N. 4 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 novembre 2003
Ordinanza emessa il 28 novembre 2003 dal giudice di pace di Modica nel procedimento civile vertente tra Barravecchia Tabbi¨ Vittorio e Ufficio territoriale del Governo di Ragusa Circolazione stradale - Infrazioni al codice della strada - Ricorso al giudice di pace avverso il verbale di accertamento - Condizioni di ammissibilita' - Onere per il ricorrente di versare presso la cancelleria una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore - Violazione del principio di eguaglianza - Discriminazione tra cittadino e Pubblica amministrazione, nonche' tra cittadini abbienti e meno abbienti - Contrasto con il dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli economico-sociali limitativi della liberta' e dell'uguaglianza - Incidenza sul valore assoluto della persona umana e sui diritti inviolabili dell'individuo - Lesione del diritto di agire e difendersi in giudizio - Limitazione della tutela giurisdizionale contro gli atti della Pubblica Amministrazione in danno dei cittadini non abbienti - Contrasto con la liberta' di iniziativa economica. - Codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), art. 204-bis, comma 3, introdotto dall'art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito con modifiche nella legge 1° agosto 2003, n. 214. - Costituzione, artt. 2, 3, 24, 41 e 113.(GU n.7 del 18-2-2004 )
IL GIUDICE DI PACE Il giudice di pace di Modica, avv. Giuseppe Finelli, ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento civile iscritto al n. 588/2003 ruolo gen. affari contenz., promosso da: Barravecchia Tabbi¨ Vittorio, nato a Caltagirone (Catania) il 14 marzo 1980 e residente in Vittoria, via Marsala n. 2/E, elettivamente domiciliato in Modica via S. Cuore n. 101 (presso avv. Carmelo Nigro) presso lo studio dell'avv. Paolo Picci del Foro di Ragusa che lo rappresenta e difende giusta mandato a margine del ricorso in opposizione ex artt. 22 e 23, legge n. 689/1981 introduttivo del giudizio; ricorrente opponente; Contro: prefettura di Ragusa (oggi ufficio territoriale del Governo di Ragusa), in persona del Prefetto legale rappresentante pro tempore, domiciliato ex lege presso gli uffici dell'ente, resistente opposto; Avente ad oggetto: opposizione avverso verbale di contestazione a violazione di norme del codice della strada. F a t t o Con ricorso depositato il 13 novembre 2003 Barravecchia Tabbi¨ Vittorio ha proposto opposizione avverso il verbale di accertamento e contestazione n. 254211 S - redatto dalla Polizia di Stato del Commissariato di Modica nei suoi confronti quale conducente e proprietario dell'autovettura TOYOTA COROLLA targata CC 019GZ e relativo alle infrazioni dallo stesso commesse in violazione all'art. 172, comma 1 e 8, c.d.s. in quanto, alla guida di detta autovettura lungo la via del Laghetto in localita' Marina di Modica, circolava non facendo uso della cintura di sicurezza - con il quale e' stata comminata la sanzione amministrativa del pagamento della somma in misura ridotta di Euro 68,25 e l'avvertenza che la commessa infrazione avrebbe comportato la decurtazione di n. 5 punti dalla patente di guida che si sarebbero raddoppiati qualora la patente fosse stata rilasciata da non oltre cinque anni. Con la detta opposizione il ricorrente ha chiesto, previa sospensione preliminarmente della sua esecuzione, annullare nel merito il provvedimento impugnato, con vittoria di spese e compensi, deducendo in particolare: 1. - La illegittimita' costituzionale dell'art. 204-bis comma 3 del decreto legislativo n. 285/1992 - cosi' come introdotto dall'art. 4 comma 1-sexties della legge 214 del 1° agosto 2003 di conversione del d.l. n. 151 del 27 giugno 2003 recante «modifiche ed integrazioni del codice della strada» - per violazione degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione in quanto la sua applicazione comporterebbe una disparita' di trattamento tra soggetti con capacita' economiche differenti, nonche' la conseguente restrizione del libero esercizio di difesa da parte di tutti i cittadini indipendentemente dalle proprie condizioni economiche; 2. - L'eccesso di potere e violazione di legge per difetto di atti presupposti in relazione all'art. 1126-bis, comma 4, del nuovo c.d.s. attesa la mancata emanazione, da parte delle competenti autorita' all'uopo delegate, dei criteri, programmi e modalita' relativi ai previsti corsi di aggiornamento, con conseguente contraddittorieta' ed illogicita' del comportamento della P.A., peraltro lesivo dell'interesse dei cittadini; 3. - La violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria in relazione all'art. 26-bis del nuovo c.d.s., dal momento che detta norma puo' trovare applicazione solo per le patenti rilasciate successivamente al 1° ottobre 2003 e non puo' retroagire sino a ricomprendere nel proprio ambito di applicazione anche quelle rilasciate anteriormente a tale data. Ha quindi concluso chiedendo nel merito l'annullamento del verbale opposto. D i r i t t o Il ricorso in opposizione di cui infra introduttivo del presente giudizio e' stato depositato in cancelleria il 13 novembre 2003 e pertanto questo giudice, al fine di emettere i provvedimenti di cui all'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, oltre a verificare la tempestivita' della sua proposizione ed il conseguente rispetto dei termini stabiliti dalla legge il cui superamento comporterebbe la relativa dichiarazione di inammissibilita', deve altresi' verificare - anche in questo caso a pena di inammissibilita' del proposto ricorso - se all'atto del suo deposito il ricorrente ha versato presso la cancelleria dell'ufficio una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore e che non sia stato previamente presentato ricorso al Prefetto ex art. 203 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Siffatte due ulteriori condizioni preliminari di ammissibilita' del ricorso, infatti, sono previste dall'art. 204-bis del detto decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cosi' come introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151. Detta legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 12 agosto 2003, e' entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione e, pertanto, nel caso che ci occupa deve essere osservata ed applicata. Nel caso specifico, proposto nei termini di legge il ricorso in opposizione, l'opponente ha altresi' regolarmente provveduto a depositare in cancelleria - unitamente a detto ricorso - una somma pari alla meta' del massimo della pena edittale a mezzo deposito giudiziario su libretto postale con causale «deposito cauzionale», cosi' come previsto dalle circolari esplicative del Dipartimento per gli affari di giustizia all'uopo emanate in conseguenza della nuova formulazione dell'articolo che ha disciplinato il ricorso davanti al giudice di pace avverso il verbale di accertamento che impone il pagamento di una sanzione pecuniaria e che ha introdotto alcune innovazioni procedurali incidenti in modo rilevante sull'attivita' delle cancellerie. Tuttavia, come gia' evidenziato, tra i motivi della proposta opposizione il ricorrente ha preliminarmente eccepito la illegittimita' costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 285/1992 - cosi' come introdotto dall'art. 4, comma 1-sexties della legge n. 214 del 1° agosto 2003 di conversione del d.l. n. 151 del 27 giugno 2003 recante «modifiche ed integrazioni del codice della strada» - per violazione degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione. Motivi della decisione Anche questo giudice ritiene che la citata norma non sia conforme al dettato costituzionale ed intende pertanto sollevare, come in effetti solleva, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 285/1992 - cosi' come introdotto dall'art. 4, comma 1-sexties, della legge 214 del 1° agosto 2003 di conversione del d.l. n. 151 del 27 giugno 2003 recante «modifiche ed integrazioni del codice della strada» per violazione degli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione per i seguenti motivi. Sulla rilevanza della questione Nel caso che ci occupa il collegamento giuridico tra la res giudicanda e la norma ritenuta incostituzionale appare del tutto evidente e cio' sotto un duplice profilo. Principalmente assume manifesta rilevanza, ai fini della decisione, la questione di carattere assolutamente preliminare relativa alla applicabilita' della norma de quo che costituisce il referente normativo di riferimento in combinato disposto con quanto previsto e statuito dal medesimo art. 204-bis ai commi 5 e 6 introdotti dal medesimo art. 4, comma 1-sexties della legge 214 del 1° agosto 2003 di conversione del d.l. n. 151 del 27 giugno 2003. Ed invero, il comma 3 della citata norma recita: «All'atto del deposito del ricorso, il ricorrente deve versare presso la cancelleria del giudice di pace, a pena di inammissibilita', una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore. Detta somma, in caso di accoglimento del ricorso, e' restituita al ricorrente.»; i successivi commi 5 e 6 rispettivamente statuiscono: «... 5. In caso di rigetto del ricorso, il giudice di pace, nella determinazione dell'importo della sanzione, assegna, con sentenza immediatamente eseguibile, all'amministrazione cui appartiene l'organo accertatore, la somma determinata, autorizzandone il prelievo dalla cauzione prestata dal ricorrente in caso di sua capienza; ... omissis ... La eventuale somma residua e' restituita al ricorrente ... 6. La sentenza con cui viene rigettato il ricorso costituisce titolo esecutivo per la riscossione coatta delle somme inflitte dal giudice di pace che superino l'importo della cauzione prestata all'atto del deposito del ricorso.». Dai superiori riportati dettati e' del tutto evidente la rilevanza, nel presente procedimento, della questione di legittimita' costituzionale dal momento che questo decidente, con la emananda sentenza che decide nel merito la proposta opposizione - in applicazione della nuova normativa de quo introdotta e che con il presente atto si vuole sottoporre al vaglio di legittimita' - deve anche pronunciarsi in merito alla assegnazione delle relative somme di cui all'effettuato deposito cauzionale, con l'ulteriore conseguenza che, nel caso in cui il proposto ricorso venga rigettato, la detta pronuncia costituira' titolo esecutivo per la riscossione coatta delle somme che il ricorrente sara' tenuto a pagare e che superino l'importo della cauzione prestata all'atto del deposito del ricorso. Senza l'intervenuta norma de quo e/o in caso di sua dichiarazione di illegittimita' costituzionale, questo giudice non avrebbe motivo di pronunciarsi in merito alla destinazione della somma di cui all'effettuato deposito giudiziario in quanto essa rientrerebbe nella esclusiva disponibilita' del depositario che ne sarebbe, pertanto, l'unico titolare e soggetto legittimato al suo utilizzo. L'effettuato deposito cauzionale, infatti, non essendo piu' previsto a pena di inammissibilita' del proposto ricorso e con il venir meno della sua diretta causale, rientrerebbe immediatamente nella disponibilita' del soggetto intestatario e le relative somme depositate non sarebbero piu' vincolate all'esito del procedimento, con l'ulteriore diretta conseguenza che questo giudice non dovrebbe piu' adottare alcuna pronuncia in merito alla destinazione delle dette somme. In secondo luogo la questione di legittimita' costituzionale della norma de quo assume manifesta rilevanza ai fini della decisione in quanto la stessa e' stata preliminarmente eccepita da parte ricorrente in seno all'atto introduttivo del procedimento e, pertanto, questo giudice non puo' esimersi da un pronunciamento in merito. L'incoato giudizio di opposizione de quo, infatti, e' strutturato in conformita' del modello del processo civile e risponde alle regole, in particolare, della domanda (art. 90 c.p.c.) e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del divieto della pronuncia d'ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all'iniziativa della parte (art. 112 c.p.c.), nonche' ai limiti alla modificazione della causa petendi (art. 183 c.p.c.) che, in tali giudizi, resta individuata sulla base dei motivi di opposizione. L'omessa pronuncia avverso specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, peraltro, integrerebbe una violazione dell'art. 112 c.p.c. e costituirebbe una violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato che potrebbe essere fatta valere a norma dell'art. 360 n. 4 c.p.c. Da ultimo, in ogni caso, e' bene evidenziare che la questione di legittimita' costituzionale di una norma puo' essere rilevata anche d'ufficio non solo per risolvere il merito della controversia, ma pure per risolvere dubbi su questioni pregiudiziali rilevabili d'ufficio considerato che il giudice e' chiamato - sia pur in modo indiretto o implicito - a far applicazione delle norme nelle quali trovano legittimazione l'atto impugnato ed il relativo procedimento instauratosi con la proposta impugnazione dello stesso. Per i superiori motivi, pertanto, e' doveroso da parte di questo decidente sottoporre alla Corte costituzionale il quesito relativo alla legittimita' - sotto vari profili - della imposizione posta a carico del ricorrente dall'art. 204-bis c.d.s. in relazione al dettato costituzionale. Sulla non manifesta infondatezza 1. - Violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione. Gia' dalla semplice lettura della norma de quo la quale impone al ricorrente il deposito di una cauzione al fine di non incorrere nella dichiarazione di inammissibilita' dell'azione dallo stesso proposta, e' innegabile che siffatto onere costituisce uno di quegli ostacoli di ordine economico che rende vano il principio di eguaglianza, nel suo assetto sostanziale, qual e' quello proclamato e considerato dal costituente nel dettato dell'art. 3 della Costituzione, ostacolo che ponendo i non abbienti - a cagione della loro condizione - nell'impossibilita' di fatto di esercitare taluni dei propri diritti, sia pure riconosciuti loro teoricamente, e' compito della Repubblica rimuovere. Ed invero, a voler ritenere l'art. 204-bis del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, che ha convertito in legge, con modificazioni, il d.l. 27 giugno 2003, n. 151, conforme ai dettati delle norme costituzionall occorrerebbe affermare che la diversa posizione che il legislatore ha riservato a cittadino e Pubblica Amministrazione, oltre che a cittadino abbiente e cittadino non abbiente, non violi alcun precetto costituzionale. Siffatto assunto, tuttavia, non puo' essere sostenuto in quanto la normativa de quo, invece, a parere di questo giudice lede il diritto fondamentale dell'individuo espressamente tutelato dall'art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana, ponendo i soggetti abbienti e non abbienti su un piano di disuguaglianza fra loro e permettendo esclusivamente al soggetto che sia in possesso di una somma di denaro - addirittura doppia rispetto a quella che gli consentirebbe di definire la pendenza mediante pagamento in misura ridotta - di poter tutelare i propri diritti proponendo ricorso al giudice di pace. Cio' a maggior ragione se si considera, altresi', che il detto deposito cauzionale puo' raggiungere importi ingenti. A mero titolo di esempio basti notare che il ricorso avverso la contestazione della violazione di cui all'art. 179, comma 2-bis, c.d.s., ultimo periodo, comporterebbe una «cauzione» di euro 3.200, pari alla meta' del massimo edittale di euro 6.400, somma da considerarsi peraltro ipoteticamente sovrabbondante rispetto alla sanzione che, come previsto dalla legge, potrebbe essere determinata dal libero convincimento del giudice. Ne', di contra e' sostenibile la tesi che al soggetto non abbiente sarebbe comunque data la possibilita' di presentare ricorso al prefetto, non prevedendo tale procedura il versamento di alcuna cauzione. Cio', a maggior ragione, evidenzierebbe come il ricorso al giudice di pace sia stato trasformato in un mezzo di tutela riservato esclusivamente a soggetti facoltosi, oltre che tale scelta della sede ove tutelare i propri diritti distinguerebbe e meglio discriminerebbe i cittadini sul piano economico e sociale limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza degli stessi. L'imposizione del versamento della cauzione previsto per la tutela dei diritti del ricorrente nella sola sede giurisdizionale, infatti, oltre a rappresentare un ingiustificato quanto ingiusto vantaggio per l'autorita' opposta che, a differenza dell'opponente, in caso di vittoria ha immediatamente a propria disposizione quanto eventualmente dovuto, non assicura inoltre la possibilita' di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi a coloro i quali non dispongono di una sufficiente agiatezza economica, in tal modo ledendo gravemente il diritto di difesa. E' indubbio, pertanto, che l'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, nell'indurre - di fatto - il ricorrente a desistere dal tutelare i propri diritti in sede giurisdizionale, scoraggia l'unico mezzo di tutela che quest'ultimo ha a propria disposizione, costringendo o comunque inducendo i meno facoltosi a presentare ricorso al prefetto per la tutela dei propri diritti, sede in cui peraltro in caso di accoglimento dell'opposizione il ricorrente non viene affatto rifuso ne' delle eventuali spese sostenute per l'assistenza di un professionista ne' delle spese vive sostenute. E' del tutto evidente, alla luce di quanto sopra, come il disposto che questo giudice ritiene incostituzionale si presti a tale censura in quanto l'art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana prevede che compito della Repubblica e' rimuovere, non gia' creare, ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona umana. Non condivisibile, poi, nella fattispecie sarebbe la tesi sostenuta dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 522/2002 laddove ritiene che la lesione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della disparita' di trattamento, sarebbe insussistente essendosene il legislatore fatto carico con la disciplina del gratuito patrocinio. Nel caso in esame, infatti, detta disciplina e' manifestamente non applicabile perche' non prevista dal legislatore e, pertanto, il principio della disparita' di trattamento diventa di solare evidenza. La cauzione per accedere ad un servizio primario come quello della giustizia non e' nei principi della nostra Costituzione e la norma che la prevede viola l'art. 3 della nostra Carta fondamentale per disparita' di trattamento fra cittadino in grado di pagare immediatamente la cauzione dovuta per ottenere una decisione giurisdizionale e quello privo dei mezzi necessari per tale pagamento al quale, invece, l'onere di versare somme eventualmente anche ingenti rende la proposizione del ricorso inammissibile. E' chiaro, oltre che pacificamente riportato nel dettato costituzionale, come il principio secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi deve trovare attuazione uguale per tutti indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali. E' poi altrettanto chiaro e pacifico che l'art. 204-bis c.d.s. ricollega invece l'istituto alle condizioni economiche dell'attore e, quindi, proprio a quelle condizioni soggettive e personali o sociali che l'art. 3 impone di considerare non influenti ai fini della tutela della eguaglianza giuridica. Sotto tale profilo, peraltro, il disposto della cui costituzionalita' si dubita lede altresi' l'art. 2 della Costituzione il quale sancisce il valore assoluto della persona umana, frustrando uno dei diritti fondamentali dell'individuo. 2. - Violazione dell'art. 24 della Costituzione. L'ingiustificato ostacolo imposto per la tutela dei diritti del cittadino nella sola sede giurisdizionale contrasta, inoltre, con l'art. 24 Cost. il quale, espressamente, prevede che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi ed aggiunge che la difesa e' un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. La sola lettura della norma costituzionale fa apparire palese il netto contrasto con quanto disposto dall'art. 204-bis posto che tale norma - come anche la Corte costituzionale ha riconosciuto con sentenza n. 21 del 1961 che ha dichiarato l'incostituzionalita' del principio del solve et repete - lede o limita il diritto di agire in giudizio, diritto garantito a tutti allo scopo di assicurare l'uguaglianza di fatto dei cittadini in ordine alla possibilita' di ottenere una tutela giurisdizionale. Il diritto di agire in giudizio, infatti, non puo' essere condizionato al pagamento di una cauzione. Proprio il Giudice delle leggi ha piu' volte affermato (cfr. sentenze n. 45/1993 - n. 80/1966 - ecc.) che occorre distinguere fra oneri che siano razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione e da ritenersi consentiti ed oneri che, invece, tendono alla soddisfazione di interessi del tutto estranei alle finalita' predette e che, conducendo al risultato di precludere o ostacolare gravemente l'esperimento della tutela giurisdizionale, incorrono nella sanzione della incostituzionalita'. La norma in questione, nell'imporre una cauzione al cittadino che voglia ricorrere in sede giurisdizionale nei confronti di un verbale di contravvenzione al novellato codice della strada, e' in palese contrasto con il dettato dell'art. 24 della Costituzione che assicura, invece, anche ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi dinnanzi ad ogni giurisdizione. Si consideri, inoltre, che prima della «riforma» di cui si discute il ricorso al giudice di pace era del tutto gratuito in siffatta materia ed il cittadino era ammesso a stare in giudizio da solo non essendo obbligatoria la difesa tecnica. Non vi e' dubbio che, a seguito dell'imposizione della cauzione che, a ben vedere, altro non e' che una vera e propria nuova tassa sui ricorsi giurisdizionali, il sistema e' totalmente cambiato ponendosi in netto contrasto con il dettato costituzionale. Si e' anche venuta a creare, peraltro, la paradossale situazione per cui l'eventuale opposizione dinnanzi alla giurisdizione ordinaria avverso l'ordinanza ingiunzione emessa dal prefetto a seguito del mancato pagamento della sanzione successiva al rigetto del ricorso non sarebbe soggetta ad alcuna cauzione. Come gia' piu' volte affermato da codesta Corte in materie analoghe, l'illegittimita' della norma impugnata con i dettati di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione e' palese in quanto «... dalla combinazione fra le norme contenute negli artt. 3 e 24 della Costituzione, si deduce che il principio, secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e la difesa e' diritto inviolabile in ogni stato del procedimento, deve provare applicazione per tutti, indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali.». Con tale affermato principio contrasta l'art. 204-bis c.d.s. in quanto, prevedendo la imposizione della cauzione, ricollega l'applicazione dell'istituto alle condizioni economiche dell'attore. Cio' anche tenuto conto delle gravi conseguenze (legate all'inibizione dell'azione in caso di mancato versamento della cauzione) rispetto all'esercizio dei diritti che l'art. 24 proclama inviolabili. Ne' la disparita' di trattamento fondata sulle condizioni economiche e' necessariamente eliminata dall'esclusione dell'applicazione dell'istituto nell'ipotesi in cui l'attore sia ammesso al gratuito patrocinio ed al beneficio dell'assistenza giudiziaria, tal beneficio essendo sempre subordinato alla dimostrazione dello stato di poverta'. Ed invero, la eventuale esclusione dell'applicazione dell'istituto nella ipotesi che l'attore sia ammesso al gratuito patrocinio non elimina la disparita' di condizioni, sia perche' tale ammissione e' subordinata alla dimostrazione dello stato di poverta' dell'interessato e, pertanto, dovrebbe essere rifiutata a chi non si trovasse in tale condizione, sia perche' il procedimento preliminare per la concessione del beneficio non e' sempre rapido come sarebbe desiderabile pur essendo previsto un procedimento d'urgenza. Pare, infine, non esiziale rammentare anche che la legge 18 ottobre 1977, n. 793, recante abolizione del deposito per soccombenza nel processo civile ha abrogato gli artt. 364, 381 e 651, c.p.c. in limine con la pronuncia di incostituzionalita'. L'assurdita' della norma dell'art. 204-bis, d.lgs. n. 285/1992, e', pertanto, ben evidente atteso che nessun procedimento giurisdizionale e' subordinato alla cautio iudicatum solvi. Talche' neppure nel contenzioso tributario, ove in caso del ricorso contro l'atto di accertamento, le imposte o le maggiori imposte, unitamente ai relativi interessi e alle sanzioni, sono - a cura dell'Amministrazione finanziaria - iscritte a ruolo (c.d. «riscossione a titolo provvisorio»), e' richiesto alcun deposito al ricorrente a pena di inammissibilita'. Ne' questa rileva, o peggio e' rilevabile de plano (come nel caso che ci occupa), nel caso l'Amministrazione finanziaria - accogliendo l'istanza del ricorrente - sospenda la predetta iscrizione a ruolo. 3. - Violazione dell'art. 41 Costituzione. Il primo comma del vigente art. 2 del regio decreto-legge 10 marzo 1910, n. 149, recita «Tutti i depositi di denaro, che secondo le disposizioni vigenti in materia civile e penale possono farsi presso le cancellerie giudiziarie, compresi quelli per cauzione e per spese giudiziarie, debbono essere eseguiti direttamente dalle parti o dai loro procuratori nell'ufficio postale incaricato del servizio dei depositi giudiziari.». A prescindere da eventuali posibili considerazioni sulla violazione delle garanzie di libera concorrenza e mercato - dovendosi osservare una evidente compressione per lo meno della liberta' del ricorrente di utilizzare un istituto bancario (addirittura quello di propria fiducia) che, parafrasando la circolare n. 53 del 13 agosto 2003 del Ministero della giustizia D.G. giustizia civile, e' certo un «organismo abilitato a ricevere e gestire il deposito» al pari della S.p.a. Poste italiane - non puo' non rilevarsi un palese contrasto innanzitutto con la liberta' di iniziativa economica cosi' come riconosciuta e tutelata dall'art. 41 della Costituzione, laddove viene disposto l'esclusivo utilizzo dell'Ente Poste ed attesa la privatizzazione del servizio postale con la trasformazione dal 28 febbraio 1998 dell'ente pubblico economico Poste in «azienda Poste Italiane» S.p.a. Da cio' la evidente incostituzionalita' del combinato disposto di cui agli artt. 2 e 4 del r.d.l. 149/1910 e 204-bis del d.lgs. n. 285/1992, giusta quanto acclarato dall'art. 41 della Costituzione. L'illegittimita' delle citate norme, pero', si sostanzia ed e' evidente anche sotto altro profilo. Ed invero, la soluzione adottata con la circolare n. 53 del 13 agosto 2003 del Ministero della giustizia D.G. giustizia civile sembra essere per piu' di un verso contra legem. Innanzitutto e' senz'altro impropria l'ipotesi interpretativa offerta. Il d.l. n. 151/2003 costituisce fonte posteriore al r.d. n. 149/1910 e, pertanto, secondo i normali principi di interpretazione della legge, deve esso prevalere sulla fonte antecedente. In secondo luogo, occorre osservare che il r.d. 149/1910 e' un regolamento, mentre il d.l. 151/2003 (ed il c.d.s. da esso modificato) sono atti aventi valore di legge, cioe' fonti primarie. Non e' dunque possibile - cosi' come invece vorrebbe la circolare - far prevalere una disposizione di fonte secondaria su una disposizione non solo successiva, ma introdotta altresi' da fonte primaria. Non e' certamente conforme a diritto interpretare una norma di legge «alla luce della vigente normativa», allorche' questa si riduce ad una risalente norma di fonte sott'ordinata. 4. - Violazione dell'art. 113 della Costituzione. Per gli analoghi motivi sopra esposti l'imposizione della piu' volte richiamata cauzione di cui all'art. 204-bis c.d.s. citato costituisce ostacolo, ovvero limitazione almeno nei confronti dei cittadini meno abbienti, della tutela giurisdizionale e cio' in aperto e palese contrasto anche con il secondo comma dell'art. 113 della Carta costituzionale. Appare infatti chiaro che, in forza di quanto disposto dall'art. 204-bis c.d.s., il cittadino non abbiente non puo' - per l'ostacolo del deposito cauzionale - avvalersi di fatto della tutela giurisdizionale contro gli atti della Pubblica Amministrazione davanti agli organi di giurisdizione ordinaria riconosciutagli dall'art. 113 della Costituzione. La imposizione dell'onere del deposito cauzionale - previsto e regolato dall'art. 204-bis c.d.s. quale presupposto di inammissibilita' del ricorso, nonche' della esperibilita' dell'azione giudiziaria diretta a ottenere la tutela del diritto del ricorrente mediante l'accertamento giudiziale della illegittimita' dell'atto e', pertanto, in contrasto con i costituzionali sopra principi enunciati ed evidenziati. In particolare essa e' in contrasto con la norma contenuta nell'art. 3 della Costituzione, anche in combinato disposto con l'art. 2 Cost., perche' e' evidente la differenza di trattamento che ne consegue fra il cittadino che sia in grado di pagare immediatamente detto deposito cauzionale e colui che non abbia mezzi sufficienti per fare il pagamento ne' possa procurarseli agevolmente ricorrendo al credito, in considerazione fra l'altro che, anche in caso di vittoria in giudizio, non otterrebbe il rimborso delle somme versate se non con notevole ritardo. Al primo, dunque, e' consentito - proprio in conseguenza delle sue condizioni economiche - di chiedere giustizia e di ottenerla, ove possa provare di aver ragione; al secondo questa facolta' e' resa difficile e talvolta impossibile - oltre che limitativa della propria dignita' - non solo di fatto, ma anche in base al diritto, in forza di un presupposto processuale stabilito dalla legge e consistente nell'onere del versamento di una somma eventualmente anche assai ingente. Le stesse considerazioni valgono a giustificare anche il richiamo alle norme contenute negli artt. 24, 41 e 113 della Costituzione, nei quali l'uso delle parole tutti e sempre ha chiaramente lo scopo di ribadire la uguaglianza di diritto e di fatto di tutti i cittadini per quanto concerne la possibilita' di richiedere e di ottenere la tutela giurisdizionale sia nei confronti di altri privati, sia in quelli dello Stato e di enti pubblici minori. Questo giudice e', pertanto, dell'avviso che il previsto deposito cauzionale di cui all'art. 204-bis c.d.s. sia in contrasto con le norme della Costituzione e che debba, in conseguenza, essere dichiarata illegittima la disposizione che lo prevede. Per quanto sopra esposto e motivato si ritiene, quindi, la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale e la sua rilevanza nel presente procedimento.
P. Q. M. Il giudice di pace di Modica; Visti gli artt. 134 Cost., 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 97; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante ai fini del giudizio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, introdotto d.l. 27 giugno 2003, n. 151, nei sensi di cui in motivazione, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 41 e 113 della Costituzione nella parte in cui prevede che all'atto del deposito del ricorso il ricorrente debba versare presso la cancelleria del giudice di pace, a pena di inammissibilita' del ricorso stesso, una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore; Ordina: la sospensione del procedimento n. 588/2003 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2003 e, per l'effetto, la sospensione dell'efficacia esecutiva delle sanzioni irrogate al ricorrente con l'atto impugnato; la immediata rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, che ha convertito in legge, con modificazioni, il d.l. 27 giugno 2003, n. 151, nei sensi di cui in motivazione, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 41 e 113 della Costituzione nella parte in cui prevede che all'atto del deposito del ricorso il ricorrente debba versare presso la cancelleria del giudice di pace, a pena di inammissibilita' del ricorso stesso, una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore; Dispone che copia della presente ordinanza, a cura della cancelleria, sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Modica, addi' 28 novembre 2003 Il giudice di pace: Finelli 04C0155