N. 14 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 27 agosto 2004
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 27 agosto 2004 (della Regione autonoma della Sardegna) Pesca - Decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali concernente la disciplina delle reti da posta fissa - Ricorso per conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Sardegna - Dedotta invasione della sfera di competenza regionale in materia di pesca - Lamentata violazione di norme comunitarie, norme statutarie e d'attuazione in quanto la fissazione di standards uniformi sulle attrezzature da pesca e di competenza comunitaria e gli atti di esercizio dei compiti statali di «disciplina generale e coordinamento nazionale» riguardano soltanto la gestione delle risorse ittiche marine di interesse nazionale oltre le 12 miglia mentre la disciplina del DM non distingue (dentro o fuori le 12 miglia) ed in ogni caso riguarda l'uso delle reti entro le acque territoriali - Denunciata carenza di potere del Sottosegretario firmatario perche' al di fuori della delega in materia di pesca ad esso conferita dal Ministro (DMPAF 5/11/2001) trattandosi di atti riservati esclusivamente alla firma del Ministro stesso - Lamentata mancata acquisizione del parere della Commissione consultiva centrale per la pesca e l'acquacoltura - Contrasto con art.10 d.lgs. n. 153/2004 il quale stabilisce che le future «norme tecniche» in materia di pesca dovranno essere stabilite previa intesa con le regioni e mediante regolamento interministeriale (art.17 l. n. 400/88) - Decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 10 giugno 2004. - Costituzione art. 117, comma primo, quarto, quinto e sesto; Regolamento C.E. n. 1626/1994 del Consiglio del 27 giugno 1994 art. 5 ed allegato II; Statuto speciale Regione Sardegna artt. 3, lett. i) e 6 e relative norme di attuazione in combinato disposto legge costituzionale 18/10/2003 n. 3 art. 10. Pesca - Decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali concernente la disciplina delle reti da posta fissa - Ricorso per conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Sardegna - Dedotta invasione della sfera di competenza regionale esclusiva in materia di pesca per l'uso del decreto ministeriale che ha natura regolamentare e la relativa potesta' spetta allo Stato nelle sole materie in cui esso disponga di competenza esclusiva - Illegittimo ed arbitrario esercizio del potere regolamentare statale - In subordine in caso di configurazione quale «atto normativo» - Indebita adozione in materia di competenza regionale. - Decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 10 giugno 2004. - Costituzione art. 117, comma sesto; Statuto speciale Regione Sardegna artt. 3, lett. i) e 6 e relative norme di attuazione in combinato disposto legge costituzionale 18/10/2003 n. 3 art.10. Pesca - Decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali concernente la disciplina delle reti da posta fissa - Ricorso per conflitto di attribuzioni sollevato dalla Regione Sardegna - Dedotta invasione della sfera di competenza regionale esclusiva in materia di pesca e violazione del principio di leale collaborazione per il mancato concerto con la Regione ricorrente. - Decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 10 giugno 2004. - Costituzione, art. 120.(GU n.41 del 20-10-2004 )
Ricorso per conflitto di attribuzione della Regione autonoma della Sardegna, in persona del suo presidente dott. Renato Soru, giusta deliberazione della giunta regionale del 3 agosto 2004, n. 32/3, rappresentata e difesa, in virtu' di procura a margine del presente atto, anche disgiuntamente, dal prof. avv. Sergio Panunzio del Foro di Roma e dall' avv. Graziano Campus, Direttore generale dell'Area legale dell'Ente, elettivamente domiciliata presso il primo, in Roma, viale XXI Aprile n. 11; Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato e presso la stessa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; nel regolamento di competenza per conflitto di attribuzioni avverso il decreto del Ministero delle politiche agricole e forestali del 10 giugno 2004, a firma del Sottosegretario di Stato, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 151 del 30 giugno 2004, recante «Disciplina delle reti da posta fissa». F a t t o 1. - Lo Statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), all'art. 3, lettera i), attribuisce alla regione una competenza legislativa esclusiva in materia di pesca; per la medesima materia lo Statuto, all'art. 6, attribuisce alla regione anche le funzioni amministrative. Tale disciplina attributiva di funzioni e' poi integrata dalle relative norme d'attuazione dello Statuto: specialmente dagli articoli 6 e 7 del d.P.R. 19 maggio 1950, n. 327; dall'art. 1 del d.P.R. 24 novembre 1965, n. 1627, il quale, in particolare, stabilisce che «Le funzioni amministrative dell'autorita' marittima statale concernenti la regolamentazione della pesca, i divieti e le autorizzazioni in materia di pesca, le concessioni, la sorveglianza, [...................... .], relativamente al demanio marittimo ed al mare territoriale sono trasferite all'Amministrazione regionale della Sardegna»; dall'art. 1 del d.lgs. 17 aprile 2001, n. 234; e dal d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 70, che, in particolare, dopo avere ribadito all'art. 1 il trasferimento alla Regione Sardegna di tutte le funzioni ed i compiti in materia di pesca svolte dal soppresso Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, con il secondo comma dell'art. 2 riserva allo Stato soltanto i relativi «compiti di sola disciplina generale e coordinamento nazionale» e limitatamente alla «gestione delle risorse ittiche marine di interesse nazionale oltre le 12 miglia». Tali competenze regionali in materia di pesca risultano oggi, per certi versi, integrate e rafforzate dal combinato disposto dell'art. 117 della Costituzione e dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Infatti, com'e' noto, da un lato la materia della pesca e' divenuta una materia di competenza legislativa «residuale-esclusiva» per le regioni ad autonomia ordinaria (art. 117, comma 4), e tale competenza incontra i soli limiti costituiti dai vincoli «derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali» (art. 117, comma 1); dall'altro le norme dell'art. 117 della Costituzione si applicano anche alle regioni ad autonomia speciale «per le parti in cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite». Ne consegue, fra l'altro, che nei confronti della competenza legislativa esclusiva della Regione Sardegna in materia di pesca non e' piu' applicabile il limite delle «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica», di cui all'art. 2, comma 1, dello Statuto speciale per la Sardegna (cfr., per tutte, Corte cost. sent. n. 274 del 2003). 2. - La Regione ricorrente ha ampiamente esercitato le suddette funzioni, intervenendo a disciplinare la pesca nelle acque della Sardegna; sia con atti legislativi che con altri atti normativi. Fra i primi, si ricordano la l.r. 28 novembre 1950, n. 65; la l.r. 7 marzo 1956, n. 37; la l.r. 2 marzo 1956, n. 39; la l.r. 5 luglio 1963, n. 3; la l.r. 22 luglio 1991, n. 25. Fra i secondi merita di essere ricordato il decreto dell'assessore della difesa dell'ambiente 25 agosto 1992, n. 2039 (recante norme di attuazione della legge regionale n. 25 del 1991), che stabilisce anche, all'art. 17, norme sulla quantita' delle reti da posta che si possono imbarcare (massimo 50 pezzi a marittimo imbarcato) e sulla misura delle loro maglie (non inferiori al 10: mm. 50). 3. - Cio' premesso, nella G.U. del 30 giugno 2004, n. 151, e' stato pubblicato il decreto ministeriale 10 giugno 2004, indicato in epigrafe, a firma del Sottosegretario di Stato Paolo Scarpa Bonazza Buora. Come risulta dal suo preambolo, il decreto ministeriale in questione e' stato emanato «visti», fra l'altro: la legge 14 luglio 1965, n. 963, recante la disciplina della pesca marittima; il relativo regolamento d'esecuzione, recato dal d.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639; la legge 17 febbraio 1982, n. 41, recante il piano per la razionalizzazione e lo sviluppo della pesca marittima; il regolamento (CE) 1626 del 27 giugno 1994, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca nel Mediterraneo; e «il d.m. 5 novembre 2001, con il quale sono state delegate al Sottosegretario di Stato on. Paolo Scarpa Bonazza Buora le funzioni istituzionali concernenti la disciplina generale ed il coordinamento in materia di pesca, acquicoltura [rectius, «acquacoltura»] e gestione delle risorse idriche [rectius «ittiche»] marine». Come pure risulta dal preambolo esso non e' stato preceduto da alcuna concertazione o consultazione con la Regione Sardegna. Tale decreto (dopo avere richiamato ancora nel preambolo l'opportunita', «nelle more della redazione del piano d'azione della pesca mediterranea e della revisione del d.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639 [di] procedere ad una piu' precisa definizione delle caratteristiche tecniche del sistema "attrezzi da posta"») nei suoi quattro articoli stabilisce varie regole relative all'uso delle reti da «posta fissa»: cioe' le reti - cosi' definite dall'art. 1 dello stesso decreto - «ancorate al fondo marino, destinate a recingere o sbarrare spazi acquei, allo scopo di ammagliare pesci, crostacei, e molluschi che vi incappano»). Ai fini del presente ricorso rileva in modo particolare l'art. 2 del decreto ministeriale, il quale stabilisce che: «E' consentito l'impiego delle reti da posta fisse purche' la superficie complessiva non sia superiore a 20.000 mq ciascuna». Ma va altresi' richiamato l'art. 3, che nei suoi due commi disciplina le caratteristiche dei segnali di cui debbono essere muniti le reti da posta fissa; e l'art. 4, che vieta di collocare tali reti ad una distanza inferiore a 200 metri dalla congiungente dei punti piu' foranei «delimitanti le foci e gli altri sbocchi in mare dei fiumi o di altri corsi di acqua o bacini». Il decreto ministeriale 10 giugno 2004, stante il suo tenore letterale, e' direttamente applicabile in tutto il territorio nazionale, e quindi anche in Sardegna. Pertanto esso, in parte qua, e' illegittimo e lesivo delle attribuzioni costituzionali della Regione autonoma della Sardegna, che pertanto lo impugna per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Violazione delle attribuzioni costituzionali della Regione autonoma della Sardegna di cui agli articoli 3, lettera i) e 6 dello Statuto speciale per la Sardegna (legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3) e delle relative norme d'attuazione (articoli 6 e 7 del d.P.R. 19 maggio 1950, n. 327; art. 1 del d.lgs. 17 aprile 2001, n. 234; e specialmente art. 1 del d.P.R. 24 novembre 1965, n. 1627, ed articoli 1 e 2, comma 2, del d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 70); e di cui al combinato disposto dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e dell'art. 117 (commi 1, 4, 5 e 6) della Costituzione, anche in relazione all'art. 5 ed all'Allegato II del Regolamento (CE) n. 1626/94 del Consiglio del 27 giugno 1994. Carenza di potere dell'autorita' emanante. 1.1. - Preliminarmente, per meglio comprendere alcuni dei motivi di illegittimita' e lesivita' del decreto in questione, e' opportuno chiarirne il fondamento legale e la natura. Il decreto, come gia' detto, e' stato adottato «vista» la legge 14 luglio 1965, n. 963 e «visto» il d.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639 che da' esecuzione a detta legge. La legge n. 963 del 1965, all'art. 32, prevede che il Ministro responsabile per il settore della pesca puo' «con suo decreto, sentita la Commissione consultiva centrale per la pesca marittima, emanare norme per la disciplina della pesca anche in deroga alle discipline regolamentari, al fine di adeguarla al progresso delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche, e favorirne lo sviluppo in determinate zone o per determinate classi di essa»; mentre l'art. 95 del citato regolamento di esecuzione ulteriormente stabilisce che i medesimi decreti ministeriali costituiscono, «salvo che sia espressamente escluso, direttive di carattere generale, ai sensi degli articoli 8, secondo comma, e 9, secondo comma del d.P.R. 13 luglio 1954, n. 747». In forza di tale ultimo rinvio, pertanto, i decreti ministeriali quali quello impugnato costituirebbero «direttive di carattere generale obbligatorie per le amministrazioni provinciali». Che sia questo il fondamento legale del decreto in questione pare indiscutibile (anche se esso - scorrettamente - non richiama specificamente l'articolo della legge su cui si fonda, ne' la relativa norma del regolamento d'esecuzione). Infatti nella legge n. 963 (e nel relativo regolamento d'esecuzione) non vi sono altre disposizioni idonee a fondare il decreto in questione. Sicuramente esso non potrebbe fondarsi sull'art. 10 del recente decreto legislativo delegato 26 maggio 2004 n. 153 (recante «Attuazione della legge 7 marzo 2003, n. 38, in materia di pesca marittima»), non citato dal decreto impugnato, che prevede la sostituzione del vecchio regolamento d'esecuzione n. 1639 del 1968 ad opera di un regolamento interministeriale, adottato ai sensi del terzo comma dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988 (quindi, fra l'altro, previo parere del Consiglio di Stato) e previa intesa con le regioni. Dal quadro sin qui sinteticamente delineato si evince che il decreto impugnato rappresenta esercizio di un potere ministeriale volto a disciplinare - secondo quanto previsto dall'art. 32 della legge n. 963 del 1965 - aspetti specifici della materia della pesca anche in deroga alle disposizioni regolamentari contenute nel d.P.R. 1639 del 1968. Nella specie tale deroga sembra sussistere, ad opera in particolare dell'impugnato art. 2 del decreto, in relazione alla disciplina stabilita dall'art. 103 del regolamento n. 1639 del 1968, che per le reti da posta non stabiliva limitazioni di lunghezza (peraltro poi stabilite dalla disciplina comunitaria), ma si limitava a stabilire che le maglie non dovevano essere inferiori a 20 millimetri. Quanto poi alla natura del decreto ministeriale, non pare dubbio che esso abbia contenuto normativo, stante il carattere di disciplina generale ed astratta delle prescrizioni da esso stabilite. Infatti la disciplina dei quattro articoli in esso contenuti corrisponde - salvo qualche variante in alcuni casi (fra cui quella gia' esaminata dell'impugnato art. 2) - ai seguenti articoli del regolamento di esecuzione (d.P.R. n. 1639/1968) della legge n. 963/1965: articoli 4, comma 2, 103, comma 1, 104, 105. Il fatto, poi, che l'art. 32 della legge n. 963 del 1965 preveda che i decreti ivi previsti possano derogare alle norme regolamentari, e che nella specie cio' abbia fatto il decreto ministeriale qui impugnato, depone nel senso del riconoscimento a quest'ultimo della natura di «regolamento ministeriale». Comunque, come poi si vedra', che il decreto ministeriale in questione sia un atto propriamente «regolamentare», od invece un atto amministrativo generale che non costituisce esercizio di un potere propriamente regolamentare, cio' non rileva per quanto riguarda la sua lesivita' rispetto alle attribuzioni costituzionali della regione ricorrente. 1.2. - Cio' premesso, non puo' esservi dubbio sul fatto che il decreto ministeriale impugnato detta disposizioni in materia di pesca: cioe' di una materia che appartiene invece alla competenza esclusiva della regione ricorrente. Per cio' stesso la disciplina dettata dallo Stato con l'atto impugnato - tanto piu' non trattandosi neppure di una legge, ma di un regolamento o comunque di un atto amministrativo statale - e' palesemente invasiva e lesiva delle competenze costituzionali della regione ricorrente. Ne' si potrebbe sostenere, al riguardo, che la competenza dello Stato ad emanare quel decreto si fondi sulla competenza legislativa esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», ex art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. Anche a prescindere, ancora una volta, dalla natura non legislativa dell'atto in questione, la disciplina in esso contenuta non puo' trovare fondamento in quella norma costituzionale. Ovviamente, cosi' dicendo non si intende negare che la disciplina delle reti di posta di cui all'impugnato art. 2 del decreto ministeriale possa avere a che fare con la tutela dell'ecosistema marino: infatti la regolamentazione delle reti da pesca ha sempre avuto anche una funzione selettiva del pescato, e quindi anche di tutela delle specie ittiche. Ma questo possibile collegamento fra la competenza statale per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e quella regionale in materia di pesca non puo' certo risolversi nella cancellazione di quest'ultima. Infatti, secondo il costante insegnamento di codesta ecc.ma Corte costituzionale, la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema non e' una «materia» in senso tecnico di esclusiva competenza statale tale da escludere ogni intervento regionale, quanto piuttosto un «valore trasversale» che richiede allo Stato di stabilire le «determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale, senza che ne resti esclusa la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali» (cosi', per tutte, sentenza n. 222 del 2003, ed ivi ulteriori richiami). Pertanto, nella Regione Sardegna (stante il limite alla applicazione delle nuove norme del Titolo V della Costituzione stabilito dall'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) gli interventi statali a tutela di interessi nazionali relativi alla conservazione degli ecosistemi marini non possono portare alla cancellazione della competenza esclusiva della regione in materia di pesca; e quindi quegli interventi - se necessari - dovranno necessariamente tradursi in quelle attivita' amministrative di «disciplina generale e coordinamento nazionale» riservati allo Stato dalle gia' ricordate norme d'attuazione dello Statuto sardo di cui all'art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 70 del 2004. 1.3.1. - Tuttavia, nel caso in questione il decreto ministeriale impugnato non corrisponde, per piu' di un aspetto, al tipo di intervento da ultimo ipotizzato, e risulta quindi essere lesivo delle attribuzioni costituzionali della regione ricorrente. In primo luogo, infatti, gli atti di esercizio dei compiti statali di «disciplina generale e coordinamento nazionale» di cui al secondo comma dell'art. 2 del decreto legislativo n. 70 del 2004 possono riguardare soltanto - come gia' si e' visto essere stabilito da quella norma d'attuazione - la «gestione delle risorse ittiche marine di interesse nazionale oltre le 12 miglia». Ma, come si e' visto, il decreto ministeriale qui impugnato disciplina in via generale l'impiego delle reti da posta fissa (art. 1), quale che sia la distanza dalla costa delle acque in cui vengono usate. In particolare la disciplina dell'art. 2 sulla superficie massima di tali reti non e' certo limitata al loro uso oltre le dodici miglia dalla costa, ma e' invece diretta soprattutto a regolarne l'uso entro le acque territoriali. Lo stesso puo' dirsi per l'art. 3 che disciplina i segnali delle reti suddette; ed a maggior ragione l'art. 4 che disciplina l'uso di quelle reti nelle prossimita' degli sbocchi a mare dei corsi d'acqua. 1.3.2. - In secondo luogo, nella materia in questione la fissazione degli standards uniformi sulle attrezzature da pesca, in funzione di protezione delle risorse ittiche, e' da lungo tempo compito della Comunita' europea, che e' gia' piu' volte intervenuta al riguardo fissando prescrizioni normative tuttora vigenti (applicate dalla stessa Regione Sardegna), e che pero' sono state violate proprio dalla disciplina stabilita dall'art. 2 del decreto ministeriale impugnato. Infatti la CE - che e' intervenuta anche in altre occasioni a disciplinare le reti da pesca, per esempio vietando l'uso delle reti da posta derivanti, le c.d. «spadare» (art. 11 del regolamento n. 849/1997 del Consiglio del 29 aprile 1997, poi sostituito dall'art. 1 del regolamento n. 1239/1998 del Consiglio, dell'8 giugno 1998) - sin dal 1994 ha emanato il regolamento n. 1626/1994 del Consiglio del 27 giugno 1994 (istituente «misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca nel Mediterraneo» ) che fra l'altro disciplina i requisiti minimi relativi alle caratteristiche dei principali tipi di attrezzi da pesca. In particolare l'art. 5 del suddetto regolamento CE, al primo comma, stabilisce che «Gli Stati membri fissano le restrizioni relative alle caratteristiche dei principali tipi di attrezzi da pesca, attenendosi ai requisiti minimi precisati nell'allegato II». A sua volta l'allegato II stabilisce per tutte le «reti fisse» che la loro altezza non puo' essere superiore a 4 metri, mentre la lunghezza non puo' essere superiore a 5.000 metri. Come risulta anche dall'ottavo «considerando» del regolamento, si tratta di requisiti minimi, che possono anche essere resi piu' restrittivi dalle competenti autorita' degli Stati; ma qualora queste non intervengano si applicano comunque, direttamente, i requisiti minimi dell'allegato II. Quest'ultimo e' il caso della pesca nelle acque della Sardegna: non avendo la regione (come avrebbe potuto fare anche in base all'art. 117, comma 5, della Costituzione) stabilito discipline integrative ulteriori, si applicano alle reti le suddette prescrizioni dell'allegato II del regolamento CE n. 1626/1994. Ma la disciplina dell'art. 2 del decreto ministeriale impugnato contraddice palesemente i requisiti minimi stabiliti dal regolamento comunitario. Infatti il decreto sostituisce i due distinti requisiti minimi comunitari per le reti fisse, consistenti nell'altezza massima di quattro metri e nella lunghezza massima di cinque chilometri, con un unico requisito minimo, consistente nella superficie complessiva non superiore a 20.000 metri quadrati (superficie, come tale, corrispondente a quella risultante dalle misure prescritte dalla norma comunitaria). Ma cosi' facendo, il decreto ministeriale non solo contraddice la norma comunitaria, modificandone i parametri di misura delle reti, ma soprattutto ne «aggira» la ratio, riducendo la tutela delle specie ittiche. Infatti, essendo quello della superficie massima l'unico requisito prescritto, cio' consente, riducendone l'altezza, di utilizzare reti che (seppure di superficie analoga a quella richiesta dalla disciplina comunitaria) risultano essere assai piu' lunghe dei 5 chilometri prescritti dal regolamento CE n. 1626 del 1994. E cio', appunto con pregiudizio per la tutela delle specie ittiche, che e' salvaguardata in special modo dal limite alla lunghezza delle reti (la utilizzazione di reti piu' lunghe di 5 chilometri, infatti, puo' favorire anche un ritorno mascherato delle «spadare», da anni bandite dalla legge sarda e poi dalla disciplina comunitaria). In conclusione, dunque, la disciplina stabilita dai quattro articoli del decreto ministeriale 10 giugno 2004, qui impugnato, lede le competenze costituzionali della Regione Sardegna, poiche' esso invade la sua competenza esclusiva in materia di regolamentazione della pesca. Per di piu', con particolare riferimento all'art. 2, lo fa violando anche norme comunitarie. In tal modo - sempre con specifico riferimento all'art. 2 - il decreto ministeriale in questione, oltre a violare le norme statutarie e d'attuazione gia' citate (spec. art. 3, lettera i) dello Statuto speciale), viola anche il primo comma dell'art. 117 della Costituzione, che impone alle leggi (ed a maggiore ragione agli atti amministrativi) dello Stato di rispettare i «vincoli» dell'ordinamento comunitario. 1.4.1. - Infine, si deve rilevare che il decreto ministeriale in questione non soltanto e' lesivo delle attribuzioni costituzionali della regione ricorrente, ma e' in se' illegittimo anche per altri e concorrenti motivi. Tali ulteriori vizi di legittimita', quale che sia la loro incidenza rispetto alla lesione delle attribuzioni costituzionali della regione ricorrente, costituente l'oggetto del presente ricorso per conflitto, occorre qui di seguito dedurre ed illustrare sinteticamente. Il primo ed il piu' radicale di questi ulteriori vizi di legittimita' del decreto ministeriale in questione (che riteniamo non possa non rilevare anche nel presente giudizio) consiste nel fatto che tale decreto e' stato emanato dal Sottosegretario di Stato on. Paolo Scarpa Bonazza Buora al di fuori della delega ad esso conferita dal Ministro delle politiche agricole e forestali, e quindi in carenza di potere. Come si e' gia' detto in precedenza, il decreto ministeriale 10 giugno 2004 richiama nel preambolo, a fondamento del potere di firma del Sottosegretario, il decreto del Ministro delle politiche agricole (Alemanno) del 5 novembre 2001 (pubblicato nella G.U. del 3 gennaio 2002, n. 2) con cui sarebbero state delegate al sottosegretario «le funzioni istituzionali concernenti la disciplina generale ed il coordinamento in materia di pesca, acquacoltura e gestione delle risorse ittiche marine». In effetti l'art. 2, n. 5, del decreto ministeriale 5 novembre 2001 delega al sottosegretario «le questioni attinenti: .............. 5. La disciplina generale e il coordinamento in materia di pesca, acquacoltura e gestione delle risorse ittiche marine»; ma dallo stesso art. 1 e' «Fatta eccezione per quanto previsto dall'art. 1 del presente decreto». Orbene, il suddetto art. 1, al comma 1, riserva «esclusivamente» alla firma del Ministro una serie di atti, fra cui: «1. gli atti di particolare rilevanza politica, amministrativa ed economica; 2. gli atti normativi e regolamentari; 3. le circolari contenenti direttive generali; ...». Non sembra possa dubitarsi che il decreto ministeriale del 10 giugno 2004 rientra fra gli atti riservati esclusivamente alla firma del Ministro. Come si e' gia' visto in precedenza (n. 1.1.) il decreto 10 giugno 2004 in questione ha verosimilmente natura di «regolamento ministeriale»; in ogni caso esso e' certamente un atto «normativo» e quindi non poteva essere sottoscritto dal sottosegretario in conseguenza della riserva al Ministro stabilita dal n. 2 dell'art. 1, comma 1, del decreto ministeriale 5 novembre 2001. Del resto, il decreto in questione risulta essere estraneo ai poteri delegati al sottosegretario anche sotto altri e concorrenti profili. In primo luogo perche' esso - oltretutto intervenendo in una materia gia' regolata (come si e' visto in precedenza) da un regolamento d'esecuzione del Governo e da un regolamento comunitario - e' un atto di indubbia rilevanza amministrativa; e quindi la sua sottoscrizione e' riservata al Ministro dal gia' riportato n. 1 del primo comma dell'art. 1 del decreto ministeriale 5 novembre 2001. Ed in secondo luogo perche' se (in denegata ipotesi) il decreto in questione non fosse un atto normativo, allora esso dovrebbe configurarsi - in base al gia' riportato (ancora al n. 1.1.) art. 95 del d.P.R. n. 1639 del 1968 - una «direttiva di carattere generale», e quindi ricadrebbe negli atti riservati alla firma del Ministro dal n. 3 del primo comma dell'art. 1 del d.m. 5 novembre 2001. In ogni caso, dunque, il Sottosegretario di Stato on. Scarpa Bonazza Buora non aveva il potere di firmare il decreto ministeriale 10 giugno 2004 in questione. Tale decreto e' quindi radicalmente illegittimo. 1.4.2. - Un ulteriore motivo di illegittimita' del decreto in questione sta poi nel fatto che, come si evince dal suo preambolo, esso non sembra essere finalizzato all'adeguamento della disciplina della pesca «al progresso delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche», ne' a «favorirne lo sviluppo in determinate zone o per determinate classi di essa», come invece richiede il gia' riportato art. 32 della legge n. 963 del 1965. Comunque e' fuor di dubbio che il decreto ministeriale e' stato emanato senza avere acquisito - com'e' pure prescritto dall'art. 32 della legge n. 963/1965 - il parere della Commissione consultiva centrale per la pesca marittima (oggi divenuta, in base all'art. 3 del decreto legislativo 26 maggio 2004, n. 154, la Commissione consultiva centrale per la pesca e l'acquacoltura). 1.4.3. - In terzo luogo il decreto ministeriale 10 giugno 2004 sembra essere anche in contrasto con il citato art. 10 del decreto legislativo n. 153 del 2004 (gia' vigente al momento dell'emanazione del decreto ministeriale in questione). Infatti tale articolo stabilisce, al primo comma, che le future «norme tecniche» in materia di pesca (quali certamente sono quelle contenute nel decreto ministeriale impugnato) dovranno essere stabilite previa intesa con le regioni e mediante un regolamento interministeriale adottato ai sensi del terzo comma dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988; ed al terzo comma aggiunge che fino all'entrata in vigore del suddetto regolamento interministeriale «restano in vigore» le disposizioni del d.P.R. n. 1639/1968. Con il che la disciplina dell'art. 32 della legge n. 693/1965, che attribuiva al solo Ministro delle politiche agricole il potere di disporre in deroga alle norme del regolamento del 1968, dovrebbe ritenersi tacitamente abrogata. Quindi, il decreto ministeriale impugnato e' radicalmente privo di fondamento legale. 2. - Violazione delle attribuzioni costituzionali della Regione Sardegna di cui alle norme statutarie e costituzionali gia' citate, con particolare riferimento all'art. 117, comma 6, della Costituzione. Il decreto ministeriale impugnato e' illegittimo anche per un ulteriore motivo: esso, nel disciplinare una materia di competenza esclusiva regionale quale la pesca, si pone in aperto contrasto con l'art. 117, comma 6, della Costituzione, a norma del quale la potesta' regolamentare spetta allo Stato nelle sole materie in cui esso disponga di una competenza esclusiva ai sensi del comma 2 dello stesso art. 117. Si e' gia' visto in precedenza (n. 1.1.) che il decreto ministeriale in questione ha natura regolamentare. Si tratta dunque di un regolamento ministeriale che pretende di intervenire, anziche' in una materia di competenza esclusiva dello Stato, in una materia di competenza esclusiva della Regione autonoma della Sardegna. Cio' in palese contrasto, appunto, con il principio costituzionale, gia' elaborato dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che e' oggi espressamente sancito dal sesto comma dell'art. 117 della Costituzione. Com'e' noto, la disposizione costituzionale da ultimo citata si riferisce espressamente agli atti «regolamentari» dello Stato; e si e' visto che tale - un regolamento ministeriale - deve considerarsi il decreto ministeriale 10 giugno 2004 qui impugnato. Ma se anche si accedesse alla ipotesi subordinata in precedenza gia' accennata (v. ancora n. 1.1.), attribuendo al decreto ministeriale la natura di «atto normativo», o comunque di «atto amministrativo generale», non regolamentare, egualmente - ed anzi a maggior ragione - risulterebbe violato il principio del sesto comma dell'art. 117 della Costituzione. Infatti la ratio sottesa a quel principio e' che nelle materie di competenza legislativa regionale (quale certamente e' quella della pesca) non possono intervenire gli atti dell'amministrazione statale: in primis quelli regolamentari (che e' l'ipotesi piu' frequente), ma allo stesso modo, ovviamente, anche quelli non regolamentari (specie se comunque normativi), poiche' cio' che il principio costituzionale vuole impedire e' che gli atti (specie normativi) del Potere Esecutivo statale possano intervenire a disciplinare le materie di competenza legislativa regionale. 3. - Violazione del principio di leale collaborazione. In subordine, rileviamo che il decreto ministeriale impugnato e' altresi' lesivo del principio costituzionale di leale collaborazione; principio anch'esso gia' elaborato dalla giurisprudenza di codesta, ecc.ma Corte, ed oggi espressamente richiamato dal secondo comma dell'art. 120 della Costituzione. E' ben noto che, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza costituzionale (fra le tante, sentenza n. 242 del 1997), quando l'intervento pubblico in determinati settori incide su materie, o comunque su interessi, affidati sia allo Stato che alle regioni, in tali casi occorre che il procedimento da seguire per l'adozione dei provvedimenti necessari sia di tipo cooperativo e preveda (in vario modo: intesa, parere, ecc.) l'intervento di entrambi gli enti. Non a caso - come gia' si e' detto - il gia' ricordato art. 10, comma 1, del recente decreto legislativo n. 153 del 2004 stabilisce che le norme tecniche in materia di pesca dovranno essere emanate con decreto interministeriale «previa intesa con le regioni ...». Anche ammesso che, in relazione alla disciplina contenuta nel decreto impugnato, con la competenza regionale concorra una competenza statale, in tal caso il Ministero delle politiche agricole avrebbe quanto meno dovuto in qualche modo coinvolgere le regioni (ed in particolare la ricorrente) nella procedura che ha portato alla emanazione del decreto medesimo. Ma cosi' non e' stato, e quindi il principio di leale collaborazione ne risulta violato.
P. Q. M. Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale: dichiarare che non spettava allo Stato, e per esso al Ministero delle politiche agricole e forestali nella persona del Sottosegretario di Stato Paolo Scarpa Bonazza Buora, emanare il decreto 10 giugno 2004, meglio indicato in epigrafe, in toto e con particolare riguardo all'art. 2; in subordine, dichiarare che comunque non gli spettava di emanarlo al di fuori di procedure di collaborazione con la regione ricorrente; e per l'effetto, annullare il decreto stesso, in toto ed in particolare il suo art. 2. Roma - Cagliari, addi' 5 agosto 2004 Prof. avv. Sergio Panunzio - Avv. Graziano Campus 04C1023