N. 231 SENTENZA 8 - 16 luglio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo   penale   -  Errori  giudiziari  -  Ingiusta  detenzione  -
  Detenzione  a  fini  estradizionali  -  Equa riparazione - Ritenuta
  esclusione  -  Lamentata  lesione  del principio solidaristico, del
  principio di uguaglianza, della garanzia inviolabile della liberta'
  personale,  dei  principi  in  tema  di  riparazione  degli  errori
  giudiziari - Non fondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 314.
- Costituzione, artt. 2, 3, 13 e 24, quarto comma.
(GU n.28 del 21-7-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici: Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero
Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni Maria
FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo
MADDALENA, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 314 del codice
di  procedura  penale,  promosso,  nell'ambito  di un procedimento di
riparazione  per  ingiusta  detenzione, dalla Corte di cassazione con
ordinanza  del  17 aprile  2003,  iscritta  al  n. 905  del  registro
ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 45, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 giugno 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La  Corte  di cassazione ha sollevato, in riferimento agli
artt. 2, 3, 13 e 24, terzo (recte, quarto) comma, della Costituzione,
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 314 del codice di
procedura  penale,  «nella  parte  in  cui,  in  tema di estradizione
passiva,  non prevede la riparazione per ingiusta detenzione nel caso
di  arresto  provvisorio  e  di  applicazione  provvisoria  di misura
cautelare  custodiale  su  domanda  dello Stato estero che si accerti
carente di giurisdizione».
    La Corte rimettente premette:
        che  a  seguito di richiesta di estradizione presentata dagli
Stati  Uniti  d'America nei confronti di persona accusata di violenza
sessuale  commessa  a  bordo  di una nave da crociera che, per quanto
emergeva dall'esposizione dei fatti, si trovava in acque territoriali
statunitensi,  il  sospetto  autore  del  reato  era  stato tratto in
arresto dalla polizia italiana il 19 agosto 1998;
        che  il  Presidente  della  Corte  di appello di Genova aveva
convalidato  l'arresto  e disposto la misura della custodia cautelare
in  carcere  e  che il 14 gennaio 1999 l'estradando veniva rimesso in
liberta';
        che  successivamente  la  Corte  di  appello  di  Genova, nel
delibare  la  richiesta di estradizione, aveva accertato che la nave,
che  batteva  bandiera panamense, non si trovava al momento dei fatti
in  acque  territoriali  statunitensi, ma in alto mare, ed era quindi
soggetta   alla  giurisdizione  dello  Stato  di  bandiera  ai  sensi
dell'art. 6 della Convenzione di Ginevra sull'alto mare del 29 aprile
1958,   sottoscritta  dall'Italia  e  dagli  Stati  Uniti  d'America,
vincolante anche per lo Stato richiedente;
        che   pertanto,   difettando  la  giurisdizione  dello  Stato
richiedente,  con  sentenza  del  2 dicembre 1999 la Corte di appello
aveva pronunciato sentenza contraria all'estradizione;
        che  l'interessato  aveva  formulato richiesta di riparazione
per  ingiusta  detenzione  e  che la Corte di appello di Genova aveva
accolto  la  domanda,  affermando  -  sulla  base  di  una precedente
sentenza  di  legittimita'  concernente  la  carenza di giurisdizione
dello  Stato  richiesto  - che «l'esistenza della giurisdizione e' un
prius  rispetto  al  suo  esercizio,  di  tal  che  se  e' riparabile
l'ingiusta  detenzione  conseguente  al  non corretto esercizio della
giurisdizione,  a  fortiori  essa  e' riparabile quando consegue alla
carenza della giurisdizione stessa»;
        che  avverso  tale  provvedimento  aveva  proposto ricorso il
Procuratore  generale  di  Genova, sostenendo che la Corte di appello
aveva   erroneamente   interpretato   la   disposizione   in   esame,
applicandola al di la' dei casi espressamente consentiti dalla legge.
    2.  -  La  Corte  di  cassazione  rimettente,  nel  sollevare  la
questione   di   costituzionalita',   dichiara   di  non  condividere
l'interpretazione   estensiva  dell'art. 314,  comma  2,  cod.  proc.
pen. seguita dalla Corte distrettuale, secondo cui lo Stato italiano,
in  tema  di  estradizione  passiva,  mutua  la propria giurisdizione
dall'ordinamento  dello  Stato  straniero  richiedente,  in quanto la
giurisdizione   e'   potere  originario  dello  Stato  e  non  deriva
dall'altrui   giurisdizione,  ma  e'  espressione  del  principio  di
sovranita' ed esiste anche in assenza della giurisdizione dello Stato
richiedente.
    Al  riguardo,  la  Corte  di cassazione richiama un precedente di
legittimita'  con il quale, in un caso di estradizione passiva, si e'
affermato  che  non spetta la riparazione per ingiusta detenzione, in
quanto  «per  l'esplicita  esclusione dell'applicazione dei parametri
previsti dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. operata dall'art. 714,
comma  2,  cod.  proc. pen., l'arresto a fini estradizionali non puo'
dar  luogo  al  diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione, e
percio'   l'interessato   non   puo'  conseguire  alcun  apprezzabile
beneficio dall'annullamento del provvedimento».
    Ritenuta  pertanto  «non  conforme  a  diritto  l'interpretazione
estensiva  del  giudice  a  quo»,  la  Corte  rimettente  solleva  la
questione   di   legittimita'   costituzionale  per  contrasto  della
disciplina  censurata  con  gli  artt. 3,  2 e 13, nonche' 24, quarto
comma, della Costituzione.
    3.  -  L'art. 3  Cost.  sarebbe  violato,  ad  avviso della Corte
rimettente,  per  la irragionevole disparita' di trattamento tra chi,
privato  della  liberta'  personale  in forza di una misura emessa, a
fini  estradizionali,  su  richiesta  di  uno  Stato estero, non puo'
beneficiare  dell'equa  riparazione, e chi, privato della liberta' in
forza  di  un  provvedimento  emesso  da un giudice dello Stato ma in
assenza delle condizioni di applicabilita' previste dagli artt. 273 e
280  cod.  proc.  pen.,  puo'  ottenere  un'equa  riparazione, previo
accertamento del difetto delle predette condizioni di applicabilita'.
    Sarebbero violati inoltre gli artt. 2 e 13 Cost., in quanto, come
gia'   rilevato   dalla  Corte  costituzionale,  la  riparazione  per
l'ingiusta  detenzione  ha un fondamento squisitamente solidaristico,
ed  in  presenza  di una lesione della liberta' personale, rivelatasi
comunque  ingiusta  con  accertamento ex post, si deve avere riguardo
unicamente alla oggettivita' della lesione stessa.
    La  disciplina  censurata  contrasterebbe  infine  con l'art. 24,
quarto  comma,  Cost.,  che  demanda  alla  legge  di  determinare le
condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari, senza
delimitare  in  alcun modo la tipologia degli stessi, dal momento che
tale  principio  ha trovato «il suo logico sviluppo e la conferma», a
livello   internazionale,   nell'art. 5,   paragrafo   cinque,  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, che prevede, appunto, che ogni persona vittima
di  detenzione  ingiusta  ha  diritto  a  un  indennizzo, e a livello
nazionale   nel   preambolo   dell'art. 2   della  legge  delega  per
l'emanazione  del nuovo codice di procedura penale (legge 16 febbraio
1987,   n. 81),   che   prescrive   l'adeguamento  alle  norme  delle
convenzioni  internazionali,  e  nell'art. 2,  n. 100, della medesima
legge,  che  impone  al  Governo  di  introdurre  la  riparazione per
l'ingiusta detenzione, senza operare distinzioni di sorta.

                       Considerato in diritto

    1.   -   La   Corte   di  cassazione  dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 314  del codice di procedura penale, «nella
parte  in  cui,  in  tema  di  estradizione  passiva,  non prevede la
riparazione per ingiusta detenzione nel caso di arresto provvisorio e
di  applicazione  provvisoria  di  misura custodiale su domanda dello
Stato estero che si accerti carente di giurisdizione».
    La  Corte  rimettente  e'  investita  del ricorso del Procuratore
generale  presso  la  Corte  di appello di Genova avverso la sentenza
della  medesima Corte di appello che aveva riconosciuto un indennizzo
a  titolo  di  riparazione  per  ingiusta  detenzione in favore di un
soggetto  che, a seguito di richiesta di estradizione avanzata da uno
Stato  estero,  aveva  subito  un  periodo  di  custodia cautelare in
carcere in Italia ed era poi stato posto in liberta'.
    Con  la  precedente sentenza contraria alla estradizione la Corte
di  appello di Genova aveva infatti ritenuto che lo Stato richiedente
fosse  privo  di  giurisdizione  e  successivamente,  investita della
domanda  di  riparazione per ingiusta detenzione, aveva affermato che
presupposto   dell'esercizio  della  giurisdizione  e'  «l'essere  il
giudice  munito  di  giurisdizione»,  mentre  nella  specie risultava
accertato che il provvedimento di custodia cautelare era stato emesso
in «mancanza della condizione fondamentale presupposta dall'art. 273,
cioe'  dell'esistenza  della  giurisdizione».  Ad  avviso della Corte
territoriale,  se l'ingiustizia della detenzione che discende dal non
corretto   esercizio  della  giurisdizione  da'  diritto  ad  un'equa
riparazione,  a maggior  ragione  la  riparazione e' dovuta quando la
detenzione consegue ad una situazione di carenza di giurisdizione.
    La Corte di cassazione rimettente afferma di non condividere tale
interpretazione estensiva dell'art. 314, comma 2, cod. proc. pen., in
quanto   la  giurisdizione  e'  un  potere  originario  dello  Stato,
espressione del principio di sovranita', sussistente anche in assenza
della  giurisdizione  dello Stato richiedente, e richiama tra l'altro
una  precedente  decisione  di  legittimita', secondo cui l'arresto a
fini estradizionali non puo' dare luogo alla riparazione per ingiusta
detenzione   dal   momento   che  l'art. 714,  comma  2,  cod.  proc.
pen. esclude  espressamente  che in tale materia trovino applicazione
gli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. Pertanto, ritenuta non conforme a
diritto  l'interpretazione  estensiva della Corte di appello, solleva
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 314 cod. proc.
pen. per  contrasto  con gli artt. 2, 3, 13 e 24, quarto comma, della
Costituzione.
    2.  -  La  questione  non  e'  fondata,  nei  termini  di seguito
precisati.
    3.  -  La  Corte rimettente muove dal presupposto che esista «una
carenza  di  previsione  normativa»  per  le  fattispecie del tipo di
quella esaminata, in quanto l'esclusione operata dall'art. 714, comma
2,  cod.  proc.  pen. nei  confronti degli artt. 273 e 280 cod. proc.
pen. comporterebbe l'inapplicabilita' della disciplina dell'art. 314,
comma 2, cod. proc. pen. alla detenzione a fini estradizionali.
    Al riguardo occorre tuttavia considerare che il vigente codice di
procedura  penale  dedica  alle  misure cautelari nel procedimento di
estradizione  un'apposita  sezione, inserita nel Capo I del Titolo II
del  Libro  XI,  ove  si  fa  espresso richiamo alla disciplina delle
misure   cautelari   dettata   nel  Libro  IV,  sul  presupposto  che
all'estradando  debba applicarsi «lo stesso trattamento dell'imputato
davanti   a   un   giudice  italiano»  (cfr.  Relazione  al  progetto
preliminare  del codice di procedura penale, p. 154). In particolare,
l'art. 714,  comma 2, cod. proc. pen. stabilisce che si osservano, in
quanto  applicabili,  le  disposizioni  del  Titolo  I  del Libro IV,
riguardanti  appunto  le  misure coercitive, fatta eccezione dei soli
artt. 273 e 280, ove sono contemplate, rispettivamente, le condizioni
generali   di   applicabilita'   delle   misure  cautelari  personali
(sussistenza  dei  gravi  indizi  di colpevolezza, nonche' assenza di
condizioni  di  non  punibilita',  di  cause  di giustificazione o di
estinzione  del reato o della pena) e le condizioni di applicabilita'
delle misure coercitive, con riferimento ai limiti edittali.
    Premesso  che  tra  le disposizioni richiamate in via generale in
forza   del   rinvio  operato  dall'art. 714,  comma  2,  cod.  proc.
pen. all'intiero  Titolo  I,  dedicato  alle  misure coercitive, sono
comprese quelle contenute nell'ultimo Capo del Titolo I del Libro IV,
relativo  alla  disciplina della riparazione per ingiusta detenzione,
l'espressa  previsione della non applicabilita' degli artt. 273 e 280
cod.  proc.  pen. non  puo'  essere  interpretata  come  volonta' del
legislatore  di  escludere  il  diritto alla riparazione per ingiusta
detenzione  per  i  soggetti  in  attesa di estradizione, bensi' come
logica  impossibilita'  di  valutare nei loro confronti l'ingiustizia
della  detenzione sulla base dei parametri ricavabili dagli artt. 273
e  280  cod.  proc.  pen.,  ove sono enunciate condizioni che possono
evidentemente  operare  solo  in  relazione  all'adozione  di  misure
cautelari finalizzate alle esigenze del processo penale italiano.
    Nei confronti dei soggetti di cui e' richiesta l'estradizione gli
estremi  dell'ingiusta  detenzione  dovranno  dunque  essere valutati
verificando  se  risulta  ex  post  accertata  l'insussistenza  delle
specifiche  condizioni di applicabilita' delle misure coercitive, per
tali  soggetti  individuate  a  norma  del comma 3 dell'art. 714 cod.
proc.    pen. nelle   «condizioni   per   una   sentenza   favorevole
all'estradizione».
    Tale  interpretazione,  oltre  a  consentire  una  lettura  della
disciplina  censurata  conforme  a  Costituzione,  in  linea  con  la
giurisprudenza  di  questa  Corte,  che ha in sostanza ricollegato il
diritto alla riparazione per ingiusta detenzione alla presenza di una
oggettiva  lesione  della  liberta' personale, comunque ingiusta alla
stregua  di una valutazione ex post (sentenze n. 310 del 1996, n. 446
del  1997,  n. 109  del  1999, n. 284 del 2003 e n. 230 del 2004), e'
avvalorata,  come  piu'  volte ribadito nelle menzionate sentenze, da
significative  indicazioni normative, anche di natura sovranazionale.
L'art. 2,  n. 100, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, contenente la
delega  legislativa  per  l'emanazione  del nuovo codice di procedura
penale,   enuncia   la   direttiva  della  riparazione  dell'ingiusta
detenzione,  senza  alcuna  distinzione o limitazione circa il titolo
della  detenzione stessa o le `ragioni' dell'ingiustizia; a sua volta
l'alinea  dell'art. 2  della  citata  legge  delega stabilisce che il
nuovo   codice   deve   adeguarsi   alle   norme   delle  convenzioni
internazionali  ratificate  dall'Italia  relative  ai  diritti  della
persona  e  al  processo  penale,  tra le quali la Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e il
Patto  internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato
a  New  York  il  19 dicembre  1966,  che  prevedono rispettivamente,
nell'art. 5,  paragrafo  cinque,  e nell'art. 9, paragrafo cinque, il
diritto ad un indennizzo in caso di detenzione illegale, senza alcuna
limitazione.
    Del  resto,  con  specifico  riferimento  alla  detenzione a fini
estradizionali,  la  Raccomandazione n. R(86)13 del 16 settembre 1986
del  Comitato  dei  ministri  del  Consiglio  d'Europa,  in  tema  di
applicazione  pratica  della  Convenzione  europea  di  estradizione,
contiene l'invito agli Stati a «esaminare la propria legislazione, in
modo da permettere alle persone detenute senza giustificati motivi ai
fini   dell'estradizione   di  esigere  un  indennizzo,  alle  stesse
condizioni previste per la detenzione provvisoria ingiustificata».
    La  questione  deve pertanto essere dichiarata infondata, essendo
possibile  attribuire  alla  norma  censurata un significato idoneo a
superare i profili di illegittimita' costituzionale prospettati dalla
Corte  rimettente, spettando evidentemente al giudice a quo accertare
la  sussistenza  in  concreto  delle condizioni per il riconoscimento
dell'ingiustizia della detenzione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 314   del   codice   di  procedura  penale,  sollevata,  in
riferimento   agli   artt. 2,   3,  13  e  24,  quarto  comma,  della
Costituzione, dalla Corte di cassazione, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 luglio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                     Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 16 luglio 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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