N. 1001 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 agosto 2004

Ordinanza  emessa  il  26  agosto  2004 dalla Corte di cassazione sul
ricorso proposto da Colagiovanni Gianluca

Sicurezza pubblica - Commercio di cose antiche o usate - Inosservanza
  dell'obbligo  di bollatura e di vidimazione dei prescritti registri
  - Trattamento sanzionatorio - Mancata depenalizzazione - Intrinseca
  irrazionalita'  rispetto  alla prevista depenalizzazione della piu'
  grave condotta della violazione dell'obbligo di tenuta degli stessi
  registri  -  Contrasto con il principio della finalita' rieducativa
  della pena.
- Regio  decreto 18 giugno 1931, n. 773, art. 221-bis, comma secondo,
  aggiunto   dall'art. 7  del  decreto  legislativo  13 luglio  1994,
  n. 480.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.1 del 5-1-2005 )
                       LA CORTE DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso proposto da
Colagiovanni Gianluca, nato a Campobasso il 14 novembre 1977;
    Avverso  la  sentenza  emessa  il  12  marzo 2002 dal giudice del
tribunale di Campobasso;
    Udita  nella  pubblica  udienza  del  22 aprile 2004 la relazione
fatta dal consigliere Amedeo Franco;
    Udito  il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore
generale  dott.  Mario  Favalli,  che  ha concluso per l'annullamento
senza  rinvio  perche'  il fatto non e' piu' previsto come reato e in
subordine si riporta alla requisitoria scritta del 9 settembre 2003;

                      Svolgimento del processo

    Il giudice del Tribunale di Campobasso, con sentenza del 12 marzo
2002, dichiaro' Colagiovanni Gianluca colpevole del reato di cui agli
artt. 16 del r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento per l'esecuzione
del TULPS) e 221 del t.u.l.p.s. perche', quale esercente di attivita'
di  compravendita di vetture usate, non teneva il prescritto registro
vidimato  dalle  autorita'  di  P.S.  con  attestazione del numero di
pagine, condannandolo alla pena di Euro 70,00 di ammenda.
    L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
        a)  violazione  e  falsa  applicazione degli artt. . 16 e 221
t.u.lp.s. Osserva che l'art. 16 del reg. di esecuzione del t.u.l.p.s.
n. 635/1940  prescrive  per  l'esercizio  di determinate attivita' la
tenuta  di  speciali registri che devono essere regolarmente bollati,
numerati   e   vidimati   dalla   autorita'  di  pubblica  sicurezza,
prescrizione la cui inosservanza e' sanzionata dall'art. 221, secondo
comma, t.u.l.p.s. n. 773/1931, con la pena alternativa dell'arresto o
dell'ammenda.  Il  giudice  di  primo grado ha osservato che rilevava
solo  il  fatto  che  l'imputato  esercitasse in via professionali il
commercio  di  merce usata, attivita' ricadente nella disposizione di
cui  all'art. 126  t.u.1.p.s.,  di  cui  l'art. 16 del regolamento e'
norma  generale,  di  piu'  ampia  portata. Ora, l'art. 128 del testo
unico,  nel  richiamare  espressamente  le  attivita'  menzionate nel
precedente  art. 126,  precisa,  ai  commi  secondo  e terzo, che gli
esercenti  il commercio di cose usate devono tenere un registro delle
operazioni   che  compiono  giornalmente  in  cui  sono  annotate  le
generalita'  di coloro con i quali le operazioni stesse sono compiute
e le altre indicazioni prescritte nel regolamento e che tale registro
deve  essere  esibito  ad  ogni  richiesta  degli ufficiali ed agenti
pubblica  sicurezza.  Il  giudice  di  primo grado ha pero' omesso di
considerare  che  le  violazioni  previste  dagli  arrt.  126  e  128
t.u.l.p.s.   sono  state  ormai  depenalizzate  dall'art. 17-bis  del
medesimo  t.u.l.p.s.  (introdotto  dall'art. 3  del  d.lgs. 14 luglio
1994,  n. 480),  il  quale prevede o solo una Sanzione amministrativa
pecuniaria.
        b)  mancata  applicazione dell'art. 221-bis t.u.lp.s. Osserva
ancora  che  l'art. 221,  secondo  comma,  t.u.l.p.s.,  si  apre  con
l'inciso  «salvo  quanto previsto dall'art. 221-bis ...», di modo che
quest'ultimo  pone  la norma speciale prevalente. Nella specie doveva
appunto  escludersi l'applicabiita' dell'art. 221 t.u.l.p.s. a favore
del  successivo  art. 121-bis,  in  quanto  questo  di  spone  che le
violazioni   alle   disposizioni   di  cui  agli  artt. ...  221  ...
limitatamente  alle  attivita'  previste  dall'art. 126  del presente
testo  unico  sono soggette alla sanzione amministrativa de pagamento
di una somma ... Pertanto, il giudice, nel momento in cui ha sussunto
la  attivita'  dell'imputato  tra  quelle  menzionata  nell'art. 126,
doveva applicare l'art. 221-bis in luogo dell'art. 221.
    L'Ufficio   per   l'esame  preliminare  dei  ricorsi,  ravvisando
l'inammissibilita'  del  presente  ricorso,  lo trasmise alla settima
sezione di questa Corte.
    In  quella  sede  il  procuratore generale deposito' requisitoria
scritta  con  la  quale chiese di sollevare questione di legittimita'
costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma Cost.,
degli  artt. 16  del  r.d.  6  maggio  1940, n. 635 e 221 del r.d. 18
giugno  1931,  n. 773  in  relazione agli artt. 126 e 128 del r.d. 18
giugno 1931, n. 773.
    Osservo'  il  procuratore generale che la condanna inflitta nella
specie  concerne  la  mancata  vidimazione, ai sensi dell'art. 16 del
r.d. 6 maggio 1940, n. 635, del registro prescritto dall'art. 128 del
r.d. 18 giugno 1931, n. 773 per chi esercita - al sensi dell'art. 126
di quest'ultimo r.d. - commercio di cose usate.
    Infatti,    per    effetto    delle    modificazioni   introdotte
dall'art. 17-bis  del  r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (art. 3 del d.lgs.
13  luglio 1994, n. 480) e dall'art. 37 della legge 23 dicembre 2000,
n. 388,  l'omessa  tenuta  del  registro  previsto  dall'art. 128 del
t.u.l.p.s.   e'   ora   depenalizzata   e  punita  con  una  sanzione
amministrativa.  La  depenalizzazione, circoscritta invece soltanto a
talune  violazioni  previste  dal  r.d.  6 maggio 1940, n. 635 - come
risulta  dall'attuale  testo degli artt. 221 e 221-bis r.d. 18 giugno
1931,  n. 773  -  continua  a  configurare  la  mancata vidimazione e
bollatura  del  predetto  registro  quale  contravvenzione punita con
l'arresto  o  con  l'ammenda,  ai  sensi del citato art. 221, secondo
comma, t.u.l.p.s.
    Concluse  quindi  il  procuratore generale che il permanere della
repressione  anche  in  via  penale  della  condotta  di chi tiene il
registro  in  questione  non  vidimato  o non bollato, quando la piu'
grave  condotta  di  chi  risulta  privo  dello  stesso  registro  e'
attualmente  sanzionata  in  via amministrativa, sembra integrare una
situazione   analoga   a   quella   che   ha   determinato  la  Corte
costituzionale,   con   sent.   n. 354   del   2002,   a   dichiarare
l'incostituzionalita',  per  intrinseca  irrazionalita'  e violazione
della   finalita'   rieducativa  della  pena  (artt. 3  e  27  Cost.)
dell'art. 688, secondo comma, cod. pen.
    La  settima sezione ha quindi disposto la trasmissione degli atti
a questa sezione.

                       Motivi della decisione

    L'eccezione   di   illegittimita'   costituzionale  proposta  dal
Procuratore  generale con la sua requisitoria scritta del 9 settembre
2003  e'  fondata,  e  conseguentemente  va sollevata la questione di
legittimita' costituzionale in seguito specificata.
    Sembra  opportuno  preliminannente  accennare  allo  stato  della
normativa in materia.
    L'art. 126  del  r.d. 18 giugno 1931. n. 773, contenente il testo
unico  delle  leggi  di  pubblica  sicurezza,  dispone  che «non puo'
esercitarsi  il  commercio di cose antiche o usate senza averne fatta
dichiarazione preventiva all'autorita' locale di pubblica sicurezza».
    Il   successivo   art. 127   dispone   che   «i   fabbricanti,  i
commercianti,  i  mediatori  di  oggetti preziosi, hanno l'obbligo di
munirsi  di  licenza  del  questore» (il testo originario, modificato
dall'art. 16, primo comma, del d.lgs.31 marzo 1998, n. 112, estendeva
l'obbligo  anche  ai  cesellatori,  agli  orafi, agli incastratori di
pietre preziose ed agli esercenti industrie o arti affini).
    L'art. 128  del  medesimo  testo unico, infine, dispone, ai commi
secondo  e  terzo, che i fabbricanti, i commercianti, gli esercenti e
le  altre  persone indicate negli articoli 126 e 127 (fatta eccezione
per  le  operazioni  su  oggetti  preziosi  nuovi,  per effetto della
sentenza della Corte costituzionale n. 121 del 1963) devono tenere un
registro  delle  operazioni  che  compiono  giornalmente, in cui sono
annotate  le  generalita'  di coloro con i quali le operazioni stesse
sono  compiute  e  le  altre indicazioni prescritte dall'art. 247 del
regolamento,  approvato  con  r.d.  6 maggio 1940, n. 635, e che tale
registro  deve  essere  esibito  agli ufficiali ed agenti di pubblica
sicurezza, ad ogni loro richiesta.
    La violazione dell'obbligo di tenuta di tale registro era punito,
ai  sensi dell'art. 17 del t.u.l.p.s., con l'arresto fin a tre mesi o
con  l'ammenda.  Per  effetto  dell'introduzione  dell'art. 17-bis ad
opera  dell'art. 3  del d.lgs. 13 luglio 1994, n. 480, tuttavia, sono
state  depenalizzate  una  serie di violazioni delle disposizioni del
t.u.l.p.s.  In  particolare l'art. 17-bis, comma terzo, disponeva che
erano  punite  con  la  sanzione  amministrativa del pagamento di una
somma  da  lire  trecentomila  a  lire  due milioni, tra le altre, le
violazioni alle disposizioni di cui agli artt. 126 e «128, escluse le
attivita'   previste  dall'art. 126».  Ne  risultava  quindi  che  la
violazione  dell'obbligo  di  tenuta del registro di cui all'art. 128
era   depenalizzata   per   quanto   riguardava   i   fabbricanti,  i
commercianti, ed i mediatori di oggetti preziosi, mentre continuava a
costituire  reato,  punito  con  l'arresto  fino  a  tre  mesi  o con
l'ammenda  fino  a lire 400.000 per la mancata tenuta del registro da
parte dei commercianti di cose antiche o usate.
    Per quanto concerne, invece, le modalita' con cui deve adempiersi
all'obbligo   di   tenuta   dei  registri  di  cui  all'art. 128  del
t.u.l.p.s., viene in considerazione l'art. 16 del r.d. 6 maggio 1940,
n. 635, contenente il regolamento per l'esecuzione del t.u.l.p.s., il
quale  dispone,  al  primo comma, che i registri in questione «devono
essere  debitamente  bollati,  a  norma  di  legge,  in  ogni foglio,
numerati  e,  ad  ogni  pagina,  vidimati  dall'autorita' di pubblica
sicurezza  che  attesta  del numero delle pagine nell'ultima di esse»
(il  quarto  comma,  aggiunto  dall'art. 2 del d.P.R. 28 maggio 2001,
n. 311,  prevede  poi  che i registri possono essere anche tenuti con
modalita' informatiche).
    La violazione all'obbligo previsto dal citato art. 16 concernente
la  bollatura,  numerazione  e  vidimazione  ad  ogni pagina da parte
dell'autorita'  di  pubblica  sicurezza,  e'  configurata come: reato
dall'art. 221  del  r.d.  18  giugno 1931, n. 773, che la punisce con
l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda fino a lire duecentomila.
    Come  e'  noto,  l'art. 7  del  d.lgs. 13 luglio 1994, n. 480, ha
introdotto  nel  t.u.l.p.s.  l'art. 221-bis,  con il quale sono state
depenalizzate  tutta  una  serie  di  violazioni  al  regolamento  di
esecuzione  approvato  con  r.d. 6 maggio 1940, n. 635, le quali sono
ora  punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma
da  lire  un milione a lire sei milioni (fissata, per pochi casi, dal
primo  comma)  o di una somma da lire trecentomila a lire due milioni
(fissata.   per   la   pluralita'   dei  casi,  dal  secondo  comma).
L'art. 221-bis   del   t.u.l.p.s.  non  include  tra  le  ipotesi  di
depenalizzazione  da esso previste anche la violazione degli obblighi
di  cui  all'art. 16  del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s., la
quale  quindi  continua  a  costituire  reato  punito  dall'art. 221,
secondo comma, t.u.l.p.s.
    Per  venire al caso oggetto del presente giudizio, ossia a quello
del  commerciante  di  cose  antiche o usate, anche dopo le modifiche
introdotte dal d.lgs. 13 luglio 1994, n. 480, costituiva reato sia la
mancata  tenuta  del  registro  previsto dall'art. 128 del t.u.l.p.s.
(punita  dall'art. 17,  primo  comma, del medesimo t.u.l.p.s.) sia la
mancata  bollatura  e/o  vidimazione  del  registro  stesso  ai sensi
dell'art. 16  del  regolamento  di  esecuzione  al t.u.l.p.s. (punita
dall'art. 221, secondo comma, t.u.l.p.s.).
    Tuttavia,  con  l'art. 37,  primo  comma, della legge 23 dicembre
2000, n. 388, e' stato modificato il terzo comma dell'art. 17-bis del
t.u.l.p.s.,  nel  senso  che  laddove e' prevista la depenalizzazione
della  violazione  alla  disposizione di cui all'art. 128, sono state
soppresse  le  parole  «escluse le attivita' previste dall'art. 126».
Per   effetto   di   tale   modificazione,  pertanto.  la  violazione
dell'obbligo di tenuta del registro di cui all'art. 128 t.u.l.p.s. in
tutti  i  casi,  anche  se commessa da commercianti di cose antiche o
usate,  costituisce  ormai un semplice illecito amministrativo punito
con  la  sanzione  amministrativa  del pagamento di una somma da lire
trecentomila   a  lire  due  milioni.  Al  contrario,  la  violazione
dell'obbligo   di  bollatura  o  vidimazione  del  medesimo  registro
previsto  dall'art. 16  del  regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s.,
continua  a  costituire  reato  punito  dall'art. 221, secondo comma,
t.u.l.p.s.  con l'arresto fino a due mesi o con l'ammenda fino a lire
duecentomila.
    Da  qui  il  dubbio  di legittimita' costituzionale sollevato dal
Procuratore   generale,   determinato  dal  fatto  che,  per  effetto
dell'art. 37,  primo  comma, legge 23 dicembre 2000, n. 388, continua
ad essere configurata come reato punito con l'arresto o con l'ammenda
la  mancata bollatura o vidimazione dei registri in questione, mentre
la  piu' grave condotta di chi violi addirittura lo stesso obbligo di
tenuta  dei  detti  registri  costituisce  ormai un semplice illecito
amiministrativo,  il che determinerebbe una intrinseca irrazionalita'
della  disciplina ed una violazione della finalita' rieducativa della
pena.
    Deve  solo  precisarsi  che la discrasia rilevata dal Procuratore
generale  non  si  e'  verificata  solo  per  effetto delle modifiche
introdotte   al   terzo   comma   dell'art. 17-bis   del   t.u.l.p.s.
dall'art. 37.  primo  comma, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, in
quanto  gia'  a  seguito  dell'introduzione (da parte dell'art. 3 del
d.lgs.   13   luglio   1994,   n. 480)  dell'art. 17-bis,  era  stata
depenalizzata  la  violazione  dell'obbligo di tenuta dei registri da
parte  dei fabbricanti, commercianti e mediatori di oggetti preziosi,
mentre   continuava   a   costituire  reato  ai  sensi  dell'art. 221
t.u.l.p.s.  la  mancata bollatura o vidimazione dei medesimi registri
anche da parte di questi soggetti.
    La  questione  di legittimita' costituzionale appare innanzitutto
ammissibile  perche'  essa  non  investe  in  alcun modo (come invece
richiesto   dal   Procuratore   generale)   la  disposizione  di  cui
all'art. 16 del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s, approvato con
r.d.  6 maggio 1940, n. 635 - nel qual caso sarebbe competente questa
Corte   a   doverne   valutare   la  legittimita'  costituzionale  ed
eventualmente  a doverla disapplicare - bensi' investe esclusivamente
la  norma che pone la sanzione contenuta nell'art. 221 del t.u.l.p.s.
approvato  con  r.d.  18  giugno 1931, n. 773, ossia una disposizione
avente  forza e valore di legge, sicche' la competenza a valutarne la
conformita'  alle  norme  e principi costituzionali spetta alla Corte
costituzionale.
    Non  vengono infatti in alcun modo in discussione le disposizioni
che  prevedono,  da  un  lato,  l'obbligo  di  tenuta  di determinati
registri   da  parte  di  certi  soggetti  (art. 128  t.u.l.p.s.)  e,
dall'altro,  l'obbligo  di  bollatura e vidimazione di detti registri
(art. 16  regolamento  di  esecuzione  al  t.u.l.p.s.)  - obblighi in
ordine  ai  quali  non  e' configurabile alcun dubbio di legittimita'
costituzionale   -   ma  solo  le  disposizioni  del  t.u.l.p.s.  che
stabiliscono le sanzioni per le violazioni di detti obblighi.
    L'oggetto    della    questione    concerne    infatti   soltanto
l'art. 221-bis  del  t.u.l.p.s. nella parte in cui non prevede tra le
violazioni depenalizzate anche la violazione alla disposizione di cui
all'art. 16 del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s., in relazione
anche  alle  disposizioni  di  cui  agli  artt. 17 bis, 126 e 128 del
t.u.l.p.s. Piu' precisamente l'oggetto della questione va individuato
nel  secondo  comma  del  detto  art. 221-bis  t.u.l.p.s.,  in quanto
l'art. 17-bis.,  terzo  comma, del t.u.l.p.s. punisce con la sanzione
amministrativa del pagamento di una somma da lire trecentomila a lire
due  milioni la violazione dell'obbligo di tenuta dei registri di cui
all'art. 128  t.u.l.p.s.,  per cui sarebbe irrazionale che la mancata
bollatura  o  vidimazione  dei  medesimi registri fosse punita con la
sanzione  amministrativa del pagamento della maggior somma da lire un
milione   a   lire   sei  milioni,  come  previsto  dal  primo  comma
dell'art. 221-bis,  anziche'  con  il  pagamento di una somma da lire
trecentomila  a  lire  due  milioni,  come previsto dal secondo comma
dall'art. 221-bis.
    In  secondo  luogo si tratta di una questione che non puo' essere
risolta da questa Corte mediante un'interpretazione adeguatrice degli
artt. 221   e  221-bis  del  t.u.l.p.s.,  essendo  indiscutibile  che
ipossono   ritenersi   depenalizzate   esclusivamente  le  violazioni
espressamente  indicate  dall'art. 221-bis  t.u.l.p.s. - fra le quali
non  e'  compreso e non puo' in via interpretativa ritenersi compreso
l'art. 16  del  regolamento  di  esecuzione al t.u.l.p.s. - mentre le
violazioni delle altre disposizioni del medesimo regolamento, tra cui
appunto  l'art. 16, sono previste come reato e punite con l'arresto o
con l'ammenda dall'art. 221, secondo comma, t.u.l.p.s.
    La  questione  e' poi certamente rilevante nel presente giudizio,
in  quanto la condotta contestata al ricorrente e per la quale questi
e'  stato  condannato  alla pena dell'ammenda ai sensi dell'art. 221,
secondo  comma,  t.u.l.p.s.,  e' appunto quella di non aver adempiuto
all'obbligo  di  cui  all'art. 16  del  regolamento  di esecuzione al
t.u.l.p.s.,  per  non  avere  tenuto,  quale  esercente  attivita' di
compravendita  di  autovetture usate, il prescritto registro vidimato
dall'autorita'  di  pubblica  sicurezza  con  attestazione del numero
delle    pagine.    Un'eventuale   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale,  pertanto,  inciderebbe  in  modo  determinante sulla
decisione,  che  in  tal  caso  dovrebbe essere di annullamento senza
rinvio  della  sentenza  impugnata  per  non  essere  (piu)  il fatto
previsto dalla legge come reato.
    La  questione, infine, non appare manifestamente infondata, ossia
pretestuosa  o  palesemente  inaccoglibile,  e  quindi  tale  da  non
meritare di essere vagliata dal giudice delle leggi, unico competente
a   risolverla.   Sussiste   infatti   certamente   un  dubbio  sulla
legittimita' costituzionale di una disciplina normativa che configura
come  semplice  illecito  amministrativo  la  piu'  grave  violazione
dell'obbligo,  per  cosi'  dire,  principale,  ossia  addirittura  la
mancata  tenuta,  da  parte  di  certi  soggetti,  del registro delle
operazioni compiute giornalmente, mentre configura come reato, punito
con l'arresto o con l'ammenda, la meno grave violazione di un obbligo
strumentale  al  primo,  ossia  la  mancata  o irregolare bollatura o
vidimazione del registro in questione.
    Secondo  la  costante  giurisprudenza  della Corte costituzionale
rientra   nella  discrezionalita'  del  legislatore  stabilire  quali
comportamenti  debbano  essere  puniti  e  quali  debbano  essere  la
qualita'  e  la  misura della pena e che l'esercizio di questo potere
puo'  essere censurato per violazione dell'art. 3 Cost. solo nei casi
in  cui  non sia rispettato il limite della razionalita' (ord. n. 435
del  1998;  sent. n. 370 del 1996; sent. n. 84 del 1997; sent. n. 760
del  1988;  ord.  n. 439  del  1987).  Le  valutazioni comparative di
politica  criminale  sono  invero, come tali, riservate all'esclusiva
competenza   del   legislatore   e   solo  quando  l'esercizio  della
discrezionalita'  legislativa rilevi aspetti di irragionevolezza puo'
essere  giustificato  un controllo di costituzionalita' (sent. n. 215
del 1991; sent. n. 178 del 1992).
    Cosi',  ad  esempio,  la  Corte ha ritenuto irrazionale che fosse
punito  con una pena maggiore la condotta del militare «che, senza la
necessaria   autorizzazione   esegue   disegni,  modelli,  schizzi  o
fotografie  di cose concernenti la forza, la preparazione o la difesa
militare  dello  Stato,  ovvero  fa ricognizione sulle cose medesime»
rispetto  alla  condotta  del  procacciamento  e della rivelazione di
notizie  segrete,  non  a  scopo di spionaggio, dovendosi ritenere la
irragionevolezza di un piu' grave trattamento sanzionatorio riservato
a  condotte  preparatorie (sent. n. 298 del 1995); ed ha ritenuto che
l'art. 60  della  legge  24 novembre 1981, n. 689, nell'introdurre il
sistema  dei  divieti  obiettivi  alla  applicazione  delle  sanzioni
sostitutive   delle  pene  detentive  brevi  mediante  un'indicazione
nominativa  delle  singole fattispecie di reato, avesse poi dato vita
ad  un sistema assolutamente squilibrato che aveva reso arbitrario il
trattamento  preclusivo  esclusivamente  per  i  reati  di  cui  agli
artt. 21  e  22  della  lgge 10 maggio 1976, n. 319 (sent. n. 254 del
1994).
    Allo  stesso modo, con la sentenza n. 354 del 2002 (ricordata dal
procuratore  generale nella sua requisitoria) la Corte costituzionale
ha  ritenuto  costituzionalmente  illegittimo l'articolo 688, secondo
comma,  cod.  pen., che puniva con l'arresto il reato di ubriachezza,
se commesso da chi avesse gia' riportato una condanna per delitto non
colposo contro la vita o l'incolumita' individuale, e cio' perche' la
norma  risultava  viziata  da  intrinseca irrazionalita' in relazione
all'avvenuta  trasformazione  in illecito amministrativo del reato di
ubriachezza,  di  cui  al  primo  comma - e alle finalita' perseguite
dalla   depenalizzazione  -  poiche'  essa  non  costituiva  piu  una
circostanza aggravante, ma configurava un reato autonomo e finiva con
il  punire  non tanto l'ubriachezza in se', ma una qualita' personale
del  soggetto.  La Corte ha ritenuto altresi' vanificata la finalita'
rieducativa  che  l'art. 27,  terzo  comma,  Cost.  assegna alla pena
nonche' la violazione del principio di offensivita' del reato, di cui
all'art. 25.  secondo  comma,  Cost.  e  del  limite ivi imposto alla
discrezionalira' del legislatore.
    Per  contro,  la Corte, ad esempio, non ha ravvisato un esercizio
irragionevole  della  discrezionalita'  legislativa  o  la violazione
della  finalita'  rieducativa  della  pena  nel fatto che il reato di
omissione  della  richiesta  di  autorizzazione per l'apertura di uno
scarico  da  insediamento  produttivo  fosse punito con una pena piu'
grave rispetto al reato di superamento, nello scarico produttivo, dei
parametri di accettabilita', ben potendo il legislatore valutare come
piu'  grave  l'omissione,  che non consente o rende piu' difficoltoso
individuare  lo  scarico  ed  effettuare i necessari controlli; cosi'
come non ha ritenuto palesemente irragionevole che la stessa condotta
di  scarico  senza  autorizzazione amministrativa fosse prevista come
semplice  illecito  amministrativo  se  proveniente  da  insediamenti
civili  o  da pubbliche fognature, perche' la distinzione dei tipi di
scarico puo' trovare giustificazione nell'esigenza, discrezionaimente
ma non irrazionalmente apprezzata, di un regime complessivamente piu'
severo  per  quelli  ritenuti  potenzialmente  piu' inquinanti (sent.
n. 435   del   1998).   Allo  stesso  modo,  non  e'  stato  ritenuto
manifestamente  irragionevole il fatto che nella sanatoria tributaria
non  fosse stato incluso il reato di omessa o infedele annotazione in
scritture  contabili,  mentre  vi era stato compreso quello di omessa
tenuta   delle   scritture  contabili,  e  cio'  perche'  l'omessa  o
l'infedele  annotazione  presenta  aspetti di maggiore insidiosita' e
gravita' rispetto all'omessa tenuta (sent. n. 178 del 1992).
    Orbene,  ritiene  il  Collegio  che  nel  caso in esame non siano
ravvisabili ragioni giustificatrici - quali la configurabilita' di un
comportamento  piu'  insidioso  o  piu' grave - del fatto che la piu'
grave  violazione  della  condotta  della  norma  che  pone l'obbligo
principale   (ossia   la   tenuta   dei   registri  delle  operazioni
giornalmente  compiute),  previsto dall'art. 128 t.u.l.p.s. sia - per
effetto  delle successive norme di depenalizzazione intervenute nella
materia  -  ora  configurata  e  punita  come  un  semplice  illecito
amministrativo,  mentre  la  meno grave violazione della norma di cui
all'art. 16  del regolamento di esecuzione al t.u.l.p.s., che prevede
una   condotta  meramente  strumentale  all'adempimento  dell'obbligo
principale  (necessita'  che  i  registri siano bollati e vidimati in
ogni  pagina  dall'autorita' di pubblica sicurezza) continui invece -
probabilmente  non per una precisa scelta del legislatore ma solo per
un    insufficiente   coordinamento   fra   le   varie   disposizioni
modificatrici  susseguitesi  nel  tempo  - ad essere qualificata come
reato e punita con l'arresto o l'ammenda.
    Non  puo' quindi negarsi che sussista per lo meno un dubbio sulla
irragionevolezza della normativa attualmente in vigore e quindi sulla
sua  illegittimita'  costituzionale  per  non conformita' ai principi
costituzionali  dianzi  indicati,  dubbio  che  impone  di per se' di
rimettere  alla  Corte  costituzionale  la risoluzione della relativa
questione di legittimita' costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta  la  rilevanza  e  la  non manifesta infondatezza delle,
eccezione dedotta dal Procuratre generale;
    Solleva  questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
agli  artt. 3  e  27,  terzo comma. Cost., dell'art. 221-bis, secondo
comma,  del  regio  decreto 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle
leggi  di  pubblica  sicurezza),  inserito  dall'art. 7  del  decreto
legislativo  13  luglio  1994, n. 480, nella parte in cui non prevede
tra  le  violazioni  depenalizzate anche quella all'art. 16 del regio
decreto  6  maggio  1940,  n. 635  (approvazione  del regolamento per
l'esecuzione  del  testo  unico 18 giugno 1931, n. 773 delle leggi di
pubblica sicurezza), in relazione anche alle disposizioni di cui agli
artt. 17-bis,  126  e  128  del  testo  unico delle leggi di pubblica
sicurezza;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone   che,   a   cura   della  cancelleria,  gli  atti  siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente
ordinanza  sia  notificata  all'imputato  ed  al procuratore generale
nonche'  al  Presidente  del  Consiglio dei ministri, e che sia anche
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Cosi'   deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  Suprema  di
Cassazione, il 22 aprile 2004.
                       Il Presidente: Vitalone
L'estensore: Franco
04C1356