N. 230 SENTENZA 8 - 16 luglio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale - Errori giudiziari - Ingiusta detenzione - Imputato
  prosciolto   in  relazione  ad  un  fatto  per  il  quale  e'  gia'
  intervenuto un giudicato - Equa riparazione - Ritenuta esclusione -
  Lamentata  disparita'  di  trattamento  rispetto  ai casi in cui il
  proscioglimento  e' dichiarato con le formule di cui al primo comma
  dell'art. 314  cod.  proc.  pen.,  lesione  dei  principi e criteri
  direttivi  contenuti  nella  legge di delega, lesione del principio
  solidaristico e della garanzia inviolabile della liberta' personale
  - Non fondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 314.
- Costituzione, artt. 2, 3, 13 e 76.
(GU n.28 del 21-7-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 314 del codice
di procedura penale, promosso con ordinanza del 29 ottobre 2002 dalla
Corte  d'appello di Palermo, iscritta al n. 56 del registro ordinanze
2003  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, 1ª
serie speciale, dell'anno 2003.
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 maggio 2004 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.

                          Ritenuto in fatto

    La  Corte d'appello di Palermo, chiamata a decidere sulla domanda
con la quale una persona - tratta in arresto in forza di ordinanza di
custodia  cautelare  in  carcere  per  reati in tema di stupefacenti,
emessa  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari del Tribunale di
Palermo  il  14 gennaio 1998, e poi prosciolta da quegli stessi reati
con   sentenza  irrevocabile  emessa  dal  Tribunale  di  Palermo  il
7 ottobre  1999,  con  la  quale  era  stato  dichiarato  non doversi
procedere  nei  suoi confronti per ostacolo di precedente giudicato -
aveva chiesto il riconoscimento della equa riparazione per l'ingiusta
detenzione  sofferta  dal  14 gennaio  1998  all'8 ottobre  1999,  ha
sollevato,   in   riferimento   agli   artt. 2,  3,  13  e  76  della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 314
del  codice  di  procedura penale, nella parte in cui non consente il
riconoscimento  di  un'equa  riparazione  anche a chi abbia subito un
periodo  di  custodia  cautelare per un fatto dal quale sia stato poi
prosciolto ai sensi dell'art. 649 cod. proc. pen.
    La  Corte  premette  che  l'art. 314,  comma 1,  cod.  proc. pen.
stabilisce  che  chi  e'  stato  prosciolto con sentenza irrevocabile
perche'  il  fatto  non  sussiste,  per  non  aver commesso il fatto,
perche'  il fatto non costituisce reato o non e' previsto dalla legge
come  reato,  ha  diritto  ad  un'equa  riparazione  per  la custodia
cautelare  subita  qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa
per  dolo o colpa grave. Ai sensi del comma 2, poi, lo stesso diritto
spetta  al  prosciolto  per  qualsiasi  causa o al condannato che nel
corso  del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando
con  decisione irrevocabile sia accertato che il provvedimento che ha
disposto   la   misura   e'   stato  emesso  o  mantenuto  senza  che
sussistessero   le   condizioni   di  applicabilita'  previste  dagli
artt. 273 e 280 cod. proc. pen. Le medesime disposizioni si applicano
anche,  in  forza  del  comma 3,  alle  persone nei cui confronti sia
pronunciato  provvedimento di archiviazione ovvero emessa sentenza di
non luogo a procedere.
    Questi  essendo  i  presupposti per il riconoscimento del diritto
all'equa   riparazione,   il  giudice  a  quo  rileva  che  l'ipotesi
sottoposta  al suo esame non rientra in alcuna di quelle previste dal
citato  art. 314. Non nella previsione del primo comma, giacche' tale
disposizione   presuppone  che  il  soggetto  sottoposto  a  custodia
cautelare  sia  stato  liberato dall'accusa nel merito, con una delle
formule  espressamente  indicate;  e  neanche  in  quella del secondo
comma,  ancorche'  essa  si  riferisca  al  «prosciolto per qualsiasi
causa»,  in  quanto  in  tale  caso  occorre pur sempre una decisione
irrevocabile  che  accerti  l'illegittimita' della custodia cautelare
sofferta  per  difetto di una o piu' delle condizioni stabilite dagli
artt. 273  e  280  cod.  proc.  pen.,  decisione che nella specie non
sussiste.
    Risulterebbe  dunque  evidente,  ad  avviso  del  remittente,  la
ingiustificata   disparita'  di  trattamento  tra  chi  abbia  subito
custodia  cautelare  e sia stato poi prosciolto con una delle formule
di  cui  al  primo  comma, e chi invece abbia subito un provvedimento
restrittivo  per  un reato in ordine al quale sia stato in precedenza
giudicato  e  abbia  addirittura  gia'  scontato  la  pena  detentiva
inflitta  con  una  precedente  sentenza di condanna. Ne', osserva il
giudice  a  quo,  la  fattispecie  potrebbe  essere  ricondotta nella
previsione  dell'art. 314 cod. proc. pen., quale risultante a seguito
della  sentenza n. 310 del 1996 di questa Corte, che ne ha dichiarato
la  illegittimita'  costituzionale  nella parte in cui non prevede il
diritto  all'equa  riparazione  anche per la detenzione ingiustamente
patita  a  causa  di  erroneo  ordine  di  esecuzione,  in  quanto la
privazione  della  liberta'  personale  non e' avvenuta in base ad un
ordine  di  esecuzione erroneo, per essere stato adottato sull'errata
premessa  che  la sentenza di condanna fosse diventata definitiva, ma
in  base  ad  un'ordinanza di custodia cautelare divenuta illegittima
solo   ex   post,   per   effetto   della  sentenza  irrevocabile  di
proscioglimento  emessa  perche'  per  lo stesso fatto l'imputato era
gia' stato giudicato con sentenza di condanna divenuta irrevocabile.
    La    medesima    disposizione,   ad   avviso   del   remittente,
contrasterebbe   anche   con   gli  artt. 2,  13  e  76  Cost.  Sotto
quest'ultimo  profilo,  perche',  come  e'  gia' stato rilevato nella
citata   sentenza   n. 310   del   1996,   l'art. 2  della  legge  di
delegazione 16 febbraio  1987,  n. 81  (Delega legislativa al Governo
della  Repubblica  per  l'emanazione  del  nuovo  codice di procedura
penale), nel prevedere che il nuovo codice si sarebbe dovuto adeguare
alle  norme  delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia,
imponeva  di  evitare  ogni  discriminazione  tra  le  due situazioni
delineate,  in  quanto la Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo  e delle liberta' fondamentali, ratificata e resa esecutiva
con  legge  4 agosto 1955, n. 848, stabilisce, all'art. 5, il diritto
alla  riparazione  in favore della vittima di arresto o di detenzioni
ingiuste, senza distinzioni di sorta.
    Quanto  al  contrasto  con  gli  artt. 2  e  13  Cost.,  la Corte
d'appello  rileva  che  l'istituto  dell'equa riparazione costituisce
espressione   del   principio   solidaristico   che  ispira  l'intera
Costituzione, con la conseguenza che la limitazione del suo ambito di
applicabilita'  comporterebbe  anche  un'illegittima  compressione di
quel  principio,  lasciando  inoltre  priva di ristoro una violazione
della liberta' personale, che l'art. 13 vuole inviolabile.
    Ne',  prosegue  il  remittente, potrebbe ritenersi che l'art. 314
cod.  proc.  pen.  sia  applicabile  nel  caso  di specie in forza di
un'interpretazione analogica, non sussistendo tra le ipotesi in esame
la  eadem  ratio,  nell'un  caso  vertendosi  in ipotesi di accertata
innocenza, nell'altro di responsabilita' penale per la quale sussiste
un  impedimento a procedere per effetto della preclusione processuale
di  cui  all'art. 649  cod.  proc.  pen.  E  neanche potrebbe trovare
applicazione l'istituto della riparazione dell'errore giudiziario, di
cui all'art. 643 cod. proc. pen., mancando, nella specie, un giudizio
di  revisione.  Del  tutto  ininfluente  sarebbe infine la disciplina
posta  dalla  legge  13 aprile  1988,  n. 117 (Risarcimento dei danni
cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita'
civile di magistrati) dal momento che l'art. 14 di tale legge prevede
espressamente  che le disposizioni in essa contenute non pregiudicano
il  diritto  alla  riparazione  in  favore  delle  vittime  di errori
giudiziari e di ingiusta detenzione.
    Quanto   alla   rilevanza,   il  giudice  a  quo  ne  afferma  la
sussistenza,   non  essendo  possibile  giudicare  sul  merito  della
richiesta  di riparazione senza risolvere pregiudizialmente il dubbio
di legittimita' costituzionale.

                       Considerato in diritto

    1. - Oggetto del presente giudizio di legittimita' costituzionale
e'  l'art. 314  del codice di procedura penale, censurato nella parte
in  cui non consente il riconoscimento di un'equa riparazione anche a
chi  abbia  subito  un periodo di custodia cautelare per un fatto dal
quale  sia  stato  poi prosciolto ai sensi dell'art. 649 dello stesso
codice.
    Ad  avviso  della  Corte  d'appello di Palermo, tale disposizione
contrasterebbe,   innanzitutto,   con  l'art. 3  della  Costituzione,
perche'  determinerebbe  una  disparita' di trattamento tra chi abbia
subito  custodia cautelare e sia poi prosciolto con una delle formule
di  cui  al  primo  comma del medesimo art. 314 (perche' il fatto non
sussiste,  per  non  aver  commesso  il  fatto,  perche' il fatto non
costituisce  reato  o  non e' previsto dalla legge come reato), e chi
invece  abbia  subito  un  provvedimento  restrittivo per un reato in
ordine al quale sia stato in precedenza giudicato e abbia addirittura
gia'  scontato la pena detentiva inflitta con una precedente sentenza
di condanna.
    Inoltre, sarebbe violato l'art. 76 Cost., in relazione all'art. 2
della  legge  16 febbraio  1987, n. 81 e all'art. 5 della Convenzione
per   la   salvaguardia   dei  diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali,  ratificata  e  resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848, in quanto tra i principi e criteri direttivi della delega per
l'approvazione  del  nuovo  codice  di procedura penale vi era quello
dell'adeguamento    alle    convenzioni   internazionali   ratificate
dall'Italia   e,   tra  queste,  la  citata  Convenzione,  la  quale,
all'art. 5,  stabilisce appunto il diritto alla riparazione in favore
della  vittima di arresto o di detenzioni ingiuste, senza distinzioni
di sorta.
    Secondo  il giudice a quo, risulterebbero infine violati l'art. 2
Cost.,   in   quanto  l'istituto  dell'equa  riparazione  costituisce
espressione   del   principio   solidaristico   che  ispira  l'intera
Costituzione,  e  l'art. 13  Cost.,  perche'  risulterebbe  priva  di
ristoro  una  violazione  della liberta' personale, garantita ad ogni
individuo in termini di inviolabilita'.
    2.  -  La  questione  non  e'  fondata,  nei  termini  di seguito
precisati.
    Essa   muove  da  una  non  condivisibile  interpretazione  della
disposizione  censurata,  e precisamente dell'art. 314, comma 2, cod.
proc.  pen.  Se  invero puo' convenirsi con il remittente allorquando
esclude  che l'ipotesi sottoposta alla sua cognizione - e consistente
nella  emissione  di una ordinanza di custodia cautelare per un fatto
per  il  quale  il destinatario del provvedimento restrittivo e' gia'
stato  giudicato  e  ha  addirittura  scontato  la  pena inflitta con
precedente  sentenza  di  condanna  -  possa  essere  ricondotta alla
previsione  di  cui all'art. 314, comma 1, cod. proc. pen., stante la
tassativita'  delle  ipotesi  di proscioglimento nel merito in quella
disposizione  considerate  quale  presupposto per il diritto all'equa
riparazione, non e' invece condivisibile la conclusione del giudice a
quo  per  quanto riguarda l'affermata impossibilita' di ricondurre la
fattispecie al suo esame tra quelle per le quali l'art. 314, comma 2,
configura   la   possibilita'   della   riparazione   per  l'ingiusta
detenzione.
    La  disposizione da ultimo citata prevede che il diritto all'equa
riparazione  spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato
che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare,
quando  con decisione irrevocabile sia accertato che il provvedimento
che  ha  disposto  la  misura  e'  stato emesso o mantenuto senza che
sussistessero   le   condizioni   di  applicabilita'  previste  dagli
artt. 273  e 280 cod. proc. pen. Il remittente ha ritenuto che, nella
specie,  difetterebbe  la  condizione  che  consente  di integrare la
fattispecie  e  precisamente  la  decisione irrevocabile, consistente
unicamente,  secondo  la  sua  prospettazione,  in  una pronuncia che
accerti   l'illegittimita'  della  custodia  cautelare  sofferta  per
difetto  di  una  o piu' delle condizioni stabilite dagli artt. 273 e
280 cod. proc. pen.
    Orbene,  posto che, come ritenuto anche dalla Corte di cassazione
a sezioni unite (sentenza 8 novembre 1993, n. 20), «in alcune ipotesi
la  illegittimita' della misura cautelare, ai sensi del secondo comma
della  disposizione  citata,  puo'  risultare  in  modo  implicito, e
tuttavia  evidente,  dalla stessa sentenza definitiva di merito», non
vi  e'  ostacolo  a  ritenere  che tra queste ipotesi debba rientrare
anche  quella  in cui venga accertato, con sentenza irrevocabile, che
la  custodia  e' stata disposta in relazione ad un fatto per il quale
sia   gia'  intervenuto  un  giudicato.  E'  indubbio,  infatti,  che
l'art. 649  cod. proc. pen., nel prevedere che «l'imputato prosciolto
o  condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non
puo' essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo
fatto,  neppure  se  questo  viene  diversamente  considerato  per il
titolo,  per  il  grado  o  per le circostanze, salvo quanto disposto
dagli  articoli 69,  comma 2,  e  345»  e  nel disporre che, «se cio'
nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in
ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento
o  di  non  luogo a procedere, enunciandone la causa in dispositivo»,
configuri  una preclusione all'esercizio dell'azione penale (sentenza
n. 27 del 1995).
    Se  dunque  si  accerti,  con sentenza irrevocabile, che l'azione
penale  non  poteva  essere esercitata perche' preclusa da precedente
giudicato,  non  puo'  non  concludersi che anche la misura cautelare
disposta per il medesimo fatto per il quale l'imputato era gia' stato
giudicato  risulta priva dei requisiti che ne legittimano l'adozione,
stante  l'evidente  nesso  di  strumentalita'  dell'azione  cautelare
rispetto all'azione penale. Non si vede infatti alcuna differenza tra
l'ipotesi  della  misura  emessa  in  presenza  di  scriminanti o nei
confronti di persona non punibile (art. 273, comma 2, cod. proc. pen.
- in riferimento all'art. 314, comma 2) che sia stata poi prosciolta,
rispetto al caso di chi abbia subito custodia cautelare per un reato,
ad esempio, non procedibile o per il quale, comunque, l'azione penale
non  poteva  essere esercitata, come nella specie. Invero, pur se non
espressamente  previsto, appare indubitabile che, ove dopo l'adozione
della  misura emerga che per lo stesso fatto l'indagato e' gia' stato
giudicato,  la  forza  espansiva  del ne bis in idem operi anche agli
effetti   cautelari,  imponendo,  quindi,  l'immediata  revoca  della
misura,   perche',   appunto,  sono  risultati  mancanti  i  relativi
presupposti  di  legittimita':  vale  a  dire l'assenza di condizioni
ostative  all'esercizio  della relativa azione (penale e cautelare ad
un tempo).
    Del resto, questa Corte, con specifico riferimento agli artt. 2 e
13  Cost.,  ha  piu'  volte posto in luce il fondamento squisitamente
solidaristico  della  riparazione  per  l'ingiusta  detenzione  ed ha
chiarito  che,  in  presenza  di una lesione della liberta' personale
rivelatasi  comunque  ingiusta  con  accertamento ex post, in ragione
della  qualita'  del  bene  offeso, si deve avere riguardo unicamente
alla  oggettivita'  della  lesione  stessa (sentenze n. 446 del 1997,
n. 109   del  1999,  n. 284  del  2003).  Ove  quindi,  con  sentenza
irrevocabile,  si  accerti  che per il medesimo fatto per il quale e'
stata  disposta  la  custodia  cautelare  vi  era  una preclusione da
giudicato,  devono  ritenersi sussistenti i requisiti cui l'art. 314,
comma 2,  cod.  proc.  pen.  subordina  l'insorgenza del diritto alla
riparazione:   una   decisione   irrevocabile   che,  dichiarando  la
preclusione derivante da precedente giudicato, implicitamente accerta
la  illegittimita'  della  misura  cautelare disposta in relazione ad
un'azione penale che non poteva essere iniziata o proseguita.
    Una  conferma  in  tal senso si rinviene nella sentenza di questa
Corte  n. 284  del  2003,  nella quale, sia pure con riferimento alla
diversa  ipotesi  dell'ordine di esecuzione emesso in relazione ad un
reato  per  il  quale l'indagato era gia' stato giudicato all'estero,
ove  aveva addirittura espiato la pena, si e' chiarito che in sede di
riparazione  per  la  detenzione che si assume ingiustamente sofferta
per  duplicazione  della  pena  e'  assorbente  l'accertamento  della
identita'  del  fatto  e  dell'avvenuta  espiazione, proprio per quel
fatto,  di  una pena detentiva. Si puo' quindi affermare che, come in
quella  ipotesi  il  giudice  della riparazione era soltanto tenuto a
verificare,  con valutazione ex post, se la pena indicata nell'ordine
di  esecuzione  non  fosse  gia'  stata espiata, in tutto o in parte,
all'estero,  e  cio'  proprio  perche'  in tale caso quella pena, sin
dall'inizio,   non  poteva  essere  posta  in  esecuzione  nella  sua
interezza,  cosi',  nel  caso di applicazione di una misura cautelare
per  un  fatto  per il quale si accerti successivamente, con sentenza
irrevocabile,  che  per quel medesimo fatto l'imputato era gia' stato
giudicato,   il  giudice  della  riparazione  dovra'  limitarsi,  con
accertamento  necessariamente  ex  post,  a  prendere  atto  che, con
l'azione  penale, neanche l'azione cautelare poteva essere iniziata o
proseguita per preclusione da giudicato.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 314   del   codice   di  procedura  penale,  sollevata,  in
riferimento  agli artt. 2, 3, 13 e 76 della Costituzione, dalla Corte
d'appello di Palermo, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                      Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 16 luglio 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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