N. 14 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 27 agosto 2004

Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 27
agosto 2004 (della Regione autonoma della Sardegna)

Pesca  -  Decreto  del Ministero delle politiche agricole e forestali
  concernente  la  disciplina delle reti da posta fissa - Ricorso per
  conflitto  di  attribuzioni  sollevato  dalla  Regione  Sardegna  -
  Dedotta invasione della sfera di competenza regionale in materia di
  pesca - Lamentata violazione di norme comunitarie, norme statutarie
  e  d'attuazione in quanto la fissazione di standards uniformi sulle
  attrezzature  da  pesca  e  di competenza comunitaria e gli atti di
  esercizio   dei   compiti   statali   di   «disciplina  generale  e
  coordinamento  nazionale»  riguardano  soltanto  la  gestione delle
  risorse  ittiche  marine  di interesse nazionale oltre le 12 miglia
  mentre  la  disciplina  del  DM non distingue (dentro o fuori le 12
  miglia)  ed  in  ogni caso riguarda l'uso delle reti entro le acque
  territoriali  -  Denunciata  carenza  di potere del Sottosegretario
  firmatario  perche' al di fuori della delega in materia di pesca ad
  esso  conferita  dal Ministro (DMPAF 5/11/2001) trattandosi di atti
  riservati esclusivamente alla firma del Ministro stesso - Lamentata
  mancata   acquisizione  del  parere  della  Commissione  consultiva
  centrale  per  la  pesca  e  l'acquacoltura  - Contrasto con art.10
  d.lgs.  n. 153/2004  il  quale  stabilisce  che  le  future  «norme
  tecniche»  in  materia  di  pesca  dovranno essere stabilite previa
  intesa  con  le  regioni  e  mediante regolamento interministeriale
  (art.17 l. n. 400/88)
- Decreto  del  Ministero  delle  politiche  agricole e forestali del
  10 giugno 2004.
- Costituzione   art. 117,  comma  primo,  quarto,  quinto  e  sesto;
  Regolamento C.E. n. 1626/1994 del Consiglio del 27 giugno 1994 art.
  5  ed allegato II; Statuto speciale Regione Sardegna artt. 3, lett.
  i)  e  6 e relative norme di attuazione in combinato disposto legge
  costituzionale 18/10/2003 n. 3 art. 10.
Pesca  -  Decreto  del Ministero delle politiche agricole e forestali
  concernente  la  disciplina delle reti da posta fissa - Ricorso per
  conflitto  di  attribuzioni  sollevato  dalla  Regione  Sardegna  -
  Dedotta  invasione della sfera di competenza regionale esclusiva in
  materia  di  pesca per l'uso del decreto ministeriale che ha natura
  regolamentare  e  la relativa potesta' spetta allo Stato nelle sole
  materie  in cui esso disponga di competenza esclusiva - Illegittimo
  ed  arbitrario  esercizio  del  potere  regolamentare  statale - In
  subordine  in  caso  di  configurazione  quale  «atto  normativo» -
  Indebita adozione in materia di competenza regionale.
- Decreto  del  Ministero  delle  politiche  agricole e forestali del
  10 giugno 2004.
- Costituzione   art. 117,  comma  sesto;  Statuto  speciale  Regione
  Sardegna  artt. 3,  lett.  i) e 6 e relative norme di attuazione in
  combinato disposto legge costituzionale 18/10/2003 n. 3 art.10.
Pesca  -  Decreto  del Ministero delle politiche agricole e forestali
  concernente  la  disciplina delle reti da posta fissa - Ricorso per
  conflitto  di  attribuzioni  sollevato  dalla  Regione  Sardegna  -
  Dedotta  invasione della sfera di competenza regionale esclusiva in
  materia di pesca e violazione del principio di leale collaborazione
  per il mancato concerto con la Regione ricorrente.
- Decreto  del  Ministero  delle  politiche  agricole e forestali del
  10 giugno 2004.
- Costituzione, art. 120.
(GU n.41 del 20-10-2004 )
    Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  della Regione autonoma
della  Sardegna,  in  persona  del  suo presidente dott. Renato Soru,
giusta  deliberazione  della  giunta  regionale  del  3 agosto  2004,
n. 32/3,  rappresentata  e difesa, in virtu' di procura a margine del
presente  atto,  anche disgiuntamente, dal prof. avv. Sergio Panunzio
del  Foro  di  Roma  e dall' avv. Graziano Campus, Direttore generale
dell'Area  legale  dell'Ente,  elettivamente  domiciliata  presso  il
primo, in Roma, viale XXI Aprile n. 11;

    Contro  la  Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  in carica, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  e  presso  la stessa
domiciliato  in  Roma,  via  dei Portoghesi n. 12; nel regolamento di
competenza  per  conflitto  di  attribuzioni  avverso  il decreto del
Ministero  delle politiche agricole e forestali del 10 giugno 2004, a
firma   del  Sottosegretario  di  Stato,  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale,   serie  generale,  n. 151  del  30 giugno  2004,  recante
«Disciplina delle reti da posta fissa».

                              F a t t o

    1.  -  Lo  Statuto speciale per la Sardegna (legge costituzionale
26 febbraio  1948,  n. 3),  all'art. 3,  lettera i), attribuisce alla
regione una competenza legislativa esclusiva in materia di pesca; per
la  medesima materia lo Statuto, all'art. 6, attribuisce alla regione
anche  le  funzioni  amministrative.  Tale  disciplina attributiva di
funzioni  e'  poi  integrata  dalle relative norme d'attuazione dello
Statuto: specialmente dagli articoli 6 e 7 del d.P.R. 19 maggio 1950,
n. 327;  dall'art. 1  del d.P.R. 24 novembre 1965, n. 1627, il quale,
in   particolare,   stabilisce   che   «Le   funzioni  amministrative
dell'autorita'  marittima  statale  concernenti  la  regolamentazione
della  pesca,  i  divieti e le autorizzazioni in materia di pesca, le
concessioni,    la    sorveglianza,    [......................    .],
relativamente  al  demanio  marittimo  ed  al  mare territoriale sono
trasferite all'Amministrazione regionale della Sardegna»; dall'art. 1
del  d.lgs.  17 aprile  2001,  n. 234;  e dal d.lgs. 6 febbraio 2004,
n. 70,  che,  in  particolare,  dopo  avere  ribadito  all'art. 1  il
trasferimento alla Regione Sardegna di tutte le funzioni ed i compiti
in  materia  di  pesca  svolte  dal soppresso Ministero delle risorse
agricole,  alimentari  e  forestali, con il secondo comma dell'art. 2
riserva  allo  Stato  soltanto i relativi «compiti di sola disciplina
generale  e  coordinamento  nazionale» e limitatamente alla «gestione
delle  risorse  ittiche  marine  di  interesse  nazionale oltre le 12
miglia».
    Tali competenze regionali in materia di pesca risultano oggi, per
certi   versi,   integrate   e   rafforzate  dal  combinato  disposto
dell'art. 117   della   Costituzione   e   dell'art. 10  della  legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3.  Infatti, com'e' noto, da un
lato  la  materia  della  pesca e' divenuta una materia di competenza
legislativa   «residuale-esclusiva»   per  le  regioni  ad  autonomia
ordinaria  (art. 117,  comma  4),  e  tale competenza incontra i soli
limiti costituiti dai vincoli «derivanti dall'ordinamento comunitario
e  dagli  obblighi internazionali» (art. 117, comma 1); dall'altro le
norme  dell'art. 117  della  Costituzione  si  applicano  anche  alle
regioni ad autonomia speciale «per le parti in cui prevedono forme di
autonomia piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite». Ne consegue,
fra l'altro, che nei confronti della competenza legislativa esclusiva
della Regione Sardegna in materia di pesca non e' piu' applicabile il
limite  delle  «norme  fondamentali  delle  riforme economico-sociali
della Repubblica», di cui all'art. 2, comma 1, dello Statuto speciale
per la Sardegna (cfr., per tutte, Corte cost. sent. n. 274 del 2003).
    2.  -  La Regione ricorrente ha ampiamente esercitato le suddette
funzioni,  intervenendo  a  disciplinare  la  pesca nelle acque della
Sardegna; sia con atti legislativi che con altri atti normativi.
    Fra  i  primi,  si  ricordano la l.r. 28 novembre 1950, n. 65; la
l.r.  7  marzo  1956,  n. 37;  la  l.r.  2 marzo 1956, n. 39; la l.r.
5 luglio 1963, n. 3; la l.r. 22 luglio 1991, n. 25.
    Fra   i   secondi   merita   di   essere   ricordato  il  decreto
dell'assessore  della  difesa  dell'ambiente  25 agosto 1992, n. 2039
(recante  norme  di attuazione della legge regionale n. 25 del 1991),
che  stabilisce  anche, all'art. 17, norme sulla quantita' delle reti
da  posta  che  si  possono  imbarcare  (massimo 50 pezzi a marittimo
imbarcato) e sulla misura delle loro maglie (non inferiori al 10: mm.
50).
    3.  -  Cio'  premesso,  nella G.U. del 30 giugno 2004, n. 151, e'
stato  pubblicato il decreto ministeriale 10 giugno 2004, indicato in
epigrafe,  a  firma del Sottosegretario di Stato Paolo Scarpa Bonazza
Buora.
    Come  risulta  dal  suo  preambolo,  il  decreto  ministeriale in
questione  e'  stato emanato «visti», fra l'altro: la legge 14 luglio
1965,  n. 963,  recante  la  disciplina  della  pesca  marittima;  il
relativo  regolamento d'esecuzione, recato dal d.P.R. 2 ottobre 1968,
n. 1639;  la  legge  17 febbraio 1982, n. 41, recante il piano per la
razionalizzazione e lo sviluppo della pesca marittima; il regolamento
(CE)  1626  del 27 giugno 1994, che istituisce misure tecniche per la
conservazione  delle risorse della pesca nel Mediterraneo; e «il d.m.
5  novembre 2001, con il quale sono state delegate al Sottosegretario
di  Stato  on. Paolo  Scarpa  Bonazza Buora le funzioni istituzionali
concernenti  la disciplina generale ed il coordinamento in materia di
pesca,   acquicoltura  [rectius,  «acquacoltura»]  e  gestione  delle
risorse  idriche  [rectius  «ittiche»] marine». Come pure risulta dal
preambolo  esso  non  e'  stato  preceduto  da alcuna concertazione o
consultazione con la Regione Sardegna.
    Tale   decreto   (dopo  avere  richiamato  ancora  nel  preambolo
l'opportunita',  «nelle more della redazione del piano d'azione della
pesca  mediterranea  e  della  revisione  del  d.P.R. 2 ottobre 1968,
n. 1639   [di]  procedere  ad  una  piu'  precisa  definizione  delle
caratteristiche  tecniche  del sistema "attrezzi da posta"») nei suoi
quattro  articoli stabilisce varie regole relative all'uso delle reti
da  «posta  fissa»:  cioe' le reti - cosi' definite dall'art. 1 dello
stesso  decreto  - «ancorate al fondo marino, destinate a recingere o
sbarrare  spazi  acquei, allo scopo di ammagliare pesci, crostacei, e
molluschi che vi incappano»).
    Ai  fini del presente ricorso rileva in modo particolare l'art. 2
del  decreto  ministeriale,  il  quale stabilisce che: «E' consentito
l'impiego delle reti da posta fisse purche' la superficie complessiva
non sia superiore a 20.000 mq ciascuna».
    Ma  va  altresi'  richiamato  l'art. 3,  che  nei  suoi due commi
disciplina  le  caratteristiche  dei  segnali  di  cui debbono essere
muniti  le  reti  da  posta fissa; e l'art. 4, che vieta di collocare
tali  reti  ad  una distanza inferiore a 200 metri dalla congiungente
dei  punti  piu'  foranei «delimitanti le foci e gli altri sbocchi in
mare dei fiumi o di altri corsi di acqua o bacini».
    Il  decreto  ministeriale  10  giugno  2004, stante il suo tenore
letterale,   e'  direttamente  applicabile  in  tutto  il  territorio
nazionale,  e  quindi anche in Sardegna. Pertanto esso, in parte qua,
e'  illegittimo  e  lesivo  delle  attribuzioni  costituzionali della
Regione  autonoma  della  Sardegna,  che  pertanto  lo  impugna per i
seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1.  -  Violazione delle attribuzioni costituzionali della Regione
autonoma  della Sardegna di cui agli articoli 3, lettera i) e 6 dello
Statuto speciale per la Sardegna (legge cost. 26 febbraio 1948, n. 3)
e  delle  relative  norme  d'attuazione  (articoli  6  e 7 del d.P.R.
19 maggio  1950,  n. 327; art. 1 del d.lgs. 17 aprile 2001, n. 234; e
specialmente art. 1 del d.P.R. 24 novembre 1965, n. 1627, ed articoli
1  e  2,  comma  2,  del  d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 70); e di cui al
combinato disposto dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre
2001,  n. 3,  e dell'art. 117 (commi 1, 4, 5 e 6) della Costituzione,
anche in relazione all'art. 5 ed all'Allegato II del Regolamento (CE)
n. 1626/94  del  Consiglio  del  27  giugno  1994.  Carenza di potere
dell'autorita' emanante.
    1.1.  - Preliminarmente, per meglio comprendere alcuni dei motivi
di  illegittimita' e lesivita' del decreto in questione, e' opportuno
chiarirne il fondamento legale e la natura.
    Il  decreto,  come gia' detto, e' stato adottato «vista» la legge
14 luglio  1965,  n. 963  e «visto» il d.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639
che  da'  esecuzione  a  detta  legge.  La  legge  n. 963  del  1965,
all'art. 32,  prevede  che  il  Ministro  responsabile per il settore
della  pesca puo' «con suo decreto, sentita la Commissione consultiva
centrale  per  la  pesca  marittima,  emanare norme per la disciplina
della pesca anche in deroga alle discipline regolamentari, al fine di
adeguarla   al   progresso  delle  conoscenze  scientifiche  e  delle
applicazioni  tecnologiche,  e  favorirne  lo sviluppo in determinate
zone  o  per determinate classi di essa»; mentre l'art. 95 del citato
regolamento  di  esecuzione  ulteriormente  stabilisce che i medesimi
decreti  ministeriali  costituiscono,  «salvo  che  sia espressamente
escluso,  direttive di carattere generale, ai sensi degli articoli 8,
secondo comma, e 9, secondo comma del d.P.R. 13 luglio 1954, n. 747».
In  forza  di  tale  ultimo  rinvio, pertanto, i decreti ministeriali
quali   quello  impugnato  costituirebbero  «direttive  di  carattere
generale obbligatorie per le amministrazioni provinciali».
    Che sia questo il fondamento legale del decreto in questione pare
indiscutibile   (anche  se  esso  -  scorrettamente  -  non  richiama
specificamente  l'articolo  della  legge  su  cui  si  fonda,  ne' la
relativa  norma  del  regolamento  d'esecuzione). Infatti nella legge
n. 963  (e  nel  relativo regolamento d'esecuzione) non vi sono altre
disposizioni  idonee  a  fondare il decreto in questione. Sicuramente
esso   non   potrebbe   fondarsi  sull'art. 10  del  recente  decreto
legislativo delegato 26 maggio 2004 n. 153 (recante «Attuazione della
legge  7 marzo  2003,  n. 38,  in  materia  di pesca marittima»), non
citato dal decreto impugnato, che prevede la sostituzione del vecchio
regolamento  d'esecuzione n. 1639 del 1968 ad opera di un regolamento
interministeriale,  adottato  ai  sensi  del terzo comma dell'art. 17
della  legge  n. 400 del 1988 (quindi, fra l'altro, previo parere del
Consiglio di Stato) e previa intesa con le regioni.
    Dal  quadro  sin  qui  sinteticamente  delineato si evince che il
decreto  impugnato  rappresenta  esercizio  di un potere ministeriale
volto  a  disciplinare  -  secondo quanto previsto dall'art. 32 della
legge  n. 963  del 1965 - aspetti specifici della materia della pesca
anche  in deroga alle disposizioni regolamentari contenute nel d.P.R.
1639  del  1968. Nella specie tale deroga sembra sussistere, ad opera
in  particolare  dell'impugnato art. 2 del decreto, in relazione alla
disciplina  stabilita dall'art. 103 del regolamento n. 1639 del 1968,
che  per  le  reti  da  posta  non stabiliva limitazioni di lunghezza
(peraltro poi stabilite dalla disciplina comunitaria), ma si limitava
a  stabilire  che  le  maglie  non  dovevano  essere  inferiori  a 20
millimetri.
    Quanto  poi alla natura del decreto ministeriale, non pare dubbio
che esso abbia contenuto normativo, stante il carattere di disciplina
generale ed astratta delle prescrizioni da esso stabilite. Infatti la
disciplina dei quattro articoli in esso contenuti corrisponde - salvo
qualche  variante  in  alcuni  casi  (fra  cui  quella gia' esaminata
dell'impugnato  art. 2)  -  ai  seguenti  articoli del regolamento di
esecuzione (d.P.R. n. 1639/1968) della legge n. 963/1965: articoli 4,
comma  2,  103, comma 1, 104, 105. Il fatto, poi, che l'art. 32 della
legge  n. 963  del  1965  preveda  che i decreti ivi previsti possano
derogare  alle  norme  regolamentari,  e  che nella specie cio' abbia
fatto  il  decreto  ministeriale  qui impugnato, depone nel senso del
riconoscimento   a   quest'ultimo   della   natura   di  «regolamento
ministeriale».
    Comunque,  come  poi  si  vedra',  che il decreto ministeriale in
questione sia un atto propriamente «regolamentare», od invece un atto
amministrativo  generale  che  non costituisce esercizio di un potere
propriamente  regolamentare,  cio'  non rileva per quanto riguarda la
sua lesivita' rispetto alle attribuzioni costituzionali della regione
ricorrente.
    1.2.  -  Cio'  premesso, non puo' esservi dubbio sul fatto che il
decreto  ministeriale  impugnato  detta  disposizioni  in  materia di
pesca:  cioe'  di  una  materia che appartiene invece alla competenza
esclusiva  della  regione  ricorrente.  Per cio' stesso la disciplina
dettata dallo Stato con l'atto impugnato - tanto piu' non trattandosi
neppure  di  una  legge,  ma  di un regolamento o comunque di un atto
amministrativo  statale  -  e'  palesemente  invasiva  e lesiva delle
competenze costituzionali della regione ricorrente.
    Ne'  si  potrebbe sostenere, al riguardo, che la competenza dello
Stato  ad  emanare quel decreto si fondi sulla competenza legislativa
esclusiva    statale    in    materia   di   «tutela   dell'ambiente,
dell'ecosistema  e dei beni culturali», ex art. 117, comma 2, lettera
s)  della  Costituzione. Anche a prescindere, ancora una volta, dalla
natura  non legislativa dell'atto in questione, la disciplina in esso
contenuta non puo' trovare fondamento in quella norma costituzionale.
    Ovviamente, cosi' dicendo non si intende negare che la disciplina
delle   reti  di  posta  di  cui  all'impugnato  art. 2  del  decreto
ministeriale  possa  avere  a  che fare con la tutela dell'ecosistema
marino:  infatti  la  regolamentazione  delle reti da pesca ha sempre
avuto  anche  una  funzione  selettiva del pescato, e quindi anche di
tutela  delle specie ittiche. Ma questo possibile collegamento fra la
competenza  statale  per  la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e
quella  regionale in materia di pesca non puo' certo risolversi nella
cancellazione di quest'ultima.
    Infatti, secondo il costante insegnamento di codesta ecc.ma Corte
costituzionale,  la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema non e' una
«materia»  in  senso  tecnico di esclusiva competenza statale tale da
escludere  ogni  intervento  regionale,  quanto  piuttosto un «valore
trasversale»  che richiede allo Stato di stabilire le «determinazioni
che   rispondono   ad  esigenze  meritevoli  di  disciplina  uniforme
sull'intero  territorio  nazionale,  senza  che  ne  resti esclusa la
competenza  regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati
con  quelli  propriamente  ambientali»  (cosi',  per  tutte, sentenza
n. 222 del 2003, ed ivi ulteriori richiami).
    Pertanto,   nella   Regione   Sardegna  (stante  il  limite  alla
applicazione  delle  nuove  norme  del  Titolo  V  della Costituzione
stabilito  dall'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) gli
interventi  statali  a  tutela  di  interessi nazionali relativi alla
conservazione  degli  ecosistemi  marini  non  possono  portare  alla
cancellazione  della competenza esclusiva della regione in materia di
pesca;   e  quindi  quegli  interventi  -  se  necessari  -  dovranno
necessariamente   tradursi  in  quelle  attivita'  amministrative  di
«disciplina  generale e coordinamento nazionale» riservati allo Stato
dalle  gia'  ricordate  norme d'attuazione dello Statuto sardo di cui
all'art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 70 del 2004.
    1.3.1.  - Tuttavia, nel caso in questione il decreto ministeriale
impugnato  non  corrisponde,  per  piu'  di  un  aspetto,  al tipo di
intervento da ultimo ipotizzato, e risulta quindi essere lesivo delle
attribuzioni costituzionali della regione ricorrente.
    In  primo  luogo,  infatti,  gli  atti  di  esercizio dei compiti
statali  di «disciplina generale e coordinamento nazionale» di cui al
secondo  comma  dell'art. 2  del  decreto  legislativo n. 70 del 2004
possono  riguardare soltanto - come gia' si e' visto essere stabilito
da  quella  norma  d'attuazione  - la «gestione delle risorse ittiche
marine  di  interesse  nazionale  oltre le 12 miglia». Ma, come si e'
visto,  il  decreto  ministeriale  qui  impugnato  disciplina  in via
generale  l'impiego delle reti da posta fissa (art. 1), quale che sia
la distanza dalla costa delle acque in cui vengono usate.
    In particolare la disciplina dell'art. 2 sulla superficie massima
di tali reti non e' certo limitata al loro uso oltre le dodici miglia
dalla costa, ma e' invece diretta soprattutto a regolarne l'uso entro
le  acque  territoriali.  Lo  stesso  puo'  dirsi  per  l'art. 3  che
disciplina  i  segnali  delle  reti  suddette;  ed  a maggior ragione
l'art. 4  che disciplina l'uso di quelle reti nelle prossimita' degli
sbocchi a mare dei corsi d'acqua.
    1.3.2.  -  In  secondo  luogo,  nella  materia  in  questione  la
fissazione  degli  standards uniformi sulle attrezzature da pesca, in
funzione  di  protezione  delle  risorse  ittiche,  e' da lungo tempo
compito  della  Comunita' europea, che e' gia' piu' volte intervenuta
al   riguardo   fissando   prescrizioni   normative  tuttora  vigenti
(applicate  dalla  stessa  Regione  Sardegna), e che pero' sono state
violate  proprio  dalla  disciplina stabilita dall'art. 2 del decreto
ministeriale impugnato.
    Infatti  la  CE  -  che e' intervenuta anche in altre occasioni a
disciplinare  le reti da pesca, per esempio vietando l'uso delle reti
da  posta  derivanti,  le  c.d.  «spadare»  (art. 11  del regolamento
n. 849/1997   del   Consiglio  del  29 aprile  1997,  poi  sostituito
dall'art. 1 del regolamento n. 1239/1998 del Consiglio, dell'8 giugno
1998)  -  sin  dal  1994  ha  emanato il regolamento n. 1626/1994 del
Consiglio  del  27  giugno  1994  (istituente «misure tecniche per la
conservazione  delle  risorse della pesca nel Mediterraneo» ) che fra
l'altro  disciplina  i requisiti minimi relativi alle caratteristiche
dei principali tipi di attrezzi da pesca.
    In  particolare  l'art. 5  del  suddetto regolamento CE, al primo
comma,  stabilisce  che  «Gli  Stati  membri  fissano  le restrizioni
relative  alle  caratteristiche  dei  principali  tipi di attrezzi da
pesca, attenendosi ai requisiti minimi precisati nell'allegato II». A
sua  volta  l'allegato II stabilisce per tutte le «reti fisse» che la
loro altezza non puo' essere superiore a 4 metri, mentre la lunghezza
non   puo'  essere  superiore  a  5.000  metri.  Come  risulta  anche
dall'ottavo  «considerando»  del  regolamento, si tratta di requisiti
minimi,   che  possono  anche  essere  resi  piu'  restrittivi  dalle
competenti  autorita' degli Stati; ma qualora queste non intervengano
si applicano comunque, direttamente, i requisiti minimi dell'allegato
II.  Quest'ultimo  e' il caso della pesca nelle acque della Sardegna:
non  avendo  la  regione  (come  avrebbe  potuto  fare  anche in base
all'art. 117,  comma  5,  della  Costituzione)  stabilito  discipline
integrative   ulteriori,   si   applicano   alle   reti  le  suddette
prescrizioni dell'allegato II del regolamento CE n. 1626/1994.
    Ma  la  disciplina dell'art. 2 del decreto ministeriale impugnato
contraddice  palesemente i requisiti minimi stabiliti dal regolamento
comunitario.  Infatti il decreto sostituisce i due distinti requisiti
minimi comunitari per le reti fisse, consistenti nell'altezza massima
di  quattro metri e nella lunghezza massima di cinque chilometri, con
un  unico  requisito minimo, consistente nella superficie complessiva
non  superiore  a  20.000  metri  quadrati  (superficie,  come  tale,
corrispondente  a  quella  risultante  dalle  misure prescritte dalla
norma  comunitaria).  Ma  cosi'  facendo, il decreto ministeriale non
solo  contraddice  la norma comunitaria, modificandone i parametri di
misura  delle reti, ma soprattutto ne «aggira» la ratio, riducendo la
tutela delle specie ittiche. Infatti, essendo quello della superficie
massima  l'unico  requisito  prescritto,  cio'  consente, riducendone
l'altezza,  di  utilizzare  reti che (seppure di superficie analoga a
quella richiesta dalla disciplina comunitaria) risultano essere assai
piu'  lunghe  dei  5 chilometri prescritti dal regolamento CE n. 1626
del  1994. E cio', appunto con pregiudizio per la tutela delle specie
ittiche,  che  e'  salvaguardata  in  special  modo  dal  limite alla
lunghezza  delle  reti  (la  utilizzazione  di  reti piu' lunghe di 5
chilometri,  infatti, puo' favorire anche un ritorno mascherato delle
«spadare»,  da  anni bandite dalla legge sarda e poi dalla disciplina
comunitaria).
    In  conclusione,  dunque,  la  disciplina  stabilita  dai quattro
articoli del decreto ministeriale 10 giugno 2004, qui impugnato, lede
le  competenze  costituzionali  della  Regione Sardegna, poiche' esso
invade  la  sua  competenza  esclusiva in materia di regolamentazione
della pesca.
    Per  di  piu',  con  particolare  riferimento  all'art. 2,  lo fa
violando  anche norme comunitarie. In tal modo - sempre con specifico
riferimento  all'art. 2 - il decreto ministeriale in questione, oltre
a  violare  le  norme  statutarie  e  d'attuazione gia' citate (spec.
art. 3,  lettera  i)  dello  Statuto  speciale), viola anche il primo
comma  dell'art. 117  della  Costituzione,  che impone alle leggi (ed
a maggiore   ragione   agli   atti  amministrativi)  dello  Stato  di
rispettare i «vincoli» dell'ordinamento comunitario.
    1.4.1.  - Infine, si deve rilevare che il decreto ministeriale in
questione  non  soltanto  e' lesivo delle attribuzioni costituzionali
della  regione ricorrente, ma e' in se' illegittimo anche per altri e
concorrenti  motivi.  Tali  ulteriori vizi di legittimita', quale che
sia  la  loro  incidenza  rispetto  alla  lesione  delle attribuzioni
costituzionali  della  regione  ricorrente, costituente l'oggetto del
presente  ricorso  per  conflitto,  occorre qui di seguito dedurre ed
illustrare sinteticamente.
    Il  primo  ed  il  piu'  radicale  di  questi  ulteriori  vizi di
legittimita' del decreto ministeriale in questione (che riteniamo non
possa  non  rilevare  anche nel presente giudizio) consiste nel fatto
che  tale  decreto  e'  stato  emanato  dal  Sottosegretario di Stato
on. Paolo  Scarpa  Bonazza  Buora  al  di  fuori della delega ad esso
conferita dal Ministro delle politiche agricole e forestali, e quindi
in carenza di potere.
    Come  si  e'  gia'  detto  in precedenza, il decreto ministeriale
10 giugno  2004  richiama  nel  preambolo, a fondamento del potere di
firma  del  Sottosegretario,  il decreto del Ministro delle politiche
agricole  (Alemanno) del 5 novembre 2001 (pubblicato nella G.U. del 3
gennaio   2002,   n. 2)   con   cui   sarebbero   state  delegate  al
sottosegretario  «le funzioni istituzionali concernenti la disciplina
generale  ed  il  coordinamento  in  materia di pesca, acquacoltura e
gestione delle risorse ittiche marine».
    In  effetti  l'art. 2,  n. 5, del decreto ministeriale 5 novembre
2001    delega    al   sottosegretario   «le   questioni   attinenti:
..............  5.  La  disciplina  generale  e  il  coordinamento in
materia  di  pesca,  acquacoltura  e  gestione  delle risorse ittiche
marine»;  ma  dallo  stesso  art. 1  e'  «Fatta  eccezione per quanto
previsto dall'art. 1 del presente decreto».
    Orbene,  il suddetto art. 1, al comma 1, riserva «esclusivamente»
alla  firma  del Ministro una serie di atti, fra cui: «1. gli atti di
particolare  rilevanza  politica, amministrativa ed economica; 2. gli
atti  normativi e regolamentari; 3. le circolari contenenti direttive
generali;   ...».   Non   sembra   possa  dubitarsi  che  il  decreto
ministeriale  del  10 giugno  2004  rientra  fra  gli  atti riservati
esclusivamente  alla  firma  del  Ministro.  Come si e' gia' visto in
precedenza  (n. 1.1.)  il  decreto  10  giugno  2004  in questione ha
verosimilmente  natura  di  «regolamento  ministeriale»; in ogni caso
esso  e'  certamente  un  atto «normativo» e quindi non poteva essere
sottoscritto  dal  sottosegretario  in  conseguenza  della riserva al
Ministro  stabilita  dal  n. 2  dell'art. 1,  comma  1,  del  decreto
ministeriale 5 novembre 2001.
    Del  resto,  il  decreto  in questione risulta essere estraneo ai
poteri  delegati  al  sottosegretario anche sotto altri e concorrenti
profili. In primo luogo perche' esso - oltretutto intervenendo in una
materia  gia'  regolata  (come  si  e'  visto  in  precedenza)  da un
regolamento  d'esecuzione del Governo e da un regolamento comunitario
-  e'  un  atto di indubbia rilevanza amministrativa; e quindi la sua
sottoscrizione  e'  riservata al Ministro dal gia' riportato n. 1 del
primo  comma dell'art. 1 del decreto ministeriale 5 novembre 2001. Ed
in  secondo  luogo  perche'  se  (in  denegata ipotesi) il decreto in
questione   non   fosse  un  atto  normativo,  allora  esso  dovrebbe
configurarsi - in base al gia' riportato (ancora al n. 1.1.) art.  95
del  d.P.R. n. 1639 del 1968 - una «direttiva di carattere generale»,
e  quindi ricadrebbe negli atti riservati alla firma del Ministro dal
n. 3 del primo comma dell'art. 1 del d.m. 5 novembre 2001.
    In  ogni  caso,  dunque,  il  Sottosegretario di Stato on. Scarpa
Bonazza  Buora non aveva il potere di firmare il decreto ministeriale
10  giugno  2004  in  questione.  Tale decreto e' quindi radicalmente
illegittimo.
    1.4.2.  -  Un  ulteriore  motivo di illegittimita' del decreto in
questione  sta  poi  nel fatto che, come si evince dal suo preambolo,
esso  non  sembra essere finalizzato all'adeguamento della disciplina
della  pesca  «al  progresso  delle  conoscenze  scientifiche e delle
applicazioni   tecnologiche»,   ne'   a  «favorirne  lo  sviluppo  in
determinate  zone  o  per  determinate  classi  di essa», come invece
richiede  il  gia'  riportato  art. 32  della  legge n. 963 del 1965.
Comunque  e'  fuor  di  dubbio  che  il decreto ministeriale e' stato
emanato  senza  avere acquisito - com'e' pure prescritto dall'art. 32
della  legge  n. 963/1965  -  il  parere della Commissione consultiva
centrale  per  la  pesca marittima (oggi divenuta, in base all'art. 3
del  decreto  legislativo  26 maggio  2004,  n. 154,  la  Commissione
consultiva centrale per la pesca e l'acquacoltura).
    1.4.3.  -  In  terzo luogo il decreto ministeriale 10 giugno 2004
sembra  essere  anche  in contrasto con il citato art. 10 del decreto
legislativo  n. 153 del 2004 (gia' vigente al momento dell'emanazione
del   decreto  ministeriale  in  questione).  Infatti  tale  articolo
stabilisce, al primo comma, che le future «norme tecniche» in materia
di   pesca  (quali  certamente  sono  quelle  contenute  nel  decreto
ministeriale  impugnato)  dovranno essere stabilite previa intesa con
le  regioni  e  mediante un regolamento interministeriale adottato ai
sensi del terzo comma dell'art. 17 della legge n. 400 del 1988; ed al
terzo  comma  aggiunge  che  fino  all'entrata in vigore del suddetto
regolamento interministeriale «restano in vigore» le disposizioni del
d.P.R.  n. 1639/1968.  Con  il  che  la disciplina dell'art. 32 della
legge  n. 693/1965,  che  attribuiva al solo Ministro delle politiche
agricole  il  potere di disporre in deroga alle norme del regolamento
del 1968, dovrebbe ritenersi tacitamente abrogata. Quindi, il decreto
ministeriale impugnato e' radicalmente privo di fondamento legale.
    2.  -  Violazione delle attribuzioni costituzionali della Regione
Sardegna  di  cui alle norme statutarie e costituzionali gia' citate,
con    particolare   riferimento   all'art. 117,   comma   6,   della
Costituzione.
    Il  decreto  ministeriale  impugnato  e' illegittimo anche per un
ulteriore  motivo:  esso,  nel disciplinare una materia di competenza
esclusiva  regionale  quale la pesca, si pone in aperto contrasto con
l'art. 117,  comma  6,  della  Costituzione,  a  norma  del  quale la
potesta'  regolamentare  spetta  allo Stato nelle sole materie in cui
esso  disponga di una competenza esclusiva ai sensi del comma 2 dello
stesso art. 117.
    Si   e'  gia'  visto  in  precedenza  (n. 1.1.)  che  il  decreto
ministeriale  in  questione ha natura regolamentare. Si tratta dunque
di  un regolamento ministeriale che pretende di intervenire, anziche'
in una materia di competenza esclusiva dello Stato, in una materia di
competenza  esclusiva  della Regione autonoma della Sardegna. Cio' in
palese  contrasto,  appunto,  con  il  principio costituzionale, gia'
elaborato  dalla  giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che e' oggi
espressamente   sancito   dal   sesto   comma   dell'art. 117   della
Costituzione.
    Com'e'  noto,  la disposizione costituzionale da ultimo citata si
riferisce  espressamente  agli atti «regolamentari» dello Stato; e si
e'  visto  che tale - un regolamento ministeriale - deve considerarsi
il  decreto ministeriale 10 giugno 2004 qui impugnato. Ma se anche si
accedesse  alla  ipotesi subordinata in precedenza gia' accennata (v.
ancora  n. 1.1.),  attribuendo  al  decreto ministeriale la natura di
«atto  normativo»,  o comunque di «atto amministrativo generale», non
regolamentare,  egualmente - ed anzi a maggior ragione - risulterebbe
violato   il   principio   del   sesto   comma   dell'art. 117  della
Costituzione.  Infatti la ratio sottesa a quel principio e' che nelle
materie  di  competenza  legislativa  regionale  (quale certamente e'
quella    della    pesca)    non   possono   intervenire   gli   atti
dell'amministrazione  statale: in primis quelli regolamentari (che e'
l'ipotesi  piu'  frequente),  ma  allo stesso modo, ovviamente, anche
quelli non regolamentari (specie se comunque normativi), poiche' cio'
che  il  principio  costituzionale  vuole  impedire  e'  che gli atti
(specie normativi) del Potere Esecutivo statale possano intervenire a
disciplinare le materie di competenza legislativa regionale.
    3. - Violazione del principio di leale collaborazione.
    In  subordine, rileviamo che il decreto ministeriale impugnato e'
altresi' lesivo del principio costituzionale di leale collaborazione;
principio  anch'esso  gia' elaborato dalla giurisprudenza di codesta,
ecc.ma  Corte,  ed  oggi  espressamente  richiamato dal secondo comma
dell'art. 120 della Costituzione.
    E'   ben   noto  che,  secondo  il  costante  insegnamento  della
giurisprudenza  costituzionale  (fra  le  tante,  sentenza n. 242 del
1997),  quando l'intervento pubblico in determinati settori incide su
materie,  o  comunque  su interessi, affidati sia allo Stato che alle
regioni,  in  tali  casi  occorre  che il procedimento da seguire per
l'adozione  dei  provvedimenti  necessari  sia  di tipo cooperativo e
preveda  (in  vario  modo:  intesa,  parere,  ecc.)  l'intervento  di
entrambi  gli  enti.  Non  a  caso  - come gia' si e' detto - il gia'
ricordato  art. 10,  comma  1, del recente decreto legislativo n. 153
del  2004  stabilisce  che  le  norme  tecniche  in  materia di pesca
dovranno  essere emanate con decreto interministeriale «previa intesa
con le regioni ...».
    Anche  ammesso  che,  in  relazione alla disciplina contenuta nel
decreto   impugnato,   con   la  competenza  regionale  concorra  una
competenza statale, in tal caso il Ministero delle politiche agricole
avrebbe quanto meno dovuto in qualche modo coinvolgere le regioni (ed
in  particolare  la  ricorrente)  nella procedura che ha portato alla
emanazione  del  decreto medesimo. Ma cosi' non e' stato, e quindi il
principio di leale collaborazione ne risulta violato.
                              P. Q. M.
    Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale:
        dichiarare  che  non  spettava  allo  Stato,  e  per  esso al
Ministero  delle  politiche  agricole  e  forestali nella persona del
Sottosegretario  di  Stato  Paolo  Scarpa  Bonazza  Buora, emanare il
decreto  10  giugno  2004, meglio indicato in epigrafe, in toto e con
particolare riguardo all'art. 2;
        in  subordine,  dichiarare  che  comunque non gli spettava di
emanarlo  al  di  fuori di procedure di collaborazione con la regione
ricorrente;
        e  per  l'effetto, annullare il decreto stesso, in toto ed in
particolare il suo art. 2.
          Roma - Cagliari, addi' 5 agosto 2004
          Prof. avv. Sergio Panunzio - Avv. Graziano Campus
04C1023