N. 761 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 aprile 2004
Ordinanza emessa il 14 aprile 2004 dal tribunale di Varese sull'istanza proposta da Pezzino Vincenzo Processo penale - Spese processuali e penali - Estinzione mediante il pagamento del 25 per cento della somma dovuta iscritta nei ruoli statali - Previsione con norma di interpretazione autentica - Ingiustificato eguale trattamento dei debiti tributari e di quelli non tributari - Indebita realizzazione di «indulto occulto» - Violazione del principio della natura rieducativa della pena - Violazione dei principi del giusto processo. - Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 12, modificativo dell'art. 5-bis del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito in legge 21 febbraio 2003, n. 27; decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143, art. 1, comma 2-decies, convertito nella legge 1° agosto 2003, n. 212. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 27, comma terzo, 79 e 111, primo comma.(GU n.41 del 20-10-2004 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza, art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87. Nel procedimento di esecuzione penale n. 15/04 R.Es. Tribunale, promosso da Vincenzo Pezzino, nato a Bagheria l'11 gennaio 1957, condannato con sentenza n. 153/1997 del pretore di Varese; rilevato che con sentenza 21 febbraio 1997 n. 153, il pretore di Varese applicava su richiesta delle parti a Vincenzo Pezzino la pena di mesi tre di reclusione, sostituiti con la multa di lire due milioni duecentocinquantamila (pena successivamente rideterminata in sede esecutiva a seguito della depenalizzazione di uno reati); il Pezzino ha chiesto al giudice dell'esecuzione di dichiarare l'estinzione della pena pecuniaria; l'istanza e' fondata sul dichiarato e documentato versamento, al concessionario incaricato della riscossione, di una somma complessiva pari al 25% della somma iscritta a ruolo, e sulla conseguente applicazione, invocata a tal fine dal richiedente, dell'art. 12 della legge 27 dicembre 2002 n. 289. All'udienza camerale del 9 aprile 2004 e' stata riservata la decisione. Ritiene questo giudice che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale del citato art. 12 legge 27 dicembre 2002 n. 289, modificato dall'art. 5-bis d.l. n. 24 dicembre 2002 n. 282 convertito in legge 21 febbraio 2003 n. 27, nonche' dall'art. 1, comma 2-decies, d.l. n. 24 giugno 2003 n. 143, convertito in legge 1° agosto 2003 n. 212. Dispone la prima norma (contenuta nella Legge Finanziaria 2003) che «relativamente ai carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali e affidati ai concessionari del servizio nazionale della riscossione fino al 31 dicembre 2000, i debitori possono estinguere il debito senza corrispondere gli interessi di mora con il pagamento di una somma pari al 25% dell'importo iscritto a ruolo» oltre che delle somme eventualmente dovute al concessionario a titolo di rimborso per le spese sostenute per procedure esecutive; mentre la seconda stabilisce che «ai fini dell'art. 12 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, per ruoli emessi da uffici statali si intendono quelli relativi ad entrate sia di natura tributaria che non tributaria», ponendosi quindi in termini di interpretazione autentica della norma contenuta nella Legge Finanziaria 2003. La questione e' rilevante nel presente giudizio in quanto, attraverso l'applicazione di queste norme, il condannato Vincenzo Pezzino, avendo gia' effettuato il pagamento ridotto al 25% della somma dovuta a titolo di sanzione pecuniaria penale, richiede a titolo di «condono» declaratoria di estinzione della pena irrogata dal giudice penale: effetto che conseguirebbe al riconoscimento dell'applicabilita' alla pena pecuniaria irrogata dal giudice penale del cosiddetto «condono» previsto dalla legge Finanziaria 2003. E' noto a questo giudice che e' stata sollevata questione incidentale di legittimita' costituzionale del citato art. 12 legge 27 dicembre 2002 n. 289 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Padova (con due ordinanze del 29 luglio 2003 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale - 1ª serie speciale - n. 42 del 22 ottobre 2003): ritiene tuttavia di dover sollevare analoga questione, sia per la pluralita' di ritenuti profili di illegittimita' costituzionale, sia per la necessaria individuazione, quale oggetto del giudizio di codesta Corte, anche dell'art. 1, comma 2-decies d.l. n. 24 giugno 2003 n. 143. A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 12 legge 289/2002, si era infatti posto, in sede interpretativa, il problema della possibilita', o meno, di ricomprendere nel cosiddetto «condono» anche crediti di natura palesemente non tributaria quali le spese processuali penali e le stesse sanzioni pecuniarie applicate in via principale o sostitutiva dal giudice penale. La rubrica «Definizione dei carichi di ruolo pregressi», e il testuale riferimento a «carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali ed affidati ai concessionari del servizio nazionale della riscossione» induceva a ricomprendere nella previsione normativa dette spese e sanzioni, sulla base della considerazione che, ai sensi dell'art. 223 del DPR 30 maggio 2002 n. 115 (Testo Unico sulle spese di giustizia) esse pure venivano riscosse mediante ruolo (in forza del rinvio alle disposizioni in materia, contenute nel d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, nel d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46, nel d.lgs. 13 aprile 1999 n. 112); deponeva in senso contrario il contesto legislativo strettamente tributario in cui la norma sul cosiddetto «condono» era inserita. E' in seguito stata emanata - inserendola in sede di conversione di decreto legge recante disposizioni in materia di versamento e riscossione di tributi, di fondazioni bancarie e di gare indette dalla Consip - la citata norma interpretativa autentica. E' quindi, ad avviso di questo giudice, sulla base della lettura ed applicazione di entrambe le norme che sarebbe possibile l'effetto estintivo che il condannato ricorrente in questo procedimento intende conseguire e che qui si intende censurare; e' a seguito dell'entrata in vigore della norma che fa rientrare nel cosiddetto «condono» le entrate di natura non tributaria che risulta impossibile al giudice ordinario risolvere la questione in via di interpretazione costituzionalmente orientata della norma contenuta nella Legge Finanziaria; e che, quindi, e' necessario sollevare la questione incidentale di legittimita' costituzionale delle due norme. Il Tribunale di Padova ha sollevato la questione con riferimento all'asserito contrasto con l'art. 79 della Costituzione, per il quale l'indulto puo' essere concesso solo con legge deliberata a maggioranza parlamentare qualificata, osservando che la legge n. 289/2002 non risulta approvata con tale procedura, e che tuttavia «finisce per avere gli stessi effetti dell'indulto, che ai sensi dell'art. 174 c.p.p. (rectius: 174 c.pen.) estingue la pena pecuniaria». Le condivisibili considerazioni sull'«indulto occulto» generato dalla norma censurata devono essere estese all'art. 1, comma 2-decies, d.l. n. 24 giugno 2003 n. 143 e ad esse si deve aggiungere che difetta comunque in entrambe le norme il termine espressamente previsto dal secondo comma dell'art. 79 della Costituzione. Inoltre, sempre con riferimento ad entrambe le norme, la disciplina che ne risulta appare in contrasto con l'articolo 27, terzo comma, della Costituzione. Se la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, e' evidente che essa dovra' essere irrogata in un contesto normativo che ne consenta l'effettiva esecuzione: ma se, in corso di esecuzione, interviene una rinuncia unilaterale ed immotivata (se non con ritenute esigenze di miglior gestione dei ruoli a fini di incremento delle entrate fiscali) dello Stato all'esecuzione della pena cosi' come irrogata dal giudice penale - rinuncia che peraltro dichiaratamente si colloca nell'ambito della gestione in concessione della funzione pubblica di riscossione delle entrate - ne risulta il tranciante e costituzionalmente illegittimo venir meno della funzione rieducativa della pena. La salvaguardia della fase esecutiva della pena, nel rispetto della norma costituzionale invocata a parametro di giudizio, e' del resto coerente con la stessa disciplina dell'indulto e dell'amnistia e con la previsione costituzionale del potere presidenziale di concessione della grazia e commutazione delle pene; nonche' con la compiuta e coerente regolamentazione a livello di legislazione ordinaria codicistica delle ipotesi di estinzione della pena. La violazione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, si affaccia altresi' considerando che l'applicazione delle norme censurate dovrebbe essere - sia in generale che, specificamente, nel caso oggetto del presente giudizio - estesa anche alle pene pecuniarie derivanti da sostituzione ex artt. 53ss legge 24 novembre 1981 n. 689: ipotesi che ha assunto particolare rilevanza nel nostro ordinamento, con la possibilita' per il giudice di disporla sulla base di parametri puntualmente scanditi nell'art. 58 legge 24 novembre 1981 n. 689, che in effetti rinviano a principi di prevenzione speciale ed alla funzione rieducatrice della pena. Ma il richiamo alla possibile sostituzione della pena detentiva vale anche ad introdurre un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale. Costituisce infatti, ad avviso di questo giudice, violazione del principio di eguaglianza cosi' come sancito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione, la differenza rilevantissima e non giustificata di trattamento sanzionatorio che ex post si viene a creare, in virtu' delle norme censurate, tra i condannati che a suo tempo si siano visti irrogare una pena detentiva o che abbiano chiesto l'applicazione di una pena detentiva (nei limiti di sostituibilitadi cui all'art. 53, primo comma, legge 24 novembre 1981 n. 689), e quelli ai quali a suo tempo sia stata irrogata o applicata una pena detentiva sostituita con pena pecuniaria (i quali ultimi possono oggi scontarne solo un quarto, in virtu' di questo «condono», senza che ricorra alcun presupposto premiale). Ed ancora, sotto altro profilo, deve valere il richiamo all'art. 3, primo comma, della Costituzione, per la costituzionalmente illegittima equiparazione, in una disciplina irragionevolmente identica, del debitore fiscale e del condannato penale, i cui debiti - occasionalmente parificati nel meccanismo pratico di riscossione dall'art. 223 del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 - hanno fonte, titolo e ragione del tutto diversa: trovando fondamento primo il debito fiscale nell'art. 53 della Costituzione e l'esecuzione penale negli artt. 27, terzo comma, e 111, primo comma, della Costituzione. Quest'ultimo, nell'affermare che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge», sancisce, ad avviso di questo giudice, il valore costituzionale dell'attuazione della giurisdizione, nei propri ambiti (quelli della funzione giurisdizionale di cui agli artt. 102 e 103 della Costituzione) e con le proprie forme esclusive (quelle del giusto processo); il che impedisce che la giurisdizione gia' attuata attraverso una sentenza passata in giudicato possa, impropriamente, subire una sottrazione delle proprie irrevocabili statuizioni in virtu' di provvedimenti, anche normativi, in materia di fiscalita' generale o di gestione dei conti dello Stato, che intervengano vanificandone in tutto o in parte gli esiti al di fuori delle ipotesi di estinzione della pena, di cui si e' fatta menzione, regolate anche a livello costituzionale. Considerazioni finali si impongono sull'oggetto della pronuncia che con la presente ordinanza di remissione si chiede a codesta Corte. I profili di illegittimita' costituzionale delle norme sopra indicate si riferiscono evidentemente alla sola applicabilita' del cosiddetto «condono» alle pene pecuniarie irrogate dal giudice penale. Identica questione e' riferibile al pagamento delle spese processuali, non previsto tuttavia nel presente giudizio (in quanto la sentenza di applicazione della pena, passata in giudicato non prevedeva la pronuncia accessoria di cui all'art. 535 c.p.p.). L'individuazione di entrambe le norme (art. 12 legge 289/2002 e art. 1, comma 2-decies, d.l. n. 143/2003) quale oggetto di giudizio postula un'interpretazione restrittiva della prima, che, di per se' non riferibile - per oggetto e collocazione - alle pene pecuniarie, sarebbe stata integrata dalla successiva norma nel senso di ricomprendere entrate di natura non tributaria: entrambe le norme, dunque, ad avviso del remittente, risultano costituzionalmente illegittime, per i profili sopra illustrati e nei limiti di rilevanza nel giudizio a quo, nella parte in cui comprendono tra le entrate di natura non tributaria le somme iscritte a ruolo ai sensi dell'art. 223 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 in esecuzione di sentenze penali di condanna a pene pecuniarie;
P. Q. M. Visto l'art. 23, terzo comma, legge 11 marzo 1953 n. 87; Ritenuto che il giudizio in corso non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale degli articoli 12 legge 27 dicembre 2002 n. 289, e 1, comma 2-decies, d.l. 24 giugno 2003 n. 143, convertito in legge 1° agosto 2003 n. 212 in relazione agli articoli 79, 27, terzo comma, 3, primo comma e 111, primo comma, della Costituzione, sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che cura della cancelleria la presente ordinanza venga notificata al «pubblico ministero, al condannato e al suo difensore, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e che venga comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Varese, addi' 14 aprile 2004 Il giudice: Battarino 04C1082