N. 223 SENTENZA 8 - 15 luglio 2004
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Straniero - Reato di inottemperanza all'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale - Arresto in flagranza obbligatorio - Violazione dei limiti costituzionali entro cui l'autorita' di polizia e' legittimata ad adottare misure restrittive della liberta' personale, manifesta irragionevolezza in relazione alla funzione processuale della misura cautelare - Illegittimita' costituzionale in parte qua. - D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, inserito dal comma 1 dell'art. 13 della legge 30 luglio 2002, n. 189. - Costituzione, artt. 3 e 13, terzo comma (artt. 2, 10, 27, secondo comma, e 97, primo comma). Straniero - Reato di inottemperanza all'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale - Arresto in flagranza obbligatorio - Giudizio di convalida - Contestuale previsione del giudizio direttissimo e della necessaria concessione del nulla osta all'espulsione con conseguente sentenza di non luogo a procedere - Lamentata lesione dei principi sul giusto processo e compressione della giurisdizione - Questione rimessa da giudice che si e' spogliato del processo e non puo' piu' fare applicazione delle norme censurate - Manifesta inammissibilita'. - Cod. proc. pen., art. 558 e d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, artt. 13, commi 3, 3-bis, 3-quater, e 14, comma 5-quinquies, come modificati dalla legge n. 189 del 2002, in combinato disposto. - Costituzione, artt. 24, 101, secondo comma, e 111.(GU n.28 del 21-7-2004 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY; Giudici: Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale: dell'art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), inserito dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dal Tribunale di Torino con ordinanze del 9 novembre 2002 (3 ordinanze) e del 19 dicembre 2002, rispettivamente iscritte al n. 1, al n. 2, al n. 3 e al n. 111 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 e n. 12, 1ª serie speciale, dell'anno 2003; del combinato disposto dell'art. 558 del codice di procedura penale e degli artt. 13, commi 3, 3-bis, 3-quater, e 14, comma 5-quinquies, del predetto decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come modificati dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, promosso nell'ambito di un procedimento penale dal Tribunale di Firenze con ordinanza del 14 novembre 2002, iscritta al n. 72 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, 1ª serie speciale, dell'anno 2003. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 7 aprile 2004 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto in fatto 1. - Con tre ordinanze di identico contenuto (r.o. n. 1, n. 2 e n. 3 del 2003) il Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, terzo comma, e 97 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), inserito dal comma 1 dell'art. 13 della legge 30 luglio 2002, n. 189, nella parte in cui prevede che per il reato di cui al comma 5-ter dello stesso art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto. Il giudice a quo - premesso che procede all'udienza di convalida nei confronti di un cittadino straniero tratto in arresto nella flagranza del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998, per non avere ottemperato all'ordine, emesso dal questore a norma del comma 5-bis dello stesso art. 14, di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni - rileva che l'arresto obbligatorio e' previsto esclusivamente in relazione a fattispecie delittuose particolarmente gravi e che «denotano spiccatissima pericolosita' sociale», mentre il reato in oggetto ha natura contravvenzionale ed appare di modesta gravita', essendo punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno. La previsione dell'arresto obbligatorio si porrebbe quindi in contrasto con l'art. 3 Cost., sia per il maggior rigore della disciplina censurata rispetto a quella prevista per altri reati contravvenzionali, di pari o maggiore gravita', sia per l'irragionevole equiparazione operata con i gravi delitti elencati nell'art. 380 del codice di procedura penale. La disparita' di trattamento emergerebbe con particolare evidenza dal confronto con l'altra ipotesi di arresto in flagranza introdotta dalla legge n. 189 del 2002 (art. 13, commi 13 e 13-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998), concernente la condotta dello straniero espulso che rientra nel territorio dello Stato senza la speciale autorizzazione del Ministro dell'interno: per questa ipotesi infatti, ritenuta dal legislatore di pari gravita' sotto il profilo della pena edittale (arresto da sei mesi a un anno) e connotata da un «elemento intenzionale particolarmente evidente», e' previsto solo l'arresto facoltativo. Ad avviso del giudice a quo la disposizione censurata viola anche l'art. 13 Cost., non integrando gli estremi dei «casi eccezionali di necessita' ed urgenza» che possono legittimare l'adozione da parte dell'«autorita' amministrativa» di provvedimenti provvisori incidenti sullo status libertatis; in particolare, poiche' l'arresto in flagranza e' previsto solo in relazione a fattispecie per le quali il giudice puo', all'esito del giudizio di convalida, applicare una misura cautelare, il provvedimento restrittivo della liberta' risulta «privo di senso laddove sia esclusa ab origine la possibilita' di applicare una misura cautelare in sede di convalida». Inoltre, prosegue il rimettente, dal momento che nessuna disposizione consente al giudice di adottare una misura cautelare in relazione alla fattispecie in esame, l'arresto operato dalla polizia giudiziaria «e' destinato per sua stessa natura a sfociare immediatamente nella liberazione dell'arrestato». In realta', tale provvedimento dovrebbe essere adottato ancor prima dallo stesso pubblico ministero, che ai sensi dell'art. 121 delle norme di attuazione del codice di procedura penale ha l'obbligo, non appena informato dell'arresto, di porre immediatamente in liberta' l'arrestato quando ritiene di non dover chiedere l'applicazione di misure coercitive, posto che tale disposizione e' operante «a fortiori nelle ipotesi in cui l'applicazione di misure cautelari sia vietata ex lege, a prescindere da ogni valutazione discrezionale del pubblico ministero». Ad avviso del rimettente, l'arresto non sarebbe giustificato neppure ove lo si ritenga finalizzato a creare lo status detentionis necessario per procedere a carico dello straniero con il rito direttissimo e per consentire di adottare, in caso di condanna, il previsto provvedimento di espulsione, in quanto il giudizio direttissimo non richiede necessariamente lo stato di detenzione dell'imputato, ma «presuppone semmai una situazione di particolare evidenza della prova». Inoltre, conclude sul punto il rimettente, se difficolta' operative, quali la mancata identificazione o la mancanza di un vettore disponibile, hanno impedito di dare corso all'espulsione dello straniero, «non saranno certo poche ore di custodia [...] che potranno modificare tale situazione di impotenza»: anche sotto questo profilo, l'arresto risulta quindi privo di qualsiasi utilita' e non appare giustificato da alcuna ragione di necessita' e di urgenza. La disposizione censurata sarebbe anche in contrasto con l'art. 97 Cost. in quanto comporta un sensibile aggravio di lavoro sia per gli organi di polizia giudiziaria, costretti a procedere obbligatoriamente all'arresto senza alcun margine di discrezionalita', sia per gli organi dell'amministrazione penitenziaria, sia per gli stessi tribunali che devono celebrare udienze di convalida dall'epilogo del tutto scontato. Sostiene infine il rimettente che la liberazione dell'arrestato non incide sulla rilevanza della questione, in quanto la convalida dell'arresto tende ad accertare la legittimita' dell'operato della polizia giudiziaria e prescinde, quindi, dallo stato di detenzione dell'imputato. 1.1 - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o, comunque, infondata. L'Avvocatura rileva preliminarmente che l'avvenuta liberazione dell'arrestato presuppone necessariamente la definizione del giudizio di convalida; nel merito, osserva che la disciplina censurata e' giustificata dall'«esigenza di prevenzione sociale» di impedire che lo straniero che viola l'ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato possa trattenersi ulteriormente in Italia e rendersi irreperibile. 2. - Altra sezione dello stesso Tribunale di Torino (r.o. n. 111 del 2003) ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, primo e terzo comma, 27, secondo comma, e 97, primo comma, Cost., analoga questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies. Il giudice a quo, che procede all'udienza di convalida nei confronti di un cittadino straniero tratto in arresto nella flagranza del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, svolge considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle contenute nelle precedenti ordinanze del medesimo Tribunale e ritiene che la disposizione censurata sia in contrasto in primo luogo con l'art. 3 Cost., in quanto l'istituto dell'arresto obbligatorio nella flagranza di reato riguarda esclusivamente delitti di particolare gravita', mentre la condotta in esame integra una semplice contravvenzione, peraltro punita con sanzione assai modesta. La disposizione violerebbe anche l'art. 13 Cost., perche' l'arresto in flagranza da parte della polizia giudiziaria ha natura di «provvedimento provvisorio», «finalizzato [...] alla successiva applicazione da parte del giudice di un provvedimento propriamente cautelare», mentre la contravvenzione in parola non consente l'adozione da parte del giudice di alcuna misura cautelare. L'art. 14, comma 5-quinquies, sarebbe inoltre in contrasto con l'art. 27, secondo comma, Cost., in quanto l'arresto, non avendo funzione `precautelare', ne' essendo comunque utile per le indagini o per l'esecuzione della pena, assumerebbe i connotati di «un provvedimento restrittivo dal contenuto sostanzialmente sanzionatorio». Sarebbero altresi' violati gli artt. 2 e 13, primo comma, Cost., in quanto l'arresto obbligatorio, avendo solo una impropria funzione sanzionatoria, finisce per comprimere ingiustificatamente il principio della inviolabilita' della liberta' personale. La norma impugnata sarebbe da ultimo in contrasto con l'art. 97 Cost., comportando un sensibile aggravio di lavoro sia per gli organi di polizia giudiziaria, sia per gli organi dell'amministrazione penitenziaria sia, infine, per gli stessi tribunali. 2.1 - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. 3. - Il Tribunale di Firenze (r.o. n. 72 del 2003) dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 24, 101, secondo comma, e 111 della Costituzione, della legittimita' costituzionale del combinato disposto dell'art. 558 del codice di procedura penale, nonche' degli artt. 13 (commi 3, 3-bis, 3-quater), e 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo n. 286 del 1998, come modificati dalla legge n. 189 del 2002, nella parte in cui da un lato prevede (art. 14, comma 5-quinquies) che per il reato contravvenzionale di cui all'art. 14, comma 5-ter, e' obbligatorio l'arresto e si procede con rito direttissimo, dall'altro impone al giudice di concedere, all'atto della convalida, il nulla osta all'espulsione (non ricorrendo le «inderogabili esigenze processuali» di cui all'art. 13, comma 3, a sua volta richiamato dal comma 3-bis) e di pronunciare quindi sentenza di non luogo a procedere (a norma dell'art. 13, comma 3-quater, atteso che la presentazione dell'arrestato al giudice del dibattimento ex art. 558 cod. proc. pen. non costituisce provvedimento che dispone il giudizio). Il Tribunale premette di essere investito della richiesta di convalida dell'arresto nei confronti di uno straniero in relazione al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, e del conseguente giudizio direttissimo a norma del combinato disposto degli artt. 558 codice di procedura penale e 14, comma 5-quinquies, e che, in forza di tali disposizioni, «l'arresto dell'imputato [...] dovrebbe essere convalidato e si dovrebbe procedere a giudizio direttissimo». Ad avviso del rimettente l'arresto obbligatorio per la fattispecie di cui all'art. 14, comma 13-ter, punita nel massimo con la pena di un anno di arresto e percio' ritenuta all'evidenza di scarsa gravita' dallo stesso legislatore, si porrebbe in primo luogo in contrasto con gli artt. 2, 3 e 10 Cost., violando il principio di eguaglianza che, in relazione ad una normativa destinata ad incidere su diritti inviolabili garantiti da trattati internazionali, quali quelli riconosciuti dagli artt. 5 e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali a chi sia privato della liberta' personale, non consente disparita' di trattamento tra cittadini e stranieri. Ulteriori dubbi di illegittimita' costituzionale sarebbero ravvisabili nella disciplina del giudizio direttissimo conseguente alla convalida, inesorabilmente destinato ad esaurirsi con una «pronuncia non di merito». Difatti, prosegue il rimettente, nei confronti dell'arrestato non puo' certamente essere disposta la custodia cautelare in carcere, non consentita per reati contravvenzionali, e quindi lo straniero sottoposto a procedimento penale deve essere espulso dal questore, previo nulla osta del giudice all'atto della convalida, che nel caso di specie non potrebbe essere negato; di conseguenza, intervenendo l'espulsione nei confronti di un imputato presentato al giudice del dibattimento per la convalida dell'arresto ex art. 558 codice di procedura penale e non potendo tale provvedimento essere equiparato a quello che dispone il giudizio di cui al comma 3-quater del medesimo art. 13, il giudice dovra' limitarsi a pronunciare sentenza di non luogo procedere. Tale sentenza priverebbe pero' lo straniero del diritto di accedere ad un giusto processo quanto ai fatti contestati, con chiara violazione degli artt. 111 e 24 Cost., nonche' degli artt. 5 e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, che prevedono il diritto per ogni persona privata della propria liberta' di presentare ricorso davanti ad un tribunale affinche' decida sulla legittimita' della propria detenzione. La disciplina censurata violerebbe percio' anche l'art. 13 Cost., configurando «un caso di [...] arresto obbligatorio, che non trova il suo naturale sbocco nell'esercizio dell'azione penale e nel conseguente vaglio giurisdizionale sul merito dell'accusa», e l'art. 101, secondo comma, Cost., in quanto espropria il giudice «dell'esercizio della giurisdizione» e lo assoggetta «ad una decisione amministrativa del questore, dalla quale deriva il contenuto necessitato della sua pronuncia». Conclusivamente, il Tribunale rimettente, ritenendo i prospettati dubbi di illegittimita' rilevanti ai fini della decisione sulla convalida dell'arresto, ha sospeso il «giudizio di convalida, limitatamente al reato in esame» e, affermando che «non puo' farsi luogo al giudizio direttissimo, la cui celebrazione presuppone l'avvenuta convalida dell'arresto, che in questo caso manca, in forza della sospensione» e che «non sembra [...] si possa sospendere anche il giudizio direttissimo, che non e' ancora instaurato», ha disposto «la restituzione degli atti al pubblico ministero perche' proceda, per questo reato, con il rito ordinario». 3.1 - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate. In particolare l'Avvocatura osserva che, essendo state sollevate tutte le questioni nella fase della convalida dell'arresto, sono all'evidenza inammissibili le censure concernenti il giudizio direttissimo, in quanto non finalizzate alla definizione del giudizio a quo, che concerne esclusivamente la misura precautelare, tanto piu' che in relazione al giudizio di merito il rimettente ha restituito gli atti al pubblico ministero perche' proceda con le forme ordinarie. Peraltro, secondo l'Avvocatura, tale provvedimento chiuderebbe addirittura la fase della convalida, ex art. 558, comma 5, codice di procedura penale, cosicche' le questioni sollevate sarebbero irrilevanti anche in relazione al giudizio di convalida, di fatto gia' «definito con statuizione di merito e restituzione degli atti al pubblico ministero». Nel merito le questioni sarebbero, comunque, infondate. Quanto alla dedotta violazione del principio di ragionevolezza, l'Avvocatura ritiene che la previsione dell'arresto obbligatorio nella flagranza di reati contravvenzionali rappresenta una scelta di politica criminale del legislatore esercitata discrezionalmente a seconda dei diversi momenti storico-sociali, in ragione dell'interesse dello Stato alla tutela del bene protetto dal reato. In particolare, la previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione di cui all'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998 risponderebbe alla «esigenza di prevenzione sociale» di impedire che lo straniero si trattenga ulteriormente nel territorio dello Stato e si renda irreperibile. E' pertanto «logico e coerente» che all'arresto obbligatorio consegua altresi' il giudizio direttissimo e, in caso di condanna, una nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica. Considerato in diritto 1. - Il Tribunale di Torino (r.o. n. 1, n. 2, n. 3 e n. 111 del 2003) e il Tribunale di Firenze (r.o. n. 72 del 2003) dubitano, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 13, 27, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), inserito dal comma 1 dell'art. 13 della legge 30 luglio 2002, n. 189, nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio dello straniero colto nella flagranza della contravvenzione di cui all'art. 14, comma 5-ter, del medesimo decreto, per essersi trattenuto senza giustificato motivo nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale entro il termine di cinque giorni. Il Tribunale di Firenze solleva anche, in riferimento agli artt. 24, 101, secondo comma, e 111 Cost., questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 558 del codice di procedura penale e 13, commi 3, 3-bis e 3-quater, e 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo n. 286 del 1998, come modificati dalla legge n. 189 del 2002, nella parte in cui da un lato prevede il ricorso al giudizio direttissimo, dall'altro imporrebbe al giudice di concedere, all'atto della convalida dell'arresto, il nulla osta all'espulsione e di pronunciare, quindi, sentenza di non luogo a procedere. 2. - Poiche' tutti i rimettenti sollevano questioni relative alla disciplina dell'arresto obbligatorio dello straniero colto in flagranza del reato di inottemperanza all'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale, prevista dall'art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo n. 286 del 1998, ed il Tribunale di Firenze solleva questione della medesima disposizione anche nella parte in cui prevede che si proceda a giudizio direttissimo, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi. 3. - Per quanto attiene al primo gruppo di questioni, il nucleo centrale delle censure si sostanzia nella violazione degli artt. 3 e 13, terzo comma, Cost. Le questioni sono fondate. 3.1 - Al riguardo, si deve in primo luogo precisare che secondo l'ordinamento processuale le misure coercitive possono essere applicate solo quando si procede per un delitto e, in particolare, ai sensi dell'art. 280 cod. proc. pen., per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero, nel caso in cui sia applicata la misura della custodia cautelare in carcere, non inferiore nel massimo a quattro anni; nell'ipotesi di convalida dell'arresto l'art. 391, comma 5, cod. proc. pen. consente l'applicazione di una misura coercitiva al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 280 dello stesso codice, ma limitatamente ai delitti di cui all'art. 381, comma 2, o ai delitti per i quali e' consentito l'arresto anche fuori dei casi di flagranza. La norma censurata prevede invece l'arresto obbligatorio per un reato contravvenzionale, per di piu' sanzionato con una pena detentiva, l'arresto da sei mesi a un anno, di gran lunga inferiore a quella per cui il codice ammette la possibilita' di disporre misure coercitive. Ne consegue - attesa l'autonomia tra il giudizio di convalida, volto a verificare ex post la legittimita' dell'operato dell'autorita' di polizia, e la protrazione dello stato di privazione della liberta' personale, per la quale e' richiesto un ulteriore e autonomo provvedimento (ordinanza n. 297 del 2001) - che il giudice chiamato a pronunciarsi sulla convalida dell'arresto per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998 deve comunque disporre l'immediata liberazione dell'arrestato ex art. 391, comma 6, cod. proc. pen., ove non vi abbia gia' provveduto il pubblico ministero a norma dell'art. 121 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, posto che per tale reato la legge gli preclude di disporre la custodia cautelare in carcere e, piu' in generale, qualsiasi misura coercitiva. In questa situazione non potrebbe quindi neppure trovare applicazione quell'orientamento giurisprudenziale per il quale nel giudizio direttissimo il giudice non e' tenuto a pronunciarsi sul mantenimento della custodia cautelare subito dopo la convalida dell'arresto, potendo la relativa ordinanza essere emessa in un momento successivo, durante il dibattimento o all'esito dello stesso unitamente alla sentenza che definisce il giudizio, dal momento che tale orientamento presuppone comunque che il reato per cui si procede consenta l'applicazione di una misura custodiale, e cioe' che il provvedimento cautelare sia, per lo meno in astratto, ammissibile in relazione alla fattispecie dedotta in giudizio. L'arresto obbligatorio previsto dall'art. 14, comma 5-quinquies, e' dunque privo di qualsiasi sbocco sul terreno processuale, e' una misura fine a se stessa, che non potra' mai trasformarsi nella custodia cautelare in carcere, ne' in qualsiasi altra misura coercitiva, e non trova alcuna copertura costituzionale. In particolare, a norma dell'art. 13, terzo comma, Cost., all'autorita' di polizia e' consentito adottare provvedimenti provvisori restrittivi della liberta' personale solo quando abbiano natura servente rispetto alla tutela di esigenze previste dalla Costituzione, tra cui in primo luogo quelle connesse al perseguimento delle finalita' del processo penale, tali da giustificare, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della liberta' personale in vista dell'intervento dell'autorita' giudiziaria. Ove - come nel caso di specie - non sia dato riscontrare alcun rapporto di strumentalita' tra il provvedimento provvisorio di privazione della liberta' personale e il procedimento penale avente ad oggetto il reato per cui e' stato disposto l'arresto obbligatorio in flagranza, viene meno, come questa Corte ha in piu' occasioni rilevato, la giustificazione costituzionale della restrizione della liberta' disposta dall'autorita' di polizia (v., ad esempio, con riferimento al codice di procedura penale del 1930, sentenza n. 173 del 1971, nella quale gli estremi della necessita' e urgenza giustificativi del provvedimento restrittivo della liberta' personale sono individuati nelle esigenze processuali di acquisizione e conservazione delle prove; sentenza n. 305 del 1996, secondo cui la «misura precautelare provvisoria [...] puo' essere adottata solo nella ragionevole prognosi di una sua trasformazione ope iudicis in una misura cautelare piu' stabile»). Pertanto la misura «precautelare» prevista dall'art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo n. 286 del 1998, non essendo finalizzata all'adozione di alcun provvedimento coercitivo, si risolve in una limitazione «provvisoria» della liberta' personale priva di qualsiasi funzione processuale ed e' quindi, sotto questo aspetto, manifestamente irragionevole. 3.2 - La disciplina censurata non trova valida giustificazione neppure ove la si voglia ritenere finalizzata, sia pure impropriamente, ad assicurare l'espulsione amministrativa dello straniero che non abbia ottemperato all'ordine di allontanarsi dal territorio dello Stato. I richiami al procedimento di espulsione amministrativa contenuti nei commi 5-ter e 5-quinquies dell'art. 14 del decreto legislativo n. 286 del 1998 dimostrano, infatti, che tale procedimento seguirebbe il suo corso a prescindere dall'arresto dello straniero, destinato comunque a rimanere privo di effetti decorso il termine massimo di novantasei ore previsto per la convalida dall'art. 13, terzo comma, Cost. L'art. 14, comma 5-ter, dopo aver definito la fattispecie di trattenimento senza giustificato motivo nel territorio dello Stato, dispone che in «tale caso si procede a nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica», con evidente riferimento alla disciplina di cui all'art. 13, commi 4 (v. sentenza n. 105 del 2001) e 5-bis (v. sentenza n. 222 del 2004); dal canto suo l'art. 14, comma 5-quinquies, prevede nel secondo periodo che, al fine di assicurare l'esecuzione dell'espulsione, ove non sia possibile eseguirla con immediatezza mediante accompagnamento alla frontiera, il questore puo' disporre il trattenimento dello straniero presso il centro di permanenza temporanea di cui al comma 1. L'arresto in flagranza per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, non costituisce dunque un presupposto del procedimento amministrativo di espulsione, atteso che l'accompagnamento alla frontiera e il trattenimento in un centro di permanenza temporanea sono autonomamente previsti nei commi 5-ter e 5-quinquies dell'art. 14, che fanno riferimento alle discipline descritte nell'art. 13, commi 4 e 5-bis, e nello stesso art. 14, comma 1, operanti a prescindere dal previo arresto dello straniero. 3.3 - Conclusivamente, deve essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 13 Cost., dell'art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo n. 286 del 1998, nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto. Restano cosi' assorbite le censure prospettate in riferimento agli altri parametri. 4. - L'ulteriore questione sollevata dal Tribunale di Firenze in relazione alla previsione del giudizio direttissimo e alla disciplina che imporrebbe al giudice di concedere, all'atto della convalida dell'arresto, il nulla osta all'espulsione e di pronunciare quindi sentenza di non luogo a procedere, e' manifestamente inammissibile. Dall'ordinanza di rimessione emerge che il Tribunale rimettente ha sospeso il giudizio di convalida dell'arresto in relazione al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998 e, rilevato che per tale reato non si poteva fare luogo al giudizio direttissimo, la cui celebrazione presupponeva l'avvenuta convalida dell'arresto, ha ordinato «la restituzione degli atti al pubblico ministero perche' proceda, per questo reato, con il rito ordinario». A prescindere dalla ritualita' del provvedimento con cui e' stata disposta la restituzione degli atti al pubblico ministero, non vi e' dubbio che il Tribunale rimettente si e' comunque spogliato del processo e non puo' piu' fare applicazione delle norme in relazione alle quali ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale, che deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi, 1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), inserito dal comma 1 dell'art. 13 della legge 30 luglio 2002, n. 189, nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del medesimo art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto; 2) dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto dell'art. 558 del codice di procedura penale, nonche' degli artt. 13, commi 3, 3-bis, 3-quater, e 14, comma 5-quinquies, del predetto decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come modificati dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, sollevata, in riferimento agli artt. 24, 101, secondo comma, e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze, con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004. Il Presidente: Zagrebelsky Il redattore: Neppi Modona Il cancelliere: Di Paola Depositata in cancelleria il 15 luglio 2004. Il direttore della cancelleria: Di Paola 04C0868