N. 14 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 gennaio 2004

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 30 gennaio 2004 (della Regione Campania)

Edilizia  e  urbanistica  -  Condono edilizio - Disciplina risultante
  dalla  conversione  in  legge del d.l. n. 269/2003 - Riapertura dei
  termini  del  condono  e  possibilita'  di  sanatoria  per le opere
  abusive  ultimate entro il 31 marzo 2003 - Possibilita' di rilascio
  del  titolo  abilitativo  edilizio  sia per manufatti realizzati in
  assenza  o  difformita'  dello  stesso, sia per opere realizzate in
  violazione   delle   norme  edilizie  e  delle  prescrizioni  degli
  strumenti  urbanistici  -  Riferimento  dei limiti volumetrici alla
  singola  richiesta  di  titolo  abilitativo edilizio in sanatoria -
  Previsione  di  ipotesi di silenzio-assenso - Ricorso della Regione
  Campania   -   Denunciata   invasione  della  potesta'  legislativa
  regionale  di tipo residuale (in materia urbanistica) o concorrente
  (in  materia  di  «governo del territorio») - Carattere dettagliato
  della  disciplina  censurata - Inconciliabilita' della decretazione
  d'urgenza  con  la  finalita'  di stabilire principi fondamentali -
  Carenza  dei  presupposti di necessita' ed urgenza per l'emanazione
  del  decreto-legge - Violazione del principio di leale cooperazione
  e  del  principio  di  ragionevolezza  -  Incoerenza  rispetto alle
  finalita'   dichiarate   ed  a  quella  (economica)  effettivamente
  perseguita  -  Compressione  dell'autonomia finanziaria regionale -
  Violazione del giudicato costituzionale (in relazione alle sentenze
  nn. 416/1995,  427/1995,  369/1988, 302/1988 e 231/1993 della Corte
  costituzionale)  - Vanificazione degli interventi di programmazione
  e  controllo  locale  del  territorio  - Incidenza sulla competenza
  legislativa   regionale  relativa  alla  «valorizzazione  dei  beni
  ambientali» - Violazione del principio di tutela della salute e del
  principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Contrasto  con  il  principio  di  concorrenza e cooperazione delle
  competenze  statali  e  regionali  nella  tutela  del  paesaggio  -
  Invasione  della sfera di autonomia degli enti locali in materia di
  edilizia   ed   urbanistica  -  Esclusione  di  qualsiasi  tipo  di
  partecipazione degli enti locali.
- Legge  24 novembre  2003,  n. 326,  nella parte in cui converte con
  modifiche   l'art. 32   del   D.L.   30 settembre   2003,   n. 269;
  decreto-legge  30 settembre  2003,  n. 269, art. 32, in particolare
  commi 1, 2, 3, 5, da 14 a 23 e da 25 a 50.
- Costituzione, artt. 3, 9, 32, 77, 114, 117, 118, 119 e 127.
Giudizio  di  legittimita' costituzionale in via principale - Ricorso
  della  Regione  Campania  avverso  le  norme  sul  condono edilizio
  contenute  nel  decreto-legge n. 269/2003 e nella relativa legge di
  conversione   n. 326/2003  -  Prospettato  rischio  di  pregiudizio
  irreparabile   all'interesse   pubblico   -   Istanza   alla  Corte
  costituzionale   per   la   sospensione   degli  effetti  dell'atto
  impugnato.
- Legge  24 novembre  2003,  n. 326,  nella  parte  in  cui  converte
  l'art. 32  del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269; art. 32 del
  medesimo   decreto-legge,  nel  testo  modificato  dalla  legge  di
  conversione  (nel  suo complesso e in particolare commi 1, 2, 3, 5,
  da 14 a 23 e da 25 a 50).
- Legge  11 marzo  1953, n. 87, artt. 35 (come sostituito dall'art. 9
  della  legge 5 giugno 2003, n. 131) e 40; Costituzione, artt. 3, 9,
  32, 77, 97, 114, 117, 118, 119 e 127.
(GU n.7 del 18-2-2004 )
    Ricorso  della  Regione Campania, in persona del presidente della
giunta  regionale pro tempore, on. Antonio Bassolino, rappresentato e
difeso,  giusta  mandato  a  margine ed in virtu' delle deliberazioni
della  giunta  regionale  n. 3875 del 30 dicembre 2003 e n. 25 del 10
gennaio  2004,  dal  prof. avv. Vincenzo Cocozza e dall'avv. Vincenzo
Baroni  dell'Avvocatura  regionale, insieme con i quali elettivamente
domicilia  in  Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione
Campania alla Via Poli n. 29;

    Contro: il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; per
la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  della legge 24
novembre 2003, n. 326, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del
25 novembre 2003, nella parte in cui converte con modifiche l'art. 32
del  decreto-legge  30  settembre 2003, n. 269, e quindi dell'art. 32
del  d.l.  medesimo,  convertito  e  come  modificato, che prevede il
«condono  edilizio», sia nel suo complesso che in particolare i commi
1, 2, 3 e 5, da 14 a 23 e da 25 a 50 in parte qua.

                              F a t t o

    1.  -  Con  d.l.  30 settembre 2003, n. 269 recante «Disposizioni
urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento
dei  conti  pubblici»  sono  state  adottate  disposizioni relative a
diversi ambiti settoriali.
    In  tale  contesto  e'  stato inserito l'art. 32, concernente una
nuova  «sanatoria» edilizia, che ha riaperto, per la seconda volta in
pochi  anni, i termini concessi per l'ottenimento del condono, con un
espresso rinvio, per quanto non previsto dal decreto, alla disciplina
della legge n. 47/1985.
    Avverso  l'art. 32  del  d.l.  n. 269/2003,  sia  in  riferimento
all'intero  intervento  sia con specifico riferimento ai commi nn. 1,
2,  3  e 5, da 14 a 23 e da 25 a 50 in parte qua, la Regione Campania
ha  promosso  ricorso  in  via  principale deducendo la lesione della
propria sfera di autonomia.
    In  data  24  novembre  2003  e'  stata  approvata  la  legge  di
conversione  n. 326  del  citato  decreto-legge,  con  cui sono state
apportate    limitate    modifiche   a   singole   disposizioni,   ma
sostanzialmente    e'   stato   confermato   l'impianto   complessivo
dell'intervento   legislativo   e   il   contenuto   normativo  della
disciplina.
    Avendo  riguardo  al  testo legislativo integrato dalle modifiche
apportate  dalla  legge  di  conversione,  si evidenzia che lo stesso
risulta confermativo dell'intervento normativo introdotto dal decreto
legge  sia  nei  principi ispiratori, sia, sostanzialmente, anche nel
dato testuale.
    La  disciplina e' caratterizzata dalla introduzione di un condono
edilizio,  che  si vuole in qualche maniera «giustificare» con regole
tese  a  prefigurare,  in assoluta antitesi con tale reale carattere,
interventi di riqualificazione.
    La Regione Campania propone impugnativa nei confronti dell'intero
art.  32  del decreto legge convertito, in quanto contrastante con le
pronunce  della Corte costituzionale, contraddittorio, invasivo delle
competenze  regionali  ed  incoerente  nelle  sue ampie articolazioni
normative,  e,  in  modo  specifico,  nei  confronti  di tutte quelle
disposizioni  che  contribuiscono nel loro collegamento, in modo piu'
immediato,  ad  introdurre  «di  nuovo»  il condono e a tracciarne le
modalita' di svolgimento.
    Sono,   pertanto,   specificamente   indicati   nell'oggetto   di
impugnativa,  i  commi  1,  2,  3  e  5 che danno conto dell'impianto
generale;  i  commi da 14 a 23 che contemplano ipotesi particolari; i
commi  da  25  a  31  che  si  occupano  di  individuare  i  modi  di
operativita'  della  disposta  sanatoria;  e  quelli  da 32 e ss. che
delineano  i  procedimenti funzionali alla realizzazione e attuazione
del condono medesimo.
    Si deve precisare che lo schema riassuntivo appena proposto tiene
conto   dei   contenuti  essenziali  funzionali  alla  configurazione
dell'intervento  di  sanatoria  che  la  regione contrasta, in quanto
l'impugnativa e' proposta dalla Regione Campania per contestare anche
l'ammissibilita'  di  una  regolamentazione legislativa statale in un
ambito   che   afferisce   a  proprie  attribuzioni,  predeterminando
condizioni  per  una  vistosa alterazione dei margini di tutela e una
vanificazione  del  corretto  esplicarsi  della  competenza regionale
della programmazione del territorio.
    In   particolare  si  segnalano,  perche'  significative,  alcune
previsioni  per  cogliere  in  maniera  immediata  l'invasione  della
competenza regionale denunciata ed i vizi complessivi dell'atto.
    L'art. 32   intende   disciplinare   la  «sanatoria  delle  opere
esistenti  non  conformi alla disciplina vigente» assumendo di voler,
cosi',  pervenire  alla  regolarizzazione del settore (comma 1) e, in
particolare,  l'adeguamento  della  «disciplina regionale ai principi
contenuti   nel   Testo   unico   delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari  in  materia  edilizia,  approvato  con d.P.R. 6 giugno
2001,  n. 380»  (comma  2). Mentre, come si dira', un'esigenza di tal
tipo non e' per nulla ipotizzabile.
    Nel  consentire  la  sanatoria  di ampliamenti e realizzazioni di
nuove  costruzioni,  si  prevede un limite di volumetria «per singola
richiesta  di  titolo  abilitativo  in sanatoria» (comma 25) e per le
piu'  disparate tipologie di abusi, compresi quelli commessi non solo
in  assenza  di  titolo  ma  anche  in violazione delle norme e delle
prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 26 e all. 1).
    Inoltre,    e'    espressamente    prevista    una   ipotesi   di
silenzio-assenso sulle domande presentate nei termini di legge (comma
37).
    Insomma, non e' revocabile in dubbio l'ampiezza degli effetti sul
territorio  di una tale regolamentazione che incide sulla complessiva
politica programmatoria dell'ente locale.
    Notevole  e', ancora, e piu' in generale, che nell'atto impugnato
vi  sia  una disciplina descrittiva assai dettagliata delle procedure
per la presentazione e per l'ottenimento della sanatoria.
    Una regolamentazione cosi' puntuale da non lasciare alcun margine
di intervento, con la conseguenza che quanto previsto dal comma 2, in
ordine all'affermato rispetto delle competenze delle autonomie locali
sul  governo  del  territorio  si configura come una mera clausola di
stile.
    Un  siffatto intervento, sia per lo strumento normativo adottato,
sia  per la portata e i contenuti della previsione, e quindi le reali
finalita'  che  persegue,  lede  in  modo grave l'autonomia regionale
concretando  una  serie  di  vizi  di legittimita' costituzionale che
inducono alla proposizione del presente ricorso per i seguenti

                             M o t i v i

    1.  - Violazione degli art. 114 e 117 della Costituzione, nonche'
del  combinato  disposto  degli  artt.  3,  9,  32,  97  e  117 della
Costituzione.  Lesione  della  sfera  di  competenza  delle  regioni.
Violazione della Convenzione europea del paesaggio in data 20 ottobre
2000.  Violazione  degli  accordi  sottoscritti  dal  Ministero per i
BB.CC.AA.  e  le  regioni  del  19 aprile 2001. Violazione del d.lgs.
112/1998. Violazione del principio di leale cooperazione.
    In via preliminare si deve ribadire che, nella prospettazione dei
vizi  avverso  l'atto  impugnato, le sentenze di codesta ecc.ma Corte
costituzionale,  in relazione alle precedenti esperienze normative di
condono  edilizio  (legge n. 47/1985 e art. 39 legge n. 724/1994), ha
una assoluta rilevanza.
    In particolare, come si dira' nel successivo motivo, la Corte ha,
tra  l'altro,  fissato  un  principio  chiaro  con  riferimento  alle
precedenti  esperienze:  la necessaria singolarita' e irripetibilita'
della   disciplina   del   condono.  La  riproposizione  di  un  tale
provvedimento   contrasta  con  il  giudicato  costituzionale  ed  e'
pertanto illegittima.
    Difatti,  sono  proprio le argomentazioni che la Corte ha posto a
fondamento  di  dette  pronunce a fornire il piu' valido dei supporti
per  sostenere  che  l'intervento  statale  impugnato  e'  affetto da
insanabili vizi di costituzionalita'.
    Quell'impianto  argomentativo, ovviamente, va considerato tenendo
conto  della  attuale vigenza di un diverso quadro costituzionale che
ha  ridisegnato  i  rapporti  Stato-regione  rafforzando  il ruolo di
quest'ultima.  In  tal  maniera risultano piu' chiari i vizi anche di
invasione diretta e indiretta della competenza regionale.
    Procedendo con ordine.
    Va contestato, in primo luogo, l'intervento nel suo complesso (in
quanto  volto  a  porre  in  essere  una generale sanatoria edilizia)
perche'  si realizza in un settore di competenza regionale attraverso
disposizioni  di  rango legislativo che, per di piu', sostanzialmente
esauriscono la disciplina escludendo l'intervento della regione.
    1.a. - Il novellato art. 117 Cost. ancora a materie espressamente
previste   la   potesta'   esclusiva   dello   Stato   e  concorrente
Stato-regione.
    Scomparsa l'urbanistica dagli elenchi di cui all'art. 117 Cost. e
tenuto  conto  che  la  disciplina  impugnata  e'  volta  a sanare le
condotte  antigiuridiche  di coloro che hanno realizzato manufatti in
assenza  di  titoli  abilitativi, occorre considerare quanto si debba
desumere dalla (e quanto incide la) nuova formulazione costituzionale
«governo del territorio».
    Delle due l'una.
    O la disciplina del condono va riferita alla materia urbanistica,
sub  specie  edilizia  -  concernente,  cioe',  la  disciplina  della
costruzione e manutenzione degli edifici - e si ritiene che la stessa
non  vada  ricompresa in quella «governo del territorio» ed allora lo
Stato e' intervenuto in un settore affidato alla potesta' legislativa
residuale   della   regione   con   la   conseguente,   irrimediabile
illegittimita'    dell'intervento.    Ovvero    l'urbanistica,   come
regolamentazione  incidente  sulla utilizzazione e trasformazione del
territorio,  non  puo'  non  appartenere  a  tale  nuova  materia del
novellato art. 117 Cost.
    Vi sono argomenti per sostenere la prima tesi.
    Se,   infatti,   si   pone  l'accento  sulla  nuova  formulazione
costituzionale,   si   deduce   soprattutto   che   essa  involge  la
regolamentazione  incidente  sulla utilizzazione e trasformazione del
territorio;  il mutamento della formula dell'art. 117 non puo' essere
priva  di  significato  e, pertanto, il riferimento a una funzione di
«governo»   deve   comportare  di  porre  in  risalto  i  profili  di
programmazione e pianificazione.
    In  tal  modo l'edilizia vera e propria nell'indicato significato
tradizionale  di  disciplina  della  costruzione e manutenzione degli
edifici,  alla  quale  potrebbe  collegarsi  il «condono», certamente
all'interno  del  «governo  del territorio», potrebbe anche avere una
sua piu' specifica autonomia connotativa.
    Sulla base di tale ragionamento, l'ammissibilita' di una sfera di
competenza residuale delle regioni, attesa l'assenza della stessa fra
gli  elenchi del nuovo art. 117 Cost., con la conseguente illegittima
invasione da parte della disciplina statale.
    1.b.   -   Comunque,   il   risultato   in  ordine  alla  dedotta
illegittimita' non cambia collocandosi nella seconda ipotesi.
    Anche  in  questo  caso,  dovendosi  assegnare al mutamento della
formula identificativa dell'ambito materiale d'intervento concorrente
Stato-regione  il  significato  che  ponga  in  risalto  i profili di
programmazione  e  pianificazione  regionale,  se ne devono trarre le
conseguenze.
    In  verita',  prima  della  riforma  costituzionale sul Titolo V,
proprio  codesta ecc.ma Corte, dovendo caratterizzare l'intervento in
materia   di   condono,  ha  adoperato  frequentemente  l'espressione
«governo del territorio». Questo per esprimere la peculiarita' di una
disciplina  che  finisce  per  coinvolgere  in maniera ampia tutte le
funzioni  che  attengono  alla  gestione,  controllo, programmazione,
tutela di un bene essenziale per l'ente pubblico.
    In  tale  materia,  in questa ottica, di potesta' concorrente, lo
Stato  deve  limitarsi  a  fissare i principi fondamentali e, come e'
assolutamente  agevole  verificare,  le  disposizioni  introdotte dal
decreto-legge convertito non possono in alcun modo proporsi come tali
alla stregua di quanto, invece, imposto dal terzo comma dell'art. 117
Cost.
    Gli  elementi  che  inducono a una conclusione nel senso indicato
sono, invero, molteplici.
    1.b.1.  - In primo luogo e' la stessa previsione di un'ipotesi di
nuova  sanatoria  che  esorbita  dalla  nozione  di principio inteso,
questo, come «modo di esercizio della potesta' legislativa regionale»
(cfr. Corte cost. n. 482/1995).
    Vizio  confermato  dall'intera  disciplina  per  la quale neanche
soccorre il criterio di cedevolezza delle disposizioni statali.
    La natura eccezionale dell'intervento, in primo luogo, e, piu' in
particolare,  i  tempi stabiliti, le caratteristiche delle previsioni
introdotte, l'aver riguardo a condotte gia' realizzate, escludono del
tutto  la  possibilita'  di  un  successivo  intervento  regionale, e
l'intero  quadro  giuridico  dei  rapporti  risulta definito. D'altra
parte, si e' di fronte ad una ipotesi di «contenuto provvedimentale»,
che regola comportamenti gia' posti in essere, quindi non ipotetici e
futuri,   ma   situazioni   pregresse,   storicamente   verificatesi,
determinate   e   concrete   che   escludono   ancor   di   piu'   la
configurabilita' di un principio fondamentale. Come l'ecc.ma Corte ha
anche  di  recente  evidenziato puo' atteggiarsi come principio anche
una  disciplina piu' specifica purche' esprima un obiettivo quale, ad
esempio,  quello  di  una  semplificazione  delle procedure affinche'
queste  «non  risultino  inutilmente  gravose  per gli amministrati e
siano dirette a semplificare le procedure e a evitare la duplicazione
di   valutazioni   sostanzialmente  gia'  effettuate  dalla  pubblica
amministrazione»   (Corte   cost.   1°   ottobre  2003,  n. 303).  Ma
l'imposizione   di   una  «rinuncia»  alla  tutela  di  una  corretta
pianificazione,  come  nell'ipotesi  in  esame,  sfugge  a  qualunque
possibilita' di inquadramento come principio.
    1.b.2.   -   La   disciplina   dei  procedimenti  dell'intervento
legislativo  statale  e' puntuale ed esaustiva, prevedendosi tutte le
fasi:  sono  contemplati  espressamente i limiti di volumetria (comma
25)  che la legge di conversione ha solo limitatamente modificato sul
piano  quantitativo,  le tipologie di illecito (comma 26), le ipotesi
di  esclusione  (comma  27),  la  disciplina  dei termini (comma 28),
l'influenza di fattispecie penali nella sanatoria (commi 29 e 30) con
solo  formale  modifica  nei  riferimenti normativi, i rapporti con i
terzi  (comma  31), i termini per la proposizione dell'istanza (comma
32),   la  documentazione  da  allegare  (comma  35),  l'ipotesi  del
silenzio-assenso (comma 37), l'oblazione da corrispondere (comma 38 e
all. 1). E' perfino allegato il modello di domanda da presentare alle
autorita' competenti.
    I  pochi  rinvii,  effettuati  dal  decreto, alla normativa della
regione  e  al rispetto delle competenze di quest'ultima, si riducono
ad una vuota formula senza conseguenze.
    In  definitiva,  viene  attribuita  alla  regione  unicamente  la
possibilita'  di «attuazione della normativa per le ipotesi di minore
impatto»  (comma  26),  ovvero  di  «prevedere  un  incremento  della
oblazione», ma solo nella misura del 10% (comma 33).
    1.b.3.  -  Ancora, non puo' non considerarsi che la fissazione di
principi fondamentali, che la Costituzione attribuisce allo Stato, e'
evidentemente   funzionale  alla  individuazione  di  orientamenti  e
direttive  per  una  coordinata programmazione degli interventi delle
regioni  e  perche'  si  consenta  all'ente territoriale un razionale
governo del territorio.
    1.b.3.a.  -  Al  riguardo,  sul piano sistematico e generale, e',
infatti,   evidente   l'esigenza  unitaria  sottesa  alle  previsioni
costituzionali  che  prevedono  riserve  di  intervento per lo Stato.
Soprattutto alla luce del differente rapporto Stato-regione disegnato
dal  legislatore costituzionale, le competenze dello Stato rinvengono
un  limite, per cosi' dire, «interno» e di «essenza» nella necessita'
di  individuare  regole  comuni, funzionali alla tutela di valori che
vanno garantiti pur nella diversita' delle discipline regionali.
    Per  cio'  che  qui  interessa,  di  sicuro,  costituiscono  alti
riferimenti  da  assumere come guida per i contenuti della disciplina
affidata  allo  Stato, il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), la
tutela paesaggistica nel suo significato piu' ampio individuato dalla
giurisprudenza  costituzionale (art. 9 Cost.), la tutela della salute
(art. 32  Cost.),  il  buon  andamento  dell'amministrazione (art. 97
Cost.).
    Nel  caso  di  specie,  laddove  lo  Stato  ha posto in essere un
intervento  incoerente con tali valori, si e' posto al di fuori della
propria sfera di competenza, in quanto ha negato i presupposti stessi
e il fondamento della specifica attribuzione.
    1.b.3.b.  -  D'altro  canto, anche per una conferma (di carattere
storico-normativo) puo' essere utile ricordare la disciplina organica
delle funzioni posta dal d.lgs. n. 112/1998.
    Il  capo  II,  recante  la  disciplina  di  riparto  relativa  al
«territorio e urbanistica» fornisca in questo senso una significativa
lettura finalistica dei compiti riservati a ciascun soggetto pubblico
nel  settore  relativo al governo del territorio laddove sancisce che
(art. 52)   spettano   allo   Stato  solo  i  compiti  relativi  alla
identificazione delle «linee fondamentali dell'assetto del territorio
nazionale  con riferimento ai valori naturale e ambientali» (comma 1)
che  vengono  esercitati «attraverso intese» (comma 2) con i soggetti
territoriali interessati.
    In tale direzione l'accordo sottoscritto, in data 19 aprile 2001,
fra  il Ministro BB.AA.CC. e le regioni e' specificamente finalizzato
alla  individuazione  di  quelle  «linee  fondamentali»  previste dal
citato  art. 52  del d.lgs. n. 112/1998, fra l'altro sulla base della
Convenzione  europea  del  paesaggio  firmata a Firenze il 20 ottobre
2000.
    I  contenuti di tale accordo mirano in particolare ad orientare i
criteri  di  pianificazione,  coordinare  le  funzioni  di vigilanza,
tenuto   conto   che   «la   tutela,   la   buona  conservazione,  la
riqualificazione,  la  valorizzazione  del paesaggio costituiscono un
obiettivo prioritario di interesse nazionale».
    In  tal  modo si e' confermato il contenuto di valore dell'ambito
di competenza attribuito allo Stato.
    Le  esigenze  di fondo che e' compito dello Stato salvaguardare -
garantendo l'unita' su cui si basa, e trova limite, la sua competenza
-  derivanti  da  principi  fondamentali  della  Carta costituzionale
(artt. 3, 9, 32, 97), ma anche da accordi internazionali (Convenzione
europea)  attuati attraverso le previste intese dei soggetti titolari
delle  competenze  di  programmazione territoriale (Accordo 19 aprile
2002  sottoscritto fra il Ministero BB.AA.CC. e le regioni), appaiono
tutte  contraddette  dall'attuale  intervento  volto a sottrarre agli
enti  locali  la  loro funzione di controllo e repressione dell'abuso
nonche' ripristino e valorizzazione del loro territorio.
    Insomma,  la  norma  costituzionale,  nel fissare il rapporto fra
principi  fondamentali (individuati con legge statale) e legislazione
regionale,  propone  non  solo  un  limite  quantitativo  e oggettivo
all'esercizio  della  potesta', ma anche funzionale al rispetto di un
obiettivo,   e   cioe',   per   l'ipotesi   in  esame,  la  razionale
pianificazione.
    Un  intervento  di  condono,  di  per  se'  si  pone  in evidente
contrasto  con  un  tale obiettivo ed ostacola qualunque esplicazione
dell'autonomia  regolativa  regionale  che  lo  Stato  deve,  invece,
rispettare,  potendo  soltanto  individuare  quanto e' necessario per
garantire l'unita' dell'intervento normativo per fini di salvaguardia
e tutela del territorio.
    1.b.3.c.   -   Siffatta  conclusione  e',  invero,  confermata  e
avvalorata dai contenuti dell'atto impugnato.
    La  sanatoria  e'  ampia coinvolgendo una articolata tipologia di
abusi.  In  particolare,  si consente il rilascio del titolo non solo
per manufatti realizzati in assenza o in difformita' dello stesso, ma
anche per opere realizzate in violazione delle norme edilizie e delle
prescrizioni  degli  strumenti  urbanistici (comma 1 - 25 - 26 e all.
1),   imponendo   alle   autonomie  locali  di  subire  gli  illeciti
urbanistici  compiuti  in dispregio della programmazione territoriale
gia'  vigente  e  dei  piani  di  zona,  laddove questi impediscano o
limitino   l'edificabilita'  ovvero  la  condizionino  a  determinate
finalita'. Coerenza urbanistica e territoriale, dunque, violata, e di
cui  si  impedisce  il  recupero  attraverso la vanificazione di ogni
intervento repressivo e, soprattutto, di ripristino.
    Quanto  sopra e' ulteriormente aggravato dalla circostanza che il
limite di volumetria viene riferito alla «singola richiesta di titolo
abilitativo  edilizio  in  sanatoria»  (comma  25)  e,  nonostante la
modifica  relativa  al singolo fabbricato, continua a non esservi una
relazione con l'area.
    Per di piu', in base a una documentazione (tecnica e fotografica)
da  presentarsi sino al 31 marzo 2004 (comma 35). Previsione inidonea
a  certificare l'effettiva realizzazione dell'opera al 31 marzo 2003;
cio'  determinera',  come  d'altronde  hanno  insegnato  le pregresse
esperienze,  un aumento dei fenomeni di abusivismo fino alla scadenza
del termine di presentazione delle domande.
    A   cio'  si  aggiunga,  ancora,  la  previsione  di  ipotesi  di
silenzio-assenso  (comma  37),  che  permettera'  di  condonare anche
quegli abusi esclusi (pochi, in verita) dalla normativa impugnata.
    2.  -  Violazione  degli  artt.  114  e  117  della Costituzione.
Violazione degli accordi sottoscritti dal Ministero per i BB.CC.AA. e
le  regioni  del  19 aprile 2001. Violazione dell'art. 77 Cost. e del
d.lgs.  n. 281  del 28 agosto 1997, in particolare art. 2. Violazione
del principio di leale cooperazione.
    Ne'  un  tale  intervento puo' essere giustificato da esigenze di
carattere unitario.
    Anche  laddove  queste  ricorressero  nel caso di specie (il che,
come  si  e'  visto,  non e), il legislatore statale avrebbe comunque
dovuto  procedere  secondo  i  canoni  costituzionali  di  lealta'  e
cooperazione  che,  nel  caso di specie, trattandosi di un intervento
statale  privo  dei  caratteri di normativa di principio in un ambito
materiale  di potesta' legislativa concorrente, puo' realizzarsi solo
attraverso  «una  disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il
dovuto   risalto   le   attivita'  concertative  e  di  coordinamento
orizzontale,  ovverossia le intese che devono essere condotte in base
al principio di lealta» (Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303 cit.).
    Al  contrario,  l'intervento  e'  caratterizzato,  anche sotto il
profilo  procedimentale, da evidenti vizi di illegittimita' sul piano
della  leale  cooperazione. Oltre a non aver perseguito le necessarie
intese,   richieste   dalla   giurisprudenza   costituzionale  (sent.
303/2003),  nonche'  dalla  normativa organica sulle funzioni (d.lgs.
n. 112/1998),  l'utilizzo del meccanismo di decretazione d'urgenza ha
comportato  l'esclusione  della  regione da qualsiasi possibilita' di
intervento.
    Si  ricorda  che il d.lgs 28 agosto 1997, n. 281, art. 2 comma 3,
ha   disposto   che,  nelle  materie  di  competenza  regionale,  sia
«obbligatoriamente»  sentita  la  Conferenza Stato-regioni e che tale
obbligo  possa  essere  derogato  solo  in caso di urgenza (comma 4),
rinviando   la   consultazione  in  sede  di  esame  delle  leggi  di
conversione dei decreti legge (comma 5). Ne consegue che, nel momento
in  cui  il  Governo  ha  ritenuto  di  agire attraverso lo strumento
normativo  di  cui  all'art. 77  Cost.  in  assenza  dei  presupposti
costituzionali,  ha  illegittimamente  leso  la  sfera  di competenza
garantita  alle  regioni.  Illegittimita'  non  sanata dalla legge di
conversione.
    3.  -  Ulteriore  violazione  degli  art.  114  - 117 e 119 della
Costituzione. Lesione della sfera di competenza delle regioni.
    3.1.  -  La  dedotta,  ulteriore, illegittimita' va riferita alla
mancanza,  nell'intervento,  di qualunque carattere che consenta allo
stesso  di  inserirsi  nell'ambito della potesta' legislativa statale
relativa al «coordinamento della finanza pubblica».
    In  primo luogo la natura eccezionale dell'intervento contraddice
sia  lo  scopo  della competenza (regolarizzazione del settore), sia,
ancora  una  volta,  il  carattere di principio che dovrebbe assumere
l'intervento   legislativo   in   materia  concorrente,  ossia  norma
fondamentale  di  governo  dell'assetto  finanziario pubblico. Ne' e'
consentito   individuare   la  materia  solo  per  lo  scopo  che  il
legislatore  intende  perseguire. In tal senso l'indirizzo di codesta
ecc.ma Corte.
    Ha  chiarito,  infatti,  la  Corte  che  la  determinazione della
materia  regionale  deve farsi in modo obiettivo senza riferimento al
risultato  da  conseguire,  cioe' senza riguardo all'influenza che su
essa  puo'  derivare  dall'esercizio  di  poteri appartenenti a sfere
diverse  (v.  sentt. nn. 304/1987; 94 e 165 del 1986), in quanto cio'
che  rileva  primariamente,  ai  fini  predetti,  e'  il  contenuto e
l'oggetto specifico dell'atto normativo (Sentenza n. 433 del 1987).
    Diversamente,  soprattutto  in tema di recupero erariale, sarebbe
sempre  possibile  per  il  potere  centrale  incidere nei settori di
spettanza  regionale, giustificando ogni intervento non sugli aspetti
strutturali  della normativa, ma sugli scopi (prettamente finanziari)
che si e' inteso perseguire.
    E,  naturalmente,  la  disciplina  si  mostra  in contrasto con i
principi  che  il  nuovo  art. 119  Cost.  ha  fissato. I principi di
coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario,
infatti,  impongono  una  definizione dei ruoli con regole rispettose
dell'autonomia in un contesto di stabilita'.
    I  tratti  dell'intervento,  come  piu'  volte  evidenziato, sono
irriducibili a tali principi.
    3.2.  - Analogo discorso va effettuato sulla potesta' legislativa
statale in materia di «tutela dell'ambiente». Anche in questo caso la
previsione  impugnata  tradisce  la  specifica  ed espressa finalita'
connessa  alla  attribuzione  di  competenza  legislativa.  Sul punto
specifico, d'altra parte, la Corte ha gia' chiarito che l'intento del
legislatore  costituzionale  e'  stato solo quello di «riservare allo
Stato  il  potere  di fissare standard di tutela uniformi sull'intero
territorio nazionale» (sent. n. 07/2002).
    4.  -  Violazione  degli  artt.  3,  9, 117, 118, 119 e 127 della
Costituzione.  Violazione del principio di ragionevolezza. Violazione
del   principio  di  leale  cooperazione.  Violazione  del  giudicato
costituzionale,  in  part.  sentenze 416/1995 - 427/1995 - 369/1988 -
302/1988 e 231/1993.
    La  normativa  e',  inoltre,  viziata  per irragionevolezza sotto
molteplici aspetti.
    Aiuta   a   dimostrarlo   la  giurisprudenza  costituzionale  cui
all'inizio si e' fatto riferimento.
    4.a.  -  Il  comma  2 dell'art. 32, come detto, reca una sorta di
motivazione  a  sostegno  dell'intervento  giacche'  prevede  che «la
normativa  e'  disposta  nelle more dell'adeguamento della disciplina
regionale  ai  principi  contenuti nel testo unico delle disposizioni
legislative  e regolamentari in materia edilizia approvato con d.P.R.
6 giugno 2001, n. 380 ...».
    In  realta',  pero', non vi e' stata alcuna innovazione normativa
nel  settore  (il  testo  unico  n. 380/2001,  tra  l'altro,  non  ha
modificato  l'impianto  normativo  complessivo in materia) e, in ogni
caso, pur laddove vi fosse stata, si applicherebbero comunque i nuovi
principi  in  attesa  della  loro  attuazione. Ma soprattutto, non si
riesce in alcun modo a comprendere in qual maniera si possa collegare
questa  terza sanatoria edilizia con una eventuale, gia' intervenuta,
modifica  legislativa  di settore. E quale sia il rapporto fra questa
disciplina e la successiva di livello regionale.
    Sotto  tale  profilo,  l'atto  impugnato e', pero', ulteriormente
viziato  perche' irragionevole anche rispetto agli scopi di carattere
economico  (che  comunque non possono giustificare ne' l'invasione di
competenza,  ne' i danni arrecati al territorio), in quanto non tiene
conto   degli  effetti  ulteriori  e  deleteri  che  tali  previsioni
comportano anche solo in termini economici per gli enti territoriali.
Questi   ultimi,   infatti,   dovranno   far   fronte   a  spese  per
l'urbanizzazione   e   il   recupero  ambientale  che  gli  oneri  di
urbanizzazione,  a  carico  di  coloro  che  si avvantaggeranno della
sanatoria, non copriranno se non in maniera del tutto limitata.
    Insomma,  pur se non si volesse considerare come vizio la dedotta
difformita'  tra il fine reale e quello dichiarato e volendo limitare
la  valutazione  al  solo  aspetto  economico, la normativa si mostra
comunque viziata nel fine in quanto non in grado di raggiungerlo.
    Anzi,  proprio  sul  piano  finanziario,  si rinvengono ulteriori
elementi  di  vizio  per  l'illegittima  compressione  dell'autonomia
finanziaria   regionale   garantita  dal  novellato  art. 119  Cost.:
attraverso  il  meccanismo  contemplato  dalla normativa impugnata si
toglie   in  termini  economici  alle  autonomie  locali  (attesa  la
necessita'  da  parte  delle  stesse  di  sopportare  i  costi  prima
indicati)  piu'  di  quanto  non  intenda recuperare l'erario. In tal
modo,  si  impone,  fra  l'altro, agli Enti territoriali l'impegno di
somme  per  determinate  finalita'  piuttosto che per altre ovvero la
necessita'  di recuperare entrate ulteriori per far fronte alle nuove
spese.
    4.  -  Ancora,  va  eccepita,  in  uno con il costo in termini di
legalita',   l'ulteriore   illegittimita'  perche'  si  determina  la
vanificazione degli interventi di programmazione e controllo locale.
    Il  condono  edilizio,  infatti,  si caratterizza in quanto, come
osservato  da codesta ecc.ma Corte, la possibilita' di tali sanatorie
comporta  «effetti  permanenti,  di modo che il semplice pagamento di
oblazione   non  restaura  mai  l'ordine  giuridico  violato»  (Corte
costituzionale  21-28  luglio  1995,  n. 416), incidendo su beni - il
territorio   e  l'ambiente  -  che  costituiscono  risorse  limitate,
rendendo  irreversibili  le conseguenze del danno e compromettendo la
corretta  gestione  e  programmazione  del  territorio  affidate alla
regione.
    In  tal  senso,  come  e'  noto,  il Giudice costituzionale aveva
giustificato, pur nell'ambito di un diverso quadro costituzionale dei
rapporti  Stato-regione,  meccanismi  di  sanatoria,  solo  in quanto
destinati a non piu' ripetersi.
    Come  la  Corte  costituzionale  ha  chiarito,  si  e'  trattato,
infatti,   di  «norme  del  tutto  eccezionali»  connesse  a  ragioni
«contingenti  e  straordinarie»  (sent.  28 luglio 1995, n. 416), che
hanno  attribuito  al  regime  di  sanatoria il carattere episodico e
delimitato temporalmente.
    Con   la  sentenza  del  28  luglio  1995,  n. 416  la  Corte  ha
chiaramente  affermato  che,  laddove  vi fosse stato un «ulteriore e
persistente  spostamento  dei  termini  temporali  di riferimento del
commesso  abusivismo  edilizio  ..., differenti sarebbero i risultati
della  valutazione  sul  piano  della ragionevolezza, venendo meno il
carattere  contingente  e  del  tutto eccezionale della norma (con le
peculiari    caratteristiche    della   singolarita'   ed   ulteriore
irripetibilita)  in  relazione  ai valori in gioco, non solo sotto il
profilo  delle  esigenze  di  repressione  dei  comportamenti  che il
legislatore  considera  illegali e di cui mantiene la sanzionabilita'
in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della
tutela  del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo» e
ha  rilevato ancora che «la gestione del territorio sulla base di una
necessaria  programmazione  sarebbe  certamente compromessa sul piano
della  ragionevolezza  da  una  ciclica  o ricorrente possibilita' di
condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunita' ...» (cfr.
anche sentt. 427/1995; 369/1988; 302/1988; 231/1993).
    La legalizzazione ex post di vere e proprie azioni antigiuridiche
determina   (come   gia'   in  passato)  l'aspettativa  di  ulteriori
provvedimenti premiali.
    Sotto  tale profilo, fra l'altro, le pregresse esperienze offrono
elementi   di   giudizio   anche  sul  piano  degli  effetti  pratici
dell'intervento.
    E  i  passati  interventi di condono hanno inciso sulla relazione
centro-periferia, delegittimando il ruolo delle autorita' locali che,
con  sempre  maggiore  determinazione,  hanno  dovuto  impegnarsi per
arginare  il  fenomeno  e  recuperare  il  rapporto  corretto  con  i
cittadini.
    In  tale  direzione  si  segnala,  soprattutto alla stregua della
riforma  costituzionale  introdotta  dalla  legge  cost.  3/2001,  un
notevole  impegno  normativo e amministrativo delle autonomie locali;
in  particolare,  per quanto qui da vicino ci riguarda, della Regione
Campania  che si sta adoperando per un'efficace politica territoriale
che sarebbe del tutto compromessa dalla normativa impugnata.
    Questa  sanatoria (basata soltanto su esigenze di incasso che, in
quanto  tali,  sono  sempre verificabili in futuro) vanificherebbe lo
sforzo  delle amministrazioni in tal senso, frustrando, nel contempo,
i comportamenti legali dei soggetti privati.
    In definitiva, dalle sentenze della Corte costituzionale discende
uno   sbarramento   insuperabile  perche'  il  legislatore  e'  stato
avvertito  che  proprio per la eccezionalita' della circostanza, tale
strada  non  sarebbe  stata  piu'  percorribile  e, conseguentemente,
considerata  legittima  dalla  Consulta, atteso anche il costo che ne
sarebbe  derivato sul piano della legalita' e dell'efficace controllo
del territorio.
    4.c.  -  La  disciplina  impugnata  non  sfugge  ad una ulteriore
censura di illegittimita' costituzionale. E' evidente il contrasto di
un  condono  generale  con l'art. 9 della Costituzione che pone quale
compito  della  Repubblica,  quello  di  tutela  del  paesaggio e del
patrimonio artistico della Nazione e ancora dell'art. 117 terzo comma
che  attribuisce alla regione la competenza legislativa relativa alla
valorizzazione dei beni ambientali.
    Ed invero lo stesso termine adoperato dal Costituente nell'art. 9
(Repubblica)  costituisce  riprova  di  un  impegno,  nella direzione
indicata    dalla    norma    costituzionale,    imposto   all'intera
organizzazione  quale  oggi  risulta  dall'art. 114  Cost. novellato,
ricomprendendovi l'articolazione territoriale.
    Proprio   questa   notazione  si  mostra  idonea  ad  evidenziare
ulteriormente  la  ricaduta  del  vizio di legittimita' dedotto sulle
competenze  regionali,  in  quanto  tale  violazione si connette, fra
l'altro,    a   precise   lesioni   «dell'ordine   delle   competenze
costituzionalmente  stabilito in vista dell'attuazione della predetta
tutela» (sent. n. 302/1988 cit.).
    Tale  «illegittimo  uso»  del  potere  legislativo da parte dello
Stato,  comunque  si  voglia  qualificare  la  materia  oggetto della
disciplina  censurata, incide in ogni caso sul governo del territorio
in  quanto  certamente inibisce scelte diverse di pianificazione e di
uso del territorio medesimo.
    Ed ancora, consolidando situazioni illegali in aree cosi' estese,
comprime  la  competenza della regione nella «valorizzazione dei beni
ambientali»,   impedendo  strategie  complessive  tese  a  scelte  di
recupero  ambientale  e vanificando la regolazione regionale: risulta
violato   cosi'   «il   principio  costituzionale  di  concorrenza  e
cooperazione  delle  competenze  statali  e di quelle regionali nella
tutela del paesaggio» (sent. n. 302/1988 cit.).
    5.  -  Ulteriore  violazione  degli  art.  114,  117  e 118 della
Costituzione.  Violazione dell'art. 3 Cost. Irragionevolezza. Lesione
della  sfera di competenza delle regioni. Violazione del principio di
leale cooperazione.
    Come   gia'   precisato,   tutto   quanto   sopra   conduce  alla
illegittimita'  dell'intero  intervento  statale  sul  punto  di  cui
all'art. 32  come  convertito,  che si caratterizza per il prevedere,
con l'insieme dei suoi contenuti, una nuova sanatoria generalizzata.
    Rispetto a cio' la disciplina contenuta nei commi poi specificati
nell'impugnativa,  si  pone  come  normativa  che  in modo ancor piu'
diretto  e'  funzionale  alla  previsione  di  condono,  mostrando un
rapporto interno in relazione all'obiettivo.
    Di  qui  i  vizi  di  illegittimita'  per  violazione  diretta  e
indiretta dell'autonomia regionale.
    Per  alcuni di essi (commi) si prospettano, poi, i seguenti vizi,
confermativi, per un verso, di quanto detto, specifici, per altro:
        a)  commi  14,  15,  16,  17,  18,  19  e  20:  in violazione
dell'art. 117 Cost. non prevedono alcun intervento dell'ente locale;
        b)  comma  25:  la disposizione si mostra irragionevole nella
parte  in  cui  non  collega  la  volumetria  assentibile a un limite
riferito  anche  all'area  su cui insiste il fabbricato. Infatti, pur
con  l'integrazione  posta  in  essere dalla legge di conversione che
condiziona  il  rilascio  del  titolo  al  limite  dei  3000  mc. per
fabbricato,  continua  il  legislatore  statale  a  non  tener  conto
dell'esigenza  di  considerare la specifica ampiezza dell'area su cui
gli  immobili  sono stati costruiti. E' facile immaginare che, con un
semplice  «frazionamento»  delle  istanze  potrebbero  essere  sanate
intere  zone  residenziali  abusive,  essendo  sufficiente  - proprio
perche' non vi e' un limite connesso al territorio - la realizzazione
di tanti autonomi fabbricati adiacenti;
        c)  comma  26:  la  disposizione  e' ancora illegittima - per
violazione  dei  dedotti  artt. 117  e 118 Cost. - nella parte in cui
(lett.  a)  rende sanabile qualsiasi abuso, anche in violazione delle
norme  urbanistiche  e  prescrizioni degli strumenti urbanistici, non
condizionando  il  rilascio del titolo ad alcuna partecipazione degli
enti  locali  che tali strumenti di pianificazione hanno adottato. Ed
ancora  nella  parte  in  cui  condiziona  all'adozione  di una legge
regionale  (da  approvarsi,  peraltro, in tempi strettissimi) solo le
ipotesi  di  minore  impatto  sulla  gestione e la programmazione del
territorio, non rispettandosi alcun margine di autonomia regionale;
        d) commi 32 e 35: tali disposizioni, relative al procedimento
di   condono,   dettano   una  disciplina  di  assoluto  dettaglio  e
pervasivita'  in  contrasto  con l'art. 117 Cost. - tale da escludere
qualsiasi  tipo di partecipazione dell'ente locale anche in tale fase
pur  meramente  procedimentale. Come ricordato, e' fin anche allegato
il modello di domanda da presentare.
      Pur  volendo  ritenere le stesse di natura suppletiva, e dunque
cedevoli,  le  disposizioni  in  esame  non  riuscirebbero comunque a
superare il vizio di illegittimita' eccepito.
    Si e' gia' segnalato il recente orientamento della Corte riguardo
la   piu'  netta  distinzione  fra  competenze  regionali  e  statali
nell'ambito    della    potesta'   legislativa   concorrente   (sent.
n. 282/2002),  piu'  rigorosa nel limitare la competenza statale alla
individuazione dei soli principi della materia. A cio' si aggiunga la
piu'  chiara  indicazione  nel  senso della inammissibilita' di norme
statali  di  dettaglio  cedevoli  (sent.  n. 303/2003),  laddove  non
necessaria   per   «assicurare   l'immediato  svolgersi  di  funzioni
amministrative  che  lo  Stato  ha  attratto  per soddisfare esigenze
unitarie   e   che  non  possono  essere  esposte  al  rischio  della
ineffettivita»  (ipotesi  che, come e' evidente, non ricorre nel caso
in esame).
    D'altronde,  anche  dal  punto  di  vista  meramente  pratico, e'
evidente  che  per  tale  compressione  della sfera regionale sarebbe
fuorviante  parlare  di norme cedevoli, tenuto conto che si tratta di
un  intervento  che  si  esaurisce  in  un  periodo breve, per cui la
normativa  determinerebbe  un  inammissibile definitivo esautoramento
delle competenze regionali;
        e)  comma  37: tale norma e' irragionevole nella parte in cui
introduce  una  ipotesi  di  silenzio-assenso, collegando al semplice
decorso  del  termine  l'ottenimento  del  titolo  in  sanatoria  per
qualsiasi   ipotesi.  E'  evidente,  infatti,  che  introducendo  una
previsione di sanatoria generale si verifichera' un intasamento degli
uffici  territorialmente  competenti  e  un  rallentamento dell'esame
delle   relative   pratiche.  Cio'  significa  la  possibilita'  che,
attraverso tale meccanismo, siano condonate anche ipotesi in astratto
sottratte al beneficio che qui si contesta. Ne' a cio' potrebbe porsi
rimedio   attraverso   l'esercizio   dell'autotutela,   laddove  tali
provvedimenti,  come  e'  noto,  necessitano di ulteriori presupposti
rispetto   alla   mera  rilevazione  della  illegittimita'  dell'atto
implicito.
    Istanza ai sensi degli artt. 35 e 40 della legge n. 87/1953.
    Si  produce  istanza  a  codesta ecc.ma Corte affinche' valuti il
ricorrere dei presupposti per la sospensione dell'atto impugnato alla
luce  delle  renti  modifiche  apportate  dalla  legge 5 giugno 2003,
n. 131 alla legge n. 87/1953, in part. artt. 35 e 40.
    L'esperienza   di   passati   condoni  ha  insegnato  che  simili
provvedimenti  legislativi,  producendo  nella  societa' una notevole
aspettativa  di  sanatoria,  inevitabilmente  determinano  un aumento
vertiginoso, soprattutto nel primo periodo di attuazione della legge,
dei  fenomeni di abusivismo. In tal senso vi e', dunque, quel rischio
di ulteriore irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico connesso
alla  salvaguardia  dell'ambiente  e  alla  ordinata programmazione e
pianificazione   urbanistica   affidata   alla  Regione.  L'eventuale
sospensione,  nel  mentre  non  comporterebbe  alcuna  conseguenza di
danno,  costituirebbe  un  efficace  baluardo  per impedire ulteriori
compromissioni   del   territorio  fino  alla  decisione  nel  merito
dell'ecc.ma Corte.
                              P. Q. M.
    Si  conclude  affinche'  l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in
accoglimento   del   presente  ricorso,  dichiarare  l'illegittimita'
costituzionale  della  legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in
cui  converte  con modifiche l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre
2003,  n. 269,  e quindi dell'art. 32 del decreto-legge medesimo, nei
termini  indicati,  per  violazione degli artt. 3 - 9 - 32 - 77- 97 -
114 - 117 - 118 - 119 e 127 Cost. dei principi di ragionevolezza e di
leale  cooperazione  fra Stato e regione e per lesione della sfera di
competenza della regione.
    Napoli-Roma, addi' 20 gennaio 2004
         Prof. Avv. Vincenzo Cocozza - Avv. Vincenzo Baroni
04C0150