N. 14 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 gennaio 2004
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 30 gennaio 2004 (della Regione Campania) Edilizia e urbanistica - Condono edilizio - Disciplina risultante dalla conversione in legge del d.l. n. 269/2003 - Riapertura dei termini del condono e possibilita' di sanatoria per le opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 - Possibilita' di rilascio del titolo abilitativo edilizio sia per manufatti realizzati in assenza o difformita' dello stesso, sia per opere realizzate in violazione delle norme edilizie e delle prescrizioni degli strumenti urbanistici - Riferimento dei limiti volumetrici alla singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria - Previsione di ipotesi di silenzio-assenso - Ricorso della Regione Campania - Denunciata invasione della potesta' legislativa regionale di tipo residuale (in materia urbanistica) o concorrente (in materia di «governo del territorio») - Carattere dettagliato della disciplina censurata - Inconciliabilita' della decretazione d'urgenza con la finalita' di stabilire principi fondamentali - Carenza dei presupposti di necessita' ed urgenza per l'emanazione del decreto-legge - Violazione del principio di leale cooperazione e del principio di ragionevolezza - Incoerenza rispetto alle finalita' dichiarate ed a quella (economica) effettivamente perseguita - Compressione dell'autonomia finanziaria regionale - Violazione del giudicato costituzionale (in relazione alle sentenze nn. 416/1995, 427/1995, 369/1988, 302/1988 e 231/1993 della Corte costituzionale) - Vanificazione degli interventi di programmazione e controllo locale del territorio - Incidenza sulla competenza legislativa regionale relativa alla «valorizzazione dei beni ambientali» - Violazione del principio di tutela della salute e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Contrasto con il principio di concorrenza e cooperazione delle competenze statali e regionali nella tutela del paesaggio - Invasione della sfera di autonomia degli enti locali in materia di edilizia ed urbanistica - Esclusione di qualsiasi tipo di partecipazione degli enti locali. - Legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui converte con modifiche l'art. 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269; decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, in particolare commi 1, 2, 3, 5, da 14 a 23 e da 25 a 50. - Costituzione, artt. 3, 9, 32, 77, 114, 117, 118, 119 e 127. Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale - Ricorso della Regione Campania avverso le norme sul condono edilizio contenute nel decreto-legge n. 269/2003 e nella relativa legge di conversione n. 326/2003 - Prospettato rischio di pregiudizio irreparabile all'interesse pubblico - Istanza alla Corte costituzionale per la sospensione degli effetti dell'atto impugnato. - Legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui converte l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269; art. 32 del medesimo decreto-legge, nel testo modificato dalla legge di conversione (nel suo complesso e in particolare commi 1, 2, 3, 5, da 14 a 23 e da 25 a 50). - Legge 11 marzo 1953, n. 87, artt. 35 (come sostituito dall'art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131) e 40; Costituzione, artt. 3, 9, 32, 77, 97, 114, 117, 118, 119 e 127.(GU n.7 del 18-2-2004 )
Ricorso della Regione Campania, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, on. Antonio Bassolino, rappresentato e difeso, giusta mandato a margine ed in virtu' delle deliberazioni della giunta regionale n. 3875 del 30 dicembre 2003 e n. 25 del 10 gennaio 2004, dal prof. avv. Vincenzo Cocozza e dall'avv. Vincenzo Baroni dell'Avvocatura regionale, insieme con i quali elettivamente domicilia in Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione Campania alla Via Poli n. 29; Contro: il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 24 novembre 2003, n. 326, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 25 novembre 2003, nella parte in cui converte con modifiche l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, e quindi dell'art. 32 del d.l. medesimo, convertito e come modificato, che prevede il «condono edilizio», sia nel suo complesso che in particolare i commi 1, 2, 3 e 5, da 14 a 23 e da 25 a 50 in parte qua. F a t t o 1. - Con d.l. 30 settembre 2003, n. 269 recante «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici» sono state adottate disposizioni relative a diversi ambiti settoriali. In tale contesto e' stato inserito l'art. 32, concernente una nuova «sanatoria» edilizia, che ha riaperto, per la seconda volta in pochi anni, i termini concessi per l'ottenimento del condono, con un espresso rinvio, per quanto non previsto dal decreto, alla disciplina della legge n. 47/1985. Avverso l'art. 32 del d.l. n. 269/2003, sia in riferimento all'intero intervento sia con specifico riferimento ai commi nn. 1, 2, 3 e 5, da 14 a 23 e da 25 a 50 in parte qua, la Regione Campania ha promosso ricorso in via principale deducendo la lesione della propria sfera di autonomia. In data 24 novembre 2003 e' stata approvata la legge di conversione n. 326 del citato decreto-legge, con cui sono state apportate limitate modifiche a singole disposizioni, ma sostanzialmente e' stato confermato l'impianto complessivo dell'intervento legislativo e il contenuto normativo della disciplina. Avendo riguardo al testo legislativo integrato dalle modifiche apportate dalla legge di conversione, si evidenzia che lo stesso risulta confermativo dell'intervento normativo introdotto dal decreto legge sia nei principi ispiratori, sia, sostanzialmente, anche nel dato testuale. La disciplina e' caratterizzata dalla introduzione di un condono edilizio, che si vuole in qualche maniera «giustificare» con regole tese a prefigurare, in assoluta antitesi con tale reale carattere, interventi di riqualificazione. La Regione Campania propone impugnativa nei confronti dell'intero art. 32 del decreto legge convertito, in quanto contrastante con le pronunce della Corte costituzionale, contraddittorio, invasivo delle competenze regionali ed incoerente nelle sue ampie articolazioni normative, e, in modo specifico, nei confronti di tutte quelle disposizioni che contribuiscono nel loro collegamento, in modo piu' immediato, ad introdurre «di nuovo» il condono e a tracciarne le modalita' di svolgimento. Sono, pertanto, specificamente indicati nell'oggetto di impugnativa, i commi 1, 2, 3 e 5 che danno conto dell'impianto generale; i commi da 14 a 23 che contemplano ipotesi particolari; i commi da 25 a 31 che si occupano di individuare i modi di operativita' della disposta sanatoria; e quelli da 32 e ss. che delineano i procedimenti funzionali alla realizzazione e attuazione del condono medesimo. Si deve precisare che lo schema riassuntivo appena proposto tiene conto dei contenuti essenziali funzionali alla configurazione dell'intervento di sanatoria che la regione contrasta, in quanto l'impugnativa e' proposta dalla Regione Campania per contestare anche l'ammissibilita' di una regolamentazione legislativa statale in un ambito che afferisce a proprie attribuzioni, predeterminando condizioni per una vistosa alterazione dei margini di tutela e una vanificazione del corretto esplicarsi della competenza regionale della programmazione del territorio. In particolare si segnalano, perche' significative, alcune previsioni per cogliere in maniera immediata l'invasione della competenza regionale denunciata ed i vizi complessivi dell'atto. L'art. 32 intende disciplinare la «sanatoria delle opere esistenti non conformi alla disciplina vigente» assumendo di voler, cosi', pervenire alla regolarizzazione del settore (comma 1) e, in particolare, l'adeguamento della «disciplina regionale ai principi contenuti nel Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380» (comma 2). Mentre, come si dira', un'esigenza di tal tipo non e' per nulla ipotizzabile. Nel consentire la sanatoria di ampliamenti e realizzazioni di nuove costruzioni, si prevede un limite di volumetria «per singola richiesta di titolo abilitativo in sanatoria» (comma 25) e per le piu' disparate tipologie di abusi, compresi quelli commessi non solo in assenza di titolo ma anche in violazione delle norme e delle prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 26 e all. 1). Inoltre, e' espressamente prevista una ipotesi di silenzio-assenso sulle domande presentate nei termini di legge (comma 37). Insomma, non e' revocabile in dubbio l'ampiezza degli effetti sul territorio di una tale regolamentazione che incide sulla complessiva politica programmatoria dell'ente locale. Notevole e', ancora, e piu' in generale, che nell'atto impugnato vi sia una disciplina descrittiva assai dettagliata delle procedure per la presentazione e per l'ottenimento della sanatoria. Una regolamentazione cosi' puntuale da non lasciare alcun margine di intervento, con la conseguenza che quanto previsto dal comma 2, in ordine all'affermato rispetto delle competenze delle autonomie locali sul governo del territorio si configura come una mera clausola di stile. Un siffatto intervento, sia per lo strumento normativo adottato, sia per la portata e i contenuti della previsione, e quindi le reali finalita' che persegue, lede in modo grave l'autonomia regionale concretando una serie di vizi di legittimita' costituzionale che inducono alla proposizione del presente ricorso per i seguenti M o t i v i 1. - Violazione degli art. 114 e 117 della Costituzione, nonche' del combinato disposto degli artt. 3, 9, 32, 97 e 117 della Costituzione. Lesione della sfera di competenza delle regioni. Violazione della Convenzione europea del paesaggio in data 20 ottobre 2000. Violazione degli accordi sottoscritti dal Ministero per i BB.CC.AA. e le regioni del 19 aprile 2001. Violazione del d.lgs. 112/1998. Violazione del principio di leale cooperazione. In via preliminare si deve ribadire che, nella prospettazione dei vizi avverso l'atto impugnato, le sentenze di codesta ecc.ma Corte costituzionale, in relazione alle precedenti esperienze normative di condono edilizio (legge n. 47/1985 e art. 39 legge n. 724/1994), ha una assoluta rilevanza. In particolare, come si dira' nel successivo motivo, la Corte ha, tra l'altro, fissato un principio chiaro con riferimento alle precedenti esperienze: la necessaria singolarita' e irripetibilita' della disciplina del condono. La riproposizione di un tale provvedimento contrasta con il giudicato costituzionale ed e' pertanto illegittima. Difatti, sono proprio le argomentazioni che la Corte ha posto a fondamento di dette pronunce a fornire il piu' valido dei supporti per sostenere che l'intervento statale impugnato e' affetto da insanabili vizi di costituzionalita'. Quell'impianto argomentativo, ovviamente, va considerato tenendo conto della attuale vigenza di un diverso quadro costituzionale che ha ridisegnato i rapporti Stato-regione rafforzando il ruolo di quest'ultima. In tal maniera risultano piu' chiari i vizi anche di invasione diretta e indiretta della competenza regionale. Procedendo con ordine. Va contestato, in primo luogo, l'intervento nel suo complesso (in quanto volto a porre in essere una generale sanatoria edilizia) perche' si realizza in un settore di competenza regionale attraverso disposizioni di rango legislativo che, per di piu', sostanzialmente esauriscono la disciplina escludendo l'intervento della regione. 1.a. - Il novellato art. 117 Cost. ancora a materie espressamente previste la potesta' esclusiva dello Stato e concorrente Stato-regione. Scomparsa l'urbanistica dagli elenchi di cui all'art. 117 Cost. e tenuto conto che la disciplina impugnata e' volta a sanare le condotte antigiuridiche di coloro che hanno realizzato manufatti in assenza di titoli abilitativi, occorre considerare quanto si debba desumere dalla (e quanto incide la) nuova formulazione costituzionale «governo del territorio». Delle due l'una. O la disciplina del condono va riferita alla materia urbanistica, sub specie edilizia - concernente, cioe', la disciplina della costruzione e manutenzione degli edifici - e si ritiene che la stessa non vada ricompresa in quella «governo del territorio» ed allora lo Stato e' intervenuto in un settore affidato alla potesta' legislativa residuale della regione con la conseguente, irrimediabile illegittimita' dell'intervento. Ovvero l'urbanistica, come regolamentazione incidente sulla utilizzazione e trasformazione del territorio, non puo' non appartenere a tale nuova materia del novellato art. 117 Cost. Vi sono argomenti per sostenere la prima tesi. Se, infatti, si pone l'accento sulla nuova formulazione costituzionale, si deduce soprattutto che essa involge la regolamentazione incidente sulla utilizzazione e trasformazione del territorio; il mutamento della formula dell'art. 117 non puo' essere priva di significato e, pertanto, il riferimento a una funzione di «governo» deve comportare di porre in risalto i profili di programmazione e pianificazione. In tal modo l'edilizia vera e propria nell'indicato significato tradizionale di disciplina della costruzione e manutenzione degli edifici, alla quale potrebbe collegarsi il «condono», certamente all'interno del «governo del territorio», potrebbe anche avere una sua piu' specifica autonomia connotativa. Sulla base di tale ragionamento, l'ammissibilita' di una sfera di competenza residuale delle regioni, attesa l'assenza della stessa fra gli elenchi del nuovo art. 117 Cost., con la conseguente illegittima invasione da parte della disciplina statale. 1.b. - Comunque, il risultato in ordine alla dedotta illegittimita' non cambia collocandosi nella seconda ipotesi. Anche in questo caso, dovendosi assegnare al mutamento della formula identificativa dell'ambito materiale d'intervento concorrente Stato-regione il significato che ponga in risalto i profili di programmazione e pianificazione regionale, se ne devono trarre le conseguenze. In verita', prima della riforma costituzionale sul Titolo V, proprio codesta ecc.ma Corte, dovendo caratterizzare l'intervento in materia di condono, ha adoperato frequentemente l'espressione «governo del territorio». Questo per esprimere la peculiarita' di una disciplina che finisce per coinvolgere in maniera ampia tutte le funzioni che attengono alla gestione, controllo, programmazione, tutela di un bene essenziale per l'ente pubblico. In tale materia, in questa ottica, di potesta' concorrente, lo Stato deve limitarsi a fissare i principi fondamentali e, come e' assolutamente agevole verificare, le disposizioni introdotte dal decreto-legge convertito non possono in alcun modo proporsi come tali alla stregua di quanto, invece, imposto dal terzo comma dell'art. 117 Cost. Gli elementi che inducono a una conclusione nel senso indicato sono, invero, molteplici. 1.b.1. - In primo luogo e' la stessa previsione di un'ipotesi di nuova sanatoria che esorbita dalla nozione di principio inteso, questo, come «modo di esercizio della potesta' legislativa regionale» (cfr. Corte cost. n. 482/1995). Vizio confermato dall'intera disciplina per la quale neanche soccorre il criterio di cedevolezza delle disposizioni statali. La natura eccezionale dell'intervento, in primo luogo, e, piu' in particolare, i tempi stabiliti, le caratteristiche delle previsioni introdotte, l'aver riguardo a condotte gia' realizzate, escludono del tutto la possibilita' di un successivo intervento regionale, e l'intero quadro giuridico dei rapporti risulta definito. D'altra parte, si e' di fronte ad una ipotesi di «contenuto provvedimentale», che regola comportamenti gia' posti in essere, quindi non ipotetici e futuri, ma situazioni pregresse, storicamente verificatesi, determinate e concrete che escludono ancor di piu' la configurabilita' di un principio fondamentale. Come l'ecc.ma Corte ha anche di recente evidenziato puo' atteggiarsi come principio anche una disciplina piu' specifica purche' esprima un obiettivo quale, ad esempio, quello di una semplificazione delle procedure affinche' queste «non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e a evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente gia' effettuate dalla pubblica amministrazione» (Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303). Ma l'imposizione di una «rinuncia» alla tutela di una corretta pianificazione, come nell'ipotesi in esame, sfugge a qualunque possibilita' di inquadramento come principio. 1.b.2. - La disciplina dei procedimenti dell'intervento legislativo statale e' puntuale ed esaustiva, prevedendosi tutte le fasi: sono contemplati espressamente i limiti di volumetria (comma 25) che la legge di conversione ha solo limitatamente modificato sul piano quantitativo, le tipologie di illecito (comma 26), le ipotesi di esclusione (comma 27), la disciplina dei termini (comma 28), l'influenza di fattispecie penali nella sanatoria (commi 29 e 30) con solo formale modifica nei riferimenti normativi, i rapporti con i terzi (comma 31), i termini per la proposizione dell'istanza (comma 32), la documentazione da allegare (comma 35), l'ipotesi del silenzio-assenso (comma 37), l'oblazione da corrispondere (comma 38 e all. 1). E' perfino allegato il modello di domanda da presentare alle autorita' competenti. I pochi rinvii, effettuati dal decreto, alla normativa della regione e al rispetto delle competenze di quest'ultima, si riducono ad una vuota formula senza conseguenze. In definitiva, viene attribuita alla regione unicamente la possibilita' di «attuazione della normativa per le ipotesi di minore impatto» (comma 26), ovvero di «prevedere un incremento della oblazione», ma solo nella misura del 10% (comma 33). 1.b.3. - Ancora, non puo' non considerarsi che la fissazione di principi fondamentali, che la Costituzione attribuisce allo Stato, e' evidentemente funzionale alla individuazione di orientamenti e direttive per una coordinata programmazione degli interventi delle regioni e perche' si consenta all'ente territoriale un razionale governo del territorio. 1.b.3.a. - Al riguardo, sul piano sistematico e generale, e', infatti, evidente l'esigenza unitaria sottesa alle previsioni costituzionali che prevedono riserve di intervento per lo Stato. Soprattutto alla luce del differente rapporto Stato-regione disegnato dal legislatore costituzionale, le competenze dello Stato rinvengono un limite, per cosi' dire, «interno» e di «essenza» nella necessita' di individuare regole comuni, funzionali alla tutela di valori che vanno garantiti pur nella diversita' delle discipline regionali. Per cio' che qui interessa, di sicuro, costituiscono alti riferimenti da assumere come guida per i contenuti della disciplina affidata allo Stato, il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), la tutela paesaggistica nel suo significato piu' ampio individuato dalla giurisprudenza costituzionale (art. 9 Cost.), la tutela della salute (art. 32 Cost.), il buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.). Nel caso di specie, laddove lo Stato ha posto in essere un intervento incoerente con tali valori, si e' posto al di fuori della propria sfera di competenza, in quanto ha negato i presupposti stessi e il fondamento della specifica attribuzione. 1.b.3.b. - D'altro canto, anche per una conferma (di carattere storico-normativo) puo' essere utile ricordare la disciplina organica delle funzioni posta dal d.lgs. n. 112/1998. Il capo II, recante la disciplina di riparto relativa al «territorio e urbanistica» fornisca in questo senso una significativa lettura finalistica dei compiti riservati a ciascun soggetto pubblico nel settore relativo al governo del territorio laddove sancisce che (art. 52) spettano allo Stato solo i compiti relativi alla identificazione delle «linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturale e ambientali» (comma 1) che vengono esercitati «attraverso intese» (comma 2) con i soggetti territoriali interessati. In tale direzione l'accordo sottoscritto, in data 19 aprile 2001, fra il Ministro BB.AA.CC. e le regioni e' specificamente finalizzato alla individuazione di quelle «linee fondamentali» previste dal citato art. 52 del d.lgs. n. 112/1998, fra l'altro sulla base della Convenzione europea del paesaggio firmata a Firenze il 20 ottobre 2000. I contenuti di tale accordo mirano in particolare ad orientare i criteri di pianificazione, coordinare le funzioni di vigilanza, tenuto conto che «la tutela, la buona conservazione, la riqualificazione, la valorizzazione del paesaggio costituiscono un obiettivo prioritario di interesse nazionale». In tal modo si e' confermato il contenuto di valore dell'ambito di competenza attribuito allo Stato. Le esigenze di fondo che e' compito dello Stato salvaguardare - garantendo l'unita' su cui si basa, e trova limite, la sua competenza - derivanti da principi fondamentali della Carta costituzionale (artt. 3, 9, 32, 97), ma anche da accordi internazionali (Convenzione europea) attuati attraverso le previste intese dei soggetti titolari delle competenze di programmazione territoriale (Accordo 19 aprile 2002 sottoscritto fra il Ministero BB.AA.CC. e le regioni), appaiono tutte contraddette dall'attuale intervento volto a sottrarre agli enti locali la loro funzione di controllo e repressione dell'abuso nonche' ripristino e valorizzazione del loro territorio. Insomma, la norma costituzionale, nel fissare il rapporto fra principi fondamentali (individuati con legge statale) e legislazione regionale, propone non solo un limite quantitativo e oggettivo all'esercizio della potesta', ma anche funzionale al rispetto di un obiettivo, e cioe', per l'ipotesi in esame, la razionale pianificazione. Un intervento di condono, di per se' si pone in evidente contrasto con un tale obiettivo ed ostacola qualunque esplicazione dell'autonomia regolativa regionale che lo Stato deve, invece, rispettare, potendo soltanto individuare quanto e' necessario per garantire l'unita' dell'intervento normativo per fini di salvaguardia e tutela del territorio. 1.b.3.c. - Siffatta conclusione e', invero, confermata e avvalorata dai contenuti dell'atto impugnato. La sanatoria e' ampia coinvolgendo una articolata tipologia di abusi. In particolare, si consente il rilascio del titolo non solo per manufatti realizzati in assenza o in difformita' dello stesso, ma anche per opere realizzate in violazione delle norme edilizie e delle prescrizioni degli strumenti urbanistici (comma 1 - 25 - 26 e all. 1), imponendo alle autonomie locali di subire gli illeciti urbanistici compiuti in dispregio della programmazione territoriale gia' vigente e dei piani di zona, laddove questi impediscano o limitino l'edificabilita' ovvero la condizionino a determinate finalita'. Coerenza urbanistica e territoriale, dunque, violata, e di cui si impedisce il recupero attraverso la vanificazione di ogni intervento repressivo e, soprattutto, di ripristino. Quanto sopra e' ulteriormente aggravato dalla circostanza che il limite di volumetria viene riferito alla «singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria» (comma 25) e, nonostante la modifica relativa al singolo fabbricato, continua a non esservi una relazione con l'area. Per di piu', in base a una documentazione (tecnica e fotografica) da presentarsi sino al 31 marzo 2004 (comma 35). Previsione inidonea a certificare l'effettiva realizzazione dell'opera al 31 marzo 2003; cio' determinera', come d'altronde hanno insegnato le pregresse esperienze, un aumento dei fenomeni di abusivismo fino alla scadenza del termine di presentazione delle domande. A cio' si aggiunga, ancora, la previsione di ipotesi di silenzio-assenso (comma 37), che permettera' di condonare anche quegli abusi esclusi (pochi, in verita) dalla normativa impugnata. 2. - Violazione degli artt. 114 e 117 della Costituzione. Violazione degli accordi sottoscritti dal Ministero per i BB.CC.AA. e le regioni del 19 aprile 2001. Violazione dell'art. 77 Cost. e del d.lgs. n. 281 del 28 agosto 1997, in particolare art. 2. Violazione del principio di leale cooperazione. Ne' un tale intervento puo' essere giustificato da esigenze di carattere unitario. Anche laddove queste ricorressero nel caso di specie (il che, come si e' visto, non e), il legislatore statale avrebbe comunque dovuto procedere secondo i canoni costituzionali di lealta' e cooperazione che, nel caso di specie, trattandosi di un intervento statale privo dei caratteri di normativa di principio in un ambito materiale di potesta' legislativa concorrente, puo' realizzarsi solo attraverso «una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovverossia le intese che devono essere condotte in base al principio di lealta» (Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303 cit.). Al contrario, l'intervento e' caratterizzato, anche sotto il profilo procedimentale, da evidenti vizi di illegittimita' sul piano della leale cooperazione. Oltre a non aver perseguito le necessarie intese, richieste dalla giurisprudenza costituzionale (sent. 303/2003), nonche' dalla normativa organica sulle funzioni (d.lgs. n. 112/1998), l'utilizzo del meccanismo di decretazione d'urgenza ha comportato l'esclusione della regione da qualsiasi possibilita' di intervento. Si ricorda che il d.lgs 28 agosto 1997, n. 281, art. 2 comma 3, ha disposto che, nelle materie di competenza regionale, sia «obbligatoriamente» sentita la Conferenza Stato-regioni e che tale obbligo possa essere derogato solo in caso di urgenza (comma 4), rinviando la consultazione in sede di esame delle leggi di conversione dei decreti legge (comma 5). Ne consegue che, nel momento in cui il Governo ha ritenuto di agire attraverso lo strumento normativo di cui all'art. 77 Cost. in assenza dei presupposti costituzionali, ha illegittimamente leso la sfera di competenza garantita alle regioni. Illegittimita' non sanata dalla legge di conversione. 3. - Ulteriore violazione degli art. 114 - 117 e 119 della Costituzione. Lesione della sfera di competenza delle regioni. 3.1. - La dedotta, ulteriore, illegittimita' va riferita alla mancanza, nell'intervento, di qualunque carattere che consenta allo stesso di inserirsi nell'ambito della potesta' legislativa statale relativa al «coordinamento della finanza pubblica». In primo luogo la natura eccezionale dell'intervento contraddice sia lo scopo della competenza (regolarizzazione del settore), sia, ancora una volta, il carattere di principio che dovrebbe assumere l'intervento legislativo in materia concorrente, ossia norma fondamentale di governo dell'assetto finanziario pubblico. Ne' e' consentito individuare la materia solo per lo scopo che il legislatore intende perseguire. In tal senso l'indirizzo di codesta ecc.ma Corte. Ha chiarito, infatti, la Corte che la determinazione della materia regionale deve farsi in modo obiettivo senza riferimento al risultato da conseguire, cioe' senza riguardo all'influenza che su essa puo' derivare dall'esercizio di poteri appartenenti a sfere diverse (v. sentt. nn. 304/1987; 94 e 165 del 1986), in quanto cio' che rileva primariamente, ai fini predetti, e' il contenuto e l'oggetto specifico dell'atto normativo (Sentenza n. 433 del 1987). Diversamente, soprattutto in tema di recupero erariale, sarebbe sempre possibile per il potere centrale incidere nei settori di spettanza regionale, giustificando ogni intervento non sugli aspetti strutturali della normativa, ma sugli scopi (prettamente finanziari) che si e' inteso perseguire. E, naturalmente, la disciplina si mostra in contrasto con i principi che il nuovo art. 119 Cost. ha fissato. I principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, infatti, impongono una definizione dei ruoli con regole rispettose dell'autonomia in un contesto di stabilita'. I tratti dell'intervento, come piu' volte evidenziato, sono irriducibili a tali principi. 3.2. - Analogo discorso va effettuato sulla potesta' legislativa statale in materia di «tutela dell'ambiente». Anche in questo caso la previsione impugnata tradisce la specifica ed espressa finalita' connessa alla attribuzione di competenza legislativa. Sul punto specifico, d'altra parte, la Corte ha gia' chiarito che l'intento del legislatore costituzionale e' stato solo quello di «riservare allo Stato il potere di fissare standard di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale» (sent. n. 07/2002). 4. - Violazione degli artt. 3, 9, 117, 118, 119 e 127 della Costituzione. Violazione del principio di ragionevolezza. Violazione del principio di leale cooperazione. Violazione del giudicato costituzionale, in part. sentenze 416/1995 - 427/1995 - 369/1988 - 302/1988 e 231/1993. La normativa e', inoltre, viziata per irragionevolezza sotto molteplici aspetti. Aiuta a dimostrarlo la giurisprudenza costituzionale cui all'inizio si e' fatto riferimento. 4.a. - Il comma 2 dell'art. 32, come detto, reca una sorta di motivazione a sostegno dell'intervento giacche' prevede che «la normativa e' disposta nelle more dell'adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ...». In realta', pero', non vi e' stata alcuna innovazione normativa nel settore (il testo unico n. 380/2001, tra l'altro, non ha modificato l'impianto normativo complessivo in materia) e, in ogni caso, pur laddove vi fosse stata, si applicherebbero comunque i nuovi principi in attesa della loro attuazione. Ma soprattutto, non si riesce in alcun modo a comprendere in qual maniera si possa collegare questa terza sanatoria edilizia con una eventuale, gia' intervenuta, modifica legislativa di settore. E quale sia il rapporto fra questa disciplina e la successiva di livello regionale. Sotto tale profilo, l'atto impugnato e', pero', ulteriormente viziato perche' irragionevole anche rispetto agli scopi di carattere economico (che comunque non possono giustificare ne' l'invasione di competenza, ne' i danni arrecati al territorio), in quanto non tiene conto degli effetti ulteriori e deleteri che tali previsioni comportano anche solo in termini economici per gli enti territoriali. Questi ultimi, infatti, dovranno far fronte a spese per l'urbanizzazione e il recupero ambientale che gli oneri di urbanizzazione, a carico di coloro che si avvantaggeranno della sanatoria, non copriranno se non in maniera del tutto limitata. Insomma, pur se non si volesse considerare come vizio la dedotta difformita' tra il fine reale e quello dichiarato e volendo limitare la valutazione al solo aspetto economico, la normativa si mostra comunque viziata nel fine in quanto non in grado di raggiungerlo. Anzi, proprio sul piano finanziario, si rinvengono ulteriori elementi di vizio per l'illegittima compressione dell'autonomia finanziaria regionale garantita dal novellato art. 119 Cost.: attraverso il meccanismo contemplato dalla normativa impugnata si toglie in termini economici alle autonomie locali (attesa la necessita' da parte delle stesse di sopportare i costi prima indicati) piu' di quanto non intenda recuperare l'erario. In tal modo, si impone, fra l'altro, agli Enti territoriali l'impegno di somme per determinate finalita' piuttosto che per altre ovvero la necessita' di recuperare entrate ulteriori per far fronte alle nuove spese. 4. - Ancora, va eccepita, in uno con il costo in termini di legalita', l'ulteriore illegittimita' perche' si determina la vanificazione degli interventi di programmazione e controllo locale. Il condono edilizio, infatti, si caratterizza in quanto, come osservato da codesta ecc.ma Corte, la possibilita' di tali sanatorie comporta «effetti permanenti, di modo che il semplice pagamento di oblazione non restaura mai l'ordine giuridico violato» (Corte costituzionale 21-28 luglio 1995, n. 416), incidendo su beni - il territorio e l'ambiente - che costituiscono risorse limitate, rendendo irreversibili le conseguenze del danno e compromettendo la corretta gestione e programmazione del territorio affidate alla regione. In tal senso, come e' noto, il Giudice costituzionale aveva giustificato, pur nell'ambito di un diverso quadro costituzionale dei rapporti Stato-regione, meccanismi di sanatoria, solo in quanto destinati a non piu' ripetersi. Come la Corte costituzionale ha chiarito, si e' trattato, infatti, di «norme del tutto eccezionali» connesse a ragioni «contingenti e straordinarie» (sent. 28 luglio 1995, n. 416), che hanno attribuito al regime di sanatoria il carattere episodico e delimitato temporalmente. Con la sentenza del 28 luglio 1995, n. 416 la Corte ha chiaramente affermato che, laddove vi fosse stato un «ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abusivismo edilizio ..., differenti sarebbero i risultati della valutazione sul piano della ragionevolezza, venendo meno il carattere contingente e del tutto eccezionale della norma (con le peculiari caratteristiche della singolarita' ed ulteriore irripetibilita) in relazione ai valori in gioco, non solo sotto il profilo delle esigenze di repressione dei comportamenti che il legislatore considera illegali e di cui mantiene la sanzionabilita' in via amministrativa e penale, ma soprattutto sotto il profilo della tutela del territorio e del correlato ambiente in cui vive l'uomo» e ha rilevato ancora che «la gestione del territorio sulla base di una necessaria programmazione sarebbe certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilita' di condono-sanatoria con conseguente convinzione di impunita' ...» (cfr. anche sentt. 427/1995; 369/1988; 302/1988; 231/1993). La legalizzazione ex post di vere e proprie azioni antigiuridiche determina (come gia' in passato) l'aspettativa di ulteriori provvedimenti premiali. Sotto tale profilo, fra l'altro, le pregresse esperienze offrono elementi di giudizio anche sul piano degli effetti pratici dell'intervento. E i passati interventi di condono hanno inciso sulla relazione centro-periferia, delegittimando il ruolo delle autorita' locali che, con sempre maggiore determinazione, hanno dovuto impegnarsi per arginare il fenomeno e recuperare il rapporto corretto con i cittadini. In tale direzione si segnala, soprattutto alla stregua della riforma costituzionale introdotta dalla legge cost. 3/2001, un notevole impegno normativo e amministrativo delle autonomie locali; in particolare, per quanto qui da vicino ci riguarda, della Regione Campania che si sta adoperando per un'efficace politica territoriale che sarebbe del tutto compromessa dalla normativa impugnata. Questa sanatoria (basata soltanto su esigenze di incasso che, in quanto tali, sono sempre verificabili in futuro) vanificherebbe lo sforzo delle amministrazioni in tal senso, frustrando, nel contempo, i comportamenti legali dei soggetti privati. In definitiva, dalle sentenze della Corte costituzionale discende uno sbarramento insuperabile perche' il legislatore e' stato avvertito che proprio per la eccezionalita' della circostanza, tale strada non sarebbe stata piu' percorribile e, conseguentemente, considerata legittima dalla Consulta, atteso anche il costo che ne sarebbe derivato sul piano della legalita' e dell'efficace controllo del territorio. 4.c. - La disciplina impugnata non sfugge ad una ulteriore censura di illegittimita' costituzionale. E' evidente il contrasto di un condono generale con l'art. 9 della Costituzione che pone quale compito della Repubblica, quello di tutela del paesaggio e del patrimonio artistico della Nazione e ancora dell'art. 117 terzo comma che attribuisce alla regione la competenza legislativa relativa alla valorizzazione dei beni ambientali. Ed invero lo stesso termine adoperato dal Costituente nell'art. 9 (Repubblica) costituisce riprova di un impegno, nella direzione indicata dalla norma costituzionale, imposto all'intera organizzazione quale oggi risulta dall'art. 114 Cost. novellato, ricomprendendovi l'articolazione territoriale. Proprio questa notazione si mostra idonea ad evidenziare ulteriormente la ricaduta del vizio di legittimita' dedotto sulle competenze regionali, in quanto tale violazione si connette, fra l'altro, a precise lesioni «dell'ordine delle competenze costituzionalmente stabilito in vista dell'attuazione della predetta tutela» (sent. n. 302/1988 cit.). Tale «illegittimo uso» del potere legislativo da parte dello Stato, comunque si voglia qualificare la materia oggetto della disciplina censurata, incide in ogni caso sul governo del territorio in quanto certamente inibisce scelte diverse di pianificazione e di uso del territorio medesimo. Ed ancora, consolidando situazioni illegali in aree cosi' estese, comprime la competenza della regione nella «valorizzazione dei beni ambientali», impedendo strategie complessive tese a scelte di recupero ambientale e vanificando la regolazione regionale: risulta violato cosi' «il principio costituzionale di concorrenza e cooperazione delle competenze statali e di quelle regionali nella tutela del paesaggio» (sent. n. 302/1988 cit.). 5. - Ulteriore violazione degli art. 114, 117 e 118 della Costituzione. Violazione dell'art. 3 Cost. Irragionevolezza. Lesione della sfera di competenza delle regioni. Violazione del principio di leale cooperazione. Come gia' precisato, tutto quanto sopra conduce alla illegittimita' dell'intero intervento statale sul punto di cui all'art. 32 come convertito, che si caratterizza per il prevedere, con l'insieme dei suoi contenuti, una nuova sanatoria generalizzata. Rispetto a cio' la disciplina contenuta nei commi poi specificati nell'impugnativa, si pone come normativa che in modo ancor piu' diretto e' funzionale alla previsione di condono, mostrando un rapporto interno in relazione all'obiettivo. Di qui i vizi di illegittimita' per violazione diretta e indiretta dell'autonomia regionale. Per alcuni di essi (commi) si prospettano, poi, i seguenti vizi, confermativi, per un verso, di quanto detto, specifici, per altro: a) commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20: in violazione dell'art. 117 Cost. non prevedono alcun intervento dell'ente locale; b) comma 25: la disposizione si mostra irragionevole nella parte in cui non collega la volumetria assentibile a un limite riferito anche all'area su cui insiste il fabbricato. Infatti, pur con l'integrazione posta in essere dalla legge di conversione che condiziona il rilascio del titolo al limite dei 3000 mc. per fabbricato, continua il legislatore statale a non tener conto dell'esigenza di considerare la specifica ampiezza dell'area su cui gli immobili sono stati costruiti. E' facile immaginare che, con un semplice «frazionamento» delle istanze potrebbero essere sanate intere zone residenziali abusive, essendo sufficiente - proprio perche' non vi e' un limite connesso al territorio - la realizzazione di tanti autonomi fabbricati adiacenti; c) comma 26: la disposizione e' ancora illegittima - per violazione dei dedotti artt. 117 e 118 Cost. - nella parte in cui (lett. a) rende sanabile qualsiasi abuso, anche in violazione delle norme urbanistiche e prescrizioni degli strumenti urbanistici, non condizionando il rilascio del titolo ad alcuna partecipazione degli enti locali che tali strumenti di pianificazione hanno adottato. Ed ancora nella parte in cui condiziona all'adozione di una legge regionale (da approvarsi, peraltro, in tempi strettissimi) solo le ipotesi di minore impatto sulla gestione e la programmazione del territorio, non rispettandosi alcun margine di autonomia regionale; d) commi 32 e 35: tali disposizioni, relative al procedimento di condono, dettano una disciplina di assoluto dettaglio e pervasivita' in contrasto con l'art. 117 Cost. - tale da escludere qualsiasi tipo di partecipazione dell'ente locale anche in tale fase pur meramente procedimentale. Come ricordato, e' fin anche allegato il modello di domanda da presentare. Pur volendo ritenere le stesse di natura suppletiva, e dunque cedevoli, le disposizioni in esame non riuscirebbero comunque a superare il vizio di illegittimita' eccepito. Si e' gia' segnalato il recente orientamento della Corte riguardo la piu' netta distinzione fra competenze regionali e statali nell'ambito della potesta' legislativa concorrente (sent. n. 282/2002), piu' rigorosa nel limitare la competenza statale alla individuazione dei soli principi della materia. A cio' si aggiunga la piu' chiara indicazione nel senso della inammissibilita' di norme statali di dettaglio cedevoli (sent. n. 303/2003), laddove non necessaria per «assicurare l'immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettivita» (ipotesi che, come e' evidente, non ricorre nel caso in esame). D'altronde, anche dal punto di vista meramente pratico, e' evidente che per tale compressione della sfera regionale sarebbe fuorviante parlare di norme cedevoli, tenuto conto che si tratta di un intervento che si esaurisce in un periodo breve, per cui la normativa determinerebbe un inammissibile definitivo esautoramento delle competenze regionali; e) comma 37: tale norma e' irragionevole nella parte in cui introduce una ipotesi di silenzio-assenso, collegando al semplice decorso del termine l'ottenimento del titolo in sanatoria per qualsiasi ipotesi. E' evidente, infatti, che introducendo una previsione di sanatoria generale si verifichera' un intasamento degli uffici territorialmente competenti e un rallentamento dell'esame delle relative pratiche. Cio' significa la possibilita' che, attraverso tale meccanismo, siano condonate anche ipotesi in astratto sottratte al beneficio che qui si contesta. Ne' a cio' potrebbe porsi rimedio attraverso l'esercizio dell'autotutela, laddove tali provvedimenti, come e' noto, necessitano di ulteriori presupposti rispetto alla mera rilevazione della illegittimita' dell'atto implicito. Istanza ai sensi degli artt. 35 e 40 della legge n. 87/1953. Si produce istanza a codesta ecc.ma Corte affinche' valuti il ricorrere dei presupposti per la sospensione dell'atto impugnato alla luce delle renti modifiche apportate dalla legge 5 giugno 2003, n. 131 alla legge n. 87/1953, in part. artt. 35 e 40. L'esperienza di passati condoni ha insegnato che simili provvedimenti legislativi, producendo nella societa' una notevole aspettativa di sanatoria, inevitabilmente determinano un aumento vertiginoso, soprattutto nel primo periodo di attuazione della legge, dei fenomeni di abusivismo. In tal senso vi e', dunque, quel rischio di ulteriore irreparabile pregiudizio all'interesse pubblico connesso alla salvaguardia dell'ambiente e alla ordinata programmazione e pianificazione urbanistica affidata alla Regione. L'eventuale sospensione, nel mentre non comporterebbe alcuna conseguenza di danno, costituirebbe un efficace baluardo per impedire ulteriori compromissioni del territorio fino alla decisione nel merito dell'ecc.ma Corte.
P. Q. M. Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale della legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui converte con modifiche l'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, e quindi dell'art. 32 del decreto-legge medesimo, nei termini indicati, per violazione degli artt. 3 - 9 - 32 - 77- 97 - 114 - 117 - 118 - 119 e 127 Cost. dei principi di ragionevolezza e di leale cooperazione fra Stato e regione e per lesione della sfera di competenza della regione. Napoli-Roma, addi' 20 gennaio 2004 Prof. Avv. Vincenzo Cocozza - Avv. Vincenzo Baroni 04C0150