N. 223 SENTENZA 8 - 15 luglio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Straniero  -  Reato  di  inottemperanza  all'ordine  del  questore di
  lasciare   il   territorio   nazionale   -   Arresto  in  flagranza
  obbligatorio  -  Violazione  dei  limiti  costituzionali  entro cui
  l'autorita'   di   polizia   e'   legittimata  ad  adottare  misure
  restrittive della liberta' personale, manifesta irragionevolezza in
  relazione  alla  funzione  processuale  della  misura  cautelare  -
  Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, inserito
  dal comma 1 dell'art. 13 della legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione,  artt. 3  e 13, terzo comma (artt. 2, 10, 27, secondo
  comma, e 97, primo comma).
Straniero  -  Reato  di  inottemperanza  all'ordine  del  questore di
  lasciare   il   territorio   nazionale   -   Arresto  in  flagranza
  obbligatorio  -  Giudizio di convalida - Contestuale previsione del
  giudizio direttissimo e della necessaria concessione del nulla osta
  all'espulsione  con conseguente sentenza di non luogo a procedere -
  Lamentata  lesione  dei principi sul giusto processo e compressione
  della  giurisdizione  -  Questione  rimessa  da  giudice  che si e'
  spogliato  del  processo  e  non  puo' piu' fare applicazione delle
  norme censurate - Manifesta inammissibilita'.
- Cod.   proc.  pen.,  art. 558  e  d.lgs.  25 luglio  1998,  n. 286,
  artt. 13,  commi 3,  3-bis, 3-quater, e 14, comma 5-quinquies, come
  modificati dalla legge n. 189 del 2002, in combinato disposto.
- Costituzione, artt. 24, 101, secondo comma, e 111.
(GU n.28 del 21-7-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei    giudizi    di   legittimita'   costituzionale:   dell'art. 14,
comma 5-quinquies,  del  decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), inserito
dall'art. 13,  comma 1,  della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica
alla  normativa  in  materia  di  immigrazione e di asilo), promossi,
nell'ambito  di  diversi procedimenti penali, dal Tribunale di Torino
con  ordinanze  del  9 novembre  2002 (3 ordinanze) e del 19 dicembre
2002,  rispettivamente iscritte al n. 1, al n. 2, al n. 3 e al n. 111
del  registro  ordinanze  2003  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 4 e n. 12, 1ª serie speciale, dell'anno 2003; del
combinato  disposto  dell'art. 558  del  codice di procedura penale e
degli  artt. 13,  commi 3,  3-bis, 3-quater, e 14, comma 5-quinquies,
del   predetto  decreto  legislativo  25 luglio  1998,  n. 286,  come
modificati  dalla  legge 30 luglio 2002, n. 189, promosso nell'ambito
di  un procedimento penale dal Tribunale di Firenze con ordinanza del
14 novembre  2002,  iscritta  al  n. 72 del registro ordinanze 2003 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, 1ª serie
speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 aprile 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con tre ordinanze di identico contenuto (r.o. n. 1, n. 2 e
n. 3  del  2003)  il Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3, 13, terzo comma, e 97 della Costituzione, questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-quinquies,  del
decreto   legislativo  25 luglio  1998,  n. 286  (Testo  unico  delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla  condizione dello straniero), inserito dal comma 1 dell'art. 13
della  legge  30 luglio  2002, n. 189, nella parte in cui prevede che
per   il  reato  di  cui  al  comma 5-ter  dello  stesso  art. 14  e'
obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto.
    Il  giudice a quo - premesso che procede all'udienza di convalida
nei  confronti  di  un  cittadino  straniero  tratto in arresto nella
flagranza  del  reato  di  cui  all'art. 14, comma 5-ter, del decreto
legislativo  n. 286  del  1998, per non avere ottemperato all'ordine,
emesso  dal questore a norma del comma 5-bis dello stesso art. 14, di
lasciare  il  territorio  nazionale  entro cinque giorni - rileva che
l'arresto  obbligatorio  e'  previsto  esclusivamente  in relazione a
fattispecie   delittuose   particolarmente   gravi  e  che  «denotano
spiccatissima  pericolosita'  sociale», mentre il reato in oggetto ha
natura  contravvenzionale  ed  appare  di  modesta  gravita', essendo
punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno.
    La  previsione  dell'arresto  obbligatorio  si porrebbe quindi in
contrasto  con  l'art. 3  Cost.,  sia  per  il  maggior  rigore della
disciplina  censurata  rispetto  a  quella  prevista  per altri reati
contravvenzionali,   di   pari   o   maggiore   gravita',   sia   per
l'irragionevole  equiparazione  operata  con i gravi delitti elencati
nell'art. 380 del codice di procedura penale.
    La disparita' di trattamento emergerebbe con particolare evidenza
dal  confronto con l'altra ipotesi di arresto in flagranza introdotta
dalla  legge n. 189 del 2002 (art. 13, commi 13 e 13-ter, del decreto
legislativo n. 286 del 1998), concernente la condotta dello straniero
espulso  che  rientra  nel  territorio  dello Stato senza la speciale
autorizzazione del Ministro dell'interno: per questa ipotesi infatti,
ritenuta dal legislatore di pari gravita' sotto il profilo della pena
edittale  (arresto da sei mesi a un anno) e connotata da un «elemento
intenzionale  particolarmente  evidente»,  e' previsto solo l'arresto
facoltativo.
    Ad avviso del giudice a quo la disposizione censurata viola anche
l'art. 13  Cost., non integrando gli estremi dei «casi eccezionali di
necessita'  ed  urgenza»  che possono legittimare l'adozione da parte
dell'«autorita' amministrativa» di provvedimenti provvisori incidenti
sullo   status  libertatis;  in  particolare,  poiche'  l'arresto  in
flagranza e' previsto solo in relazione a fattispecie per le quali il
giudice  puo',  all'esito  del  giudizio  di convalida, applicare una
misura cautelare, il provvedimento restrittivo della liberta' risulta
«privo  di  senso  laddove  sia esclusa ab origine la possibilita' di
applicare una misura cautelare in sede di convalida».
    Inoltre,   prosegue   il  rimettente,  dal  momento  che  nessuna
disposizione  consente al giudice di adottare una misura cautelare in
relazione  alla fattispecie in esame, l'arresto operato dalla polizia
giudiziaria   «e'   destinato   per  sua  stessa  natura  a  sfociare
immediatamente  nella  liberazione  dell'arrestato». In realta', tale
provvedimento  dovrebbe  essere  adottato  ancor  prima  dallo stesso
pubblico  ministero,  che  ai  sensi  dell'art. 121  delle  norme  di
attuazione  del  codice  di procedura penale ha l'obbligo, non appena
informato   dell'arresto,   di   porre   immediatamente  in  liberta'
l'arrestato  quando  ritiene  di non dover chiedere l'applicazione di
misure  coercitive,  posto  che  tale  disposizione  e'  operante  «a
fortiori  nelle ipotesi in cui l'applicazione di misure cautelari sia
vietata  ex lege, a prescindere da ogni valutazione discrezionale del
pubblico ministero».
    Ad  avviso  del  rimettente,  l'arresto  non sarebbe giustificato
neppure  ove lo si ritenga finalizzato a creare lo status detentionis
necessario  per  procedere  a  carico  dello  straniero  con  il rito
direttissimo  e  per  consentire di adottare, in caso di condanna, il
previsto   provvedimento   di   espulsione,  in  quanto  il  giudizio
direttissimo  non  richiede  necessariamente  lo  stato di detenzione
dell'imputato,  ma  «presuppone  semmai una situazione di particolare
evidenza della prova».
    Inoltre,   conclude  sul  punto  il  rimettente,  se  difficolta'
operative,  quali  la  mancata  identificazione  o  la mancanza di un
vettore  disponibile,  hanno  impedito  di  dare corso all'espulsione
dello  straniero,  «non saranno certo poche ore di custodia [...] che
potranno modificare tale situazione di impotenza»: anche sotto questo
profilo,  l'arresto  risulta quindi privo di qualsiasi utilita' e non
appare giustificato da alcuna ragione di necessita' e di urgenza.
    La   disposizione   censurata  sarebbe  anche  in  contrasto  con
l'art. 97  Cost.  in  quanto comporta un sensibile aggravio di lavoro
sia  per  gli  organi  di  polizia giudiziaria, costretti a procedere
obbligatoriamente     all'arresto     senza    alcun    margine    di
discrezionalita',    sia    per   gli   organi   dell'amministrazione
penitenziaria,  sia  per  gli  stessi  tribunali che devono celebrare
udienze di convalida dall'epilogo del tutto scontato.
    Sostiene  infine  il rimettente che la liberazione dell'arrestato
non  incide  sulla  rilevanza della questione, in quanto la convalida
dell'arresto  tende  ad  accertare la legittimita' dell'operato della
polizia  giudiziaria  e  prescinde, quindi, dallo stato di detenzione
dell'imputato.
    1.1 - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la questione sia dichiarata inammissibile per
difetto di rilevanza o, comunque, infondata.
    L'Avvocatura  rileva  preliminarmente  che l'avvenuta liberazione
dell'arrestato presuppone necessariamente la definizione del giudizio
di  convalida;  nel  merito,  osserva  che la disciplina censurata e'
giustificata  dall'«esigenza  di prevenzione sociale» di impedire che
lo   straniero  che  viola  l'ordine  del  questore  di  lasciare  il
territorio  dello  Stato  possa trattenersi ulteriormente in Italia e
rendersi irreperibile.
    2.  - Altra sezione dello stesso Tribunale di Torino (r.o. n. 111
del  2003)  ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, primo e
terzo  comma,  27,  secondo  comma, e 97, primo comma, Cost., analoga
questione     di     legittimita'     costituzionale    dell'art. 14,
comma 5-quinquies.
    Il  giudice  a  quo,  che  procede  all'udienza  di convalida nei
confronti di un cittadino straniero tratto in arresto nella flagranza
del  reato  di  cui  all'art. 14,  comma 5-ter, svolge considerazioni
sostanzialmente   analoghe   a   quelle  contenute  nelle  precedenti
ordinanze  del  medesimo  Tribunale  e  ritiene  che  la disposizione
censurata  sia  in  contrasto  in  primo luogo con l'art. 3 Cost., in
quanto  l'istituto dell'arresto obbligatorio nella flagranza di reato
riguarda  esclusivamente  delitti  di particolare gravita', mentre la
condotta  in  esame  integra  una  semplice contravvenzione, peraltro
punita con sanzione assai modesta.
    La   disposizione   violerebbe  anche  l'art. 13  Cost.,  perche'
l'arresto  in  flagranza da parte della polizia giudiziaria ha natura
di  «provvedimento  provvisorio»,  «finalizzato [...] alla successiva
applicazione  da  parte  del giudice di un provvedimento propriamente
cautelare»,   mentre   la  contravvenzione  in  parola  non  consente
l'adozione da parte del giudice di alcuna misura cautelare.
    L'art. 14,  comma 5-quinquies,  sarebbe  inoltre in contrasto con
l'art. 27,  secondo  comma,  Cost.,  in  quanto l'arresto, non avendo
funzione `precautelare', ne' essendo comunque utile per le indagini o
per   l'esecuzione   della  pena,  assumerebbe  i  connotati  di  «un
provvedimento     restrittivo     dal    contenuto    sostanzialmente
sanzionatorio».
    Sarebbero  altresi' violati gli artt. 2 e 13, primo comma, Cost.,
in  quanto l'arresto obbligatorio, avendo solo una impropria funzione
sanzionatoria,   finisce   per   comprimere   ingiustificatamente  il
principio della inviolabilita' della liberta' personale.
    La  norma  impugnata sarebbe da ultimo in contrasto con l'art. 97
Cost., comportando un sensibile aggravio di lavoro sia per gli organi
di  polizia  giudiziaria,  sia  per  gli  organi dell'amministrazione
penitenziaria sia, infine, per gli stessi tribunali.
    2.1 - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
    3.  -  Il  Tribunale  di Firenze (r.o. n. 72 del 2003) dubita, in
riferimento  agli artt. 2, 3, 10, 24, 101, secondo comma, e 111 della
Costituzione,   della   legittimita'   costituzionale  del  combinato
disposto  dell'art. 558 del codice di procedura penale, nonche' degli
artt. 13  (commi  3,  3-bis,  3-quater), e 14, comma 5-quinquies, del
decreto  legislativo  n. 286  del  1998,  come modificati dalla legge
n. 189  del  2002,  nella  parte  in cui da un lato prevede (art. 14,
comma 5-quinquies)   che   per  il  reato  contravvenzionale  di  cui
all'art. 14,  comma 5-ter, e' obbligatorio l'arresto e si procede con
rito   direttissimo,  dall'altro  impone  al  giudice  di  concedere,
all'atto   della   convalida,   il  nulla  osta  all'espulsione  (non
ricorrendo le «inderogabili esigenze processuali» di cui all'art. 13,
comma 3,  a  sua  volta  richiamato dal comma 3-bis) e di pronunciare
quindi  sentenza  di  non  luogo  a  procedere (a norma dell'art. 13,
comma 3-quater, atteso che la presentazione dell'arrestato al giudice
del   dibattimento  ex  art. 558  cod.  proc.  pen.  non  costituisce
provvedimento che dispone il giudizio).
    Il  Tribunale  premette  di  essere  investito della richiesta di
convalida dell'arresto nei confronti di uno straniero in relazione al
reato  di  cui  all'art. 14,  comma 5-ter, e del conseguente giudizio
direttissimo a norma del combinato disposto degli artt. 558 codice di
procedura  penale  e  14,  comma 5-quinquies, e che, in forza di tali
disposizioni,   «l'arresto   dell'imputato   [...]   dovrebbe  essere
convalidato e si dovrebbe procedere a giudizio direttissimo».
    Ad   avviso   del   rimettente   l'arresto  obbligatorio  per  la
fattispecie  di cui all'art. 14, comma 13-ter, punita nel massimo con
la  pena  di  un  anno  di arresto e percio' ritenuta all'evidenza di
scarsa  gravita' dallo stesso legislatore, si porrebbe in primo luogo
in  contrasto con gli artt. 2, 3 e 10 Cost., violando il principio di
eguaglianza  che, in relazione ad una normativa destinata ad incidere
su  diritti  inviolabili  garantiti da trattati internazionali, quali
quelli  riconosciuti  dagli  artt. 5  e  6  della  Convenzione per la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo e delle liberta' fondamentali a
chi  sia privato della liberta' personale, non consente disparita' di
trattamento tra cittadini e stranieri.
    Ulteriori   dubbi   di  illegittimita'  costituzionale  sarebbero
ravvisabili  nella  disciplina  del giudizio direttissimo conseguente
alla  convalida,  inesorabilmente  destinato  ad  esaurirsi  con  una
«pronuncia non di merito».
    Difatti, prosegue il rimettente, nei confronti dell'arrestato non
puo' certamente essere disposta la custodia cautelare in carcere, non
consentita   per  reati  contravvenzionali,  e  quindi  lo  straniero
sottoposto  a  procedimento  penale deve essere espulso dal questore,
previo  nulla osta del giudice all'atto della convalida, che nel caso
di  specie  non  potrebbe essere negato; di conseguenza, intervenendo
l'espulsione  nei  confronti di un imputato presentato al giudice del
dibattimento  per  la  convalida  dell'arresto  ex art. 558 codice di
procedura penale e non potendo tale provvedimento essere equiparato a
quello  che dispone il giudizio di cui al comma 3-quater del medesimo
art. 13,  il  giudice  dovra' limitarsi a pronunciare sentenza di non
luogo procedere.
    Tale  sentenza  priverebbe  pero'  lo  straniero  del  diritto di
accedere ad un giusto processo quanto ai fatti contestati, con chiara
violazione  degli  artt. 111  e  24  Cost., nonche' degli artt. 5 e 6
della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei diritti dell'uomo, che
prevedono  il diritto per ogni persona privata della propria liberta'
di  presentare ricorso davanti ad un tribunale affinche' decida sulla
legittimita'   della  propria  detenzione.  La  disciplina  censurata
violerebbe  percio'  anche  l'art. 13 Cost., configurando «un caso di
[...]  arresto  obbligatorio,  che  non  trova il suo naturale sbocco
nell'esercizio   dell'azione   penale   e   nel   conseguente  vaglio
giurisdizionale sul merito dell'accusa», e l'art. 101, secondo comma,
Cost.,   in   quanto   espropria  il  giudice  «dell'esercizio  della
giurisdizione»  e  lo assoggetta «ad una decisione amministrativa del
questore,  dalla  quale  deriva  il  contenuto  necessitato della sua
pronuncia».
    Conclusivamente, il Tribunale rimettente, ritenendo i prospettati
dubbi  di  illegittimita'  rilevanti  ai  fini  della decisione sulla
convalida   dell'arresto,  ha  sospeso  il  «giudizio  di  convalida,
limitatamente  al  reato  in esame» e, affermando che «non puo' farsi
luogo  al  giudizio  direttissimo,  la  cui  celebrazione  presuppone
l'avvenuta convalida dell'arresto, che in questo caso manca, in forza
della  sospensione» e che «non sembra [...] si possa sospendere anche
il  giudizio direttissimo, che non e' ancora instaurato», ha disposto
«la  restituzione  degli  atti al pubblico ministero perche' proceda,
per questo reato, con il rito ordinario».
    3.1 - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  le questioni siano dichiarate inammissibili o
comunque infondate.
    In  particolare l'Avvocatura osserva che, essendo state sollevate
tutte  le  questioni  nella  fase  della convalida dell'arresto, sono
all'evidenza   inammissibili   le  censure  concernenti  il  giudizio
direttissimo, in quanto non finalizzate alla definizione del giudizio
a quo, che concerne esclusivamente la misura precautelare, tanto piu'
che  in  relazione  al giudizio di merito il rimettente ha restituito
gli   atti  al  pubblico  ministero  perche'  proceda  con  le  forme
ordinarie.
    Peraltro,  secondo  l'Avvocatura,  tale provvedimento chiuderebbe
addirittura  la fase della convalida, ex art. 558, comma 5, codice di
procedura   penale,   cosicche'   le  questioni  sollevate  sarebbero
irrilevanti  anche  in  relazione  al giudizio di convalida, di fatto
gia' «definito con statuizione di merito e restituzione degli atti al
pubblico ministero».
    Nel merito le questioni sarebbero, comunque, infondate.
    Quanto  alla  dedotta violazione del principio di ragionevolezza,
l'Avvocatura  ritiene  che  la  previsione  dell'arresto obbligatorio
nella  flagranza di reati contravvenzionali rappresenta una scelta di
politica  criminale  del  legislatore  esercitata discrezionalmente a
seconda    dei    diversi   momenti   storico-sociali,   in   ragione
dell'interesse dello Stato alla tutela del bene protetto dal reato.
    In  particolare,  la  previsione dell'arresto obbligatorio per la
contravvenzione   di   cui   all'art. 14,  comma 5-ter,  del  decreto
legislativo   n. 286   del   1998  risponderebbe  alla  «esigenza  di
prevenzione  sociale»  di  impedire  che  lo  straniero  si trattenga
ulteriormente  nel territorio dello Stato e si renda irreperibile. E'
pertanto  «logico  e  coerente» che all'arresto obbligatorio consegua
altresi'  il  giudizio direttissimo e, in caso di condanna, una nuova
espulsione  con  accompagnamento  alla  frontiera a mezzo della forza
pubblica.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il Tribunale di Torino (r.o. n. 1, n. 2, n. 3 e n. 111 del
2003)  e  il  Tribunale di Firenze (r.o. n. 72 del 2003) dubitano, in
riferimento  agli  artt. 2, 3, 10, 13, 27, secondo comma, e 97, primo
comma,   della   Costituzione,   della   legittimita'  costituzionale
dell'art. 14,  comma 5-quinquies,  del  decreto legislativo 25 luglio
1998,   n. 286   (Testo   unico  delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero),  inserito  dal comma 1 dell'art. 13 della legge 30 luglio
2002, n. 189, nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio dello
straniero   colto   nella  flagranza  della  contravvenzione  di  cui
all'art. 14,   comma 5-ter,   del   medesimo   decreto,  per  essersi
trattenuto  senza  giustificato  motivo nel territorio dello Stato in
violazione   dell'ordine  del  questore  di  lasciare  il  territorio
nazionale entro il termine di cinque giorni.
    Il  Tribunale  di  Firenze  solleva  anche,  in  riferimento agli
artt. 24,  101, secondo comma, e 111 Cost., questione di legittimita'
costituzionale  del  combinato disposto degli artt. 558 del codice di
procedura   penale   e   13,   commi 3,   3-bis  e  3-quater,  e  14,
comma 5-quinquies,  del  decreto  legislativo  n. 286  del 1998, come
modificati dalla legge n. 189 del 2002, nella parte in cui da un lato
prevede il ricorso al giudizio direttissimo, dall'altro imporrebbe al
giudice di concedere, all'atto della convalida dell'arresto, il nulla
osta all'espulsione e di pronunciare, quindi, sentenza di non luogo a
procedere.
    2. - Poiche' tutti i rimettenti sollevano questioni relative alla
disciplina   dell'arresto   obbligatorio  dello  straniero  colto  in
flagranza  del  reato  di  inottemperanza  all'ordine del questore di
lasciare    il    territorio    nazionale,   prevista   dall'art. 14,
comma 5-quinquies,  del  decreto  legislativo  n. 286 del 1998, ed il
Tribunale  di  Firenze  solleva questione della medesima disposizione
anche   nella  parte  in  cui  prevede  che  si  proceda  a  giudizio
direttissimo, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi.
    3.  -  Per quanto attiene al primo gruppo di questioni, il nucleo
centrale  delle censure si sostanzia nella violazione degli artt. 3 e
13, terzo comma, Cost.
    Le questioni sono fondate.
    3.1  -  Al riguardo, si deve in primo luogo precisare che secondo
l'ordinamento   processuale   le  misure  coercitive  possono  essere
applicate solo quando si procede per un delitto e, in particolare, ai
sensi dell'art. 280 cod. proc. pen., per delitti per i quali la legge
stabilisce  la  pena  dell'ergastolo o della reclusione superiore nel
massimo  a  tre  anni ovvero, nel caso in cui sia applicata la misura
della  custodia  cautelare  in  carcere,  non inferiore nel massimo a
quattro  anni;  nell'ipotesi  di  convalida  dell'arresto l'art. 391,
comma 5,  cod.  proc.  pen.  consente  l'applicazione  di  una misura
coercitiva  al  di  fuori  dei  limiti di pena previsti dall'art. 280
dello stesso codice, ma limitatamente ai delitti di cui all'art. 381,
comma 2, o ai delitti per i quali e' consentito l'arresto anche fuori
dei casi di flagranza.
    La  norma  censurata prevede invece l'arresto obbligatorio per un
reato   contravvenzionale,  per  di  piu'  sanzionato  con  una  pena
detentiva, l'arresto da sei mesi a un anno, di gran lunga inferiore a
quella  per  cui il codice ammette la possibilita' di disporre misure
coercitive.  Ne  consegue  -  attesa  l'autonomia  tra il giudizio di
convalida,  volto  a  verificare ex post la legittimita' dell'operato
dell'autorita' di polizia, e la protrazione dello stato di privazione
della  liberta'  personale,  per la quale e' richiesto un ulteriore e
autonomo  provvedimento  (ordinanza n. 297 del 2001) - che il giudice
chiamato  a pronunciarsi sulla convalida dell'arresto per il reato di
cui all'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998
deve  comunque  disporre  l'immediata  liberazione  dell'arrestato ex
art. 391,  comma 6, cod. proc. pen., ove non vi abbia gia' provveduto
il pubblico ministero a norma dell'art. 121 delle norme di attuazione
del codice di procedura penale, posto che per tale reato la legge gli
preclude  di  disporre  la  custodia  cautelare in carcere e, piu' in
generale, qualsiasi misura coercitiva.
    In   questa   situazione  non  potrebbe  quindi  neppure  trovare
applicazione  quell'orientamento  giurisprudenziale  per il quale nel
giudizio  direttissimo  il  giudice  non e' tenuto a pronunciarsi sul
mantenimento  della  custodia  cautelare  subito  dopo  la  convalida
dell'arresto,  potendo  la  relativa  ordinanza  essere  emessa in un
momento  successivo, durante il dibattimento o all'esito dello stesso
unitamente  alla  sentenza che definisce il giudizio, dal momento che
tale orientamento presuppone comunque che il reato per cui si procede
consenta  l'applicazione  di  una  misura  custodiale, e cioe' che il
provvedimento  cautelare sia, per lo meno in astratto, ammissibile in
relazione alla fattispecie dedotta in giudizio.
    L'arresto  obbligatorio previsto dall'art. 14, comma 5-quinquies,
e'  dunque  privo di qualsiasi sbocco sul terreno processuale, e' una
misura  fine  a  se  stessa,  che  non  potra' mai trasformarsi nella
custodia   cautelare  in  carcere,  ne'  in  qualsiasi  altra  misura
coercitiva, e non trova alcuna copertura costituzionale.
    In   particolare,  a  norma  dell'art. 13,  terzo  comma,  Cost.,
all'autorita'   di   polizia  e'  consentito  adottare  provvedimenti
provvisori  restrittivi  della liberta' personale solo quando abbiano
natura  servente  rispetto  alla  tutela  di  esigenze previste dalla
Costituzione, tra cui in primo luogo quelle connesse al perseguimento
delle  finalita'  del  processo  penale,  tali  da  giustificare, nel
bilanciamento  tra  interessi  meritevoli  di  tutela,  il temporaneo
sacrificio   della   liberta'   personale  in  vista  dell'intervento
dell'autorita' giudiziaria.
    Ove  -  come  nel caso di specie - non sia dato riscontrare alcun
rapporto  di  strumentalita'  tra  il  provvedimento  provvisorio  di
privazione  della  liberta' personale e il procedimento penale avente
ad  oggetto il reato per cui e' stato disposto l'arresto obbligatorio
in  flagranza,  viene  meno,  come  questa Corte ha in piu' occasioni
rilevato,  la  giustificazione costituzionale della restrizione della
liberta'  disposta  dall'autorita'  di  polizia  (v., ad esempio, con
riferimento  al  codice di procedura penale del 1930, sentenza n. 173
del  1971,  nella  quale  gli  estremi  della  necessita'  e  urgenza
giustificativi del provvedimento restrittivo della liberta' personale
sono   individuati  nelle  esigenze  processuali  di  acquisizione  e
conservazione  delle  prove; sentenza n. 305 del 1996, secondo cui la
«misura  precautelare  provvisoria  [...]  puo'  essere adottata solo
nella  ragionevole  prognosi di una sua trasformazione ope iudicis in
una misura cautelare piu' stabile»).
    Pertanto  la  misura  «precautelare» prevista dall'art. 14, comma
5-quinquies,  del  decreto  legislativo  n. 286 del 1998, non essendo
finalizzata   all'adozione  di  alcun  provvedimento  coercitivo,  si
risolve  in  una  limitazione  «provvisoria» della liberta' personale
priva  di  qualsiasi  funzione processuale ed e' quindi, sotto questo
aspetto, manifestamente irragionevole.
    3.2  -  La  disciplina censurata non trova valida giustificazione
neppure   ove   la   si   voglia   ritenere   finalizzata,  sia  pure
impropriamente,   ad  assicurare  l'espulsione  amministrativa  dello
straniero  che  non  abbia ottemperato all'ordine di allontanarsi dal
territorio  dello  Stato.  I  richiami  al procedimento di espulsione
amministrativa  contenuti  nei commi 5-ter e 5-quinquies dell'art. 14
del decreto legislativo n. 286 del 1998 dimostrano, infatti, che tale
procedimento seguirebbe il suo corso a prescindere dall'arresto dello
straniero,  destinato comunque a rimanere privo di effetti decorso il
termine   massimo   di  novantasei  ore  previsto  per  la  convalida
dall'art. 13, terzo comma, Cost.
    L'art. 14,  comma 5-ter,  dopo  aver  definito  la fattispecie di
trattenimento  senza  giustificato motivo nel territorio dello Stato,
dispone  che  in  «tale  caso  si  procede  a  nuova  espulsione  con
accompagnamento  alla  frontiera  a  mezzo della forza pubblica», con
evidente  riferimento alla disciplina di cui all'art. 13, commi 4 (v.
sentenza  n. 105 del 2001) e 5-bis (v. sentenza n. 222 del 2004); dal
canto  suo  l'art. 14, comma 5-quinquies, prevede nel secondo periodo
che,  al fine di assicurare l'esecuzione dell'espulsione, ove non sia
possibile  eseguirla  con  immediatezza mediante accompagnamento alla
frontiera, il questore puo' disporre il trattenimento dello straniero
presso il centro di permanenza temporanea di cui al comma 1.
    L'arresto   in   flagranza  per  il  reato  di  cui  all'art. 14,
comma 5-ter,  non  costituisce dunque un presupposto del procedimento
amministrativo  di  espulsione,  atteso  che  l'accompagnamento  alla
frontiera  e  il  trattenimento in un centro di permanenza temporanea
sono   autonomamente   previsti   nei   commi 5-ter   e   5-quinquies
dell'art. 14,   che   fanno  riferimento  alle  discipline  descritte
nell'art. 13,  commi 4  e  5-bis,  e  nello  stesso art. 14, comma 1,
operanti a prescindere dal previo arresto dello straniero.
    3.3  -  Conclusivamente,  deve essere dichiarata l'illegittimita'
costituzionale,   per   violazione   degli   artt. 3   e   13  Cost.,
dell'art. 14,  comma 5-quinquies,  del decreto legislativo n. 286 del
1998,  nella  parte  in  cui stabilisce che per il reato previsto dal
comma 5-ter   del   medesimo   art. 14   e'   obbligatorio  l'arresto
dell'autore del fatto.
    Restano  cosi'  assorbite  le  censure prospettate in riferimento
agli altri parametri.
    4.  - L'ulteriore questione sollevata dal Tribunale di Firenze in
relazione alla previsione del giudizio direttissimo e alla disciplina
che  imporrebbe  al  giudice  di  concedere, all'atto della convalida
dell'arresto,  il  nulla  osta all'espulsione e di pronunciare quindi
sentenza di non luogo a procedere, e' manifestamente inammissibile.
    Dall'ordinanza  di  rimessione emerge che il Tribunale rimettente
ha  sospeso  il  giudizio  di  convalida dell'arresto in relazione al
reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286
del  1998  e, rilevato che per tale reato non si poteva fare luogo al
giudizio  direttissimo,  la  cui celebrazione presupponeva l'avvenuta
convalida  dell'arresto,  ha  ordinato «la restituzione degli atti al
pubblico  ministero  perche'  proceda,  per questo reato, con il rito
ordinario».
    A prescindere dalla ritualita' del provvedimento con cui e' stata
disposta  la restituzione degli atti al pubblico ministero, non vi e'
dubbio  che  il  Tribunale  rimettente  si  e' comunque spogliato del
processo  e  non puo' piu' fare applicazione delle norme in relazione
alle  quali ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale,
che  deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile per
difetto di rilevanza.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    1) dichiara    l'illegittimita'    costituzionale   dell'art. 14,
comma 5-quinquies,  del  decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), inserito
dal  comma 1  dell'art. 13  della legge 30 luglio 2002, n. 189, nella
parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5-ter del
medesimo art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto;
    2)  dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della questione di
legittimita'  costituzionale del combinato disposto dell'art. 558 del
codice  di  procedura penale, nonche' degli artt. 13, commi 3, 3-bis,
3-quater,  e  14, comma 5-quinquies, del predetto decreto legislativo
25 luglio  1998,  n. 286, come modificati dalla legge 30 luglio 2002,
n. 189,  sollevata, in riferimento agli artt. 24, 101, secondo comma,
e  111  della Costituzione, dal Tribunale di Firenze, con l'ordinanza
in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                     Il redattore: Neppi Modona
                      Il cancelliere: Di Paola
      Depositata in cancelleria il 15 luglio 2004.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
04C0868