo e dalle normative regionali». Ma e' evidente, nel contesto complessivo sopra illustrato, che questa disposizione non puo' essere affatto intesa come un generico rinvio a quanto sul tema volessero disporre le leggi regionali, ma come un riferimento ai limitatissimi compiti normativi che il «presente articolo» riconosce alle regioni. Di quali compiti normativi si tratti e' presto detto. Su un piano generale, il comma 33 prevede che le regioni «entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto» (e dunque in un termine brevissimo, tra l'altro coincidente con quello di conversione del decreto stesso!) emanino «norme per la definizione del procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria». Per vero, non si intende di quali norma possa trattarsi, dato che il procedimento di condono e' gia' definito dalle disposizioni richiamate della legge n. 47 del 1985 e 724 del 1994, nonche' dallo stesso art. 32 del decreto nei commi sopra illustrati. Ed infatti dal seguito del comma 33 e dal comma 34 si capisce che in realta' cio' che alle regioni e' concesso di fare e' di inasprire per i propri cittadini i costi del condono: prevedere «un incremento dell'oblazione fino al massimo del 10 per cento della misura determinata nella tabella C allegata», incrementare gli oneri di concessione fino al massimo del 100 per cento. Inoltre, secondo il comma 34, la legge regionale dovra' stabilire le «modalita' di attuazione» della regola che consente a coloro che intendano eseguire in tutto o in parte le opere di urbanizzazione primaria di «detrarre dall'importo complessivo quanto gia' versato, a titolo di anticipazione degli oneri concessori». Ancora, come gia' visto, il comma 35 ammette che la legge regionale eventualmente preveda «ulteriore documentazione» da allegare alla domanda di condono. Questo e' il ruolo generale che l'art. 32 riserva alla legislazione regionale. Un discorso a parte va poi fatto con riferimento al comma 26. Va premesso che l'allegato 1 definisce tra l'altro la «tipologia delle opere abusive suscettibili di sanatoria alle condizioni di cui all'art. 7, comma 2» (per vero non si comprende tale riferimento, dato che l'art. 7 del decreto-legge riguarda tutt'altro). In ogni modo, tale tipologia distingue le opere abusive numerate da 1 a 6 in categorie di gravita' decrescente. Precisamente, le tipologie sono le seguenti: «Tipologia 1. Opere realizzate in assenza o in difformita' del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici; Tipologia 2. Opere realizzate in assenza o in difformita' del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore del presente provvedimento; Tipologia 3. Opere di ristrutturazione edilizia come definite dall'art. 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 realizzate in assenza o in difformita' dal titolo abilitativo edilizio; Tipologia 4. Opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall'art. 3, comma 1, lettera c) del d.P.R. giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformita' del titolo abilitativo edilizio, nelle zone omogenee «A» di cui all'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444; Tipologia 5. Opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall'art. 3, comma 1, lettera c) del d.P.R. giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformita' del titolo abilitativo edilizio; Tipologia 6. Opere di manutenzione straordinaria, come definite all'art. 3, comma 1, lettera b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformita' dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalita' di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume». Cio' premesso, il comma 26 dispone che «sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all'allegato 1: a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27, nonche' 4, 5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47; b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale e' determinata la possibilita', le condizioni e le modalita' per l'ammissibilita' a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio». Ne risulterebbe che, mentre gli abusi piu' gravi, e quelli di minore gravita' compiuti su immobili vincolati (cioe' i piu' gravi degli abusi minori), sarebbero senz'altro sanabili alle condizioni generali, quelli di assoluta minore gravita' (restauro e risanamento conservativo o addirittura la semplice manutenzione straordinaria) sarebbero sanabili ... in quanto le singole regioni lo consentano con le proprie leggi. Precisato che la lettera b) - in quanto riconosce sia pure limitati poteri regionali - non forma oggetto specifico di questa impugnazione, e' tuttavia di immediata evidenza che il sistema che risulterebbe dall'insieme del comma e', come meglio si dira' tra breve, costituzionalmente inaccettabile per irragionevolezza e violazione del principio di uguaglianza. Nei termini esposti, le impugnate disposizioni dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 sono invasive delle competenze costituzionali della Regione Friuli-Venezia Giulia e costituzionalmente illegittime per le seguenti ragioni di D i r i t t o Premessa. Conviene in primo luogo ricordare che la riapertura del condono operata dall'art. 39 della legge n. 724 del 1994 fu a suo tempo impugnata dalla Regione Emilia-Romagna. Codesta ecc.ma Corte costituzionale, riconosciuta la legittimazione all'impugnazione, giudico' nel merito del ricorso con la sentenza n. 416 del 1995. Al punto 7 in diritto codesta Corte cosi' si espresse: «innanzitutto deve escludersi che la riapertura e l'estensione dei termini (riferiti all'epoca dell'abuso commesso) del condono edilizio (peraltro con ulteriori limiti e presupposti riduttivi) il cui carattere essenziale nella fattispecie e' quello di norma del tutto eccezionale in relazione ad esigenze di contestuale intervento sulla disciplina concessoria e a contingenti e straordinarie ragioni finanziarie e di recupero della base impositiva dei fabbricati, vanifichi di per se' l'azione di controllo e di repressione delle amministrazioni ed in particolare delle piu' attente. Infatti l'entita' del fenomeno di applicazione ed utilizzazione della norma impugnata nelle varie regioni (con un introito effettivo di quasi tremila miliardi limitato alla prima fase dei pagamenti), induce a ritenere la diffusione tutt'altro che isolata del fenomeno dell'abusivismo edilizio e della persistenza delle relative costruzioni, compiute nel periodo successivo al 31 ottobre 1983 (termine di riferimento dell'art. 31 n. 47 del 1985), fino alla nuova data di riferimento, 31 dicembre 1993. Cio' e' avvenuto non solo per il difetto di una attivita' di polizia locale specializzata sul controllo del territorio, ma anche in conseguenza della scarsa (o quasi nulla in talune regioni) incisivita' e tempestivita' dell'azione di controllo e di repressione degli enti locali e delle regioni, che non e' valsa ad impedire tempestivamente la suddetta attivita' abusiva o almeno a impedire il completamento e a rimuovere i relativi manufatti. Ben diversa sarebbe, invece, la situazione in caso di altra reiterazione di una norma del genere, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abusivismo edilizio. Conseguentemente differenti sarebbero i risultati della valutazione sul piano della ragionevolezza, venendo meno il carattere contingente e del tutto eccezionale della norma (con le peculiari caratteristiche della singolarita' ed ulteriore irripetibilita) in relazione ai valori in gioco, non solo sotto il profilo della esigenza di repressione dei comportamenti che il legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita' in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della tutela del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo. La gestione del territorio sulla base di una necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunita', tanto piu' che l'abusivismo edilizio comporta effetti permanenti (qualora non segua la demolizione o la rimessa in pristino), di modo che il semplice pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato, qualora non comporti la perdita del bene abusivo o del suo equivalente almeno approssimativo sul piano patrimoniale». La ricorrente regione e' dell'avviso che tale ben diversa situazione, ipotizzata da codesta Corte nella sentenza del 1995, si sia ora verificata. 1. - Illegittimita' costituzionale dei commi 1, 2, 3, 4, 25, 26. lett. a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio, per violazione dell'art. 4. n. 12. e dell'art. 8 della legge costituzionale n. 1/1963. Nella parte in Fatto si e' gia' precisato che le ragioni di doglianza avanzate da questa regione verrebbero meno qualora l'art. 32, comma 4, venisse inteso nel senso di rendere inapplicabili - nella regione Friuli-Venezia Giulia le norme sul condono, salvo eventualmente quelle strettamente attinenti all'estinzione dei reati. Si e' anche gia' ricordato che la Regione Friuli-Venezia Giulia dispone di potesta' primaria in materia urbanistica. Dunque, a termini dell'art. 4 dello Statuto la potesta' legislativa della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia urbanistica e' soggetta solo ai limiti rappresentati dalla Costituzione, dai principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali e dagli obblighi internazionali dello Stato. Le previsioni dello Statuto speciale vanno poi integrate dalla legge Cost. n. 3/2001, che opera per le regioni speciali in quanto preveda forme di autonomia piu' ampie di quelle statutarie: per cui, nella materia della finanza pubblica (alla quale inerisce la finalita' del condono) lo Stato ha potesta' esclusiva solo nelle materie di cui all'art. 117, comma 2, lett. e), ed ha invece potesta' concorrente in relazione all'«armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». In tale materia, dunque, la potesta' legislativa spetta alle regioni, «salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato» (art. 117, comma 3). E' poi noto che il limite costituzionale e' stato inteso come riserva allo Stato della disciplina penalistica. Precisato cio', occorre considerare se la disciplina introdotta dall'art. 32 del decreto-legge qui impugnato possa ricollegarsi ad alcuno di questi titoli. Ad avviso della ricorrente regione la risposta e' negativa, come ora si cerchera' di illustrare. a) Impossibilita' di considerare la disciplina statale come insieme di norme fondamentali di riforma economico-sociale. Sembra palese che la disciplina del condono edilizio non puo' essere considerata in nessun senso come insieme di «norme fondamentali di riforma economico-sociale». L'intrinseca natura del condono e' incompatibile sia con il concetto di «norme fondamentali» sia con quello di «riforma». Cio' e' chiarissimo nella citata sentenza n. 416: il carattere della disciplina del condono e' «quello di norma del tutto eccezionale», in relazione a comportamenti «che il legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita' in via amministrativa e penale». Il condono, dunque, ha il carattere della deroga eccezionale e limitata nel tempo. La riforma economico-sociale, invece, muta la disciplina vigente ed e' destinata ad avere una certa stabilita'. Ma, a parte l'inconfigurabilita' di una riforma, le norme sul condono non possono essere certo considerate come norme fondamentali, dato che le norme fondamentali della materia sono sempre state e tuttora sono quelle della disciplina edilizia del territorio, del controllo preventivo sulle edificazioni e della repressione dei comportamenti illeciti, in attuazione dei valori costituzionali quali risultano dall'art. 9, dall'art. 117, comma 2, lett. s), e comma 3 (che parlano di «tutela dell'ambiente», di «valorizzazione dei beni culturali e ambientali» e di «governo del territorio»). Che invece l'attivazione del condono sia in diretta contraddizione con tali valori e' del tutto evidente, solo che si consideri che la base del condono e' il puro scambio tra rinuncia alla salvaguardia di tali valori in cambio di una somma di denaro. Ma sul punto non vi e' bisogno di insistere, essendo il disvalore del condono gia' chiarissimo nella giurisprudenza costituzionale. b) Impossibilita' di giustificare la normativa statale come esercizio di potesta' legislativa nella materia del «coordinamento della finanza pubblica». L'art. 32 si colloca all'interno di un decreto-legge complessivamente intitolato Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dei conti pubblici. La finalita' complessivamente finanziaria dell'intervento smentisce completamente, da un lato, il presunto scopo di "regolarizzazione del settore" proclamato dal comma 1 dell'art. 32, ma certamente costituisce uno scopo che lo Stato puo' e deve perseguire: cio' non toglie, pero', che lo debba perseguire nell'ambito dei poteri legislativi che la Costituzione riconosce al legislatore ordinario, e non al di fuori di tali poteri. Non c'e' dubbio, ad esempio, che il legislatore statale avrebbe potuto perseguire le proprie finalita' nel quadro della propria potesta' esclusiva in materia di sistema tributario dello Stato. Avrebbe potuto perseguire i propri scopi anche attraverso la potesta' concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica» di cui all'art. 117, comma terzo, dettando nuovi principi sul sistema tributario e finanziario delle regioni e degli enti locali, come del resto l'art. 119 gli imporrebbe di fare. Sembra tuttavia evidente che neppure il riferimento a tale ultima materia conduce a soddisfare la ricerca di un fondamento costituzionale alla disciplina statale qui impugnata. Per ragioni analoghe a quelle sopra esposte va escluso che si tratti della posizione di principi di materia: i principi di «coordinamento della finanza pubblica» devono essere norme fondamentali che stabilmente disciplinano l'assetto finanziario pubblico, non certo norme eccezionali quali quelle sul condono; ne' d'altronde la posizione di principi in tale materia e' compatibile con il puro e semplice asservimento della materia urbanistica ed edilizia alle esigenze finanziarie. c) Impossibilita' di giustificare la normativa statale come esercizio di potesta' legislativa nella materia dell'ordinamento penale. Poiche' tra gli effetti del condono edilizio vi e' il venire meno della punibilita' penale in relazione agli illeciti commessi, va esaminata l'ipotesi che la potesta' esclusiva statale in tale materia possa costituire il fondamento giustificativo dell'intera normativa sul condono edilizio. Si osserva, in primo luogo, che l'irriducibilita' del condono edilizio alla questione penale e' gia' stata affermata da codesta ecc.ma Corte costituzionale nel momento stesso in cui essa ha dichiarato ammissibile il ricorso regionale avverso l'art. 39 della legge n. 724 del 1994. In secondo luogo, va precisato che la ricorrente regione non contesta affatto l'esclusivita' del potere statale nel disporre del «potere di clemenza» in materia penale. Benche' sia certo, come statuito nella sentenza n. n. 369 del 1988, che il potere di clemenza puo' incontrare limiti costituzionali, non spetta alle regioni di farli valere. Cio' che si contesta, invece, e' che disponendo di cio' di cui lo Stato poteva - almeno in relazione alle prerogative costituzionali delle regioni - disporre, lo Stato abbia anche disposto di cio' di cui non poteva disporre, cioe' della sanzionabilita' in via amministrativa degli illeciti edilizi. In altre parole, circa lo scambio tra danaro e punibilita' penale la Regione Friuli-Venezia Giulia ritiene di non avere titolo ad interloquire: e cio' anche se il venire meno della sanzione penale determina una riduzione di tutela di valori costituzionali di cui anche le regioni sono responsabili. Spetta infatti allo Stato di decidere in quali casi la tutela dei valori debba essere affidata alla sanzione penale. La regione contesta invece che all'esenzione dalla punibilita' penale possa o debba accompagnarsi l'accettazione del fatto compiuto sul terreno, specificamente regionale, dell'amministrazione dell'urbanistica, con il venire meno della sanzionabilita' amministrativa degli illeciti. Ne' si puo' dire che le due cose debbano necessariamente stare insieme, ne' dal punto di vista teorico ne' da quello pratico. Dal punto di vista teorico, e' chiaro che l'esenzione dalla punibilita' penale costituisce per i trasgressori un bene autonomo, distinto da ogni altro e particolarmente prezioso, data la gravosita' della pena sia in se' che nelle sue conseguenze generali. Dal punto di vista pratico, e' agevolmente immaginabile ed organizzabile un sistema che non comporti neppure sul piano operativo l'interferenza con il sistema delle sanzioni amministrative: ad esempio organizzando la presentazione delle domande di condono penale al di fuori del circuito dell'amministrazione locale, o sancendo l'inutilizzabilita' e l'irrilevanza di tali domande nell'ambito dei procedimenti amministrativi sanzionatori. Non puo' invece il legislatore statale ordinario decidere unilateralmente il sacrificio di quei valori del territorio che sarebbe suo compito costituzionale di tutelare, e che le stesse regioni, nell'ambito dei propri poteri legislativi e quali componenti della Repubblica ai sensi dell'art. 114 Cost., hanno il dovere di difendere. In conclusione, se ne' la potesta' del legislatore statale ordinario di introdurre norme fondamentali di riforma economico-sociale, ne' quella di fissare i principi di coordinamento della finanza pubblica, ne' infine l'esclusiva potesta' statale in materia penale giustificano sul piano costituzionale la normativa qui impugnata, se ne deve concludere che essa non poteva essere adottata dallo Stato mediante un atto avente valore di legge ordinaria. 2. - Illegittimita' costituzionale degli stessi commi 1, 2, 3, 25, 26, lett. a), in quanto dispongono il nuovo condono edilizio. per violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza. dell'art. 97. comma primo, nonche' degli artt. 117 e 118 Cost. Si e' data qui la precedenza alle ragioni di illegittimita' costituzionale della normativa impugnata collegati al riparto di poteri legislativi tra lo Stato e la Regione Friuli-Venezia Giulia. Cio' non toglie, tuttavia, che conservino piena validita' tutte le ragioni di doglianza gia' prospettate dalle regioni con il ricorso rivolto avverso il condono attivato dalla legge n. 724 del 1994: ragioni delle quali codesta stessa Corte costituzionale ebbe ad affermare, nella citata sentenza n. 416 del 1995, che - se pure non potevano accogliersi di fronte ad una decisione statale che ancora poteva considerarsi contrassegnata dai caratteri di un eccezionale intervento, collegato non solo alle contingenti e temporanee esigenze finanziarie dello Stato, ma alla definitiva chiusura della vicenda dell'abusivismo edilizio - sarebbero state invece pienamente valide e necessariamente da accogliere nell'ipotesi «di altra reiterazione di una norma del genere, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abusivismo edilizio». Tuttavia, piu' che riproporre alla lettera quelle ragioni, conviene qui riproporre le parole stesse di codesta Corte costituzionale, gia' citate sopra nella premessa. Nel caso di ulteriore reiterazione, osserva ancora la sentenza n. 416, verrebbe meno «il carattere contingente e del tutto eccezionale della norma (con le peculiari caratteristiche della singolarita' ed ulteriore irripetibilita) in relazione ai valori in gioco, non solo sotto il profilo della esigenza di repressione dei comportamenti che il legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita' in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della tutela del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo», con conseguente valutazione di irragionevolezza. Infatti, prosegue la stessa sentenza, «la gestione del territorio sulla base di una necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunita', tanto piu' che l'abusivismo edilizio comporta effetti permanenti (qualora non segua la demolizione o la rimessa in pristino), di modo che il semplice pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato, qualora non comporti la perdita del bene abusivo o del suo equivalente almeno approssimativo sul piano patrimoniale». Si tratta di considerazioni che, benche' espresse con riferimento al piano della ragionevolezza, sono agevolmente collegabili ad altri ed espliciti parametri costituzionali. Viene in rilievo, in primo luogo, il principio di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost., evidentemente frustrato dalla inanita' della gran parte degli sforzi compiuti dalle amministrazioni locali di reprimere l'abusivismo edilizio. Se e' vero infatti che in taluni casi - ma non, si ritiene, se non marginalmente nei comuni della ricorrente Regione - proprio l'inerzia delle amministrazioni puo' avere favorito gli abusi, cio' non toglie affatto che consentire indiscriminatamente la sanatoria dell'abuso vanifica ogni sforzo gia' presente ed ogni prospettiva futura (si rammenti che il carattere illecito della costruzione abusiva non viene meno per il solo decorso del tempo). Cio' tanto piu' e' vero se si considera che gli sforzi delle amministrazioni di colpire gli abusi richiedono di necessita' un tempo non breve per pervenire al risultato concreto, data l'esistenza delle irrinunciabili garanzie giurisdizionali: che da un lato doverosamente tutelano chi abusivo in realta' non sia, ma dall'altro non raramente consentono comunque di procrastinare nel tempo la sanzione. Viene poi in rilievo lo stesso principio di uguaglianza, leso da una normativa che da un lato ingiustamente uguaglia chi ha costruito in base ad un titolo legittimo e chi ha costruito abusivamente, dall'altro ingiustamente non consente di riportare ad uguaglianza, attraverso la sanzione, chi si e' astenuto da comportamenti illeciti e chi illecitamente li ha compiuti. E' chiaro, poi, che questi vizi si traducono in una lesione delle competenze costituzionali della Regione, che - a causa del condono - vede illegittimamente frustrata la propria attivita' legislativa ed amministrativa di governo del territorio, in quanto gli abusi compiuti possono sfuggire alle sanzioni amministrative e si incentivano abusi futuri. 3. - Illegittimita' costituzionale degli stessi commi 1, 2, 3, 25, 26, lett. a), in guanto dispongono il nuovo condono edilizio, per violazione dell'art. 9 Cost. e del principio costituzionale di indisponibilita' dei valori costituzionalmente tutelati. Ad avviso della ricorrente Regione le violazioni segnalate al punto precedente si collegano ad una ulteriore e piu' profonda violazione del principio implicito nella Costituzione di non disponibilita', da parte del legislatore ordinario (non importa se statale o regionale), dei valori costituzionalmente tutelati. Che l'ordinato assetto del territorio sia un valore costituzionalmente tutelato non puo' essere messo in discussione, ed e' del resto evidente - oltre che all'art. 9, comma 2, Cost. - nella stessa costruzione costituzionale del governo del territorio come autonoma materia di legislazione. Tale valore costituzionale non puo' essere scambiato con valori puramente finanziari. Il fatto che il sistema della finanza pubblica si trovi attualmente - ma in realta' da molti anni - in una situazione difficile non puo' costituire ragione che autorizzi lo Stato allo "scambio" tra illegalita' edilizia e prestazioni in danaro. Sia consentito ricordare alcune argomentazioni svolte nel ricorso presentato dalla Regione Emilia-Romagna avverso il condono del 1994. ªProprio la condizione disastrosa della finanza pubblica non puo' non avvisare della circostanza che, se tale scambio dovesse essere riconosciuto come costituzionalmente legittimo e consentito, ad esso fatalmente ed inevitabilmente si tornerebbe a ricorrere ogni volta che le stime di probabile gettito lo rendessero "consigliabile". In altre parole, ogni potenziale costruttore abusivo saprebbe bene che, poiche' il problema del disavanzo dello Stato non e' destinato a risolversi, nella sua entita' fondamentale, ne' nel breve ne' nel medio periodo, ma semmai soltanto a trovare modi di progressivo «contenimento», ogni suo abuso sara' tollerato e in prospettiva persino gradito, dato che cio' costituira' occasione per periodiche «contribuzioni» al bilancio statale. Ma basta enunciare tale prospettiva per rendere evidente come essa drasticamente ripugni ai valori costituzionali, trasformi l'imperativo della legalita' in una mera facolta' per chi voglia semplicemente vivere tranquillo, trasformi la tutela degli interessi pubblici e dei valori costituzionali cui lo Stato e' chiamato in un termine meramente economico, rimpiazzabile per veri o presunti equivalenti monetari, secondo la necessita' dei governanti di trarre fondi dai governati senza loro troppo dispiacere». Come sottolinea la sentenza 416 del 1995, «il semplice pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato, qualora non comporti la perdita del bene abusivo o del suo equivalente almeno approssimativo sul piano patrimoniale». In questo senso, il condono edilizio non e' in nessun modo paragonabile ad altri condoni che pure comportino "clemenza" penale, quali i condoni fiscali. Infatti, se anche per questi si pone indubbiamente il problema del complessivo sovvertimento della legalita', e dell'incoraggiamento che da essi deriva a nuove illegalita', va pero' osservato che, nell'oggetto specifico, si tratta di una rinuncia ad una pretesa economica in vista di una diversa, e sia pure piu' ridotta, pretesa economica: sicche' la questione acquista, nel suo oggetto specifico, un connotato quasi di transazione ordinaria in relazione ad una lite patrimoniale. Il condono edilizio opera invece, anche nel suo oggetto specifico, su beni e interessi indisponibili e costituzionalmente tutelati della comunita'. Tali beni, costituzionalmente protetti sia direttamente in se stessi, sia indirettamente mediante un equilibrato riparto di competenze tra diversi livelli di responsabilita' territoriale, appartengono alla comunita' e non possono in linea di principio essere scambiati con "denaro" da nessun livello di governo, senza contraddire quella "gerarchia di valori" sottolineata proprio nella giurisprudenza costituzionale». Ne' oggi si puo' trovare una circostanza legittimante nella "eccezionalita'" della disciplina del condono, ovviamente oramai venuta meno: non si potrebbe certamente ripetere oggi quanto affermava la sentenza n. 369 del 1988, quando rilevava come andasse «nettamente distinto, nella legge in esame [la legge n. 47 del 1985], cio' che attiene al futuro, nel quale il legislatore, nel riordinare la materia, non ammette in alcun modo sanatorie per le opere contrastanti con gli strumenti urbanistici, da cio' che riguarda il passato». Non le vane promesse di ogni passeggero legislatore ordinario, ma soltanto il rispetto della Costituzione puo' garantire che in ogni momento presente, e non ogni volta in un lontano futuro, i valori costituzionali si realizzino nella vita sociale. Anche in relazione a questi vizi, e' chiaro che essi si traducono in una lesione delle competenze costituzionali della Regione, che - a causa del condono - vede illegittimamente frustrata la propria attivita' legislativa ed amministrativa di governo del territorio, nei termini gia' esposti al punto precedente. 4. - In subordine: illegittimita' del comma 26. lett. a), in quanto subordina la sanabilita' alla legge regionale per gli abusi minori in zone non vincolate, sottraendo alla decisione regionale gli abusi maggiori e gli abusi minori in zone vincolate. Come gia' ricordato nella parte in fatto, il comma 26 determina la paradossale situazione per cui chi ha commesso abusi piu' gravi puo' senz'altro usufruire della possibilita' del condono, mentre chi ha commesso abusi meno gravi puo' usufruirne se le Regioni lo prevedono. Sembra chiara la violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza (e mediatamente dell'art. 4, n. 12, e dell'art. 8 della legge Cost. n. 1/1963, per la ripercussione di quei vizi sulle competenze regionali in materia di governo del territorio). La differenza e' verosimilmente da ricondurre - nelle intenzioni del legislatore - al fatto che, nel d.P.R. n. 380/2001, gli interventi di cui al comma 26, lett. b), sono soggetti solo a denuncia di inizio attivita' e non a permesso edilizio: ma tale differenza ha ripercussioni sul solo piano penalistico, mentre resta costituzionalmente inaccettabile che gli illeciti amministrativi piu' gravi siano senz'altro condonabili mentre quelli meno gravi non lo siano. Va precisato che ovviamente questa Regione non impugna il comma 26, lett. b), ma il comma 26, lett. a) nella parte in cui non condiziona la sanabilita' dell'illecito amministrativo all'intervento di una legge regionale che la preveda. Infatti, in relazione ai profili amministrativi dell'illecito urbanistico, non trova giustificazione la diretta sanabilita' degli interventi di cui alla lett. a) e l'eventuale sanabilita' degli interventi di cui alla lett. b), e la conformita' a Costituzione puo' essere ristabilita nel modo appena indicato. Sulla scindibilita' del profilo penale dal profilo dell'illecito amministrativo si richiama qui quanto gia' esposto al punto 1. 5. - In subordine: illegittimita' del comma 25, in quanto non eccettua dal condono gli abusi per i quali il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato. Anche nella delegata ipotesi che le censure sopra esposte non risultassero da condividere, la ricorrente Regione ritiene che sarebbe comunque illegittimo che la disciplina qui impugnata non abbia escluso - dall'ambito di applicazione del condono - gli abusi per i quali il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato. E' chiaro, infatti, che, in casi di questo tipo, la possibilita' di condono risulta ancora piu' irragionevole e maggiormente lesiva del principio di buon andamento dell'amministrazione: perche' quando il procedimento sanzionatorio e' gia' iniziato, il condono non arreca alcun vantaggio al pubblico interesse, ne' in termini di "uscita allo scoperto" di chi ha commesso l'abuso ne' in termini economici, dato che spesso le sanzioni urbanistiche hanno carattere pecuniario. Si puo' ricordare che, nella sentenza n. 369 del 1988 di codesta Corte, si osservava che «il fondamento sostanziale dell'estinzione di cui all'art. 38 comma 2 legge n. 47 del 1985 va ricercato nella valutazione "positiva" che l'ordinamento compie dei comportamenti del reo, successivi al reato ("autodenuncia"..., pagamento dell'oblazione ecc.), che inducono a credere ad un sia pur parziale "ritorno", anche se non del tutto spontaneo, dell'agente alla "normalita'" (punto 4 del Diritto). Pare chiaro che, nei casi in cui il procedimento sanzionatorio sia gia' iniziato, il fondamento dell'estinzione dell'illecito (non solo di quello penale, ma anche di quello amministrativo) sparisce. Si tenga inoltre presente che, sia nella sentenza n. 369/1988 (punto 6 del Diritto) sia nella sentenza n. 416/1995 (punto 7 del Diritto) sia nella sentenza n. 427/1995 (punto 3 del Diritto) la Corte costituzionale ha dato rilievo, per giustificare il condono, all'inefficienza delle amministrazioni nel controllo sul territorio: inefficienza che non sussiste in relazione agli abusi per i quali sia in corso il procedimento sanzionatorio. Premiare chi ha violato le norme urbanistiche ed e' stato gia' "scoperto", dunque, e' profondamente irragionevole, vanifica l'attivita' gia' svolta dai comuni e disincentiva le future attivita' di repressione, dato il carattere ormai ciclico dei condoni (se anche questo fosse ritenuto legittimo). Anche tali vizi, naturalmente, si traducono in una lesione delle competenze costituzionali della Regione, che vede illegittimamente frustrata la propria attivita' legislativa ed amministrativa di governo del territorio. 6. - In subordine: illegittimita' costituzionale dei commi 3, 25, 26, lett a), 28, 32, 35, lett. a) e b), 37, 38, 40 e allegato 1, in quanto, con disciplina dettagliata ed autoapplicativa, stabiliscono le modalita', i termini e le procedure relative al condono edilizio. E' chiaro che l'accoglimento di una delle censure di cui ai nn. 1, 2 e 3 implicherebbe la non applicabilita' delle norme che disciplinano la procedura di condono (o, qualora codesta Corte lo ritenesse necessario, la dichiarazione della loro illegittimita' conseguenziale ex art. 27, legge n. 87/1953). Qualora, invece, in denegata ipotesi, si ritenesse che la previsione di un nuovo condono sia, per qualunque e qui imprevedibile ragione, legittima, si dovrebbe ad avviso della Regione perlomeno ammettere l'illegittimita' di quelle norme di dettaglio che stabiliscono le modalita', i termini e le procedure relative al condono edilizio. Si fa riferimento, in particolare, alle norme (gia' individuate nella parte in Fatto) di cui ai commi 28 (concernente i termini), 32 (concernente la presentazione della domanda), 35, lett. a) e b) (concernente la documentazione da allegare alla domanda), 37 (che prevede il meccanismo del silenzio-assenso), 38 (quanto meno nella parte in cui fa riferlinento alla misura degli oneri concessori e delle relative modalita' di versamento) e 40 (concernente i diritti e gli oneri previsti per l'istruttoria della domanda di sanatoria). Nonostante quanto disposto dall'art. 32, comma 3 (secondo cui «le condizioni, i limiti e le modalita' del rilascio del predetto titolo abilitativo sono stabilite nel presente provvedimento e dalle normative regionali») e comma 33 (secondo cui «le regioni, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente provvedimento, emanano norme per la definizione del procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria»), il decreto-legge disciplina il procedimento di condono con norme non cedevoli, dato che, in casi specifici (gia' ricordati nel Fatto), prevede poteri di intervento regionali. Ora, la presenza di norme di dettaglio, per giunta non cedevoli, potrebbe giustificarsi solo sulla base di una competenza statale esclusiva: ma non si vede quale titolo di competenza statale possa comprendere le norme sulle modalita', sui termini e sulle procedure relative al condono edilizio. Qualora, invece, si ritenesse che, in virtu' dei commi 3 e 33, le norme di dettaglio di cui sopra siano cedevoli, esse sarebbero comunque illegittime. Si puo' ricordare che codesta Corte si e' gia' espressa sul punto, con un accenno nella sentenza n. 282/02, punto 4 del Diritto («La nuova formulazione dell'art. 117, comma 3, rispetto a quella previgente dell'art. 117, comma 1, esprime l'intento di una piu' netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina») e in modo piu' chiaro nella sentenza n. 303/2003, punto 16 del Diritto, dove si statuisce l'inammissibilita' di norme statali di dettaglio cedevoli, salvo il caso che cio' sia necessario per «assicurare l'immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettivita» («Non puo' negarsi che l'inversione della tecnica di riparto delle potesta' legislative e l'enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilita' di dettare norme suppletive statali in materie di legislazione concorrente, e tuttavia una simile lettura dell'art. 117 svaluterebbe la portata precettiva dell'art. 118, comma primo, che consente l'attrazione allo Stato, per sussidiarieta' e adeguatezza, delle funzioni amministrative e delle correlative funzioni legislative, come si e' gia' avuto modo di precisare. La disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi non irragionevole, finalizzata com'e' ad assicurare l'immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettivita»). Poiche' le norme impugnate non attraggono funzioni allo Stato ex art. 118, comma 1, tanto e' vero che attribuiscono la competenza ai comuni, le norme statali di dettaglio risultano, alla stregua dei principi enunciati, chiaramente illegittime. Si noti che, nel caso di specie, la lesivita' di una disciplina di dettaglio, seppure in ipotesi astrattamente cedevoli, e' particolarmente evidente: visto che le domande di condono devono essere presentate entro il 31 marzo 2004, ben poca utilita' avrebbe una legge regionale che intervenisse a disciplinare il relativo procedimento, dato che essa si applicherebbe solo alle domande non ancora presentate: con ulteriore disuguaglianza e violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione. Dunque, se si legittima l'inserimento di norme di dettaglio cedevoli nelle leggi statali, si rischia di legittimare il completo esproprio della potesta' legislativa regionale, nel caso in cui l'applicazione dei nuovi principi statali sia destinata ad esaurirsi, per volonta' dello stesso legislatore statale, in breve tempo. Ne' pare possibile eccepire che, in casi come questi, e' l'urgenza di applicazione della legge statale a giustificare l'invasione della competenza regionale. A parte il fatto che proprio il caso che ci occupa dimostra come la valutazione di urgenza sia molto soggettiva, un equilibrato bilanciamento delle ipotetiche ragioni di urgenza e dell'autonomia regionale potrebbe giustificare, al massimo, che lo Stato detti una disciplina di dettaglio destinata ad operare qualora le regioni non si attivassero entro un certo termine, ma non certo una disciplina che immediatamente produca i suoi effetti, in pratica annullando qualsiasi margine d'azione regionale. Ne risulta confermata l'illegittimita' delle norme sopra indicate. 7. - In subordine: ulteriore illegittimita' dei commi 25 e 35, in quanto consentono di «far passare» per gia' costruite opere in corso di costruzione o ancora da costruire. Violazione degli artt. 3, 9 e 97 Cost. e degli artt. 4 e 8 St. FVG. Il comma 25 dell'art. 32 estende il condono alle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003: dunque, solo sei mesi prima della pubblicazione del decreto-legge (l'art. 39, legge n. 724/1994 si applicava alle opere ultimate un anno prima, l'art. 31, legge n. 47/1985 alle opere ultimate diciassette mesi prima). Il comma 32 prevede che la domanda sia corredata dalla documentazione «di cui al comma 35». Questo stabilisce che «la domanda di cui al comma 32 deve essere corredata dalla seguente documentazione: a) dichiarazione del richiedente resa ai sensi dell'art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni e integrazioni, con allegata documentazione fotografica, dalla quale risulti la descrizione delle opere per le quali si chiede il titolo abilititavo edilizio in sanatoria e lo stato dei lavori relativo; b) qualora l'opera abusiva superi i 450 metri cubi, da una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una certificazione redatta da un tecnico abilitato all'esercizio della professione attestante l'idoneita' statica delle opere eseguite; c) ulteriore documentazione eventualmente prescritta con norma regionale». Ora, e' intuitivo, ed e' comprovato dall'esperienza dei precedenti condoni, che, in assenza di norme rigorose sul punto, la possibilita' del condono fa sorgere la «tentazione» di «far passare» per gia' costruite opere in corso di costruzione o ancora da costruire. In altre parole, il condono, che ufficialmente e' rivolto ad eliminare la sanzionabilita' degli abusi passati, in realta' produce nuovi abusi presenti. I commi 25 e 35 contengono norme che non fanno nulla per evitare questa possibilita' e, anzi, la favoriscono. In primis, la fissazione di un termine ad quem ravvicinato nel tempo rende piu' difficile se non impossibile distinguere le opere ultimate da quelle non ultimate, sia in relazione all'attivita' di vigilanza amministrativa (che ha avuto poco tempo per svolgersi) sia in relazione allo stato di degrado dei materiali. Inoltre, il comma 35 si accontenta, in pratica, di un'auto certificazione per la prova dello «stato dei lavori»; solo «qualora l'opera abusiva superi i 450 metri cubi» si richiede «una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere» (che, a quanto pare, dovrebbe esser anch'essa redatta «da un tecnico abilitato all'esercizio della professione», anche se, letteralmente, il tecnico e' menzionato solo con riferimento alla certificazione sull'idoneita' statica). Ora, e' evidente che questa norma, collegata a quella che fissa il dies ad quem al 31 marzo 2003, rende concreta la possibilita' di «far passare» per gia' costruite opere che in quella data erano solo in corso di costruzione e, addirittura, si presta ad incoraggiare nuove costruzioni abusive e condonabili, data la difficolta' di verificare la veridicita' dell'autocertificazione. E' del tutto irragionevole una norma che fa affidamento sulla sincerita' di chi ha gia' commesso un abuso; le ragioni della buona amministrazione e della tutela del territorio (e dunque gli artt. 9 e 97 Cost. e gli artt. 4 e 8 St. FVG) non solo sono menomate dalla sanatoria delle opere realmente ultimate ma sono ulteriormente poste a repentaglio dalla possibilita', insita nelle norme di cui sopra, di perpetrare nuovi abusi e di farli condonare. Ne' si dica che l'amministrazione puo' dimostrare la non preesistenza dell'opera: perche' e' veramente chiedere una probatio diabolica pretendere che il comune sia in grado di dimostrare che un determinato manufatto edilizio non esisteva nel marzo 2003! Dunque, il comma 35 e' illegittimo nella parte in cui non prevede in tutti i casi la necessita' che il costruttore o il direttore dei lavori attesti, sotto la propria responsabilita' anche penale, l'ultimazione dei lavori alla data prevista. Se pure anche in questo modo non si potrebbe escludere la possibilita' di falsi attestati, e' tuttavia evidente in primo luogo che una dichiarazione falsa nell'interesse di terzi e' meno probabile di una dichiarazione falsa nell'interesse proprio, e inoltre che, dovendo in questa ipotesi di regola la dichiarazione essere fatta da professionisti, la perizia falsa rappresenterebbe un illecito particolarmente grave e dunque poco probabile. Dal canto suo, il comma 25 e' illegittimo, per violazione dei medesimi parametri, nella parte in cui fissa il termine del 31 marzo 2003 anziche' uno piu' risalente, che potrebbe essere individuato considerando quale minimo intervallo ragionevole per la condonabilita' di abusi passati quello fissato a suo tempo dall'art. 31 legge n. 47/1985. 8. - In subordine: ulteriore illegittimita' del comma 37, in quanto prevede un meccanismo di silenzio-assenso. Violazione degli artt. 3, 9 e 97 Cost. e degli artt. 4 e 8 St. FVG. Il comma 37 prevede che, avvenuti alcuni adempimenti, «il decorso del termine di ventiquattro mesi [dal 30 settembre 2004] ... senza l'adozione di un provvedimento negativo del comune equivale a titolo abilitativo edilizio in sanatoria». Il d.l. n. 269/2003, dunque, prevede il meccanismo del silenzio-assenso in relazione alle domande di sanatoria, laddove tale istituto non e' contemplato neppure dalla disciplina generale del permesso edilizio (v. art. 20 d.P.R. n. 380/2001). Pare chiara l'irragionevolezza di una norma che consente la sanatoria degli abusi, con tutte le rilevanti conseguenze, in virtu' del solo decorso del tempo. Tale norma viola gli artt. 9 e 97 e gli artt. 4 e 8 St. FVG, perche' rende eventuale il controllo dei comuni sull'aminissibilita' delle domande di condono, ledendo ulteriormente le competenze regionali in materia di governo del territorio. La lesivita' della norma pare ulteriormente aggravata dal fatto che, nel caso di specie, non sembra applicabile la norma generale dell'art. 20, legge n. 241/1990, che attribuisce all'amministrazione, nei «casi» di cui al primo periodo dell'art. 20, comma 1, il potere di annullare l'atto di assenso illegittimamente formato. Ma, se anche si ritenesse che i comuni possano annullare le concessioni in sanatoria «sorte» in virtu' del silenzio protratto per il termine previsto, nell'esercizio di un potere generale di autotutela, la norma sarebbe comunque illegittima, perche', nel momento in cui si decide di sanare, a certe condizioni, gli stravolgimenti operati abusivamente sul territorio, occorre che almeno le condizioni richieste siano verificate. E' del tutto irragionevole e discriminatorio assoggettare le domande di permesso che si riferiscono ad opere sicuramente abusive (perche' dichiarate tali dai richiedenti) ad un regime di verifica meno severo di quello vigente per le domande di permesso che vengono dichiarate dagli interessati conformi alla disciplina urbanistica. Ne' varrebbe obbiettare che, sul piano del fatto, il termine previsto e' sufficientemente lungo perche' i comuni si attivino, perche' proprio il numero delle domande che contemporaneamente vengono presentate ovviamente aggrava la situazione delle amministrazioni e ne prolunga i tempi di azione, come la stessa esperienza dei precedenti condoni ampiamente conferma. 9. - In subordine: ulteriore illegittimita' del comma 25, in quanto prevede un limite di volume per ogni singola richiesta. Violazione degli art. 3, 9, 97, 117 e 118 Cost. L'art. 32, comma 25, d.l. n. 269/2003, come gia' l'art. 39, legge n. 724/1994, prevede che siano sanabili le «opere abusive ... relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per ogni singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria». Tale norma appare irragionevole e lesiva dei parametri indicati in epigrafe nella parte in cui non precisa che non sono ammesse piu' richieste riferite alla medesima area: e' chiaro, infatti, che, anche alla luce di quanto previsto dall'art. 39, legge n. 724/1994, potrebbero essere stati costruiti edifici attigui, ognuno dei quali rispettoso del limite di volume sanabile, al fine di eludere il limite stesso. Cio' arrecherebbe un'ulteriore vulnus alle esigenze di tutela del territorio e alle relative competenze regionali. 10. - In subordine: illegittimita' costituzionale dei commi 1, 2, 3, 4, 25, 26, lett. a) in guanto contenuti in un decreto-legge. A) Violazione del principio di leale collaborazione e dell'art. 2, d.lgs. n. 281/1997 per mancato coinvolgimento delle autonomie regionali. A quanto risulta, ne' in sede di adozione del decreto-legge ne' in sede di adozione del disegno di legge di conversione le autonomie regionali sono state consultate attraverso la Conferenza Stato-Regioni. Poiche', come visto, la disciplina qui impugnata riguarda materie di competenza regionale, tale mancato coinvolgimento lede il principio di leale collaborazione, espressamente sancito ora nel titolo V della Costituzione. In particolare, risulta violato l'art. 2, comma 3, d.lgs. n. 281/1997, in base al quale «la Conferenza Stato-regioni e' obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano». Ne' si puo' obiettare che, nel caso di specie, la consultazione non era possibile, dato che l'art. 2, comma 5, d.lgs. n. 281 disciplina espressamente i casi di urgenza: «quando il Presidente del Consiglio dei ministri dichiara che ragioni di urgenza non consentono la consultazione preventiva, la Conferenza Stato-regioni e' consultata successivamente ed il Governo tiene conto dei suoi pareri: a) in sede di esame parlamentare dei disegni di legge o delle leggi di conversione dei decreti-legge». Dunque, la mancata consultazione della Conferenza risulta comunque illegittima. Si tenga presente, per comprendere l'importanza del principio di leale collaborazione nel nuovo titolo V, anche il modo in cui esso viene concretato dall'art. 11, legge Cost. n. 3/2001. La circostanza che non sia ancora stata realizzata la speciale composizione integrata della Commissione parlamentare per le questioni regionali non toglie che il principio di partecipazione regionale al procedimento legislativo delle leggi statali ordinarie, quando queste intervengono in materia di competenza concorrente, ha ora espresso riconoscimento costituzionale. Del resto, e' da sottolineare che codesta Corte costituzionale gia' nella sent. n. 398 del 1998 (punto 16 del Diritto) ha annullato una norma legislativa statale incidente sulle competenze regionali per mancato coinvolgimento delle Regioni nel procedimento legislativo. B) Inidoneita' del decreto-legge a porre norme fondamentali di riforma e principi fondamentali ex art. 117, comma 3, Cost. Si e' gia' visto che in nessun modo la previsione del condono puo' essere considerata «norma fondamentale di riforma economico-sociale» o «principio fondamentale» nelle materie dell'urbanistica e del coordinamento della finanza pubblica. Si vuole qui aggiungere che, se anche codesta Corte non condividesse tale conclusione, comunque si dovrebbe ritenere incostituzionale l'uso del decreto-legge per porre norme fondamentali di riforma o principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente, dato che, per propria natura, le norme ed i principi fondamentali devono avere carattere di stabilita', dovendo anche fungere da guida della legislazione regionale, per cui essi non possono essere fissati in una fonte per sua natura precaria quale il decreto-legge. In tal senso si e' pronunciata codesta Corte nella sent. n. 271/1996, alla quale si puo' accostare la sent. n. 496/1993, relativa al ricorso per mancato adeguamento di cui al d.lgs. n. 266/1992 («sarebbe del tutto irragionevole pretendere che il legislatore provinciale faccia affidamento, ai fini dell'opera di adeguamento delle proprie discipline normative, su disposizioni, come quelle del decreto-legge, che sono efficaci soltanto in via provvisoria e che, per effetto dell'eventuale mancata conversione in legge, potrebbero successivamente perdere ogni efficacia sin dalla loro origine»: punto 3 del Diritto).
P. Q. M. La Regione Friuli-Venezia Giulia chiede voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiarare costituzionalmente illegittimo l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, ed in particolare i commi 1, 2, 3, 4, 25, 26, lett. a), 28, 32, 35, lett. a) e b), 37, 38, 40 e allegato 1, per le parti e sotto i profili illustrati nel ricorso. Prof. avv. Giandomenico Falcon 03C01347