N. 548 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 febbraio 2004

Ordinanza  emessa  il  12  febbraio 2004 dal tribunale amministrativo
regionale  della  Lombardia,  sez.  staccata  di  Brescia sul ricorso
proposto da Gueye Fatou Bintou contro Prefetto di Brescia

Straniero  e apolide - Lavoratore straniero in posizione irregolare -
  Regolarizzazione  - Esclusione nell'ipotesi di denuncia per uno dei
  reati  di  cui  agli artt. 380 e 381 c.p.p. - Violazione di diritto
  fondamentale della persona e del principio di uguaglianza - Lesione
  del  diritto  di  difesa  -  Violazione  dei principi di diritto al
  lavoro,  di  liberta'  personale,  di  liberta' di circolazione, di
  presunzione di innocenza e di tutela del matrimonio.
- Legge   30 luglio   2002,   n. 189,   art. 33,  comma 7,  lett. c),
  modificato dal d.l. 9 settembre 2002, n. 195, art. 2, convertito in
  legge 9 ottobre 2002, n. 222.
- Costituzione, artt. 2, 3, 4, 13, 16, 27, comma secondo e 29.
(GU n.24 del 23-6-2004 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso n. 1539/2003,
proposto    da    Gueye   Fatou   Bintou   rappresentata   e   difesa
dall'avv. Sergio  Pezzucchi, con domicilio eletto in Brescia, Via Dei
Mille, n. 20.
    Contro    Prefetto   di   Brescia   costituitosi   in   giudizio,
rappresentato  e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, con
domicilio  eletto  presso  i  relativi  uffici,  in  Brescia,  Via S.
Caterina    n. 6,   per   l'annullamento,   previa   sospensiva   del
provvedimento  in  data 3 settembre 2003 cod. domanda n. 000003495084
di diniego regolarizzazione del rapporto di lavoro;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'amministrazione
intimata;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Designato  quale relatore alla camera di consiglio del 16 gennaio
2004, il dott. Gianluca Morri;
    Uditi i difensori delle parti;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    In esito all'istanza per la legalizzazione del rapporto di lavoro
irregolare dell'odierna ricorrente - cittadina senegalese - inoltrata
ai  sensi  dell'art. 33  della  legge  30  luglio  2002  n. 189, come
modificato  dall'art. 2  del  decreto  legge  9 settembre 2002 n. 195
convertito  in  legge  9  ottobre  2002  n. 222,  il  Prefetto  della
Provincia  di  Brescia  ha  opposto  diniego  alla  predetta domanda,
ravvisando   la  ricorrenza  dei  motivi  ostativi,  segnalati  dalla
questura,  riferiti  al  comma 7 lett. c) dell'articolo citato, nella
parte  in  cui  esclude  dalla  regolarizzazione  prestatori  d'opera
extracomunitari  che  risultino denunciati per uno dei reati previsti
negli  articoli 380 e 381 c.p.p., salvo che il procedimento penale si
sia concluso in senso favorevoli all'imputato o sia stato archiviato.
Nella  fattispecie  la  Questura di Brescia ha accertato che a carico
della  Sig.ra  Gueye Fatou Bintou pende, attualmente, un procedimento
penale  ascrivibile ai predetti articoli del c.p.p. avviato a seguito
di  denuncia  presentata  dai Carabinieri di Bagnolo Mella in data 25
aprile 2003.
    Contro  il  citato provvedimento la ricorrente proponeva ricorso,
avanti  questa Sezione, sostenuto da una serie di motivi volti, nella
sostanza,  a  censurare  la  normativa posta a base del diniego sotto
diversi profili di illegittimita' per violazione degli artt. 2, 3, 4,
13, 16, 27 e 29 ss. della Costituzione, chiedendo a questo giudice di
sollevare la relativa questione di legittimita' costituzionale.

                            D i r i t t o

    1. - Il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata
la  dedotta  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 33
comma  7  lett. c) della legge 30 luglio 2002 n. 189, come modificato
dall'art. 2  del  d.l.  9 settembre 2002 n. 195 convertito in legge 9
ottobre  2002 n. 222, nella parte in cui ricollega alla mera denuncia
per  uno dei reati indicati negli artt. 380 e 381 c.p.p. la reiezione
della domanda di regolarizzazione, senza esigere che a detta denuncia
faccia seguito condanna sia pur non definitiva e senza imporre alcuna
verifica in ordine alla pericolosita' sociale dell'individuo.
    2. - La rilevanza della questione deriva dalla circostanza che il
provvedimento  adottato  ha fatto automatica applicazione della norma
in esame, disponendo la reiezione dell'istanza di regolarizzazione in
forza  del  mero  accertamento dell'esistenza di una denuncia per uno
dei reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. a carico della cittadina
extracomunitaria.
    L'art. 33  comma  7  lett.  c) della legge 30 luglio 2002 n. 189,
come   modificato  dall'art. 2  del  d.l.  9  settembre  2002  n. 195
convertito in legge 9 ottobre 2002 n. 222 stabilisce, infatti, che le
disposizioni  sulla regolarizzazione non si applichino ai rapporti di
lavoro  riguardanti prestatori d'opera extracomunitari «che risultino
denunciati  per  uno  dei reati indicati negli articoli 380 e 381 del
codice  di  procedura  penale  salvo che il procedimento penale si si
concluso  con  un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non
sussiste  o  non  costituisce  reato  o  che  l'interessato non lo ha
commesso  ovvero nei casi di archiviazione previsti dall'articolo 411
del codice di procedura penale....».
    3.  -  E'  necessario  premettere  che  questo  giudice  ha  gia'
sollevato,  con le ordinanze nn. 683 del 15 maggio 2003 e 1190 del 25
agosto  2003,  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4
comma  3  d.lgs.  n. 286 del 1998, come sostituito dalla legge n. 189
del  2002, applicato in correlazione con i successivi artt. 5 comma 5
e  13  comma  2 lett. b), nella parte, fra l'altro, in cui pone quale
elemento  ostativo  all'ingresso  e  alla  permanenza in Italia dello
straniero la condanna per determinati reati senza imporre l'ulteriore
verifica di pericolosita' sociale dello stesso.
    4. - La norma ora in esame (art. 33 comma 7 lett. c), della legge
30  luglio  2002  n. 189,  come  modificato  dall'art. 2  del  d.l. 9
settembre  2002  n. 195  convertito  in  legge 9 ottobre 2002 n. 222)
considera,   ancora   piu'   drasticamente,   la  sola  denuncia  per
determinati  reati  -  ossia  quelli  enumerati  agli artt. 380 e 381
c.p.p.  - quale elemento ostativo alla legalizzazione del rapporto di
lavoro.  In  altri  termini  il  raggiungimento  di  un obiettivo che
attiene  alle aspettative essenziali di una persona viene subordinato
dal  legislatore  alla  semplice  ricorrenza  o  meno  di una notizia
criminis  da  chiunque  provenga,  senza  alcuna preventiva verifica,
ancorche'   sommaria,   della   sua  fondatezza  sia  in  termini  di
applicazione  della  relativa  sanzione  penale che di prospettiva in
ordine alla pericolosita' sociale del soggetto. L'enunciato normativo
sembra   dunque  porsi  in  contrasto  con  gli  artt. 2  e  3  della
Costituzione,  apparendo  irragionevole  e sproporzionato rispetto al
fine perseguito, poiche' fa dipendere una vicenda fondamentale per la
vita  di un soggetto straniero, come la regolarizzazione del rapporto
di  lavoro e la possibilita' di ottenere il permesso di soggiorno nel
nostro  paese,  da  un  mero  atto  unilaterale  - che potrebbe anche
rivelarsi  totalmente  infondato  -  da parte della sola autorita' di
pubblica sicurezza o di un qualsiasi altro individuo.
    L'aspettativa  che viene, quindi, incisa, ma che pare al collegio
meritevole  di  tutela  e  salvaguardia,  coincide  direttamente  con
l'esercizio  del  diritto  di liberta' e dignita' della persona umana
che  la  Repubblica intende riconoscere e garantire, oltre che con le
previsioni  di  carattere generale di cui ai citati artt 2 e 3 Cost.,
con  la  possibilita' della permanenza dello straniero nel territorio
italiano e con le opportunita' che essa offre in termini di attivita'
lavorative  (art. 4  Cost.)  nonche'  di  esercizio di tutte le altre
garanzie  costituzionalmente protette quali espressioni di liberta' e
di  sviluppo della personalita' umana dell'individuo sia come singolo
sia  nelle formazioni sociali in cui essa si svolge (oltre al diritto
al  lavoro  di  cui all'art. 4, il diritto alla libera circolazione -
art. 16  - , all'unita' familiare - artt. 2 e 29ss - ed alla liberta'
personale - art. 13).
    Ed e' proprio dalla giurisprudenza della Corte costituzionale che
si  rileva  il principio secondo cui, di fronte all'incisione di beni
di tal pregio, il controllo di costituzionalita' delle norme di legge
contestate deve avvenire in modo da garantire che il sacrificio della
liberta'  sia  giustificato  dall'effettiva  realizzazione  di  altri
valori  costituzionali  o non vada incontro a ostacoli insormontabili
costituiti  dalla protezione di altri valori costituzionali (Sentenza
24  febbraio 1995 n. 58 che richiama anche le sentt. nn. 63 del 1994,
81 del 1993, 368 del 1992 e 366 del 1991).
    5.   -  Sotto  un  ulteriore  profilo,  appare  rilevante  e  non
manifestamente  infondata  la  dedotta questione di costituzionalita'
della  norma  in oggetto per la violazione dell'art. 27 comma 2 della
Costituzione.  A  fronte di una disposizione della Carta fondamentale
che   riconnette   la   qualificazione  in  termini  di  colpevolezza
all'esistenza  di una sentenza definitiva di condanna, il legislatore
ritiene  all'opposto  sufficiente la semplice iscrizione nel registro
delle  notizie  di  reato per precludere ad un soggetto - quanto meno
fino   all'archiviazione  o  all'assoluzione  -  la  possibilita'  di
ottenere  la regolarizzazione di un rapporto di lavoro dipendente: il
che  comporta,  tuttavia,  non  gia' effetti meramente temporanei, ma
potenzialmente  definitivi  collegati  alla  perdita del lavoro ed al
conseguente e scontato allontanamento dal territorio nazionale.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 23  della  legge  11  marzo  1953  n. 87,  dichiara
rilevante  e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2,
3,  4,  13,  16,  27 comma 2 e 29 della Costituzione, la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 33,  comma  7  lett. c) della
legge  30  luglio 2002 n. 189, come modificato dall'art. 2 del d.l. 9
settembre  2002 n. 195 convertito in legge 9 ottobre 2002 n. 222, nei
sensi di cui in motivazione.
    Ordina la sospensione del presente giudizio e la rimessione degli
atti  alla  Corte  costituzionale, nonche' la notifica della presente
ordinanza  alle  parti  in  causa  ed al Presidente del Consiglio dei
ministri,  e  la  comunicazione  della medesima ai Presidenti dei due
rami del Parlamento.
    Cosi' deciso in Brescia, il 16 gennaio 2004.
                       Il Presidente: Mariuzzo
              Il giudice relatore ed estensore: Morri
04C0719