N. 24 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 1 marzo 2004

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria  il  1°  marzo  2004  (del  Presidente  del Consiglio dei
ministri)

Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Friuli-Venezia Giulia in
  materia  di  abusi edilizi - Divieto di sanatoria eccezionale delle
  opere  edilizie  eseguite  in  assenza  o in difformita' dei titoli
  abilitativi   -  Contestuale  previsione,  ai  fini  di  consentire
  l'oblazione   penale   degli   illeciti  edilizi,  che  le  domande
  presentate in base alle norme statali sul condono non sospendono il
  procedimento   per  le  sanzioni  amministrative  e  comportano  il
  rilascio  di un «certificato di definizione dell'illecito edilizio»
  (o  un  equivalente  «silenzio»  dopo  ventiquattro mesi) - Ricorso
  dello Stato - Denunciata lesione della potesta' legislativa statale
  in  materia  penale - Diversificazione della legge penale a livello
  regionale e conseguenti disuguaglianze in materia - Esorbitanza dai
  limiti  della competenza statutariamente attribuita alla Regione in
  materia  urbanistica  - Violazione della competenza statale in tema
  di titoli abilitativi edilizi - Incidenza sulla manovra finanziaria
  e  di  bilancio  dello Stato, sulla «autonomia finanziaria» e sulle
  risorse  occorrenti  allo  Stato  ed  agli enti a finanza derivata,
  sull'obbligo  di  copertura delle leggi di spesa e sul rispetto del
  patto  di  stabilita'  dell'Unione  europea  -  Compressione  della
  potesta'  legislativa  statale  in  materia di «coordinamento della
  finanza pubblica e dei sistemi tributari» - Non consentita adozione
  di    legge   regionale   di   mera   «reazione»,   per   escludere
  l'applicabilita'  in  territorio  regionale di disposizioni statali
  appena  prodotte  -  Possibile  pregiudizio  al principio di unita'
  della  Repubblica - Inconciliabilita' con la facolta' delle Regioni
  di impugnare le leggi statali dinanzi alla Corte costituzionale.
- Legge  della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 dicembre 2003, n. 22,
  intero  testo  e  in particolare art. 1, commi 1 e 2 (primo e terzo
  periodo).
- Costituzione,  artt. 3,  5,  51,  81, 117, comma secondo, lett. l),
  119,   127,   comma   secondo,  e  134;  Statuto  speciale  Regione
  Friuli-Venezia Giulia, art. 4.
Giudizio  di  legittimita' costituzionale in via principale - Ricorso
  dello  Stato  -  Impugnazione di legge della Regione Friuli-Venezia
  Giulia  che impedisce ai proprietari di immobili siti in territorio
  regionale  di  accedere  alla  sanatoria  straordinaria degli abusi
  edilizi - Prospettato pregiudizio all'interesse dello Stato e degli
  enti  «a  finanza  derivata»  a conseguire gli introiti da «condono
  edilizio» previsti nel bilancio statale - Ulteriore pregiudizio per
  l'ordinamento  giuridico  della  Repubblica  -  Istanza  alla Corte
  costituzionale  di  sospensione  degli  effetti  della disposizione
  regionale impugnata.
- Legge  della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 dicembre 2003, n. 22,
  art. 1.
- Legge   5 giugno 2003,   n. 131,   art. 9,   comma 4   [sostitutivo
  dell'art. 35  della  legge  11 marzo  1953,  n. 87];  Costituzione,
  artt. 3,  5,  51, 81, 117, comma secondo, lett. l), 119, 127, comma
  secondo,  e  134;  Statuto  speciale Regione Friuli-Venezia Giulia,
  art. 4.
(GU n.9 del 3-3-2004 )
    Ricorso   per   il   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri,
rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato;

    Nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del
suo  presidente  della giunta, avverso la legge regionale 11 dicembre
2003, n. 22, intitolata «Divieto di sanatoria eccezionale delle opere
abusive», pubblicata nel Boll. uff. n. 52 del 24 dicembre 2003.
    La  determinazione  di proposizione del presente ricorso e' stata
approvata  dal  Consiglio dei ministri nella riunione del 13 febbraio
2004 (si depositera' estratto del relativo verbale).
    La   Regione   Friuli-Venezia   Giulia   ha  proposto  una  prima
controversia  di  legittimita'  costituzionale nei riguardi di taluni
commi,  puntualmente  elencati,  dell'art. 32  del  d.l. 30 settembre
2003,  n. 269  (reg.  ric.  n. 89  del  2003) ed una seconda similare
controversia  nei  riguardi  dei medesimi commi dello stesso art. 32,
come  risultato  dalla  conversione  nella  legge  24  novembre 2003,
n. 326.  Con la legge ora in esame la Regione ha disposto nell'art. 1
al  comma  1  che  «non  e' ammessa la sanatoria delle opere edilizie
realizzate  in  assenza  dei  necessari  titoli  abilitativi previsti
ovvero  in  difformita' o con variazioni essenziali rispetto a questi
ultimi»;  e  al  comma  2  periodo  primo  che «ai fini di consentire
l'oblazione  penale degli illeciti edilizi (sanzionati penalmente) la
domanda  di definizione di tali illeciti presentata dopo il 2 ottobre
2003  secondo  le  modalita'  previste  da  disposizioni statali, non
sospende  il procedimento per le sanzioni amministrative» (tra queste
comprese  -  parrebbe  - la demolizione e la acquisizione gratuita di
fabbricato e suolo).
    La  portata  dell'art. 1,  comma 1, oltremodo - anzi fin troppo -
ampia  secondo  la  «lettera» della disposizione, parrebbe delimitata
solo  dall'inciso «salva la procedura prevista dall'articolo stesso»,
ossia  prevista  dall'art. 108  della  legge  reg.  19 novembne 1991,
n. 52,  e successive modificazioni, contenuto nell'art. 2 della legge
in esame. Diverso discorso dovrebbe farsi se il comma 1 si collegasse
unicamente  con  gli  artt. 101, 102 e (forse) 103 della citata legge
regionale  del  1991.  Tale  legge, malgrado le modificazioni ad essa
apportate,  sembrerebbe  un  po' «datata», e nel complesso non ancora
adeguata   all'evoluzione   nel  corso  dell'ultimo  decennio,  della
normativa  statale  in  argomento, normativa raccolta nel testo unico
d.P.R.  6  giugno 2001, n. 380; il che e' implicitamente riconosciuto
dalla   legge  in  esame  nella  quale  non  si  parla  di  «avvenuto
adeguamento  della  disciplina  regionale»  (come  invece nella legge
Toscana  4  dicembre 2003, n. 55). Per di piu', pare sussistere anche
qualche difficolta' d'ordine lessicale.
    L'anzidetto  art. 1,  comma  2,  prevede,  nel  terzo periodo, un
«certificato   di   definizione  dell'illecito  edilizio»,  al  quale
«equivale» il decorso di 24 mesi senza l'adozione di un provvedimento
negativo  del  Comune.  Non  e'  chiaro,  per  il  momento,  se  tale
certificato  (o l'equivalente «silenzio») sia equiparabile al «titolo
abilitativo  edilizio  in sanatoria» previsto dall'art. 32, comma 37,
del  d.l.  30  settembre  2003,  n. 269,  convertito  nella  legge 24
novembre  2003,  n. 326,  e  comunque sostituisca o meno detto titolo
abilitativo.  L'ottavo  motivo del menzionato ricorso reg. ric. n. 89
del  2003  indurrebbe  a  ritenere che il legislatore regionale abbia
inteso,  attraverso la previsione del certificato, sminuire l'effetto
giuridico  del comportamento silenzioso del comune. Sul punto qualche
chiarimento potrebbe essere utile.
    Comunque,  la  legge  in  esame,  per  quanto  significato  dalla
«lettera  di essa», appare percorsa da qualche intima contraddizione:
da un lato si proclama «non e' ammessa la sanatoria», d'altro lato si
apprestano  strumenti  perche' una sanatoria ovviamente diversa da (e
piu'  ampia  di) quella prevista «a regime» dal citato art. 108 possa
operare.  Peraltro,  le  parole  «ai  fini  di consentire l'oblazione
penale»  (in  apertura  del  citato  comma  2) parrebbero destinate a
rimanere  prive  di concreta effettivita' qualora il «non e' ammessa»
contenute   nel   comma   1   superasse  il  vaglio  di  legittimita'
costituzionale  per  non  essersi  ravvisata lesione della competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento penale»;
competenza questa esclusiva per l'art. 117, comma secondo, lettera L,
Cost.  e non inclusa tra le materie «elencate» nello Statuto speciale
legge  cost.  31  gennaio  1963,  n. 1. Competenza legislativa che il
legislatore   statale   ha   utilizzato  nel  produrre  quelle  norme
sull'oblazione  che costituiscono il fulcro delle disposizioni che si
vorrebbero  non  applicabili,  e  che  il  legislatore regionale solo
apparentemente salvaguarda.
    Posto  che  la  materia  «ordinamento  penale»  e'  di  esclusiva
competenza  statale,  la  sottrazione  dal  territonio  nazionale del
territorio  di  una  o  piu' regioni introduce disuguaglianze (art. 3
Cost.)  non  legittimate  dal  riconoscimento  in  Costituzione delle
autonomie   regionali.  Queste  non  possono  condurre  a  discipline
diversificate  nell'ambito  delle  materie  riservate allo Stato. Non
pane  che  fatti  identici  (ad  esempio,  edificazioni in assenza di
permesso  di  costruire)  siano repressi penalmente in una Regione, e
non repressi perche' sanati «per condono» in altre regioni.
    In  questo  quadro, la legge regionale in esame appare, oltre che
irriguardosa  dell'art. 117, comma secondo, lettena L, Cost. e lesiva
dell'art.  3  Cost.,  anche  contrastante  con l'art. 4 dello statuto
speciale,  con  gli artt. 81 e 119 Cost., e persino con gli artt. 51,
127, comma secondo, e 134 Cost.
    La  legge  in  esame  evoca  l'art. 4 dello statuto speciale, ove
pero'  alla  competenza legislativa cosiddetta primaria della Regione
sono posti limiti confrontabili con (anche se minoni di) quelli posti
dal   novellato   art. 117,   terzo   comma,  Cost.  alla  competenza
legislativa  concorrente. Sarebbe erroneo assimilare la competenza ex
art. 4  citato  ad  una  competenza  esclusiva;  e  nessuna  modifica
discende, per quanto qui interessa, dall'art. 10 della legge cost. 18
ottobre  2001,  n. 3.  Codesta  Corte ha insegnato che spetta tuttora
allo  Stato  -  anche  per  le  evidenti e plurime connessioni con la
materia  «ordinamento  civile»  (art. 117,  comma secondo, lettera L,
Cost.)   -  produrre  la  disciplina  normativa  in  tema  di  titoli
abilitativi  edilizi.  In  questo  ambito  deve  collocarsi  pure  la
previsione  di  titoli  abilitativi  non  ordinari,  quali quelli per
sanatoria  non «a regime», specie se tale previsione si salda con (ed
e'  integrata  da) la prefigurazione di programmi di riqualificazione
urbanistico-edilizia.
    Considerato  che  gli  introiti attesi dalle oblazioni sono stati
inseriti  nella finanziaria 2004 dello Stato (legge 24 dicembre 2003,
n. 350),  impedire l'applicazione nel territorio di una Regione delle
disposizioni  statali contenute in commi dell'art. 32 citato concreta
una  ingerenza  nella  formazione  del bilancio annuale dello Stato e
quindi  una  lesione  di quella «autonomia finanziania» che anche, ed
anzitutto,  allo  Stato deve essene garantita, una compressione della
competenza legislativa per il «coordinamento della finanza pubblica e
dei  sistemi  tributari»,  una  sottrazione di risorse destinate alla
copertura   (art. 81   Cost.)   di   spese  pubbliche  approvate  dal
Parlamento, e - da ultimo - una rottura del vincolo dato dal patto di
stabilita' concordato a livello di Unione europea.
    L'art. 119  Cost.  e' qui evocato anche perche' essenziale dovere
costituzionale  dello Stato e' assicurare a se stesso ed agli enti «a
finanza  derivata»  le  risorse  occorrenti:  tale dovere e' talmente
prioritario   e  fondamentale  da  aver  reso  superflua  l'esplicita
indicazione in Costituzione dei modi e dei mezzi consentiti per farvi
fronte;   significativa  e'  l'assenza  nell'art. 119  Cost.  di  una
esplicita garanzia di risorse proprie anche per lo Stato.
    La  Regione  la quale ostacoli mediante propria legge una manovra
di  linanza  pubblica  statale  dovrebbe  farsi  carico di assicurare
altrimenti  l'invarianza  del  «livello  massimo  del  saldo netto da
finanziare»  (art. 1,  comma  1  della  legge finanziaria citata), ad
esempio rinunciando ad apporti di finanza derivata dallo Stato.
    Da  ultimo, occorre rilevare - e trattasi di argomento assorbente
- che ai legislatori regionali non puo' essere consentito di produrre
norme  meramante demolitorie e «di reazione», le quali statuiscano la
non  applicazione  nel  territorio regionale di disposizioni poc'anzi
prodotte   dallo  Stato.  Iniziative  siffatte  possono  pregiudicare
l'unita'  della  Repubblica (art. 5 Cost. ) e comunque concretano una
sosta  di  anomala  «autodichia».  L'ordinamento  costituzionale (ora
art. 127, comma secondo, Cost.) riconosce ad ogni Regione la facolta'
di  sottoporre  a  codesta  Corte  le disposizioni statali che reputa
affette  da  illegittimita'  costituzionale,  e  cosi' esclude che il
potere   legislativo   regionale  possa  -  grazie  alla  agevolmente
realizzabile  rapidita'  della  produzione  legislativa  ad opera dei
consigli  regionali  ed  alla  soppressione  dell'istituto del rinvio
governativo, e facendo leva sulla successione delle leggi nel tempo -
essere   utilizzato   per   contrastare   l'applicazione   di   dette
disposizioni  statali  (non  rileva  se  in assenza o in pendenza del
ricorso della Regione).
    Quest'ultima  considerazione appare di particolare importanza per
il  sereno  ed  equilibrato  esplicarsi  dei poteri legislativi dello
Stato  e  delle  autonomie.  Si confida in un insegnamento di codesta
Corte,  il  quale  tenga  conto  anche dell'esigenza di salvaguardare
appieno l'autorita' del Parlamento nazionale.
    La legge regionale in esame, impedendo ai proprietani di immobili
siti   nella   Regione   Friuli-Venezia   Giulia   (proprietari   non
necessariamente   in   essa   residenti)   l'accesso  alla  sanatoria
straordinaria  degli  abusi  edilizi durante la pendenza del processo
costituzionale,  arreca pregiudizio all'interesse dello Stato e degli
enti  «a  finanza  derivata»  al  conseguimento  degli  introiti  «da
condono» previsti dal bilancio e dalla legge finanziaria dello Stato.
Lo  Stato  potrebbe  trovarsi  costretto  a  sostituire  i  mancati o
ritardati introiti con manovre di finanza straordinaria (per le quali
del  resto i parametri di Maastricht lasciano margini strettissimi) e
con  inasprimenti  ulteriori  della  gia'  pesante  fiscalita', cosi'
soffocando   ogni  speranza  di  «agganciare»  la  auspicata  ripresa
economica  e rendendo problematica persino il rimanere all'interno di
un  contesto  concorrenziale;  oppure  -  in alternativa - ad operare
«tagli»  alla spesa pubblica sia corrente (compreso il «welfare») sia
per investimenti. La scelta di ricorrere ad introiti «da condono» non
e'  stata  voluttuaria  o  di  tolleranza  degli abusi; essa e' stata
imposta  dalla  bassa  congiuntura  e  dalla  distanza  che, malgrado
semisecolari  progressi, ancora separa il nostro Paese dalle economie
piu' solidamente strutturate.
    Inoltre,  la  legge  in  esame arreca pregiudizio all'ordinamento
giuridico  della  Repubblica per le considerazioni esposte dianzi nel
prospettare i motivi di ricorso.
    Questa difesa si rende conto dell'esigenza (non solo processuale)
di  non  impegnare  codesta  Corte nell'esame di istanze cautelari; e
pero'  istanze  siffatte  sono  state formulate da Regioni ricorrenti
avverso l'art. 32 citato.
    La  sospensione  ex  art. 9,  comma 4, della legge 5 giugno 2003,
n. 131, e' chiesta solo per l'art. 1 della legge in esame.
                              P. Q. M.
    Si   chiede   pertanto   che  sia  dichiarata  la  illegittimita'
costituzionale  della legge sottoposta a giudizio, previa sospensione
della sua vigenza, con ogni conseguenziale pronuncia.
        Roma, 14 febbraio 2004
                Vice avvocato generale: Franco Favara
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