N. 204 SENTENZA 5 - 6 luglio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Giustizia  amministrativa  -  Controversie  in  materia  di  pubblici
  servizi  -  Istituzione  della  giurisdizione esclusiva del giudice
  amministrativo  -  Adozione  del criterio di riparto della generica
  rilevanza  pubblicistica  in  luogo  di  quello  della natura delle
  situazioni   soggettive   coinvolte   -   Violazione  del  criterio
  costituzionale   del   riparto  della  giurisdizione,  lesione  del
  principio   dell'unicita'   della  giurisdizione  -  Illegittimita'
  costituzionale in parte qua.
- D.Lgs.  31 marzo  1998,  n. 80,  art. 33,  comma 1, come sostituito
  dall'art. 7,  lettera a),  della  legge  21 luglio  2000, n. 205, e
  comma 2,  come  sostituito  dall'art. 7, lettera a), della medesima
  legge n. 205 del 2000.
- Costituzione, artt. 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113.
Giustizia  amministrativa - Controversie in materia di urbanistica ed
  edilizia  -  Devoluzione  alla  giurisdizione esclusiva del giudice
  amministrativo delle controversie aventi per oggetto oltre gli atti
  e   i   provvedimenti,   anche   i  comportamenti  delle  pubbliche
  amministrazioni - Indebita estensione della giurisdizione esclusiva
  a controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita
  alcun  pubblico potere - Violazione del criterio costituzionale del
  riparto  della  giurisdizione,  lesione del principio dell'unicita'
  della giurisdizione - Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- D.Lgs.  31 marzo  1998,  n. 80,  art. 34,  comma 1, come sostituito
  dall'art. 7, lettera b), della legge 21 luglio 2000, n. 205.
- Costituzione, artt. 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113.
(GU n.27 del 14-7-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 33, commi 1 e
2,  lettere b) ed e), e 34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo
1998,  n. 80  (Nuove  disposizioni  in materia di organizzazione e di
rapporti  di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione
nelle  controversie  di  lavoro  e  di  giurisdizione amministrativa,
emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo
1997, n. 59), come sostituito dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000,
n. 205   (Disposizioni   in  materia  di  giustizia  amministrativa),
promossi con ordinanze del 31 luglio 2002, dell'11 ottobre 2002 (n. 2
ordinanze)   e   del   31 gennaio   2003   del   Tribunale  di  Roma,
rispettivamente  iscritte  al n. 488 del registro ordinanze 2002 e ai
nn. 226,  227  e  680  del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica,  n. 44,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2002 e nn. 18 e 37, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di costituzione della Casa di Cura Villa Maria Pia
s.r.l.,  nonche'  gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 28 aprile 2004 il giudice
relatore Romano Vaccarella.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con ordinanza del 31 luglio 2002 (r.o. n. 488 del 2002) il
Tribunale  di  Roma,  adito dalla casa di cura Villa Maria Pia s.r.l.
con  atto  di  citazione,  notificato  il  10 agosto  2000,  volto ad
ottenere  la condanna della Azienda Usl Rm/E al pagamento di somme da
questa  dovute per prestazioni di ricovero, ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 33, commi 1 e 2, lettere b) ed
e),  del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni
in   materia   di  organizzazione  e  di  rapporti  di  lavoro  nelle
amministrazioni  pubbliche,  di  giurisdizione  nelle controversie di
lavoro  e  di  giurisdizione  amministrativa,  emanate  in attuazione
dell'articolo 11,  comma 4,  della  legge 15 marzo 1997, n. 59), come
sostituito   dall'art. 7   della   legge   21 luglio   2000,   n. 205
(Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), nella parte in
cui  devolve  alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
le   controversie   in   materia   di   pubblici   servizi   «tra  le
amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici
servizi» e, in particolare, le controversie «riguardanti le attivita'
e  le  prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese
nell'espletamento  di  pubblici  servizi,  ivi  comprese  quelle rese
nell'ambito  del Servizio sanitario nazionale», per contrasto con gli
artt. 3, 24, 25, 100, 102, 103, 111 e 113 della Costituzione.
    1.1.  -  In  punto  di  rilevanza,  osserva  il rimettente che la
controversia rientra tra quelle devolute alla giurisdizione esclusiva
del  giudice amministrativo, tenuto conto che il rapporto tra le case
di  cura  e  le  minori  strutture  private  (ambulatori,  centri  di
diagnostica  strumentale,  etc.) e la USL e' sempre stato qualificato
dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  di  concessione  di pubblico
servizio.  Pertanto, abbandonato il pregresso criterio che attribuiva
al  giudice amministrativo le controversie vertenti sull'accertamento
del  contenuto  e  della  validita'  del rapporto, con devoluzione al
giudice  ordinario  di  quelle  vertenti sul pagamento di indennita',
canoni  ed  altri  corrispettivi,  il  rapporto  in questione e' oggi
direttamente  disciplinato,  quanto  alla giurisdizione, dall'art. 33
del  d.lgs.  n. 80  del 1998, come modificato dall'art. 7 della legge
n. 205 del 2000, che rimette alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi, tra le
quali  quelle  «tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque
denominati  di  pubblici  servizi»  (comma  2,  lettera b)  e  quelle
«riguardanti  le  attivita' e le prestazioni di ogni genere, anche di
natura  patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi
comprese  quelle  rese  nell'ambito del Servizio sanitario nazionale»
(comma 2, lettera e).
    1.2.  -  Con riguardo alla non manifesta infondatezza del dubbio,
osserva  il  giudice  a  quo  che  il nuovo criterio di riparto della
giurisdizione «per blocchi di materie», introdotto dalla legge n. 205
del  2000,  determina uno «smisurato ampliamento» della giurisdizione
esclusiva,   in   contrasto,   innanzitutto,  con  il  dettato  degli
artt. 103,  primo  comma,  e  113,  primo  comma, Cost., posto che il
riferimento   alle   «particolari   materie   indicate  dalla  legge»
esprimerebbe   invece   il  carattere  residuale  delle  controversie
devolute alla giurisdizione esclusiva, la cui peculiarita' non a caso
e'  stata  tradizionalmente  riscontrata  nella  «sicura e necessaria
compresenza  o coabitazione ... di posizioni di interesse legittimo e
di diritto soggettivo legate da un inestricabile nodo gordiano»; come
rendeva  manifesto  il  divieto  per  il  giudice  amministrativo (ex
artt. 30,  secondo comma, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7, terzo
comma,  della  legge  6 dicembre  1971,  n. 1034) di conoscere, nelle
materie  devolute alla sua giurisdizione esclusiva, anche dei diritti
patrimoniali  consequenziali.  Le  richiamate  norme  costituzionali,
inoltre,  nel  configurare  la  giurisdizione  esclusiva  del giudice
amministrativo  unicamente  per la tutela di posizioni soggettive nei
confronti  della pubblica amministrazione, non autorizzerebbero (cio'
che,  invece,  sembra  legittimato  dall'art. 33  censurato) anche la
cognizione  di  diritti  soggettivi  azionati dalla medesima pubblica
amministrazione  contro  privati  ovvero contro altre amministrazioni
pubbliche.  In  particolare,  la  legge  n. 205  del  2000,  segnando
l'abbandono della nozione tradizionale di «giurisdizione esclusiva» e
la  ridefinizione  dell'istituto  secondo ambiti di intere materie, a
prescindere  dall'esplicazione  di poteri autoritativi della pubblica
amministrazione,  sarebbe  lesivo  dell'art. 103, primo comma, Cost.,
norma  che,  tra  la  giurisdizione  ordinaria  sui  diritti e quella
esclusiva  del giudice amministrativo, traccia un rapporto, di regola
a eccezione, fondato sull'esigenza di concentrare innanzi ad un unico
giudice  la  cognizione  tanto  dei  diritti  che  degli interessi, e
dunque,   in   definitiva,   sulla  peculiarita'  della  controversia
concretamente  individuata.  Pertanto,  l'attribuzione  tout court al
giudice  amministrativo  di  intere  materie, come quella dei servizi
pubblici,  «di  generica  ed  incerta identificazione» costituirebbe,
secondo   il   giudice   a   quo,  l'inversione  della  regola  posta
dall'art. 103  Cost,  configurando  il  giudice  amministrativo  come
giudice  ordinario  delle  controversie in cui sia parte una pubblica
amministrazione,  in  violazione  anche  dell'art. 100,  primo comma,
Cost.   che   lo   qualifica  giudice  «nell'amministrazione»  e  non
«dell'amministrazione».
    Ne'  al rimettente sembra dirimente accedere ad una ricostruzione
in  astratto  piuttosto  che  in concreto della nozione di «materia»,
ricercandone  la  particolarita'  «nell'atteggiarsi dell'azione della
pubblica  amministrazione  in settori determinati ..., qual e' quello
dei  servizi  pubblici»,  in  ipotesi connotati sempre dalla presenza
dell'interesse  pubblico: in tal modo si finirebbe infatti ugualmente
per  capovolgere,  e  svuotare,  il  criterio  di  residualita' della
giurisdizione amministrativa come fissato nella Costituzione.
    La   fondatezza   del   dubbio  viene  altresi'  argomentata  dal
rimettente  sul  rilievo  che  nel nostro ordinamento non esisterebbe
alcuna  possibilita'  di  ampliare  la  giurisdizione  amministrativa
esclusiva oltre i casi in cui il settore individuato «sia conformato,
quanto  meno, da un regime giuridico derogatorio del diritto comune»,
cio' che, per la vastita' e l'eterogeneita' degli ambiti abbracciati,
non  appare  configurabile  per  la materia dei servizi pubblici; ne'
sarebbe  possibile rintracciare nel sistema costituzionale una delega
in  bianco  al  legislatore  ordinario  per individuare le materie di
giurisdizione   esclusiva.  Lo  scostamento  dai  rigorosi  parametri
dell'art. 103   Cost.  sembra,  poi,  al  rimettente  particolarmente
visibile  laddove,  come  nel caso sottoposto al suo giudizio, nessun
contenuto di specialita' sia dato ravvisare nella domanda del privato
volta  all'accertamento,  condotto  secondo  le  regole  del  diritto
civile,  dell'obbligo  dell'Azienda USL di pagare il corrispettivo di
prestazioni sanitarie eseguite.
    Riprendendo alcune indicazioni del Consiglio di Stato (sezione V,
n. 2440  del  1999)  e  della  Cassazione  (sezioni unite n. 5640 del
18 aprile  2002),  il giudice a quo osserva anche come sia proprio la
«costituzione  del vincolo obbligatorio» a segnare lo spartiacque tra
la  giurisdizione  del giudice amministrativo e quella dell'autorita'
giudiziaria  ordinaria  sul presupposto della tendenziale uguaglianza
tra  le  parti  nella  fase successiva alla costituzione del vincolo,
regolata  dalle  norme  del  diritto privato. Conseguentemente, a suo
avviso,  l'assegnazione  indiscriminata  alla  cognizione del giudice
amministrativo   di   diritti   soggettivi,  oltre  alla  progressiva
creazione  di  un  diritto civile speciale, violerebbe anche l'art. 3
Cost.,  sotto il profilo della lesione del principio di uguaglianza -
per  la  creazione  di  una  posizione  di  privilegio della pubblica
amministrazione  - nonche' del principio di ragionevolezza, venendo a
creare  un  «inutile  doppione»  del  giudice  ordinario  e insieme a
disperdere  il  patrimonio  di  esperienze  ed  attitudini di questi;
tanto,  per  giunta,  in  un  momento  storico  caratterizzato  dalla
regressione  del  momento  autoritativo  nel  rapporto  tra  apparato
pubblico e societa' civile.
    Palese  sarebbe anche la violazione degli artt. 102, primo comma,
e  113,  primo comma, Cost. che, assecondando la tradizione giuridica
italiana  (cfr. artt. 2 e 26 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, All.
E,  e  il  diritto  vivente  in  tema  di risarcimento per lesione di
interessi  legittimi),  fanno  del  giudice  ordinario il giudice dei
diritti  con  cognizione, in via di principio, generale e illimitata,
di  contro alla tendenziale residualita' della cognizione sui diritti
affidata  al  giudice  amministrativo,  in  un contesto che contempla
altresi'  la  possibilita'  che  all'autorita'  giudiziaria ordinaria
siano  attribuiti  poteri  di  annullamento  dell'atto amministrativo
(art. 113,  commi  secondo  e terzo, Cost.): il che genera una vera e
propria  presunzione  di  devoluzione  al  giudice ordinario - la cui
posizione  nell'ordinamento  non  a caso e' circondata da particolari
garanzie di indipendenza ed autonomia (artt. 104 e 105 Cost.) - delle
controversie  in  cui  sussiste incertezza nell'identificazione della
situazione soggettiva coinvolta.
    Il  giudice  a  quo esprime, inoltre, dubbi circa la legittimita'
della  norma  censurata in relazione all'art. 25, primo comma, Cost.:
evidenzia  sul punto come una concezione del giudice naturale attenta
ai   valori   su   cui   si   fonda   l'ordine  costituzionale  delle
giurisdizioni,  si  sia  ormai affermata in altri ordinamenti europei
(cosi'  ad  esempio  in  Francia,  ove il Consiglio costituzionale ha
affermato  che  tra  i principi fondamentali v'e' quello per cui, «ad
eccezione   delle   materie   riservate   per   natura  all'autorita'
giudiziaria,  appartiene  in  ultima  istanza  alla  competenza della
giurisdizione amministrativa il contenzioso relativo all'annullamento
e   alla   riforma   degli   atti  amministrativi  che  costituiscono
l'espressione  dei  pubblici  poteri»), mentre nel nostro ordinamento
tale  opzione  ermeneutica  sarebbe stata avallata dalla stessa Corte
costituzionale   allorche'  questa  ha,  ad  esempio,  affermato  «la
maggiore  idoneita'  del  giudice  ordinario  alla  cura di interessi
concernenti  rapporti  paritari» (sentenza n. 641 del 1987) o che «la
Corte  dei  conti  e'  il  giudice  naturale in materia di pensioni a
totale carico dello Stato» (ordinanza n. 388 del 1990). La violazione
nel  settore  dei  pubblici servizi dell'ordine costituzionale [delle
giurisdizioni],  e cioe' di «quel nucleo di principi che giustificano
l'"essere giudice" in uno stato di diritto», si risolverebbe pertanto
nell'istituzione  di  un  giudice speciale in violazione del disposto
dell'art. 102, secondo comma, Cost.
    Dunque,  anche a non voler riconoscere l'esistenza del principio,
seppur  tendenziale,  di  unita'  della giurisdizione (ma v., contra,
sentenze  n. 41  del  1957  e  n. 48  del  1959  di questa Corte), la
pluralita'  di giurisdizioni riconoscibili nel nostro ordinamento non
legittimerebbe  la devoluzione a giudici appartenenti a giurisdizioni
diverse  di  «controversie identiche ovvero non caratterizzate da una
sostanziale   ed   intrinseca   reciproca   diversita'  con  riguardo
all'oggetto  e  alle  posizioni  soggettive delle parti», essendo del
tutto  irrilevante  «la  circostanza che nella controversia sia parte
una  pubblica  amministrazione ovvero ... che il suo oggetto presenti
una generica rilevanza pubblica».
    Il giudice rimettente osserva, poi, come ancora piu' grave sia il
vulnus che la norma arreca al principio di uguaglianza (art. 3, primo
comma,  Cost.), inteso come uguaglianza davanti alla giustizia e alla
giurisdizione (art. 24 Cost.), principio che troverebbe il suo logico
corollario nella regola secondo cui controversie identiche o similari
devono   essere   giudicate   dalla   medesima   giurisdizione  o  da
giurisdizioni   strettamente   identiche   anche   nelle   regole  di
composizione. Sarebbe pertanto evidente, nella specie, «la disparita'
di  trattamento  tra  i cittadini dinanzi alla giurisdizione, essendo
l'individuazione   del   giudice   fatta   dipendere  dalla  qualita'
soggettiva  di una parte», tanto piu' che nel momento storico attuale
mancano  riferimenti  normativi di sicura individuazione del soggetto
«pubblica amministrazione» e della materia «servizi pubblici».
    Ulteriore  profilo  di  illegittimita'  costituzionale  e' infine
ravvisato dal giudice a quo nella violazione degli artt. 111, settimo
comma,  e  3 Cost., sotto il profilo che «il principio di uguaglianza
postula  l'esigenza di uniforme interpretazione della legge, la quale
invece  (stante  la  non  ricorribilita'  delle  sentenze dei giudici
amministrativi  per violazione di legge) non avrebbe strumento alcuno
per  attuarsi  a  fronte di differenti orientamenti ... che dovessero
formarsi  in  ordine  a  medesime disposizioni codicistiche nelle non
comunicanti  giurisprudenze  dei  giudici  ordinari e amministrativi»
(Cass.,  sezioni  unite n. 72 del 30 marzo 2000), con una sostanziale
elisione  della funzione di nomofilachia esercitata dalla Cassazione,
innanzitutto, ai sensi dell'art. 65 dell'ordinamento giudiziario. Del
resto,  osserva  il  rimettente,  il ruolo nomofilattico dello stesso
Consiglio  di Stato non si e' mai svolto al di fuori del tradizionale
ordine  proprio  di questa giurisdizione, caratterizzato dal generale
parametro  di  riferimento dell'interesse pubblico, laddove in ambito
civilistico la coscienza collettiva mal tollera ogni incidenza, sulle
paritarie  posizioni  in  conflitto,  di valutazioni inerenti proprio
l'interesse pubblico.
    1.3. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  il  quale,  con la rappresentanza dell'Avvocatura generale
dello  Stato,  ha  eccepito  in  via pregiudiziale l'inammissibilita'
della  questione  sollevata,  che  investirebbe non tanto la norma di
legge  oggetto  di  censura,  quanto piuttosto «un puntuale combinato
disposto  di norme contenuto nella Costituzione stessa e cioe' quello
regolante   l'intero  sistema  della  giustizia  amministrativa  come
delineato  dagli  artt. 24,  103,  108,  111 e 113», norme originarie
della Costituzione di cui il legislatore censurato sarebbe stato solo
puntuale esecutore.
    Ulteriore    profilo    di    inammissibilita'    e'    sollevato
dall'Avvocatura   per   l'irrilevanza  della  censura  relativa  alla
violazione   degli  artt. 3  e  103  Cost.  sotto  il  profilo  della
attribuzione  al  giudice  ordinario  della conoscibilita' di diritti
azionati  nei  confronti  di  privati dalla pubblica amministrazione,
tenuto  conto che, nel giudizio a quo, la parte attrice e' un ente di
diritto privato.
    Nel  merito,  infondata  sarebbe la questione laddove fa leva sul
principio  di  unita'  della giurisdizione, mai accolto - se non come
«valore  fine» - nel sistema costituzionale che, anzi, avrebbe scelto
di  conservare  le  giurisdizioni  storiche, in un sistema di riparto
affidato  al  legislatore ordinario (sentenze n. 48 del 1959 e n. 641
del  1987  di  questa  Corte). Ne' altrimenti sarebbe stato imposto a
quest'ultimo,    per    via   costituzionale,   alcun   limite   alla
individuazione    delle    particolari   materie   di   giurisdizione
amministrativa   esclusiva   sotto   il   profilo   della  necessaria
compresenza di diritti soggettivi ed interessi legittimi. Tant'e' che
gia'   in   passato   v'e'   stato   un  ampliamento  di  tale  sfera
giurisdizionale   in   assenza  del  richiamato  «inestricabile  nodo
gordiano».
    Con  riguardo  alla pretesa irragionevolezza dell'attuale sistema
di  riparto  giurisdizionale,  ricorda  la  deducente che nel sistema
francese,   affine   a   quello  italiano,  e'  affidata  al  giudice
amministrativo  la  cognizione dell'azione pubblica tanto nel momento
autoritativo che in quello paritetico.
    Improprio  sarebbe inoltre il richiamo al giudice ordinario quale
«giudice  naturale»  dei  diritti,  tenuto  conto che l'art. 25 Cost.
ancora tale nozione al solo giudice «precostituito per legge».
    Per  quanto  attiene, infine, alle lamentate lesioni dei principi
di  uguaglianza  e  di  difesa,  con  riguardo  alle asserite, minori
garanzie  esistenti  innanzi  al giudice amministrativo, l'Avvocatura
osserva   come   l'argomento   provi  troppo,  tenuto  conto  che  la
equiordinazione,  sul  piano  della  tutela  giurisdizionale  e della
difesa,  approntata  dalla  Costituzione  per  diritti  ed interessi,
indurrebbe   a   dubitare   della  legittimita'  della  giurisdizione
esclusiva  anche  in  materie in cui esiste l'evocato intreccio delle
differenti  situazioni soggettive. Infine, - rileva l'interveniente -
neppure appare costituzionalizzato il ruolo nomofilattico pieno della
Corte di cassazione.
    1.4.  - Si e' costituita, ma fuori termine, la Casa di cura Villa
Maria Pia s.r.l. che ha aderito in toto alle argomentazioni contenute
nell'ordinanza di rimessione.
    1.5.  -  Nella  memoria  successivamente depositata, l'Avvocatura
dello  Stato  effettua,  preliminarmente, un'articolata ricostruzione
dell'evoluzione  che la materia del riparto di giurisdizione ha avuto
nel  corso  degli  anni,  al  fine  di  dimostrare  come  dalla Carta
fondamentale del nostro Stato si evinca con chiarezza la volonta' del
Costituente  «di  affermare  la completa parita' ed originarieta' dei
due  ordini  di  giurisdizione»  e  conseguentemente  di  lasciare la
concreta  distribuzione  degli  affari  tra  gli  stessi  alle scelte
discrezionali   del   legislatore.  Ribadisce  quindi  che  le  norme
impugnate  si  limitano  a  devolvere  alla  cognizione  del  giudice
amministrativo   particolari   materie   caratterizzate  da  spiccate
connotazioni   pubblicistiche,  nell'ottica,  non  in  conflitto  col
sistema  costituzionale, del superamento del tradizionale criterio di
riparto,  fondato  sul  tipo  di  posizione  soggettiva lesa (diritto
soggettivo-interesse   legittimo).   Rileva   in  proposito  che  gli
artt. 103  e  113  della  Costituzione  esprimono,  con  il  richiamo
all'interesse  legittimo,  nient'altro  che il vincolo «relativo alla
deducibilita'  in  giudizio  di  tutte  le  controversie incidenti su
interessi  legittimi»,  esplicitando  il principio di cui all'art. 24
della  Costituzione  e  rimettendo,  per  il  resto,  al  legislatore
ordinario    l'individuazione    delle   particolari   «materie»   di
giurisdizione  esclusiva,  secondo  un'accezione  che, considerato il
tratto  «polisemico»  del  lemma,  «ben  si  presta  a  ricomprendere
alternativamente   o   vasti   ambiti   di  attivita'  amministrativa
unitariamente   considerati   (in   senso   orizzontale:  ad  esempio
urbanistica,  edilizia, etc.) oppure un oggetto contenzioso (in senso
verticale:  paradigmaticamente il risarcimento del danno) accessivo a
quello  di  competenza  generale».  In alcun modo, invece, l'art. 103
Cost.  collegherebbe  l'individuazione  delle  particolari materie al
presupposto  dell'esistenza di un inestricabile intreccio tra diritti
ed interessi legittimi, quale ragione tralaticiamente richiamata come
essenziale  ai  fini  dell'individuazione  dell'area  di operativita'
della giurisdizione esclusiva sulla scorta di un inesatto presupposto
storico.
    Ne   discenderebbe,   per  come  affermato  proprio  dalla  Corte
costituzionale  (ordinanza  n. 140 del 2001), «una sorta di principio
di  indifferenza  o  intercambiabilita'  della tutela fornita dai due
ordini  di  giurisdizioni»,  rafforzato  dalle  sempre  piu' numerose
eccezioni  al  divieto  per  il  giudice  ordinario di annullare atti
amministrativi   e   dal   correlativo   ampliamento   dei   casi  di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
    Peraltro, ad avviso dell'Avvocatura, le norme censurate darebbero
attuazione  ai  principi  racchiusi  nell'art. 24  della Costituzione
anche  sotto  il  profilo  della  eliminazione,  da  un  lato,  delle
incertezze circa l'individuazione del giudice da adire e, dall'altro,
delle  lungaggini  connesse  alla  necessita'  di  percorrere il c.d.
doppio  giudizio  per ottenere la piena soddisfazione delle posizioni
soggettive  lese,  in armonia con i modelli istituzionali degli altri
Paesi  membri dell'Unione europea in cui vige il sistema della doppia
giurisdizione.
    Rilevato  quindi  che il cambiamento normativo ha avuto carattere
biunivoco  con l'attribuzione al giudice ordinario delle controversie
relative  al  rapporto  di  lavoro  alle  dipendenze  della  pubblica
amministrazione, sottolinea la deducente come, conseguenzialmente, il
riparto  si  sia venuto ad assestare su un nuovo punto di equilibrio,
nel  quale  mentre  il  giudice  ordinario  e'  divenuto  «il giudice
naturale  di  una  pubblica  amministrazione  che  gestisce  tutti  i
rapporti  di  lavoro alle sue dipendenze con i poteri e gli strumenti
del  privato  datore,  il  giudice  amministrativo, per converso, [ha
acquisito]  la  piena  cognizione  di  rapporti  litigiosi  in cui si
applicano  regole  sostanziali esorbitanti dal diritto privato, anche
se  di  essi  siano  parti ... soggetti formalmente privati ma tenuti
all'applicazione,   specie  in  materia  contrattuale,  di  procedure
amministrative».
    Peraltro,   anche   qualora   si   ravvisasse   nella   locuzione
«particolari  materie»  un  vincolo  per  il  legislatore, questo non
andrebbe  individuato  nel c.d. «nodo gordiano» diritti-interessi, la
cui  connessione  con  il  problema  del  riparto  deriverebbe da «un
imprecisato  ricordo  storico»:  in realta', ove un limite si volesse
considerare imposto nella individuazione dei settori da affidare alla
giurisdizione  esclusiva,  questo  non potrebbe che rinvenirsi «nelle
materie   in   cui   si   verifica  un  assoggettamento  dei  diritti
all'esercizio    di    un    potere   conformativo   della   pubblica
amministrazione»,  con  conseguente  piena  legittimita' delle scelte
operate dal legislatore nelle norme denunciate.
    Infine,  con  riguardo  alla prospettata violazione dell'art. 111
Cost.,    osserva    la   deducente   che   la   Carta   fondamentale
costituzionalizza le differenti competenze facenti capo alla Corte di
cassazione  in  modo  diverso  da  quello  che i rimettenti danno per
presupposto.
    Premesso  che  storicamente  la  funzione  di  nomofilachia della
Cassazione  risponde all'esigenza di natura politica di salvaguardare
il  principio  della  separazione tra poteri, preservando le leggi da
cio'  che  i  positivisti  francesi  definivano  la  «ribellione  dei
giudici»,  nel  complesso  delle  attribuzioni  della  Suprema  Corte
individuate  dall'art. 65  dell'Ordinamento  giudiziario occorrerebbe
distinguere  le  funzioni afferenti l'esatta osservanza della legge -
la  quale significa rispetto, da parte di tutti i giudici, del limite
esterno   della   giurisdizione  -  da  quelle  afferenti  l'uniforme
interpretazione  della  legge  (c.d. nomofilachia in senso generico):
orbene,  ad avviso dell'Avvocatura, questa sarebbe dalla Costituzione
attribuita  alla  Cassazione solo per quanto concerne le sentenze del
giudice ordinario.
    2.  -  Con tre distinte ordinanze, due delle quali pronunciate in
data  11 ottobre  2002  (r.o.  n. 226 e n. 227 del 2003) e l'altra in
data  31 gennaio 2003 (r.o. n. 680 del 2003), il Tribunale di Roma ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3,  24,  102, 103, 111 e 113
Cost.,   questione   di   legittimita'  costituzionale  dell'art. 34,
comma 1,  del d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo sostituito dall'art. 7
della  legge  n. 205  del  2000,  il quale devolve alla giurisdizione
esclusiva  del  giudice  amministrativo  le  controversie  aventi  ad
oggetto   gli   atti,   i   provvedimenti  e  i  comportamenti  delle
amministrazioni  pubbliche  e dei soggetti alle stesse equiparati, in
materia di urbanistica ed edilizia.
    I  giudizi  nel corso dei quali le prime due ordinanze sono state
emesse avevano ad oggetto domande di risarcimento danni proposte, con
atti di citazione notificati il 20 luglio 2000, dagli eredi di Arturo
Menhert  nei  confronti  del  Comune  di  Roma, fondate, l'una, sulla
circostanza che un fondo del loro dante causa era stato occupato, sin
dall'11 agosto    1978,   dall'ente   convenuto,   in   vista   della
realizzazione  di  un  asilo  nido, poi effettivamente completato nel
1979,  senza  che  peraltro  la  procedura  di  esproprio venisse mai
portata   a  compimento  e  senza  che  venisse  pagato  il  relativo
indennizzo;   l'altra,   sul   fatto   che   lo  stesso  Comune,  con
deliberazione  consiliare  n. 2201  del  3,  4 e 5 maggio 1976, aveva
modificato  la  destinazione  edilizia di alcuni terreni del medesimo
dante  causa, da aree edificabili ad aree per attrezzature di servizi
di  quartiere  e  verde  pubblico,  in vista della costruzione di una
strada,  cosi'  determinando,  senza  che l'opera pubblica venisse in
realta' mai realizzata, un tale deprezzamento degli immobili compresi
nella variante da indurre la Cassa di risparmio di Roma a chiedere la
restituzione   di  ingenti  prestiti,  erogati  a  Menhert  s.r.l.  e
garantiti  da  quei beni; richiesta che, rimasta inevasa, aveva a sua
volta provocato il fallimento della societa' garantita.
    La  terza  ordinanza  e'  intervenuta  nel  corso  di un giudizio
proposto,  con atto di citazione notificato il 26 gennaio 2001, dalla
societa'  D.M. s.a.s. di Abrusca Clara & c. nei confronti, ancora una
volta,  del  Comune di Roma, al fine di ottenere il ristoro dei danni
subiti in conseguenza del mancato allaccio alla rete fognaria e della
mancata   «agibilita»   di  un  locale  a  destinazione  negozio,  di
proprieta' della societa' attrice.
    2.1. - In punto di rilevanza, in tutti e tre i giudizi il giudice
a  quo,  evidenziato che il Comune convenuto ha opposto il difetto di
giurisdizione  del  giudice  ordinario, osserva che, secondo le nuove
previsioni  in  punto di riparto di giurisdizione - che attribuiscono
al  giudice  amministrativo,  in  sede di giurisdizione esclusiva, le
controversie  aventi ad oggetto, tra gli altri, i comportamenti della
pubblica amministrazione in materia urbanistica - l'eccezione sarebbe
fondata:   e   invero,  alla  stregua  dei  consolidati  e  condivisi
orientamenti  del  Supremo  Collegio,  la  materia urbanistica non si
esaurisce   nell'aspetto  normativo  della  disciplina  dell'uso  del
territorio, ma comprende anche il momento gestionale.
    Nelle  ordinanze  n. 226  e  n. 227  del 2003 peraltro, emesse in
giudizi  iniziati con atti di citazione notificati il 20 luglio 2000,
il rimettente precisa, richiamando le puntualizzazioni espresse dalla
Corte  costituzionale  nelle  pronunce  n. 123 e n. 340 del 2002, che
nella  fattispecie  la giurisdizione esclusiva si radica non gia' sul
testo originario dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, ma su quello
sostituito  dall'art. 7  della legge n. 205 del 2000, il quale, da un
lato, ha innovato la natura giuridica della fonte, da legge materiale
a  legge formale (cosi' affrancandola dal vizio di eccesso di delega)
e,  dall'altro,  per  i  giudizi  introdotti dopo il 10 luglio 1998 e
pendenti  al  10 agosto  2000  -  date in cui sono entrati in vigore,
rispettivamente,  il d.lgs. n. 80 del 1998 e la legge n. 205 del 2000
-  ha  disciplinato  direttamente  la  giurisdizione,  in  deroga  al
principio sancito dall'art. 5 cod. proc. civ., non avendo immutato il
dettato  dell'art. 45,  comma 18,  del  d.lgs.  n. 80  del  1998, che
prevede,  a  decorrere  dal  1 luglio 1998, la devoluzione al giudice
amministrativo  delle  controversie  di  cui agli artt. 33 e 34: tale
ricostruzione  della  successione temporale delle norme disciplinanti
le  controversie devolute alla sua cognizione, impone al decidente di
ritenere   rilevante   nel   giudizio   a   quo   la   questione   di
costituzionalita'  dell'art. 34  del d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo
risultante  dalla sostituzione operata dall'art. 7 della legge n. 205
del 2000.
    2.2.  -  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza del dubbio di
legittimita',    il    rimettente,    che    svolge    considerazioni
sostanzialmente   identiche   in  tutti  e  tre  i  provvedimenti  di
rimessione,  sostiene  preliminarmente che il sistema dell'estensione
della  giurisdizione  esclusiva  per  blocchi di materie, seguito dal
legislatore  sia  nel  1998  sia  nel  2000,  si  discosta  da quello
delineato  nella  Carta costituzionale, oltre ad apparire scarsamente
razionale  e  ingiustificatamente squilibrato a favore della pubblica
amministrazione,  la  quale  viene  in  effetti  ad  avere un proprio
giudice.
    In particolare, il contrasto con gli artt. 102, primo comma, 103,
primo  comma,  e  113,  primo  comma,  Cost.,  si  radicherebbe sulla
sostanziale  ricezione,  nell'assetto  accolto  dal  Costituente, del
sistema  di  tutela  giurisdizionale  del privato nei confronti della
pubblica amministrazione disciplinato dalla legislazione previgente e
in  particolare  dalla  legge  n. 2248  del  1865, All. E, e dal r.d.
n. 1054  del  1924:  sistema  che  ruota tutto intorno alla dicotomia
diritto  soggettivo-interesse  legittimo,  quali posizioni soggettive
giustiziabili,  rispettivamente,  davanti  al  giudice ordinario e al
giudice amministrativo.
    Posto  allora che, nel quadro istituzionale delineato dalla legge
fondamentale  del  nostro  Stato, il giudice ordinario e' giudice dei
diritti  e la sua giurisdizione viene meno soltanto nei limitati casi
in cui la cognizione, in considerazione dell'intreccio, difficilmente
districabile  per  talune  controversie,  di figure giuridiche attive
riconducibili all'una o all'altra categoria, e' attribuita al giudice
amministrativo,  il legislatore ordinario non potrebbe discostarsi da
tale    modello,   attribuendo   determinate   materie   al   giudice
amministrativo  in considerazione della loro rilevanza pubblicistica.
E cio' tanto piu' che il contesto normativo di riferimento, ancorche'
caratterizzato   dalla   progressiva   estensione   dell'area   della
giurisdizione   esclusiva  -  in  buona  parte  a  prescindere  dalla
qualificazione giuridica della situazione vantata nei confronti della
pubblica  amministrazione  (cosi'  l'art. 11,  comma 5,  della  legge
n. 241   del   7 agosto   1990,   sugli   accordi   con  la  pubblica
amministrazione  sostitutivi dei provvedimenti; l'art. 33 della legge
n. 287 del 10 ottobre 1990 e l'art. 7 del d.lgs. n. 74 del 25 gennaio
1992,  come  modificato  dall'art. 5,  comma 11, del d.lgs. n. 67 del
25 febbraio  2000,  sui  provvedimenti  dall'Autorita'  garante della
concorrenza e del mercato; l'art. 6, comma 19, della legge n. 537 del
24 dicembre 1993, come modificato dall'art. 44 della legge n. 724 del
23 dicembre  1994,  sui  contratti per la fornitura di beni e servizi
alle pubbliche amministrazioni; l'art. 4, comma 7, della legge n. 109
dell'11 febbraio  1994,  come  modificato dall'art. 9, comma 9, della
legge  n. 415  del 18 novembre 1998, sui provvedimenti dell'Autorita'
per la vigilanza sui lavori pubblici; l'art. 2, comma 25, della legge
n. 481  del 14 novembre 1995, sui provvedimenti delle Autorita' per i
servizi  di pubblica utilita'; l'art. 1, comma 26, della legge n. 249
del   31 luglio  1997,  sui  provvedimenti  delle  Autorita'  per  le
telecomunicazioni)  - non avrebbe, a giudizio del rimettente, affatto
obliterato  la  fondamentale  funzione  del  giudice  ordinario quale
giudice  dei  diritti.  Non a caso, egli ricorda, nel disciplinare il
giudizio   di   opposizione   alle   sanzioni  amministrative  (legge
24 novembre   1981,   n. 689),   il  legislatore  si  e'  spinto  nel
riconoscimento  di  quella  funzione,  fino al punto di attribuire al
giudice  ordinario  il  potere di intervenire direttamente sull'atto,
mentre,   pur   nell'ambito  delle  varie  ipotesi  di  giurisdizione
esclusiva  relative  all'impugnazione  dei provvedimenti emessi dalle
Autorita'  indipendenti,  non  mancano  casi  in  cui  e'  sancita la
giurisdizione del giudice ordinario.
    Ne'  l'attribuzione  al giudice amministrativo delle controversie
in  materia  di  urbanistica  ed  edilizia, operata dall'art. 7 della
legge  n. 205  del 2000, estesa a tutti gli atti, i provvedimenti e i
comportamenti non solo delle pubbliche amministrazioni, ma anche «dei
soggetti  alle stesse equiparati», a prescindere dalla compresenza di
situazioni  di  diritto soggettivo e di interesse legittimo, potrebbe
ritenersi  legittimata  dalla  previsione  di cui all'art. 103, primo
comma,  Cost.,  posto che la lettera di tale norma evidenzia, semmai,
che  il  legislatore  costituzionale  si  e'  mosso  nell'ottica  del
carattere eccezionale della riserva al giudice amministrativo di aree
di giurisdizione esclusiva.
    Se  dunque  - argomenta il rimettente - il sistema di riferimento
risulta  strutturato  sulla netta distinzione tra diritti e interessi
legittimi,  sulla  «particolarita»  delle  materie  nelle  quali  far
operare  la  giurisdizione  esclusiva  e sulla individuabilita' delle
stesse  attraverso l'inscindibile coesistenza di diritti e interessi,
forte e' il dubbio della legittimita' di una norma di legge ordinaria
che da tale assetto palesemente si discosti.
    Tale   convincimento,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  sarebbe
convalidato  dall'avvenuta  presentazione,  in data 28 novembre 2000,
della  proposta  di  legge costituzionale Atto Camera 7465 della XIII
Legislatura,  in  cui,  disegnata l'area di giurisdizione del giudice
amministrativo  con  riferimento  alle  «controversie con la pubblica
amministrazione  nelle  materie  indicate dalla legge», venivano allo
stesso  esplicitamente  riservate  in  ogni  caso quelle «riguardanti
l'esercizio   di   pubblici   poteri»:  modifica  della  Costituzione
espressamente  giustificata  nella  relazione  illustrativa anche col
richiamo  all'entrata in vigore della legge n. 205 del 2000, la quale
avrebbe  espresso  «una  decisa  volonta'  del  Parlamento  nel senso
indicato».
    Quanto  poi  al  contrasto con gli artt. 102, secondo comma, e 3,
primo   comma,   Cost.,  osserva  il  rimettente  che,  se  la  ratio
giustificatrice  dell'istituto della giurisdizione esclusiva e' stata
per  tradizione  individuata  nella  peculiarita'  delle controversie
nelle   quali  sia  parte  la  pubblica  amministrazione,  stante  la
rilevanza  pubblicistica  degli interessi in gioco e la necessita' di
fare    applicazione   di   una   normativa   speciale,   di   natura
amministrativa,  derogatoria  rispetto al diritto comune - rilievo da
taluno   correlato   alla   tesi   dell'esistenza   di  un  principio
costituzionale di pluralita' delle giurisdizioni -, sarebbe palese la
sua  assenza con riguardo a quelle fattispecie in cui venga lamentata
la   lesione   di   un   diritto   soggettivo,  perche'  la  pubblica
amministrazione  ha  leso  posizioni attive di altri soggetti, agendo
iure  privatorum  o  ponendo  in  essere  un'attivita'  illecita: qui
occorrera'  invero fare applicazione di nozioni quali danno ingiusto,
nesso  di  causalita'  e colpevolezza, tipiche del diritto civile. In
tale   contesto  normativo  la  norma  impugnata,  contraddicendo  al
principio per cui il giudice amministrativo e' organo di tutela della
giustizia     nell'amministrazione     e     non     gia'     giudice
dell'amministrazione,  ingenera il sospetto di violazione del divieto
di  istituire  giudici  speciali  (art. 102,  secondo  comma, Cost.),
dubbio  vieppiu'  avvalorato  dalla  considerazione dei meccanismi di
copertura  di  un  quarto dei posti di consigliere di Stato (art. 19,
numero  2,  della  legge  27 aprile  1982,  n. 186),  di  nomina  del
presidente  del Consiglio di Stato (art. 22, primo comma, della legge
cit.) e di conferimento dell'incarico di segretario generale (art. 4,
comma 3);  nonche'  dalla  considerazione  delle  funzioni  di  «alta
sorveglianza» e di iniziativa in punto di promozione dei procedimenti
disciplinari,  attribuite al Presidente del Consiglio dei ministri su
tutti i magistrati amministrativi (artt. 31, primo comma, e 33, primo
comma)  e  della  possibilita',  per  gli  stessi,  di  accedere allo
svolgimento    di   funzioni   giuridico-amministrative   presso   le
amministrazioni  dello  Stato  (art. 13,  secondo  comma, numero 8, e
art. 29, terzo comma).
    Sostiene  anche il rimettente che devolvere una controversia a un
giudice  speciale in funzione, soltanto, della natura pubblica di una
delle  parti  o della pretesa rilevanza pubblicistica degli interessi
in  contesa, desunta dall'esercizio di funzioni amministrative, anche
da  parte  di  un soggetto privato, sarebbe scelta foriera di una non
giustificata    disparita'    di    trattamento    tra   i   soggetti
dell'ordinamento,  posto  che  essa  recherebbe  in  se'  il  rischio
dell'affermazione    di    un   diritto   speciale   della   pubblica
amministrazione,  conformato  su  valutazioni  incompatibili  con  la
natura  privatistica  del  rapporto controverso e su una posizione di
ingiustificato  privilegio attribuita ad una delle parti, la pubblica
amministrazione,  alla  quale  invece  la  Costituzione non riconosce
alcun  privilegio  o  statuto particolare, specie ove non agisca iure
imperii o si rapporti ai privati su un piano di parita'.
    Il sospetto di lesione degli artt. 111, settimo e ottavo comma, e
24,   primo   comma,  e,  sotto  nuovo  profilo,  ancora  una  volta,
dell'art. 3  della  Costituzione  viene  radicato  sul  fatto  che il
legislatore  del 2000, istituendo un giudice amministrativo munito di
giurisdizione  esclusiva  in  materie  e  con  strumenti  processuali
pressoche' coincidenti con le materie e con gli strumenti processuali
da  sempre  appartenenti  al  giudice  ordinario, si sarebbe mosso in
palese  controtendenza  con  le ragioni della scelta che guidarono il
Costituente  il  quale, mantenendo in vita alcune delle giurisdizioni
speciali  preesistenti,  opero'  in  vista  della  conservazione  del
patrimonio  di  conoscenze  da  questi  acquisite. L'irragionevolezza
dell'opzione normativa, e la conseguente violazione dell'art. 3 della
Costituzione,  risulterebbe  vieppiu' evidente in un contesto storico
segnato  -  come si evince dall'art. 11 della legge n. 241 del 1990 e
dalla  notissima  Cass.  sezioni unite n. 500 del 1999 - dalla sempre
piu'  incisiva  affrancazione  dei  rapporti fra cittadino e pubblica
amministrazione   dal   modello   c.d.  autoritativo,  e  dalla  loro
evoluzione  verso  un  modello  c.d. negoziale, centrato sull'accordo
delle  parti  e  sul  loro fondamentale dovere di comportarsi secondo
buona fede.
    Infine    l'attribuzione   della   cognizione   di   controversie
sostanzialmente  identiche,  da  decidere, per giunta, facendo uso di
poteri   processuali  in  larga  misura  coincidenti,  a  due  plessi
giurisdizionali   distinti,   unicamente   in  ragione  della  natura
soggettiva  di una delle parti in causa, comporterebbe un sostanziale
svuotamento   anche  del  fondamentale  diritto  di  difesa,  sancito
dall'art. 24,  primo comma, della Costituzione, sotto il profilo che,
limitando   l'art. 111,   ottavo   comma,   della   Costituzione,  la
ricorribilita'  per Cassazione delle decisioni del Consiglio di Stato
ai  «soli  motivi inerenti alla giurisdizione», non vi sarebbe alcuna
possibilita'  di  composizione  dei  contrasti  giurisprudenziali fra
giudici ordinari e giudici amministrativi.
    2.3.  - In tutti e tre i giudizi e' intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato,
il   quale  ha  dedotto  l'inammissibilita'  e  l'infondatezza  della
questione  proposta,  richiamando le argomentazioni (sub 1.3.) svolte
nel giudizio relativo alla ordinanza n. 488 del 2002.
    2.4.  -  Il  6 ottobre  2003,  nei  giudizi di cui alle ordinanze
n. 226  e n. 227 del 2003, e il 26 novembre 2003, nel giudizio di cui
all'ordinanza n. 680 del 2003, l'Avvocatura ha poi depositato memorie
di  contenuto  pressoche'  identico a quello della memoria depositata
nel giudizio n. 488 del 2002 (v. retro, sub 1.5.)

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  di  Roma  solleva questione di legittimita'
costituzionale,  con  r.o.  n. 488  del 2002, dell'art. 33, comma 1 e
comma 2,  lettere b)  ed  e)  e, con r.o. n. 226, n. 227 e n. 680 del
2003,  dell'art. 34,  comma 1,  del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come
sostituiti  dall'art. 7  della legge 21 luglio 2000, n. 205; in tutte
le  ordinanze di rimessione si assumono violati gli artt. 3, 24, 102,
103,  111 e 113 della Costituzione, mentre la prima ordinanza dubita,
altresi', della violazione degli artt. 25 e 100 della Costituzione.
    I  giudizi  -  in ciascuno dei quali e' adeguatamente motivata la
rilevanza della questione - devono essere riuniti in quanto, sia pure
in  relazione a due norme diverse (artt. 33 e 34 del d.lgs. n. 80 del
1998,  come  modificati  dall'art. 7 della legge n. 205 del 2000), in
tutti  viene sostanzialmente posta la (medesima) questione dei limiti
che  il  legislatore  ordinario  deve  rispettare  nel  disciplinare,
ampliandola, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
    2. - Le questioni sono fondate nei limiti di seguito precisati.
    2.1.  -  I  giudici  rimettenti lamentano che la legge n. 205 del
2000, portando a compimento un disegno di politica legislativa volto,
a partire dal 1990, ad estendere l'area della giurisdizione esclusiva
del  giudice  amministrativo, abbia sostituito al criterio di riparto
della  giurisdizione  fissato  in  Costituzione,  e  costituito dalla
dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi, il diverso criterio
dei  «blocchi  di  materie»:  in  tal modo sarebbe stato alterato non
soltanto  il  rapporto  tra giurisdizione del giudice ordinario e del
giudice   amministrativo  -  rapporto  che,  pur  non  essendo  stato
realizzato  il  principio dell'unicita' della giurisdizione, dovrebbe
pur  sempre  essere  di regola ad eccezione quanto alla cognizione su
diritti   soggettivi  -  ma  anche  il  rapporto,  all'interno  della
giurisdizione   del   giudice   amministrativo,   tra   giurisdizione
(generale)   di   legittimita'  e  giurisdizione  (speciale,  se  non
eccezionale) esclusiva.
    La  violazione  degli  artt. 102  e  103 Cost. (e dell'art. 100 -
aggiunge  l'ordinanza  n. 488  del  2002  - con la trasformazione del
Consiglio  di  Stato  da  giudice  «nell'amministrazione»  in giudice
«dell'amministrazione»)  non si sarebbe realizzata con i pur massicci
interventi  legislativi degli anni '90, in quanto le nuove ipotesi di
giurisdizione  esclusiva  concernevano  pur sempre «talune specifiche
controversie»  caratterizzate «dall'intreccio di posizioni giuridiche
riconducibili   tanto  al  diritto  soggettivo  quanto  all'interesse
legittimo»:  e'  con  il  d.lgs. n. 80 del 1998, specie come trasfuso
nell'art. 7  della  legge  n. 205  del  2000,  che  il legislatore ha
abbandonato   il   criterio   dello   «inestricabile  nodo  gordiano»
ravvisabile   in   specifiche  controversie  correlate  all'interesse
generale  per accogliere quello dei «blocchi di materie», nelle quali
«la  commistione  di diritti soggettivi ed interessi legittimi non si
debba  ricercare  nelle varie tipologie delle singole controversie ma
nell'atteggiarsi   dell'azione   della  pubblica  amministrazione  in
settori   determinati,  anche  se  molto  estesi,  connotati  da  una
significativa presenza dell'interesse pubblico».
    La  Costituzione,  attribuendo  al giudice ordinario «il ruolo di
giudice  naturale  dei  diritti  soggettivi  tra  privati  e pubblica
amministrazione»,   avrebbe   recepito  e  fatto  propri  i  principi
ispiratori  della  legge  n. 2248  del 1865, All. E, cosi' conferendo
alla  giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo un carattere
residuale,  che  puo'  giustificare «eccezioni ma non stravolgimenti»
rispetto   alla   «tendenziale  generalita'  ed  illimitatezza  delle
attribuzioni del giudice ordinario».
    Anche  a  voler  prescindere  dall'irragionevolezza  della scelta
legislativa  di  esaltare  il  ruolo  del  giudice amministrativo nel
momento   in   cui   al   c.d.   modello  autoritativo  dei  rapporti
cittadino-pubblica  amministrazione  viene  sempre piu' sostituito il
c.d.  modello  negoziale,  tale  scelta  -  unita  al conferimento al
giudice  amministrativo  di  «pienezza  di  poteri decisori» e quindi
anche risarcitori, perfino «al di fuori della giurisdizione esclusiva
e  nell'ambito  della  sua  giurisdizione  generale di legittimita» -
farebbe  si'  che  «il giudice amministrativo sia ormai proiettato in
una  dimensione  civilistica  che  fino  a ieri costituiva territorio
esclusivo  del  giudice  ordinario»,  per  giunta senza sottostare al
controllo nomofilattico, che costituisce anche garanzia di parita' di
trattamento, della Corte di cassazione.
    2.2.  -  Del  tutto  correttamente  i rimettenti osservano che la
Carta  costituzionale  ha  recepito  -  non  senza conservare traccia
nell'art. 102, primo comma, dell'orientamento favorevole all'unicita'
della  giurisdizione - il nucleo dei principi in materia di giustizia
amministrativa  quali  evolutisi a partire dalla legge abolitrice del
contenzioso  amministrativo  del  1865: ed i lavori della Costituente
documentano  come «l'indispensabile riassorbimento nella Costituzione
dei  principi  fondamentali della legge 20 marzo 1865» conducesse, da
un lato, alla proposta di Calamandrei per cui «l'esercizio del potere
giudiziario  in  materia  civile,  penale e amministrativa appartiene
esclusivamente  ai giudici ordinari» (art. 12, discusso dalla seconda
Sottocommissione  il  17 dicembre  1946) e, dall'altro lato, al testo
(proposto  dagli  on.li Conti, Bettiol, Perassi, Fabbri e Vito Reale)
approvato  dall'Assemblea  costituente  nella  seduta pomeridiana del
21 novembre 1947, corrispondente agli attuali artt. 102 e 103 Cost; e
conducesse, inoltre, alla esclusione della soggezione delle decisioni
del  Consiglio  di  Stato  e  della  Corte  dei conti al controllo di
legittimita'  della Corte di cassazione, limitandolo al solo «eccesso
di  potere  giudiziario», coerentemente alla «unita' non organica, ma
funzionale  di  giurisdizione,  che  non  esclude,  anzi implica, una
divisione  dei  vari ordini di giudici in sistemi diversi, in sistemi
autonomi,  ognuno  dei  quali  fa  parte a se» (cosi' Mortati, seduta
pomeridiana del 27 novembre 1947).
    In  realta',  come  la  dottrina  ha  da tempo chiarito, la legge
n. 2248 del 1865, All. E, nel momento stesso in cui assicurava tutela
al cittadino davanti al giudice ordinario per «tutte le materie nelle
quali  si  faccia questione di un diritto civile o politico, comunque
vi  possa  essere  interessata la pubblica amministrazione» (art. 2),
sanciva   in   ogni   altro   caso  (per  «gli  affari  non  compresi
nell'articolo   precedente»)   la   totale  sottrazione  a  qualsiasi
controllo giurisdizionale della sfera della c.d. amministrazione pura
(art. 3): in tal modo - anche grazie all'ampiezza con la quale questa
zona «franca» dell'amministrazione fu intesa dalla giurisprudenza, in
cio'  incoraggiata dall'allora giudice dei conflitti, il Consiglio di
Stato,  e  dal  successivo giudice ex legge 31 marzo 1877 n. 3761, le
sezioni  unite  della Cassazione romana - la legge del 1865 creava le
premesse della legislazione successiva volta a colmare il sempre piu'
grave  vuoto di tutela giurisdizionale da essa lasciato con il puro e
semplice   ignorare   tale   esigenza  negli  «affari  non  compresi»
nell'art. 2.
    La  relazione  Crispi  al  disegno  di  legge,  divenuto la legge
(istitutiva  della  IV  Sezione)  31 marzo  1889,  n. 5992, chiarisce
infatti che «la legge 20 marzo 1865, All. E, proclamo' l'unita' della
giurisdizione,    ma   nulla   avendo   sostituito   al   contenzioso
amministrativo   che   aboli',   rimase   abbandonata  alla  potesta'
amministrativa   l'immensa  somma  di  interessi  onde  lo  Stato  e'
depositario»;  e  pur  se  soltanto  la  legge  7 marzo  1907, n. 62,
istitutiva  della V Sezione, defini' «giurisdizionale» questa e la IV
Sezione,  riconoscendo alle loro decisioni l'efficacia del giudicato,
la funzione giurisdizionale dell'organo, che sarebbe stato chiamato a
colmare  il  vuoto  di tutela da essa lasciato, era gia' insita nella
legge abolitrice del contenzioso amministrativo.
    E'  evidente,  quindi, l'ambivalenza del richiamo - operato cosi'
da  Calamandrei come dai suoi oppositori nell'Assemblea costituente -
all'«indispensabile  riassorbimento  nella  Costituzione dei principi
fondamentali  della  legge  20 marzo  1865,  All.  E»:  richiamo, che
potrebbe  dirsi  «statico», da parte di chi voleva colmare, nel 1947,
con  il  giudice  ordinario  (eventualmente  attraverso  sue  sezioni
specializzate),   il   vuoto   di   tutela   lasciato   nel  1865  ed
«abusivamente»  (rispetto  ai  principi  proclamati  nell'art. 2) poi
riempito  da  un  Consiglio  di  Stato  che  aveva,  ormai, «esaurito
storicamente»  il  suo  compito  (Calamandrei,  II  Sottocommissione,
seduta  pomeridiana del 9 gennaio 1947); richiamo, che potrebbe dirsi
«dinamico»,  da  parte di chi sottolineava che «il Consiglio di Stato
non  ha  mai  tolto nulla al giudice ordinario» (cosi' Bozzi, ivi) in
quanto la giurisdizione amministrativa e' sorta «non come usurpazione
al  giudice  ordinario di particolari attribuzioni, ma come conquista
di  una  tutela  giurisdizionale da parte del cittadino nei confronti
della  pubblica  amministrazione; quindi non si tratta di ristabilire
la  tutela giudiziaria ordinaria del cittadino che sia stata usurpata
da   questa  giurisdizione  amministrativa,  ma  di  riconsacrare  la
perfetta  tradizione  di una conquista particolare di tutela da parte
del  cittadino» (Leone, Assemblea, seduta pomeridiana del 21 novembre
1947).
    Sembra allora chiaro che il Costituente, accogliendo quest'ultima
impostazione,   ha   riconosciuto  al  giudice  amministrativo  piena
dignita'  di  giudice  ordinario  per  la tutela, nei confronti della
pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive non contemplate
dal  (modo  in  cui  era stato inteso) l'art. 2 della legge del 1865;
cosi'  come  di  questa  legge  ha,  con quello che sarebbe diventato
l'art. 113  Cost.,  recepito il principio - «e fu per questo ritenuta
una  conquista liberale di grande importanza» - «per il quale, quando
un  diritto  civile  o  politico viene leso da un atto della pubblica
amministrazione,   questo  diritto  si  puo'  far  valere  di  fronte
all'Autorita'   giudiziaria   ordinaria,  in  modo  che  la  pubblica
amministrazione  davanti  ai  giudici  ordinari  viene a trovarsi, in
questi  casi,  come  un  qualsiasi  litigante  privato  soggetto alla
giurisdizione  ... principio fondamentale che e' stato completato poi
con  l'istituzione  delle  sezioni  giurisdizionali  del Consiglio di
Stato  ...  dell'unicita'  della  giurisdizione  nei  confronti della
pubblica amministrazione» (Calamandrei, Assemblea, seduta pomeridiana
del 27 novembre 1947).
    2.3.  -  Se, relativamente alla conservazione della giurisdizione
generale  di  legittimita'  del  giudice  amministrativo, l'esame dei
lavori   dell'Assemblea   costituente  offre  il  quadro  che  si  e'
tratteggiato,   da   essi   non   emergono  particolari  elementi  di
chiarificazione    relativamente    alla    previsione,   nel   testo
dell'art. 103  Cost.,  della  giurisdizione esclusiva: previsione che
compare   quasi   come  accessoria  rispetto  a  quella  generale  di
legittimita',  per  «la  inscindibilita' delle questioni di interesse
legittimo  e di diritto soggettivo, e per la prevalenza delle prime»,
le  quali  impongono  di  «aggiungere  la competenza del Consiglio di
Stato   per   i   diritti   soggettivi,   nelle  materie  particolari
specificamente   indicate  dalla  legge»  (Ruini,  Assemblea,  seduta
pomeridiana del 21 novembre 1947).
    3. - L'ambivalenza stessa della premessa, si e' rilevato, esclude
in   radice   che   possa   sostenersi   che  la  Costituzione  abbia
definitivamente   ed   immutabilmente  cristallizzato  la  situazione
esistente  nel  1948  circa  il  riparto di giurisdizione tra giudice
ordinario  e  giudice  amministrativo,  ma  deve anche escludersi che
dalla  Costituzione  non  si  desumano  i  confini  entro  i quali il
legislatore   ordinario,  esercitando  il  potere  discrezionale  suo
proprio  (piu' volte riconosciutogli da questa Corte), deve contenere
i  suoi  interventi volti a ridistribuire le funzioni giurisdizionali
tra  i  due ordini di giudici: a cio' non ostando la circostanza che,
per  la  prima volta in un testo normativo, e' nella Costituzione che
compare, e ripetutamente, la locuzione «interessi legittimi».
    Si  e'  detto  della chiara opzione del Costituente in favore del
riconoscimento  al  giudice  amministrativo  della  piena dignita' di
giudice:  riconoscimento  per  il  quale  milita,  oltre  e  piu' che
l'apprezzamento,  piu' volte espresso nell'Assemblea costituente, per
l'indipendenza  con  la  quale  il  Consiglio  di Stato aveva operato
durante  il  regime  fascista,  la  circostanza  che  l'art. 24 Cost.
assicura  agli interessi legittimi - la cui tutela l'art. 103 riserva
al  giudice  amministrativo  -  le  medesime  garanzie  assicurate ai
diritti  soggettivi  quanto alla possibilita' di farli valere davanti
al  giudice  ed  alla  effettivita' della tutela che questi deve loro
accordare.
    Si  e'  anche  sostenuto  che,  in  presenza  di tale opzione, il
principio dell'unicita' della giurisdizione - espresso dall'art. 102,
con  riguardo al giudice, e riflesso nell'art. 113, con riguardo alle
forme  di  tutela  garantite  al cittadino - sta a significare che in
nessun  caso  il  legislatore  ordinario puo' far si' che la pubblica
amministrazione  sia, in quanto tale, assoggettata ad una particolare
giurisdizione,   ovvero   sottratta  alla  giurisdizione  alla  quale
soggiace  «qualsiasi litigante privato»: la specialita' di un giudice
puo'  fondarsi  esclusivamente  sul  fatto che questo sia chiamato ad
assicurare  la  giustizia  «nell'amministrazione», e non mai sul mero
fatto che parte in causa sia la pubblica amministrazione.
    3.1.  -  Alla  luce  di  tali  principi  occorre  valutare  se la
disciplina  introdotta,  in  punto  di giurisdizione esclusiva, dalla
legge  n. 205  del  2000  e'  tale  da confliggere con essi; cio' che
equivale  a  chiedersi  se  quei principi conformino la giurisdizione
esclusiva,   ritenuta   ammissibile   dalla   Costituzione,  in  modo
incompatibile con la disciplina dettata dalla legge de qua.
    Si e' rilevato (sub 2.1.) che i rimettenti ricordano diffusamente
come  la  giurisdizione  esclusiva  -  fino  al  1990  confinata  nei
ristretti  limiti  segnati dagli artt. 29 del t.u. n. 1054 del 1924 e
5,  comma 1, della legge n. 1034 del 1971 (ma adde gli artt. 11 della
legge  n. 1185  del  1967;  32  della legge n. 426 del 1971; 16 della
legge  n. 10  del 1977; 6 della legge n. 440 del 1978; 35 della legge
n. 47  del  1985;  11  della  legge  n. 210  del  1985)  -  sia stata
notevolmente   estesa   a   partire   da   tale   anno   contemplando
l'impugnazione   degli   atti  delle  c.d.  autorita'  amministrative
indipendenti  (artt. 33  della  legge  n. 287  del 1990; 7 del d.lgs.
n. 74  del 1992; 10 della legge n. 109 del 1994; 2 della legge n. 481
del 1995; 1 della legge n. 249 del 1997) nonche' quella degli accordi
tra  privati  e  pubblica  amministrazione (artt. 11 e 15 della legge
n. 241  del  1990;  legge  n. 537  del  1993); ma tale estensione non
appare  loro  confliggente  con  alcun  parametro  costituzionale  in
quanto,  osservano,  pur  sempre  limitata  a specifiche controversie
connotate  non  gia'  da una generica rilevanza pubblicistica, bensi'
dall'intreccio  di situazioni soggettive qualificabili come interessi
legittimi e come diritti soggettivi.
    La  giurisdizione  esclusiva  introdotta,  viceversa, dalla legge
n. 205  del  2000  sarebbe  qualitativamente  diversa  e,  come tale,
incompatibile con il dettato costituzionale.
    3.2.  - Le censure che si sono sinteticamente riferite (sub 2.1.)
colgono  nel segno nella parte in cui denunciano l'adozione, da parte
del  legislatore ordinario del 1998-2000, di un'idea di giurisdizione
esclusiva ancorata alla pura e semplice presenza, in un certo settore
dell'ordinamento,  di un rilevante pubblico interesse; un'idea - come
osservano i rimettenti - che presuppone l'approvazione (mai avvenuta)
di  quel  progetto  di  riforma  (Atto  Camera 7465 XIII Legislatura)
dell'art. 103 Cost. secondo il quale «la giurisdizione amministrativa
ha  ad  oggetto le controversie con la pubblica amministrazione nelle
materie indicate dalla legge».
    E'  evidente,  viceversa,  che  il vigente art. 103, primo comma,
Cost.  non  ha  conferito  al  legislatore  ordinario una assoluta ed
incondizionata    discrezionalita'   nell'attribuzione   al   giudice
amministrativo  di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva,
ma gli ha conferito il potere di indicare «particolari materie» nelle
quali  «la  tutela  nei  confronti  della  pubblica  amministrazione»
investe «anche» diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale puo'
dirsi, al negativo, che non e' ne' assoluto ne' incondizionato, e del
quale,  in  positivo,  va  detto che deve considerare la natura delle
situazioni  soggettive  coinvolte,  e non fondarsi esclusivamente sul
dato, oggettivo, delle materie.
    Tale  necessario collegamento delle «materie» assoggettabili alla
giurisdizione  esclusiva  del  giudice  amministrativo  con la natura
delle  situazioni  soggettive - e cioe' con il parametro adottato dal
Costituente  come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria
ed  amministrativa  - e' espresso dall'art. 103 laddove statuisce che
quelle materie devono essere «particolari» rispetto a quelle devolute
alla   giurisdizione   generale   di  legittimita':  e  cioe'  devono
partecipare  della  loro medesima natura, che e' contrassegnata della
circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorita' nei
confronti  della  quale  e'  accordata tutela al cittadino davanti al
giudice amministrativo.
    Il   legislatore   ordinario   ben  puo'  ampliare  l'area  della
giurisdizione  esclusiva purche' lo faccia con riguardo a materie (in
tal   senso,   particolari)  che,  in  assenza  di  tale  previsione,
contemplerebbero   pur   sempre,  in  quanto  vi  opera  la  pubblica
amministrazione-autorita', la giurisdizione generale di legittimita':
con  il  che, da un lato, e' escluso che la mera partecipazione della
pubblica  amministrazione  al  giudizio  sia  sufficiente  perche' si
radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero
assumerebbe le sembianze di giudice «della» pubblica amministrazione:
con  violazione  degli  artt. 25  e  102,  secondo  comma,  Cost.) e,
dall'altro   lato,   e'  escluso  che  sia  sufficiente  il  generico
coinvolgimento  di  un  pubblico interesse nella controversia perche'
questa possa essere devoluta al giudice amministrativo.
    3.3.  -  E'  appena  il  caso di rilevare che, ove il legislatore
ordinario  si  attenga  ai  criteri  appena  enunciati, si risolve in
radice  anche  il  problema  che  i  rimettenti  pongono con riguardo
all'art. 111,   settimo   comma,  Cost.:  e'  sufficiente  osservare,
infatti,  che e' la stessa Carta costituzionale a prevedere che siano
sottratte  al  vaglio  di  legittimita'  della Corte di cassazione le
pronunce  che investono i diritti soggettivi nei confronti dei quali,
nel  rispetto  della  «particolarita»  della  materia nel senso sopra
(3.2)  chiarito,  il  legislatore  ordinario prevede la giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo.
    3.4. - Alla luce di tali criteri - desumibili dalla lettera delle
norme  nelle  quali  si  e'  incarnata, nella Costituzione, la storia
della  giustizia  amministrativa  in  Italia  - la disciplina dettata
dall'art. 7   della  legge  n. 205  del  2000,  nella  parte  in  cui
sostituisce  gli  artt. 33  e  34  del  d.lgs. n. 80 del 1998, non e'
conforme a Costituzione.
    3.4.1.  - Va premesso che la dichiarazione di incostituzionalita'
non  investe  in  alcun modo - nonostante i rimettenti ne adducano il
disposto  a sostegno delle loro censure - l'art. 7 della legge n. 205
del  2000,  nella  parte in cui (lettera c) sostituisce l'art. 35 del
d.lgs.   n. 80   del   1998:   il   potere  riconosciuto  al  giudice
amministrativo  di  disporre,  anche  attraverso la reintegrazione in
forma  specifica,  il risarcimento del danno ingiusto non costituisce
sotto   alcun   profilo  una  nuova  «materia»  attribuita  alla  sua
giurisdizione,  bensi'  uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a
quello  classico  demolitorio  (e/o  conformativo), da utilizzare per
rendere   giustizia   al   cittadino  nei  confronti  della  pubblica
amministrazione.
    L'attribuzione  di  tale potere non soltanto appare conforme alla
piena   dignita'   di  giudice  riconosciuta  dalla  Costituzione  al
Consiglio  di Stato (sub 3), ma anche, e soprattutto, essa affonda le
sue  radici nella previsione dell'art. 24 Cost., il quale, garantendo
alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa
piena  ed  effettiva  tutela,  implica  che  il giudice sia munito di
adeguati  poteri; e certamente il superamento della regola (avvenuto,
peraltro, sovente in via pretoria nelle ipotesi olim di giurisdizione
esclusiva),   che   imponeva,  ottenuta  tutela  davanti  al  giudice
amministrativo,  di  adire il giudice ordinario, con i relativi gradi
di   giudizio,   per  vedersi  riconosciuti  i  diritti  patrimoniali
consequenziali  e  l'eventuale  risarcimento  del  danno (regola alla
quale  era  ispirato  anche  l'art. 13  della legge 19 febbraio 1992,
n. 142,   che  pure  era  di  derivazione  comunitaria),  costituisce
null'altro che attuazione del precetto di cui all'art. 24 Cost..
    3.4.2.  - La formulazione dell'art. 33 del d.lgs. n. 80 del 1998,
quale recata dall'art. 7, comma 1, lettera a), della legge n. 205 del
2000,  confligge con i criteri, quali si sono individuati sub 3.2. ai
quali  deve  ispirarsi la legge ordinaria quando voglia riservare una
«particolare   materia»  alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice
amministrativo.
    Ed  infatti,  non  soltanto  (e  non tanto) il riferimento ad una
materia (i pubblici servizi) dai confini non compiutamente delimitati
(se   non  in  relazione  all'ipotesi  di  concessione  prevista  fin
dall'art. 5  della  legge  n. 1034  del 1971), quanto, e soprattutto,
quello  a  «tutte  le  controversie»  ricadenti in tale settore rende
evidente che la «materia» cosi' individuata prescinde del tutto dalla
natura  delle  situazioni  soggettive  in  essa  coinvolte:  sicche',
inammissibilmente,  la  giurisdizione  esclusiva  si radica sul dato,
puramente  oggettivo, del normale coinvolgimento in tali controversie
di  quel  generico pubblico interesse che e' naturaliter presente nel
settore  dei  pubblici  servizi.  Ma, in tal modo, viene a mancare il
necessario  rapporto  di  species  a genus che l'art. 103 Cost. esige
allorche'  contempla,  come  «particolari»,  rispetto  a quelle nelle
quali  la pubblica amministrazione agisce quale autorita', le materie
devolvibili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
    Tale  conclusione  e' avvalorata dalla circostanza che il comma 2
della   norma   individua   esemplificativamente  («in  particolare»)
controversie,  quale  quella  incardinata  davanti  al giudice a quo,
nelle  quali puo' essere del tutto assente ogni profilo riconducibile
alla  pubblica  amministrazione-autorita':  e  certamente  le ipotesi
specificamente  censurate (lettere b ed e) sono tali da non resistere
al  vaglio di costituzionalita' in quanto non soltanto (come le altre
contemplate  dal  comma 2)  travolte  dalla  censura  che  investe la
previsione di «tutte le controversie in materia di pubblici servizi»,
ma   anche  perche',  ex  se,  integrano  ipotesi  nelle  quali  tali
controversie   non   vedono,   normalmente,   coinvolta  la  pubblica
amministrazione-autorita'.
    La   materia   dei   pubblici  servizi  puo'  essere  oggetto  di
giurisdizione  esclusiva  del  giudice  amministrativo  se in essa la
pubblica   amministrazione   agisce   esercitando   il   suo   potere
autoritativo  ovvero, attesa la facolta', riconosciutale dalla legge,
di   adottare   strumenti   negoziali   in  sostituzione  del  potere
autoritativo,  se  si  vale  di  tale  facolta'  (la quale, tuttavia,
presuppone  l'esistenza  del potere autoritativo: art. 11 della legge
n. 241   del   1990):   sicche',   conclusivamente,   va   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 33, comma 1, nella parte in
cui  prevede  che  sono  devolute  alla  giurisdizione  esclusiva del
giudice  amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici
servizi»  anziche'  le  controversie  in  materia di pubblici servizi
relative   a   concessioni   di   pubblici  servizi,  escluse  quelle
concernenti indennita', canoni ed altri corrispettivi (cosi' come era
previsto  fin  dall'art. 5  della  legge  n. 1034  del  1971), ovvero
relative  a  provvedimenti  adottati dalla pubblica amministrazione o
dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo
disciplinato  dalla  legge  n. 241  del  7 agosto 1990, ovvero ancora
relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e
controllo   nei  confronti  del  gestore  (cosi'  come  era  previsto
dall'art. 33, comma 2, lettere c) e d).
    Va   altresi'   dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  del
comma 2 della norma in esame.
    3.4.3.   -  Analoghi  rilievi  investono  la  nuova  formulazione
dell'art. 34  del  d.lgs.  n. 80  del 1998, quale recata dall'art. 7,
comma 1, lettera b), della legge n. 205 del 2000: formulazione che si
pone   in   contrasto   con  la  Costituzione  nella  parte  in  cui,
comprendendo  nella  giurisdizione  esclusiva  -  oltre «gli atti e i
provvedimenti»   attraverso  i  quali  le  pubbliche  amministrazioni
(direttamente  ovvero  attraverso  «soggetti alle stesse equiparati»)
svolgono  le  loro  funzioni pubblicistiche in materia urbanistica ed
edilizia  -  anche «i comportamenti», la estende a controversie nelle
quali   la   pubblica   amministrazione   non   esercita   -  nemmeno
mediatamente,   e   cioe'  avvalendosi  della  facolta'  di  adottare
strumenti intrinsecamente privatistici - alcun pubblico potere.
    Poiche',   mutatis  mutandis,  a  tale  previsione  dell'art. 34,
comma 1,  del  d.lgs.  n. 80  del  1998  si  attagliano  le  medesime
considerazioni   che   si  sono  esposte  (sub  3.4.2.)  a  proposito
dell'art. 33,     comma 1,    deve    dichiararsi    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1998, come
sostituito  dall'art. 7,  comma 1, lettera b), della legge n. 205 del
2000,  nella  parte  in  cui devolve alla giurisdizione esclusiva del
giudice  amministrativo le controversie aventi per oggetto «gli atti,
i  provvedimenti  e  i  comportamenti»  in  luogo  che  «gli atti e i
provvedimenti»  delle  amministrazioni  pubbliche e dei soggetti alle
stesse equiparati.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 33, comma 1,
del  decreto  legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in
materia   di   organizzazione   e   di   rapporti   di  lavoro  nelle
amministrazioni  pubbliche,  di  giurisdizione  nelle controversie di
lavoro  e  di  giurisdizione  amministrativa,  emanate  in attuazione
dell'articolo 11,  comma 4,  della  legge 15 marzo 1997, n. 59), come
sostituito dall'art. 7, lettera a, della legge 21 luglio 2000, n. 205
(Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), nella parte in
cui  prevede  che  sono  devolute  alla  giurisdizione  esclusiva del
giudice  amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici
servizi, ivi compresi quelli» anziche' «le controversie in materia di
pubblici  servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse
quelle  concernenti indennita', canoni ed altri corrispettivi, ovvero
relative  a  provvedimenti  adottati dalla pubblica amministrazione o
dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo
disciplinato   dalla  legge  7 agosto  1990,  n. 241,  ovvero  ancora
relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e
controllo nei confronti del gestore, nonche»;
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 33, comma 2,
del   medesimo   decreto   legislativo  31 marzo  1998,  n. 80,  come
sostituito  dall'art. 7,  lettera  a,  della  legge  21 luglio  2000,
n. 205;
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 34, comma 1,
del   medesimo   decreto   legislativo  31 marzo  1998,  n. 80,  come
sostituito  dall'art. 7,  lettera  b,  della  legge  21 luglio  2000,
n. 205,   nella   parte   in  cui  prevede  che  sono  devolute  alla
giurisdizione  esclusiva  del  giudice amministrativo le controversie
aventi  per  oggetto  «gli  atti,  i provvedimenti e i comportamenti»
anziche' «gli atti e i provvedimenti» delle pubbliche amministrazioni
e  dei  soggetti  alle  stesse  equiparati, in materia urbanistica ed
edilizia.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                      Il redattore: Vaccarella
                       Il cancelliere:Melatti
    Depositata in cancelleria il 6 luglio 2004.
                       Il cancelliere:Melatti
04C0836