N. 425 SENTENZA 16 - 29 dicembre 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Pluralita'  di questioni - Trattazione e decisione separata in ordine
  ad  alcune  delle  questioni  proposte - Riserva di decisione sulle
  restanti questioni.
Finanza  regionale  -  Ricorso  all'indebitamento  - Finanziamento di
  spese  di  investimento  -  Ricorso della Regione Toscana - Mancata
  indicazione  nella  delibera  della Giunta regionale delle norme da
  impugnare - Inammissibilita' delle questioni.
- Legge 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, commi 18, 19 e 20.
- Costituzione, artt. 117 e 119.
Finanza  regionale  -  Ricorso  all'indebitamento  - Finanziamento di
  spese di investimento - Ricorso della Regione Campania - Carenza di
  motivazione  in relazione ad una norma che riguarda le sole Regioni
  ad autonomia speciale - Inammissibilita' della questione.
- Legge 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 21.
- Costituzione, artt. 3, 114, 117, 119 e 120.
Finanza  regionale  -  Ricorso  all'indebitamento  - Finanziamento di
  spese  di investimento - Estensione della disciplina alle autonomie
  speciali  -  Ricorsi  delle  Regioni  a  statuto  speciale  e della
  Provincia  autonoma  di  Trento  -  Asserita lesione delle speciali
  autonomie delle ricorrenti, mancato ricorso a meccanismi concertati
  di  attuazione statutaria, lesione dei principi di sussidiarieta' e
  di leale collaborazione - Non fondatezza delle questioni.
- Legge 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 21.
- Costituzione,   artt. 3,  5,  116,  117,  118,  119  e  120;  legge
  costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto speciale per
  la  Regione  siciliana,  artt. 14,  lettere o)  e p), e 36; statuto
  speciale  per  la  Regione  Sardegna,  artt. 3, 4, 5, 7, 11; d.lgs.
  10 aprile   2001,   n. 180,   art. 3;   statuto   speciale  per  il
  Trentino-Alto  Adige,  titolo  VI;  d.lgs.  16 marzo  1992, n. 266,
  artt. 2 e 4.
Finanza  regionale  -  Ricorso  all'indebitamento  - Finanziamento di
  spese   di  investimento  -  Tipologie  di  operazioni  costituenti
  indebitamento e investimento definite dalla legge statale - Ricorsi
  delle   Regioni   Siciliana,   Sardegna,   Valle  d'Aosta,  Marche,
  Emilia-Romagna,  Umbria  e  Campania, e della Provincia autonoma di
  Trento  -  Asserita lesione dell'autonomia delle Regioni alle quali
  sole  spetterebbe il potere di definire le nozioni di indebitamento
  e  di  spese  di  investimento,  irragionevolezza  delle scelte del
  legislatore - Non fondatezza delle questioni.
- Legge  24 dicembre  2003,  n. 350,  art. 3,  commi 16, 17 (salva la
  dichiarazione   di  illegittimita'  costituzionale  concernente  il
  quarto periodo), 18 e 19.
- Costituzione,  artt. 3,  5,  114,  116, 117, 118, 119, 120; statuto
  speciale per la Regione Siciliana, art. 20; statuto speciale per la
  Regione  Sardegna,  artt. 3,  4,  5,  7, 11; d.lgs. 10 aprile 2001,
  n. 180, art. 3; statuto speciale per la Valle d'Aosta, artt. 3, 4 e
  48-bis.
Finanza  regionale  -  Ricorso  all'indebitamento  - Finanziamento di
  spese   di  investimento  -  Tipologie  di  operazioni  costituenti
  indebitamento  e  investimento  definite  dalla  legge - Potere del
  Ministro   dell'economia  e  delle  finanze,  sentito  l'ISTAT,  di
  modificare   le   tipologie  -  Ricorsi  delle  Regioni  Siciliana,
  Sardegna,  Marche,  Emilia-Romagna,  Umbria  e  Campania,  e  della
  Provincia  autonoma  di Trento - Lesione del principio di legalita'
  sostanziale,  sostanziale  delegificazione,  lesione dell'autonomia
  regionale - Illegittimita' costituzionale.
- Legge 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 17, quarto periodo, e
  comma 20.
- Costituzione, artt. 117 e 119.
(GU n.1 del 5-1-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Valerio ONIDA;
  Giudici:  Carlo  MEZZANOTTE,  Fernanda  CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco
AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi da 16 a
21,  della  legge  24 dicembre  2003,  n. 350  (Disposizioni  per  la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2004),  promossi  con  ricorsi  della Regione Siciliana,
della  Regione Sardegna, della Regione Marche, della Regione Toscana,
della  Regione  Emilia-Romagna, della Regione Umbria, della Provincia
autonoma  di  Trento,  della  Regione  Valle  d'Aosta e della Regione
Campania,  notificati  il  24  ed  il 26 febbraio 2004, depositati in
cancelleria  il  3,  il  4  ed  il  5 marzo successivi ed iscritti ai
nn. 28, 29, 31, 32, 33, 34, 35, 36 e 37 del registro ricorsi 2004.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28 settembre  2004 il giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi  gli  avvocati  Giovanni  Carapezza  Figlia  per la Regione
Siciliana,  Sergio  Panunzio  per la Regione Sardegna, Stefano Grassi
per  la  Regione  Marche,  Fabio  Lorenzoni  per  la Regione Toscana,
Giandomenico  Falcon,  Franco  Mastragostino  e  Luigi  Manzi  per la
Regione  Emilia-Romagna,  Giandomenico  Falcon per la Regione Umbria,
Giandomenico  Falcon  e  Luigi  Manzi  per  la  Provincia autonoma di
Trento,  Giuseppe  F.  Ferrari per la Regione Valle d'Aosta, Vincenzo
Cocozza  per  la  Regione  Campania  e  l'avvocato dello Stato Franco
Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con distinti ricorsi le Regioni Siciliana (reg. ric. n. 28
del  2004),  Sardegna (reg. ric. n. 29 del 2004), Valle d'Aosta (reg.
ric.   n. 36   del  2004),  Campania  (reg.  ric.  n. 37  del  2004),
Emilia-Romagna  (reg.  ric.  n. 33 del 2004), Marche (reg. ric. n. 31
del  2004),  Toscana  (reg.  ric.  n. 32 del 2004), Umbria (reg. ric.
n. 34  del  2004), e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. n. 35
del 2004) hanno sollevato in via principale questione di legittimita'
costituzionale (quanto alle Regioni Emilia-Romagna, Marche e Toscana,
unitamente  ad  altre  disposizioni della medesima legge) dell'art. 3
della  legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2004).
    In  particolare,  la  Regione  Siciliana ha impugnato il comma 21
della  legge,  e,  in  quanto  ne  sia  disposta  l'applicazione  nei
confronti  delle  Regioni a statuto speciale, dei precedenti commi da
16 a 20, lamentando la violazione degli artt. 14, lettere o e p, 20 e
36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione
dello  statuto  della  Regione  Siciliana),  nonche' degli artt. 117,
quarto  comma,  118  e  119  della Costituzione, e dell'art. 10 della
legge  costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3 (Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione).
    La  Regione  Sardegna  ha  impugnato  il  medesimo  comma 21,  in
relazione  ai  commi  da  16  a  20,  lamentando  la violazione degli
articoli  da  3  a  5,  7 e 11 della legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e delle relative norme
di  attuazione,  fra  cui  l'art. 3 del decreto legislativo 10 aprile
2001,  n. 180  (Norma  di  attuazione  dello  Statuto  speciale della
Regione  Sardegna  recante  delega  di  funzioni  amministrative alla
Regione  in  materia  di lavoro e servizi all'impiego), nonche' degli
artt. 116,  117,  119  e  120  della Costituzione, anche in relazione
all'art. 10  della  legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1 (recte:
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
    La Provincia autonoma di Trento ha altresi' impugnato il comma 21
predetto,  in  quanto  dispone  l'applicazione agli enti ad autonomia
speciale,  dei  precedenti  commi  da  16  a 20, nonche' dell'art. 3,
commi 17,  18  e  20  della  medesima legge, lamentando la violazione
degli  artt. 3,  116,  117,  119  e  120  della Costituzione, nonche'
dell'art. 10  della  legge  costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  31 agosto  1972,  n. 670
(Approvazione  del testo unico delle leggi costituzionali concernenti
lo  statuto  speciale  per il Trentino-Alto Adige), ed in particolare
del  suo titolo VI, e delle relative norme di attuazione, fra cui gli
artt. 2  e  4  del  d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione
dello  statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto Adige concernenti il
rapporto   tra   atti   legislativi   statali  e  leggi  regionali  e
provinciali,   nonche'   la   potesta'   statale   di   indirizzo   e
coordinamento), nonche' del principio di leale cooperazione.
    La  Regione  Valle  d'Aosta  ha  impugnato  i  commi  da 16 a 21,
lamentando  la  violazione degli artt. 3, 5, 116, 117, 118, 119 e 120
Cost., dell'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
nonche'   degli  artt. 3,  4  e  48-bis  della  legge  costituzionale
26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d'Aosta), e dei
principi di sussidiarieta' e di leale cooperazione.
    La  Regione  Marche  ha  impugnato  i  commi 16, 17, 18, 19 e 20,
lamentando  la lesione della propria sfera di competenza legislativa,
per  violazione  degli  artt. 117, terzo, quarto e sesto comma, e 119
della Costituzione.
    La  Regione Toscana ha a propria volta impugnato i commi 18, 19 e
20, per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione.
    La Regione Umbria ha impugnato i commi 17, 18 e 20, lamentando la
violazione  degli  artt. 3,  117, 118 e 119 della Costituzione, e dei
principi   costituzionali   di  legalita'  sostanziale,  uguaglianza,
ragionevolezza e leale collaborazione.
    La  Regione  Emilia-Romagna ha impugnato i commi 17, 18 e 20, per
violazione  degli  artt. 3,  117, 118 e 119 della Costituzione, e dei
principi   costituzionali   di  legalita'  sostanziale,  uguaglianza,
ragionevolezza e leale collaborazione.
    Infine,  la  Regione Campania ha impugnato i commi da 16 a 21 per
violazione  degli  artt. 3, 114, 117, 119 e 120 della Costituzione, e
del  principio  di  leale  cooperazione, nonche' del d.lgs. 28 agosto
1997, n. 281.
    2.  - Il comma 16 della disposizione impugnata stabilisce che, ai
sensi  dell'art. 119,  sesto  comma,  della Costituzione le Regioni a
statuto ordinario, gli enti locali, le aziende e gli organismi di cui
agli  articoli 2,  29 e 172, comma 1, lettera b, del d.lgs. 18 agosto
2000,  n. 267, ad eccezione delle societa' di capitali costituite per
l'esercizio  di servizi pubblici, possono ricorrere all'indebitamento
solo per finanziare spese di investimento.
    Il comma 17 reca, in relazione a cio', la specificazione di quali
operazioni  costituiscano  indebitamento, agli effetti dell'art. 119,
sesto  comma,  della  Costituzione,  e  prevede  che tali «tipologie»
possano  essere  modificate  con decreto del Ministro dell'economia e
delle  finanze,  sentito  l'Istat, sulla base dei criteri definiti in
sede europea.
    Il comma 18 provvede, invece, a definire le operazioni che, per i
medesimi fini, costituiscono investimenti.
    Il  comma 19  vieta  agli  enti  di  cui al comma 16 di ricorrere
all'indebitamento   per   finanziare   i  conferimenti  rivolti  alla
ricapitalizzazione  di  aziende  e societa' finalizzata al ripiano di
perdite.
    Il  comma 20 stabilisce che le modifiche alle tipologie di cui ai
commi 17  e 18 sono disposte con decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze, sentito l'Istat.
    Il  comma 21,  infine,  estende  l'applicabilita'  dei precedenti
commi  da  16  a  20  alle  Regioni a statuto speciale, alle Province
autonome,  nonche'  agli  organismi individuati nel comma 16 siti nei
loro  territori,  ai  fini  della  tutela dell'unita' economica della
Repubblica  e  nel quadro del coordinamento della finanza pubblica di
cui agli artt. 119 e 120 della Costituzione.
    3.  -  Le ricorrenti ad autonomia speciale contestano, anzitutto,
il  comma 21,  in  quanto estende loro la disciplina prevista per gli
enti  ad  autonomia ordinaria, e censurano quest'ultima, nell'ipotesi
subordinata in cui la doglianza principale venga superata.
    4.  -  In  particolare,  la  Regione  Siciliana, pur considerando
vincolante  anche  per le autonomie speciali il principio del divieto
di   indebitamento   per   spese   correnti  posto  dal  nuovo  testo
dell'art. 119,  comma 6,  della  Costituzione, che consente a Comuni,
Province,    Citta'    metropolitane    e    Regioni    il    ricorso
«all'indebitamento   solo  per  finanziare  spese  di  investimento»,
ritiene  tuttavia  illegittima  l'estensione,  con legge ordinaria, a
Regioni  a  statuto  speciale e Province autonome, delle disposizioni
dei  commi  da  16  a  20 dell'art. 3 della finanziaria 2004, miranti
all'attuazione   del   principio   costituzionale,   in  quanto  tale
attuazione  non  potrebbe  che  essere  rimessa  alle  regole dettate
autonomamente  ed  in concreto da parte di ciascuna Regione a statuto
speciale.  Il  comma 21  impugnato  violerebbe,  in  particolare, gli
artt. 14, lettere o e p, e 36 dello statuto, perche' in contrasto con
la  competenza  legislativa  esclusiva  regionale  in tema di sistema
contabile  della  Regione  medesima e degli enti locali e strumentali
della  stessa,  e perche' incidente in senso riduttivo sull'autonomia
finanziaria  regionale; l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001,  il  quale  prevede  che,  sino  all'adeguamento dei rispettivi
statuti,  le disposizioni recate dalla stessa legge costituzionale si
applicano  alle  Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome
«per le parti in cui prevedono forme di autonomia piu' ampie rispetto
a quelle attribuite»; e il nuovo art. 117 della Costituzione, perche'
incide  sulla  finanza  regionale  e  degli enti locali e strumentali
riferibili  al  relativo territorio, materia attribuita alla sfera di
competenza  legislativa  generale  -  residuale  riconosciuta  in via
esclusiva alle Regioni.
    Qualora,  in  ipotesi,  questa  Corte  ritenesse  non  fondata la
questione,  prosegue  la ricorrente, le disposizioni recate dai commi
da 16 a 20 dell'art. 3 si paleserebbero comunque illegittime.
    Il   comma 16   dell'art. 3,   anzitutto,  estende  indebitamente
l'ambito   dei  soggetti  che,  secondo  l'art. 119  Cost.,  «possono
ricorrere    all'indebitamento   solo   per   finanziare   spese   di
investimento».  Mentre, infatti, la norma costituzionale ha esclusivo
riguardo  ai  Comuni,  alle  Citta' metropolitane ed alle Regioni, la
disposizione  censurata  comprende,  oltre  alle  Regioni  a  statuto
ordinario,  «gli  enti locali, le aziende e gli organismi di cui agli
artt. 2,  29  e  172,  comma 1,  lettera b, del testo unico di cui al
d.lgs.   18 agosto   2000,   n. 267»   (Testo   unico   delle   leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali)  -  e  cioe' Comuni, Province,
Citta'  metropolitane,  comunita'  montane,  comunita'  isolane  o di
arcipelago,  unioni  di comuni, consorzi cui partecipano enti locali,
con  esclusione  di quelli a rilevanza economica ed imprenditoriale e
di  quelli  per  la  gestione dei servizi sociali, aziende speciali e
istituzioni - «ad eccezione delle societa' di capitali costituite per
l'esercizio  di servizi pubblici»: in tal modo risulterebbe compressa
la  competenza  legislativa regionale, cui e' certamente ascrivibile,
in  relazione  agli  enti  non  contemplati  dall'art. 119  Cost., la
eventuale  disciplina  diretta  ad estendere l'ambito dei destinatari
del principio costituzionale.
    Quanto  al  comma 17,  attraverso  l'arbitraria elencazione degli
atti  consentiti disegnerebbe una nozione di «indebitamento» priva di
riscontro  nei  principi  del  diritto  finanziario.  La  nozione  di
indebitamento,  infatti,  in  via  generale si collegherebbe a quelle
operazioni   suscettibili   di  creazione  di  risorse  aggiuntive  a
copertura  di  una  maggiore  capacita'  di spesa, mentre nel diritto
positivo  -  e  il riferimento e' all'art. 6, comma 7, punto 2, della
legge  5 agosto  1978,  n. 468 (Riforma di alcune norme in materia di
contabilita'   generale  dello  Stato  in  materia  di  bilancio),  e
all'art. 1,   comma 13,   lettera   b,   della  legge  della  Regione
Siciliana 8 luglio  1977,  n. 47  (Norme  in materia di bilancio e di
contabilita'   della   Regione   Siciliana)  -  si  collegherebbe  al
«risultato  differenziale tra tutte le entrate e le spese, escluse le
operazioni riguardanti le partecipazioni azionarie ed i conferimenti,
nonche'  la  concessione  e  riscossione  di crediti e l'accensione e
rimborso   di  prestiti  («indebitamento  o  accrescimento  netto»)».
Peraltro,  l'elencazione recata dalla norma censurata non apparirebbe
esaustiva  della  nozione,  e  sarebbe anzi irragionevole rispetto al
principio   posto   dall'art. 119,   comma 6,   Cost.,   da  ritenere
immediatamente  vincolante  per  gli  enti  individuati  dalla  norma
costituzionale,   a   prescindere   dallo   strumento  prescelto  per
l'acquisizione della risorsa finanziaria.
    Il comma 18, poi, nell'elencare le attivita' che, «ai fini di cui
all'art. 119,  sesto  comma,  Cost., costituiscono investimento», non
comprende  tutta  una  serie di interventi in conto capitale (quali i
trasferimenti alle imprese o i cofinanziamenti regionali di programmi
comunitari   concernenti  la  ricerca  o  comunque  relativi  a  beni
immateriali)  che nella nozione di investimento rientrerebbero: cio',
oltre  che  essere  frutto  di una valutazione arbitraria ed erronea,
limiterebbe    illegittimamente    l'esercizio    delle    competenze
amministrative  spettanti  alla  Regione  ai sensi dell'art. 20 dello
statuto e dell'art. 118 Cost., in quanto applicabile ex art. 10 della
legge  cost.  n. 3  del  2001.  La  disposizione  in  esame, inoltre,
disattenderebbe   la   definizione   di   investimento   fornita  dal
regolamento  del  Consiglio  dell'Unione  europea n. 2223/1996 del 25
giugno 1996,  relativo  al  sistema  europeo  dei  conti  nazionali e
regionali   della   Comunita',   ed  in  particolare  quanto  sancito
nell'allegato A, punto 1.19, lettera c), secondo cui vanno modificati
alcuni  concetti  basilari,  «ad  esempio  ampliando  il  concetto di
investimento  per  tenere  conto  dell'ammontare  della  spesa  sulla
ricerca e sviluppo o della spesa in materia di istruzione».
    Quanto   al   comma 19,   sarebbe   poi   paradossale   rimettere
all'istituto   finanziatore   -   soggetto   privato   che   esercita
imprenditorialmente   attivita'   bancaria   o   di   intermediazione
finanziaria  -  il  controllo  sull'operato  della Regione, dotata di
potesta' pubblicistiche finanche in materia creditizia.
    Infine, il potere di modificare le tipologie dell'indebitamento e
dell'investimento  dei precedenti commi 17 e 18, ascritto al Ministro
dell'economia dal comma 20 sarebbe non tanto di coordinamento, quanto
normativo,  perche'  incidendo  sulle  nozioni  di indebitamento e di
investimento  come  individuate  dalle  disposizioni  di  quei commi,
determinerebbe  in concreto l'ampiezza degli ambiti operativi rimessi
all'autonomia  regionale,  sia nel campo dell'acquisizione di risorse
che   in  materia  di  spesa.  Ne'  un  siffatto  potere  sembrerebbe
rispettare  i  limiti  posti dalla sentenza n. 376 del 2003 di questa
Corte  ai  poteri amministrativi diretti a garantire la realizzazione
della  finalita'  di coordinamento finanziario, i quali devono essere
configurati    in    modo    consono    alle   sfere   di   autonomia
costituzionalmente  garantite, senza che l'azione di coordinamento si
trasformi  in  attivita'  di  direzione o in indebito condizionamento
degli  enti, essendo infatti escluso «che si attribuisca al Ministero
il  potere  di  incidere sulle scelte autonome degli enti quanto alla
provvista  o  all'impiego»  delle  risorse,  o,  peggio,  di adottare
determinazioni  discrezionali  che possano concretarsi in trattamenti
di favore o di disfavore nei confronti di singoli enti.
    5.  - A propria volta, la Regione Sardegna ricorda che il divieto
costituzionale  di ricorrere all'indebitamento, se non per finanziare
spese di investimento, non e' estraneo all'ordinamento contabile e di
bilancio  delle Regioni, trovando, per quelle a statuto ordinario, un
precedente   nell'art. 10   della   legge   16 maggio   1970,  n. 281
(Provvedimenti  finanziari  per  l'attuazione delle Regioni a statuto
ordinario), e, per quelle a statuto speciale, precedenti nell'art. 11
dello   statuto   sardo,  nell'art. 74  dello  statuto  del  Trentino
Alto-Adige e nell'art. 52 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia. Ma
la   potesta'   di   dettare  norme  applicative  della  disposizione
statutaria  in  materia, per quel che riguarda la Regione ricorrente,
e'  sempre  stata riconosciuta ad essa Regione (sent. n. 107 del 1970
di  questa Corte), la quale l'ha esercitata con l'art. 37 della legge
regionale  5 maggio 1983, n. 11 (modificato a seguito dell'entrata in
vigore  della  legge  cost.  n. 1  del  2001),  che  elenca  in  modo
dettagliato  i  criteri  da  rispettare  affinche'  la  Regione possa
ricorrere   all'autofinanziamento,   stabilendo   le   tipologie   di
investimento  da  finanziare  col  provento  dei mutui e dei prestiti
contratti,  ivi  compresa  «la  concessione  ad  imprese di incentivi
previsti   dalla  legislazione  regionale»,  prevedendo  i  contenuti
indefettibili della legge di autorizzazione del mutuo o del prestito,
e  fissando  l'ammontare  massimo  delle rate di ammortamento di tali
forme di indebitamento. Nel rispetto di tali criteri la Regione, anno
per   anno,   ha   contratto   obbligazioni   per   finanziare  spese
d'investimento  rivolte al perseguimento di varie finalita': progetti
per    l'occupazione,    investimenti    in   attivita'   produttive,
imprenditoria femminile e giovanile etc.
    Nel  disporre  l'applicabilita'  alle  Regioni a statuto speciale
delle  disposizioni  sui limiti del ricorso all'indebitamento dettate
dai  commi 17,  18 e 19 dell'art. 3 della legge finanziaria del 2004,
il  successivo  comma 21 violerebbe, in primo luogo, gli artt. 5, 7 e
11  dello statuto e le relative norme di attuazione, fra cui l'art. 3
del d.lgs. n. 180 del 2001, nonche' gli artt. 116, 117, terzo, quarto
e  sesto  comma,  Cost.,  anche  in relazione all'art. 10 della legge
cost. n. 1 del 2001.
    L'art. 3 impugnato, infatti, dopo aver predeterminato rigidamente
al   comma 17  le  tipologie  di  indebitamento,  al  comma 18  fissa
tassativamente le spese che possono considerarsi «di investimento» ai
sensi  dell'art. 119  Cost.,  individuandone  le  fattispecie in modo
particolarmente  analitico  e dettagliato, ed al comma 19 esclude «il
finanziamento  di  conferimenti  rivolti  alla  ricapitalizzazione di
aziende   e   societa'  finalizzata  al  ripiano  di  perdite».  Cio'
determinerebbe,   ad   avviso   della   ricorrente,   una  gravissima
compressione  dell'autonomia  della  Regione,  in quanto una siffatta
disciplina  fornirebbe un'interpretazione oltremodo restrittiva delle
spese  di  investimento, escludendo fattispecie sino ad oggi previste
dalla  disciplina  legislativa  regionale sarda vigente. Inoltre, con
riguardo  ai  mutui  autorizzati  in base alla legge regionale ma non
contratti  prima  della  fine dell'esercizio, la normativa impugnata,
oltre  ad  impedire  il ricorso allo strumento dell'autofinanziamento
per il futuro, precluderebbe la possibilita' del rifinanziamento.
    Risulterebbe  cosi'  lesa la competenza regionale esclusiva - cui
non   sono   piu'   opponibili   i   limiti  dei  «principi  generali
dell'ordinamento   giuridico   della   Repubblica»   e  delle  «norme
fondamentali  di  riforma economica della Repubblica» - in materia di
«ordinamento  degli  uffici»,  riconosciuta dall'art. 3, primo comma,
lettera  a,  dello  statuto, nella quale e' compresa (sentenza n. 107
del  1970) la disciplina del bilancio e della contabilita' regionale,
come  pure  delle  modalita'  di  copertura  delle  spese previste in
bilancio. Ma la compressione della competenza regionale in materia di
contabilita'  si  risolve anche in una limitazione delle modalita' di
esercizio delle attivita' legislative ed amministrative della Regione
in tutte le materie ad essa attribuite dagli artticoli da 3 a 6 dello
statuto, e quindi delle relative competenze.
    La   limitazione  delle  ipotesi  nelle  quali  la  Regione  puo'
ricorrere  all'autofinanziamento,  poi,  ne comprimerebbe l'autonomia
finanziaria al di la' dei limiti direttamente derivanti dagli artt. 7
dello  statuto  e  119  della  Costituzione  su cui essa autonomia si
fonda,   e   ne   limiterebbe  la  potesta'  programmatoria  relativa
all'insieme  degli  interventi nelle materie di competenza regionale,
che   all'autonomia   finanziaria  da'  corpo,  atteso  il  «rapporto
funzionale»  che  lega  questa  a  quella, ed il «valore strumentale»
della  programmazione,  possibile  solo laddove le Regioni dispongano
effettivamente   di   risorse,   rispetto   all'autonomia   regionale
complessiva (sentenze n. 293 del 1995 e n. 381 del 1996). A titolo di
esempio,  la  ricorrente  richiama le funzioni in materia di politica
attiva  del  lavoro  previste  dall'art. 3  delle norme di attuazione
recate  dal  d.lgs.  10 aprile 2001, n. 180, che potrebbero risultare
illegittimamente limitate dalle disposizioni impugnate.
    I  fini  «di tutela dell'unita' della Repubblica» «nel quadro del
coordinamento  della  finanza  pubblica  di  cui agli artt. 119 e 120
Cost.»,  che il comma 21 impugnato pone a fondamento della normativa,
sarebbero  del  tutto  inconsistenti.  Nell'art. 120,  secondo comma,
Cost.,  infatti, l'unita' economica ha la funzione di dare fondamento
agli   interventi   sostitutivi,  attribuiti  al  Governo  e  non  al
Parlamento,  nei  casi  di  gravi inadempienze commesse da Regioni ed
enti  locali,  mentre  la  normativa  impugnata  non ha ad oggetto le
inadempienze  delle  Regioni  ed il potere sostitutivo, ma stabilisce
essa stessa il contenuto di un limite all'attivita' delle Regioni. Ma
anche  a  voler  ammettere  che  la disciplina in esame sia collegata
all'esercizio   del   potere   sostitutivo,  osserva  la  ricorrente,
nell'estendere  quanto  stabilito dai commi da 16 a 20, il successivo
comma 21  omette  ogni  richiamo  alla  procedura  da seguire perche'
l'intervento  possa  essere  esercitato,  come  previsto  dalla norma
costituzionale,  «nel  rispetto del principio di sussidiarieta' e del
principio  di  leale cooperazione» (sentenza n. 43 del 2004). In ogni
caso,  poi,  non prevedendo lo statuto sardo poteri sostitutivi dello
Stato,  in  forza  del  limite fissato dall'art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001, l'art. 120, secondo comma, Cost., nel nuovo testo, non
sarebbe applicabile alla Regione Sardegna.
    Quanto invece al «coordinamento della finanza pubblica» di cui al
secondo comma dell'art. 119 Cost., esso avrebbe come oggetto soltanto
le  entrate  di Regioni ed enti locali che abbiano natura coattiva, e
non riguarderebbe in nessun modo la materia dell'autofinanziamento di
quegli  enti  e  le  relative  attivita'.  In ogni caso, in forza del
limite  fissato  dall'art. 10  della legge cost. n. 3 del 2001, anche
l'art. 119,  secondo  comma,  Cost.,  nel  nuovo  testo,  non sarebbe
applicabile  alla  Regione  Sardegna,  dove  il  coordinamento  della
finanza  pubblica  si fonda sul principio stabilito dall'art. 7 dello
statuto.
    Censure  analoghe  a  quelle  mosse nei confronti dell'estensione
della   normativa  che  individua  in  modo  riduttivo  le  spese  di
investimento (commi 18 e 19) vanno formulate, prosegue la ricorrente,
nei  confronti dell'estensione dell'elencazione analitica e tassativa
delle fattispecie di indebitamento ammissibili contenuta nel comma 17
dell'art. 3.
    L'estensione,  compiuta  dalla  disposizione  finale del comma 21
dell'art. 3,  dell'applicabilita'  della disciplina dei commi da 16 a
20  anche  «agli  enti e agli organismi individuati nel comma 16 siti
nei  loro  territori»,  oltre  a  violare  i parametri gia' indicati,
sarebbe,   in  particolare,  invasiva  della  competenza  legislativa
esclusiva  della  Regione  in  materia  di ordinamento degli uffici e
degli  enti amministrativi della Regione, e di ordinamento degli enti
locali,  attribuita  dall'art. 3,  comma 1,  lettere  a  e  b,  dello
statuto.
    L'art. 3,  comma 21,  in  relazione  al  comma 20,  ed all'ultimo
periodo  del  comma 17,  violerebbe,  poi, in particolare, il riparto
delle  competenze  normative  dello  Stato  e delle Regioni stabilito
dall'art. 117,   sesto   comma,  Cost.  nell'attribuire  al  Ministro
dell'economia  il  potere  di  modificare  con  decreto  le tipologie
dell'indebitamento  e dell'investimento dei precedenti commi 17 e 18.
Si  tratterebbe di un potere sostanzialmente regolamentare, atteso il
carattere  innovativo  che  la legge attribuisce al decreto, precluso
allo  Stato  nelle  materie  di competenza regionale gia' prima della
riforma  del  titolo  V della Costituzione, e ora, appunto, dal sesto
comma dell'art. 117 (sentenza n. 302 del 2003).
    6.  -  La  Provincia  autonoma di Trento premette, invece, che la
legge  n. 350  del  2003 contiene, bensi', all'art. 4, comma 249, una
clausola  generale di salvaguardia per le autonomie speciali, secondo
la  quale le disposizioni della legge «sono applicabili nelle regioni
a  statuto  speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano
compatibilmente  con  le  norme  dei  rispettivi  statuti». Tuttavia,
alcune  disposizioni  in  materia  finanziaria,  quelle impugnate, si
pongono  in  contrasto  con  la  disciplina della materia finanziaria
dettata  dal  titolo  VI  dello  statuto e, per quel che attiene alla
finanza    locale,    ivi   comprese   le   modalita'   del   ricorso
all'indebitamento,  con  l'art. 80  dello  statuto, che disciplina la
competenza  legislativa  provinciale,  e  con  l'art. 17  del  d.lgs.
16 marzo  1992,  n. 268, recante le norme di attuazione in materia di
finanza  regionale  e  provinciale:  ambiti,  entrambi,  nei quali la
Provincia  ha legiferato, con la legge provinciale 14 settembre 1979,
n. 7,  e segnatamente con l'art. 31, per quanto riguarda la Provincia
stessa,  e con la legge provinciale 15 novembre 1993, n. 36, per quel
che riguarda la finanza locale.
    Il   comma 21  dell'art. 3  della  finanziaria  2004,  disponendo
l'estensione   dell'applicabilita'   alle   autonomie   speciali  dei
precedenti  commi da 16 a 21, farebbe venir meno l'operativita' della
clausola  di  salvaguardia  di  cui  si  e' detto, e si sostituirebbe
illegittimamente   alla   disciplina  legislativa  provinciale  nella
materia,   restringendo   l'autonomia   finanziaria   e  la  potesta'
legislativa provinciale.
    In  primo  luogo, infatti, in base all'art. 10 della legge  cost.
n. 3  del  2001  non  si applicano alle Regioni a statuto speciale ed
alle  province  autonome  gli artt. 119 e 120 Cost., nel nuovo testo,
richiamati  dal  comma 21 impugnato a fondamento dei precedenti commi
da  16  a  20  dell'art. 3  della  finanziaria  2004, in quanto essi,
evidentemente,  non  recano  norme  piu'  favorevoli  di  quanto  non
disponga  il  sistema  statutario. La pretesa di diretta applicazione
alla  Provincia  delle  regole  stabilite  dai detti commi da 16 a 20
dell'art. 3  violerebbe  platealmente  l'art. 2  del  d.lgs. 16 marzo
1992,  n. 266, che prevede il ben noto meccanismo in virtu' del quale
la  sopravveniente  legislazione  statale  nelle  materie provinciali
determina  non  la  diretta  applicazione  delle norme statali, ma il
dovere  di  adeguamento  (nei  limiti in cui statutariamente vi sia),
della  legislazione provinciale. In particolare, per quel che attiene
al  potere  sostitutivo  dello  Stato,  esso  e' gia' previsto in due
ipotesi,  per  la  Regione e le due Province autonome (dagli artt. 5,
comma 1,  e  8  del  d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526), mentre nessuna
norma  statutaria  prevede o consente che la legge statale stabilisca
per  quale  ambito  la Provincia possa ricorrere all'indebitamento, o
stabilisca che cosa costituisce indebitamento o investimento.
    In  secondo  luogo,  i  commi 17,  18 e 20 dell'art. 3, ad avviso
della ricorrente, sarebbero costituzionalmente illegittimi per motivi
specifici.
    La  normativa da essi dettata, infatti, restringe le possibilita'
di  azione  delle  Regioni,  e  secondo  il  comma 21  anche  di essa
Provincia,   rispetto  alla  regola  costituzionale  del  divieto  di
indebitamento  se  non per investimenti, regola che e' per le Regioni
ordinarie   direttamente  operativa,  e  non  demanda  alcun  compito
attuativo  alla  legge  statale,  la  quale,  in  ogni caso, dovrebbe
attenersi  al  concetto economico di investimenti, senza restringerlo
arbitrariamente   ed   irragionevolmente,   estendendo   il   divieto
costituzionale  ad  ambiti  che  esso  non  era  destinato a coprire:
sarebbe,  ad  esempio,  preclusa  dal  comma 18,  lettere  g  e h, la
possibilita'    di   ricorrere   all'indebitamento   per   effettuare
trasferimenti  in  conto  capitale  a  favore  di privati anziche' in
favore di soggetti pubblici. L'irragionevolezza della norma ed il suo
carattere  discriminatorio,  anche  alla  stregua  dell'art. 3 Cost.,
emergerebbero  anche  all'interno della stessa legge n. 350 del 2003,
il   cui   art. 4,   intitolato  «Finanziamenti  agli  investimenti»,
contempla   invece,   sin  dal  comma 1,  contributi  a  privati.  Le
disposizioni     del     comma 18     dell'art. 3,    inoltre,    non
corrisponderebbero   alla  disciplina  dei  «trasferimenti  in  conto
capitale»   del   regolamento   del   Consiglio  dell'Unione  europea
n. 2223/1996  del  25  giugno 1996,  relativo  al sistema europeo dei
conti   nazionali   e   regionali   della  Comunita',  che  fra  tali
trasferimenti comprende i «contributi agli investimenti», menzionando
quelli  alle  imprese  private  ed  a  soggetti privati diversi dalle
imprese,  in  violazione, quindi dell'art. 117, primo comma, Cost. La
stessa   irragionevole   differenziazione   della   possibilita'   di
indebitamento  delle  Regioni  da  quella  dello  Stato, per il quale
continua  a  valere  la  disciplina  comunitaria,  si  tradurrebbe in
lesione dell'autonomia finanziaria regionale.
    Illegittime  sarebbero  altresi'  le  norme che prevedono che gli
elenchi  di  cui  agli  artt. 17  e  18 possano essere modificati con
decreto  del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTAT,
«sulla base dei criteri definiti in sede europea», laddove il decreto
del  Ministro  previsto  dal  comma 20 per modificare le tipologie di
indebitamento e di investimento non richiama piu' «i criteri definiti
in  sede  europea»,  il  che potrebbe essere inteso nel senso che nel
secondo  caso  sia  previsto un regolamento ministeriale «in deroga»,
discrezionalmente adottabile dal Ministro.
    Entrambe  le  norme,  comunque,  sarebbero  illegittime  gia' nei
confronti   delle   Regioni  ordinarie,  perche'  nella  materia  del
«coordinamento  della finanza pubblica», di competenza concorrente di
Stato   e   Regioni,   l'attuazione   delle   fonti  comunitarie  non
self-executing  e'  regolata  dall'art. 9 della legge n. 86 del 1989,
sicche',  in  attesa  della  legge regionale di recepimento, lo Stato
potrebbe  attuare  la  direttiva,  ma  perlomeno  con  un regolamento
governativo,  e  non  con  un regolamento del Ministro, atteso che la
competenza dell'organo collegiale prevista dalla legge n. 86 del 1989
deve  ritenersi  costituzionalmente  necessaria in relazione al rango
costituzionale   dell'autonomia  regionale.  Ancor  piu'  chiaramente
illegittimo  sarebbe  il  comma 20, che non fa riferimento ai criteri
europei, in quanto prevede un potere sostanzialmente regolamentare in
materia di competenza concorrente, in violazione dell'art. 117, sesto
comma, Cost.
    Qualora  si ritenesse che il decreto previsto dalle due norme non
abbia  natura  regolamentare,  ma  sia  espressione  di  una funzione
amministrativa  attribuita  al  Ministro  in  virtu' del principio di
sussidiarieta',   non   verrebbe   meno   l'illegittimita',  mancando
qualsiasi  coinvolgimento delle Regioni in contrasto con il principio
di  leale  cooperazione  (sentenza n. 303 del 2003). Per la Provincia
autonoma,   si   tratterebbe   anche  dell'attribuzione  di  funzioni
amministrative  statali  direttamente  vietate dall'art. 4 del d.P.R.
n. 266  del 1992. Nel riferirsi alle tipologie di cui al comma 18, il
comma 20,   infine,   sarebbe  illegittimo  perche'  conferirebbe  al
Ministro  un «nudo» potere discrezionale, in violazione del principio
di  legalita'  sostanziale  e,  in  quanto  incidente  sull'autonomia
regionale e provinciale, con lesione della stessa.
    7.  - La Regione autonoma Valle d'Aosta osserva, a propria volta,
che  l'art. 3  dello statuto riconosce ad essa la potesta' di emanare
norme  legislative  di integrazione e di attuazione delle leggi della
Repubblica  in  una  serie  di  materie, fra cui «finanze regionali e
comunali»,   mentre   l'art. 4  attribuisce  ad  essa  la  competenza
amministrativa  in tutte le materie in cui ha competenza legislativa.
La  possibilita'  di assumere mutui ed emettere obbligazioni e' stata
riconosciuta  alla  Regione  dalla  legge 26 novembre 1981, n. 690, e
dalle  norme di attuazione in materia di finanze regionali e comunali
dettate  con  d.lgs.  28 dicembre  1989, n. 431, che, in particolare,
all'art. 6  ha  stabilito  spettare  alla  Regione  emanare  norme in
materia  di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio
e di contratti degli enti locali della Valle e delle loro aziende. La
Regione  ha  esercitato  tali  attribuzioni  con  la  legge regionale
16 dicembre  1997,  n. 40,  che,  tra  l'altro, demanda la disciplina
dell'ordinamento  finanziario  e  contabile  degli  enti locali ad un
regolamento.  Quest'ultimo, adottato il 3 febbraio 1997, con il n. 1,
all'art. 44   dispone   che  gli  enti  locali  possano  far  ricorso
all'indebitamento  solo  al  fine  di  realizzare  investimenti,  con
l'unica deroga dei finanziamenti fuori bilancio.
    Le  disposizioni censurate, articolate e di dettaglio, si pongono
quindi  in  netto  contrasto  con  la  disciplina  cosi'  richiamata,
comportando  la  sostanziale  abrogazione della normativa valdostana,
che  pure  e'  recata  da una fonte che da' attuazione ad uno statuto
speciale, cosi' violando l'art. 3 dello statuto.
    Sarebbero  altresi'  violati l'art. 48-bis dello statuto, per non
essere  stato  rispettato  il  procedimento  da  esso previsto per la
modifica  delle  norme  di  attuazione,  comprese  quelle  in materia
finanziaria  dettate  dal  d.lgs.  n. 431  del  1989,  come stabilito
dall'art. 1  del  d.lgs.  22 aprile  1994, n. 320 (viene ricordata la
sentenza  n. 221 del 2003), l'art. 116, comma 1, Cost., che riconosce
ad  essa  Regione  particolari  condizioni  di autonomia, l'art. 117,
comma 1,  Cost.,  e  gli  artt. 118  Cost.  e  4  dello  statuto, che
riconoscono  alla  Regione  la titolarita' di funzioni amministrative
proprie,   incidendo   le   disposizioni   impugnate   sull'autonomia
organizzativa   di  essa  ricorrente  e  di  tutti  gli  enti  locali
valdostani.  Ne',  in avverso, si potrebbe invocare la potesta' dello
Stato di stabilire i principi di coordinamento della finanza pubblica
di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. (in proposito, sentenze n. 17
e  36  del  2004),  perche' cio' implica la fissazione di obiettivi e
paradigmi  generali  dell'azione,  e  non l'adozione di una normativa
analitica e dettagliata.
    La  Regione  denuncia in secondo luogo la violazione dell'art. 10
della  legge  cost. n. 3 del 2001, non potendosi invocare, come fanno
le disposizioni impugnate, gli artt. 119 e 120 Cost., investiti dalla
riforma  del  titolo  V,  per  ridurre  l'ambito  di  autonomia  gia'
riconosciuto  alla  Regione,  atteso  che  neppure l'art. 119, ultimo
comma,  Cost.,  in  forza  della  clausola dello stesso art. 10 della
legge  cost.  n. 3  del  2001,  sarebbe  applicabile  alle  autonomie
speciali.
    L'impatto  della normativa impugnata sugli equilibri del bilancio
regionale, prosegue la ricorrente, sarebbe dirompente, considerata la
disposta  limitazione  a  precise  tipologie delle spese finanziabili
mediante indebitamento, con esclusione, ad esempio, dei trasferimenti
in  conto capitale a favore dei privati e i cofinanziamenti regionali
di programmi comunitari.
    Inconferente  sarebbe  poi  il  richiamo, contenuto nel comma 21,
all'art. 120 Cost. in tema di potere sostitutivo, non solo per la non
applicabilita' alle Regioni a statuto speciale di cui si e' detto, ma
per l'oggettiva insussistenza dei presupposti.
    L'approvazione   delle   disposizioni   censurate   senza  previa
consultazione  degli  enti interessati, infine, violerebbe i principi
di sussidiarieta' e leale cooperazione ribaditi dallo stesso art. 120
Cost.
    8.  -  La  disciplina  legislativa recata dai commi da 16 a 20 e'
altresi' censurata dalle Regioni a statuto ordinario.
    La Regione Marche, anzitutto, dubita che al principio dell'ultimo
comma  dell'art. 119  Cost.  si possa dare attuazione ed integrazione
con   norme   della   legge   finanziaria,   anziche'  con  norme  di
coordinamento,  e  comunque  senza l'intervento o una possibilita' di
definizione  da  parte del legislatore regionale. Le norme impugnate,
infatti,  nel disciplinare l'indebitamento delle Regioni e degli enti
locali  con  previsioni di dettaglio non riconducibili ai principi di
coordinamento  della finanza pubblica e del sistema tributario di cui
all'art. 119  Cost.,  violerebbero  l'autonomia finanziaria garantita
agli enti sub - statali proprio dall'art. 119 Cost.. Tali principi di
coordinamento  devono  essere inseriti dal legislatore statale in una
disciplina  che contestualmente determini i «principi generali», come
previsto  dalla  legge  finanziaria  per il 2003, la legge n. 289 del
2002,  con  l'istituzione,  all'art. 3, dell'Alta commissione, scelta
confermata  dalla  finanziaria in esame all'art. 2, che ne ha fissato
il termine per la conclusione dei lavori.
    Quella  dettata  dalle  norme  impugnate  e'  invece normativa di
dettaglio,  che  elenca  puntualmente  investimenti  e  indebitamenti
ammessi,   che   condizionano   in   termini  stringenti,  e  percio'
inammissibili,  la  capacita'  di esercizio autonomo delle competenze
legislative  ed  amministrative delle Regioni - rendendo, ad esempio,
illegittimi  i  trasferimenti  in conto capitale a favore di privati,
escludendo   cosi',  tra  l'altro,  i  cofinanziamenti  regionali  di
programmi comunitari -, laddove il sistema costituzionale attribuisce
alle  Regioni potesta' normativa nel quadro dei principi fondamentali
stabiliti dalla legge statale.
    Il  comma 17  dell'art. 3,  poi, attribuendo al Ministro potesta'
regolamentare  in  materia  non riservata alla competenza legislativa
esclusiva  dello Stato, violerebbe l'art. 117, sesto comma, Cost., in
quanto  «deve  escludersi la possibilita' per lo Stato di intervenire
in tale materia con atti normativi di rango sublegislativo» (sentenza
n. 329  del  2003).  Ne'  la  competenza  ministeriale  in  parola e'
assistita  da  garanzie  procedurali che consentano la partecipazione
delle Regioni alla definizione delle variazioni delle tipologie degli
investimenti  e  degli  indebitamenti,  con  ulteriore  lesione delle
competenze regionali.
    9.  -  La  Regione  Toscana  denuncia  il  mancato rispetto delle
modalita'  di  attuazione stabilite dall'art. 119 Cost. a garanzia di
una  corretta  ed  equilibrata  realizzazione del sistema finanziario
regionale  e  locale,  fine  per  il  quale e' stata istituita l'Alta
commissione  di  studio  che  ultimera'  i  propri  lavori  entro  il
30 settembre 2004.
    Le  disposizioni,  ad  avviso  della  Regione, violano l'art. 117
Cost.  in  quanto  elencano in modo puntuale ed esaustivo le spese di
investimento,     fornendone    una    disciplina    dettagliata    e
autoapplicativa,  mentre  la  materia del coordinamento della finanza
pubblica  e' soggetta alla potesta' legislativa concorrente e percio'
lo Stato dovrebbe limitarsi a fissare solo i principi fondamentali.
    Il  comma 20,  poi, nel prevedere che le modifiche alle tipologie
indicate nei commi 17 e 18 saranno in futuro disposte con decreto del
Ministro  dell'economia,  violerebbe  l'art. 117, sesto comma, Cost.,
consentendo  ad  un  decreto  ministeriale  di  disciplinare  aspetti
interferenti   con   una  materia  soggetta  a  potesta'  legislativa
concorrente.
    10.  -  Le  Regioni  Umbria  ed  Emilia-Romagna,  con  ricorsi di
identico tenore, rilevano che la normativa dettata dai commi 17, 18 e
20 dell'art. 3 restringerebbe le possibilita' di azione delle Regioni
rispetto  alla  regola costituzionale del divieto di indebitamento se
non  per  investimenti,  regola  che  e'  per  le  Regioni  ordinarie
direttamente  operativa,  e  non demanda alcun compito attuativo alla
legge statale, la quale, in ogni caso, dovrebbe attenersi al concetto
economico  di  investimenti,  senza  restringerlo  arbitrariamente ed
irragionevolmente, estendendo il divieto costituzionale ad ambiti che
esso  non  era destinato a coprire: sarebbe, ad esempio, preclusa dal
comma 18,   lettere   g   e   h,   la   possibilita'   di   ricorrere
all'indebitamento  per  effettuare  trasferimenti in conto capitale a
favore   di   privati   anziche'  in  favore  di  soggetti  pubblici.
L'irragionevolezza  della  norma ed il suo carattere discriminatorio,
anche alla stregua dell'art. 3 Cost., emergerebbero anche all'interno
della  stessa  legge  n. 350  del  2003,  il  cui  art. 4, intitolato
Finanziamenti  agli  investimenti, contempla invece, sin dal comma 1,
contributi a privati.
    Le   disposizioni   del   comma 18   dell'art. 3,   inoltre,  non
corrisponderebbero   alla  disciplina  dei  «trasferimenti  in  conto
capitale»   del   regolamento   del   Consiglio  dell'Unione  europea
n. 2223/1996  del  25  giugno 1996,  relativo  al sistema europeo dei
conti   nazionali   e   regionali   della  Comunita',  che  fra  tali
trasferimenti comprende i «contributi agli investimenti», menzionando
quelli  alle  imprese  private  ed  a  soggetti privati diversi dalle
imprese,  in  violazione, quindi dell'art. 117, primo comma, Cost. La
stessa   irragionevole   differenziazione   della   possibilita'   di
indebitamento  delle  Regioni  da  quelle  dello  Stato, per il quale
continua  a  valere  la  disciplina  comunitaria,  si  tradurrebbe in
lesione dell'autonomia finanziaria regionale.
    Illegittime  sarebbero  altresi'  le  norme che prevedono che gli
elenchi  di  cui  agli  artt. 17  e  18 possano essere modificati con
decreto  del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTAT,
«sulla base dei criteri definiti in sede europea», laddove il decreto
del  Ministro  previsto  dal  comma 20 per modificare le tipologie di
indebitamento e di investimento non richiama piu' «i criteri definiti
in  sede  europea»,  il  che potrebbe essere inteso nel senso che nel
secondo  caso  sia  previsto un regolamento ministeriale «in deroga»,
discrezionalmente adottabile dal Ministro.
    Entrambe le norme, comunque, sarebbero illegittime, perche' nella
materia  del  «coordinamento  della  finanza pubblica», di competenza
concorrente  di Stato e Regioni, l'attuazione delle fonti comunitarie
non  self-executing  e'  regolata  dall'art. 9  della legge n. 86 del
1989,  sicche',  in  attesa  della legge regionale di recepimento, lo
Stato  potrebbe attuare la direttiva, ma perlomeno con un regolamento
governativo,  e  non  con  un regolamento del Ministro, atteso che la
competenza dell'organo collegiale prevista dalla legge n. 86 del 1989
deve  ritenersi  costituzionalmente  necessaria in relazione al rango
costituzionale   dell'autonomia  regionale.  Ancor  piu'  chiaramente
illegittimo  sarebbe  il  comma 20, che non fa riferimento ai criteri
europei, in quanto prevede un potere sostanzialmente regolamentare in
materia di competenza concorrente, in violazione dell'art. 117, sesto
comma, Cost.
    Qualora  si ritenesse che il decreto previsto dalle due norme non
abbia  natura  regolamentare,  ma  sia  espressione  di  una funzione
amministrativa  attribuita  al  Ministro  in  virtu' del principio di
sussidiarieta',   non   verrebbe   meno   l'illegittimita',  mancando
qualsiasi  coinvolgimento delle Regioni in contrasto con il principio
di  leale cooperazione (sentenza n. 303 del 2003). Nel riferirsi alle
tipologie   di   cui   al  comma 18,  il  comma 20,  infine,  sarebbe
illegittimo   perche'  conferirebbe  al  Ministro  un  «nudo»  potere
discrezionale,  in  violazione del principio di legalita' sostanziale
e,  in  quanto  incidente sull'autonomia regionale, con lesione della
stessa.
    11.  -  Infine,  la  Regione Campania lamenta che le disposizioni
impugnate,   muovendosi  al  di  fuori  dell'impostazione  data  alle
autonomie,  e  segnatamente  al  sistema finanziario regionale, dalla
riforma  del  titolo  V, attribuendo una portata limitativa, e per di
piu' mutevole - in quanto affidata alla discrezionalita' del Ministro
dell'economia  -,  all'art. 119, sesto comma, Cost., non abbiano dato
ad  esso  attuazione, ma con esso si siano, anzi, poste in contrasto.
Infatti,  nella  fase  di  passaggio al nuovo modello finanziario, in
attesa di una disciplina statale, sarebbe irragionevole e illegittimo
sottrarre   alle   Regioni  i  mezzi  di  gestione  della  spesa  che
attualmente consentono la governabilita' del sistema finanziario e di
spesa  regionale  (sentenze  n. 13  e  37 del 2004, nonche', circa il
parallelismo  fra  responsabilita'  di  disciplina  della  materia  e
responsabilita' finanziaria, sentenza n. 17 del 2004).
    La  disciplina  impugnata  violerebbe l'art. 117 Cost. in quanto,
seppur  rientrante nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici
e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», non
presenterebbe  le  caratteristiche  di principi fondamentali alla cui
fissazione  si  deve  limitare  la  legge  statale  nelle  ipotesi di
competenza concorrente.
    Anche qualora si volesse qualificare la disciplina impugnata come
attuazione  parziale  dell'art. 119  Cost.,  sarebbero illegittime le
modalita'  seguite, non solo per la irragionevole selezione di alcuni
contenuti  di  specifiche  qualificazioni  presenti  nella previsione
costituzionale  -  perche'  non  e'  dato  di  cogliere  il  criterio
adottato,  e  per  la  mutevolezza ed integrabilita', con decreto del
Ministro,  di  tali  contenuti  -,  ma  per l'esclusione di qualsiasi
intesa  fra  lo  Stato  e  la  Regione  tanto nella fase normativa di
predisposizione  della  stessa disciplina, che nelle fasi successive,
di  modifica,  con  decreto  ministeriale,  delle tipologie di cui ai
commi 17 e 18, in violazione del principio di leale cooperazione.
    Infine,  la  previsione  di modifica di cui ai commi 17 e 20, con
decreto   ministeriale,   delle   ipotesi   legislativamente  fissate
violerebbe gli artt. 119 e 117, sesto comma, Cost., che consente allo
Stato  di  esercitare  la  potesta'  regolamentare solo in materie di
competenza  esclusiva.  Nel caso di specie, l'intervento normativo e'
di  rango inferiore al regolamento governativo, essendo attribuito al
Ministro,   ma   potra'   incidere  sulle  disposizioni  legislative,
modificandole in noncuranza di qualsiasi limite di principio da parte
della  legge,  in  assenza  di  qualsiasi garanzia procedimentale che
coinvolga le Regioni.
    12.  -  Si  e'  costituito  in  tutti i giudizi il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, che ha concluso per la reiezione dei ricorsi.
    In  ordine  alle censure dirette dagli enti ad autonomia speciale
avverso  il  comma 21,  l'Avvocatura  osserva  in  via  generale  che
l'art. 119,  ultimo  comma,  Cost.  non  contrasta  con  gli  statuti
speciali,  e  percio' opera sull'intero territorio nazionale, e che i
commi   da   16   a   21   dell'art. 3  della  finanziaria  censurati
costituiscono  normativa  di  attuazione del precetto costituzionale,
prodotta  nell'ambito  della  competenza esclusiva dello Stato, e non
nell'ambito   della   competenza   legislativa   concorrente  di  cui
all'art. 117, comma terzo, Cost.
    All'art. 10  della  legge  cost. n. 3 del 2001, poi, non potrebbe
attribuirsi, oltre al palese significato «estensivo» delle piu' ampie
forme di autonomia, un significato «ostativo» di non applicazione dei
nuovi  precetti  costituzionali  nei  territori ad autonomia speciale
sino  all'adeguamento degli statuti, erigendo confini all'interno del
territorio    nazionale   all'operare   di   fondamentali   parametri
costituzionali.
    Nello  specifico,  con  riguardo  alle  doglianze della Provincia
autonoma di Trento, lo Stato osserva che il «postulato» dell'asserita
attribuzione  anteriore  di  forme di autonomia piu' ampia, dal quale
muove  la  Provincia, sarebbe indimostrato, in quanto l'art. 74 dello
statuto  porrebbe  ad  essa  limiti  assai  piu' severi di quelli ora
stabiliti  dall'art. 119,  ultimo  comma,  Cost.,  come il divieto di
prestiti  non  «interni»  ed  il «tetto» quantitativo. Inoltre, nella
materia  della  finanza  locale l'art. 80 dello statuto attribuirebbe
alla Provincia solo una competenza legislativa concorrente.
    Il  fatto, poi, che nessuna norma statutaria preveda che la legge
statale    possa    regolare,    per   la   Provincia,   il   ricorso
all'indebitamento,  o stabilisca che cosa costituisca indebitamento o
investimento, varrebbe come riconoscimento dell'inesistenza di limiti
statutari alla produzione legislativa dello Stato in argomento.
    Quanto  al  richiamo  al meccanismo dell'art. 2 del d.lgs. n. 256
del  1992,  la Provincia non avrebbe indicato le proprie disposizioni
abbisognevoli di «adeguamento»: la norma, d'altra parte, si riferisce
solo  alle leggi statali costituenti «limiti indicati dagli artt. 4 e
5  dello  statuto»,  e sarebbe quindi inapplicabile alle disposizioni
censurate,  che  si connettono ed integrano l'art. 119, ultimo comma,
Cost.,  il quale, non incontrando ostacoli nello statuto, e' operante
anche  all'interno  della Regione Trentino-Alto Adige. In ordine agli
enti  locali, la legge provinciale n. 36 del 1993 non definirebbe gli
«investimenti», e porrebbe limiti essenzialmente quantitativi.
    La   Provincia,  conclude  quindi  l'Avvocatura,  potrebbe  entro
giugno 2004 provvedere autonomamente allo «adeguamento» della propria
legislazione,  purche'  con fedele recepimento delle regole poste dai
commi impugnati dell'art. 3 della legge n. 350 del 2003.
    Quanto,   poi,  al  ricorso  della  Valle  d'Aosta,  l'Avvocatura
contesta  che  la  normativa impugnata sia in contrasto con l'art. 11
della legge n. 860 del 1981 e con le norme di attuazione richiamate -
le  quali  peraltro,  siccome nella specie anteriori all'introduzione
dell'art. 48-bis nello statuto, non sarebbero soggette al particolare
procedimento per la modifica da esso regolato -, nonche' con la legge
regionale,  che nulla disporrebbe sullo specifico tema; ne' l'art. 44
del  regolamento  del  1999 fornirebbe una nozione o una casistica di
investimenti,  sicche'  non  potrebbe  sostenersi che le disposizioni
della  finanziaria  abbiano  inciso  su  materia  «gia' compiutamente
disciplinata».
    Neppure sarebbe violato l'art. 48-bis dello statuto, articolo che
deve  ricevere  un'interpretazione «stretta», perche' le disposizioni
impugnate non recano norme di attuazione dello statuto.
    Venendo  poi  a  contestare  la fondatezza delle censure mosse ai
commi  da  16 a 20, l'Avvocatura osserva che la doglianza che investe
il  comma 17,  secondo  cui la nozione di indebitamento fornita dalla
legge  impugnata  non  coinciderebbe  con  quella  di  saldo netto da
finanziare  (alias  fabbisogno)  o  con quella di indebitamento netto
(art. 6,   settimo  comma,  della  legge  n. 47  del  1977),  sarebbe
inconsistente,  in  quanto  per  la normativa in esame rileverebbe il
solo  indebitamento  per  finanziare  spese  di  investimento,  e non
qualsiasi altro indebitamento.
    La censura mossa al comma 18, che non qualifica come investimenti
anche  i  trasferimenti  «a  fondo  perduto»  a  favore  di  generici
operatori  privati,  e'  del  pari  infondata, perche' la distinzione
operata  dal  legislatore  e'  conforme  al  parametro costituzionale
attuato,  in  quanto  il danaro proveniente dalle casse pubbliche che
concorra  a  formare assets privati puo' talvolta risultare utilmente
speso   ma   non   costituisce  investimento  del  soggetto  pubblico
erogatore. La doglianza, dunque, mirerebbe ad una pronuncia additiva,
che introduca ulteriori tipologie di trasferimenti in conto capitale,
e  sarebbe  pertanto  inammissibile. Essa sarebbe anche infondata, in
quanto  dalla  contiguita',  nell'art. 119, ultimo comma, del secondo
periodo,  attuato  con  la normativa impugnata, con il primo periodo,
ove  si  parla  di «patrimonio» delle Regioni e degli enti locali, si
intenderebbe   che  «investimento»  e'  la  destinazione  di  risorse
finanziarie   all'accrescimento   del  patrimonio  del  soggetto  che
«investe», e non di altro soggetto, per di piu' privato.
    Quanto   alla   segnalazione   del   regolamento   del  Consiglio
dell'Unione  europea  n. 2223/1996  del  25  giugno 1996, relativo al
sistema europeo dei conti nazionali e regionali della Comunita', essa
e'  non  pertinente,  perche'  l'atto  si limiterebbe a stabilire una
metodologia contabile statistica comune, senza porre alcuna norma che
imponga  agli  Stati  membri  dell'Unione di considerare investimenti
anche   i  contributi  pubblici  a  fondo  perduto  all'imprenditoria
privata.
    In  ordine  al  comma 19,  la  prevista istruttoria dell'istituto
finanziatore    costituirebbe   un   principio   di   persino   ovvia
ragionevolezza, ove si rispettasse il precetto del «buon andamento».
    Il limite all'indebitamento delle Regioni, degli enti locali e di
altri  soggetti  pubblici,  poi,  sarebbe argomento non riconducibile
alla competenza primaria in materia di «ordinamento degli uffici», in
quanto le risorse finanziarie per il funzionamento degli uffici sono,
per definizione, spese correnti, mentre gli investimenti sono risorse
finanziarie  destinate  all'accrescimento del patrimonio del soggetto
che  investe,  sicche'  si  e' nell'ambito della competenza esclusiva
statale   a   produrre   norme  generali,  e  non  solo  locali,  per
l'attuazione   dell'art. 119,  ultimo  comma,  Cost.,  concorrendo  i
livelli  di  indebitamento dei soggetti pubblici, ancorche' dotati di
autonomia costituzionalmente garantita - e cioe' del settore pubblico
allargato  -  a  determinare  la stabilita' economico finanziaria del
«sistema Italia» nella sua ineludibile unitarieta'.
    Non  pertinente sarebbe l'attribuzione ai commi 17, 18 e 19 della
natura   di   normativa   di   dettaglio,   in   quanto  l'attuazione
dell'art. 119,  ultimo comma, Cost., non sarebbe incasellabile in una
logica  da  competenza  concorrente,  mentre scarso pregio avrebbe il
ricorso  all'immagine  di  una potesta' programmatoria della Regione,
non  potendosi  per  questa configurare una materia a se' stante, ne'
potendo  costituire  la  programmazione  dello  sviluppo economico un
passe partout utile ad aprire qualsiasi accesso ai flussi finanziari.
    In  ordine  agli enti infraregionali, l'Avvocatura osserva che la
disciplina   generale   degli   indebitamenti   attiene   al  governo
dell'economia  nazionale,  e  non  all'ordinamento  dei  singoli enti
locali e delle singole aziende sanitarie.
    Quanto  poi  alla  violazione  della procedura per l'introduzione
delle   norme   di   coordinamento,   ed   all'istituzione  dell'Alta
commissione,  osserva  l'Avvocatura  che il Parlamento, all'esito dei
lavori di quest'ultima, potrebbe integrare o modificare il comma 18.
    Le  Regioni  non  potrebbero,  inoltre,  invocare quale parametro
l'art. 3 della Costituzione.
    Infine, in relazione alle censure mosse al potere ministeriale di
variare  con  decreto  le  tipologie  di indebitamento e investimento
(commi   17  e  20)  l'Avvocatura  rileva  che  l'argomento  relativo
all'assenza  di  criteri  idonei a guidare l'esercizio del potere del
Ministro   sarebbe   inconsistente,  essendo  i  criteri  agevolmente
desumibili dall'intero contesto dei commi da 16 a 21.
    13.  -  In  prossimita' dell'udienza pubblica tutte le ricorrenti
hanno  depositato memorie illustrative, insistendo per l'accoglimento
delle conclusioni gia' formulate.
    In  particolare,  la  Regione Siciliana ha anzitutto precisato di
aver  affermato la vincolativita', nei confronti di essa Regione, del
principio   di   indebitamento   per   le   spese   correnti  sancito
dall'art. 119,  sesto  comma,  Cost. sull'implicito presupposto della
sussistenza,  ben  prima della riforma costituzionale del 2001, di un
principio  sostanzialmente  analogo  -  codificato da svariate fonti,
come  l'art. 10  della legge 16 maggio 1970, n. 281, per le Regioni a
statuto   ordinario,   o   l'art. 52   dello  statuto  della  Regione
Friuli-Venezia  Giulia,  e,  per  la Regione Siciliana, dall'art. 18,
primo   comma,   della   legge  regionale  8 luglio  1977,  n. 47  -,
discendente  dall'ossequio  a  criteri  di  buon  andamento e di sana
amministrazione  immanenti  nell'ordinamento,  e  correlato al limite
all'autofinanziamento  noto  a  livello comunitario. La posizione del
principio  in sede di riforma costituzionale non sarebbe, quindi, che
una  esplicitazione  di  un  vincolo  contabile  gia' cogente, la cui
concreta  attuazione  non  potrebbe  che  essere rimessa, in ossequio
all'autonomia  finanziaria  attribuita  alla  Regione Siciliana, alla
responsabilita', ed alla legislazione, della stessa. Sarebbe pertanto
corretta  l'individuazione  dei parametri negli artt. 14, lettere o e
p,  e 16 dello statuto, che attribuiscono alla Regione la potesta' di
dettare  norme  concernenti  l'ordinamento  contabile proprio nonche'
degli  enti locali e di tutte le realta' istituzionali ricomprese nel
settore  pubblico  regionale, ed attinenti all'autonomia finanziaria,
mentre   l'art. 20   dello   statuto   sarebbe   stato  invocato  per
l'illegittima  compressione  della potesta' amministrativa regionale,
quantomeno  sotto  il  profilo  dell'ampiezza e dell'operativita' del
relativo espletamento.
    Ritenere,  poi,  la normativa censurata compresa nelle materie di
competenza  legislativa  esclusiva  dello Stato costituirebbe assunto
indimostrato,  alla  luce  dell'inversione  della  tecnica di riparto
delle   potesta'  legislative  e  dell'enumerazione  tassativa  delle
competenze  dello  Stato risultanti dal novellato art. 117 Cost., che
consentono  deroghe all'ordinario assetto delle competenze solo sulla
base  di quel meccanismo dinamico, individuato nella sent. n. 303 del
2003,  in  presenza  di  un  preciso  «iter in cui assumano il dovuto
risalto  le  attivita'  concertative e di coordinamento orizzontale»,
non  riscontrabile  nella specie. Ne', considerato il loro livello di
assoluto  dettaglio,  le  disposizioni  censurate  possono  ritenersi
espressione  della  competenza  concorrente  spettante  allo Stato ex
art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  in  materia  di «armonizzazione dei
bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario».
    Dopo  aver  contestato che quella invocata con il ricorso sia una
pronuncia  additiva,  come  affermato dalla difesa erariale, essendo,
invece, richiesta una sentenza che accerti l'invasione della sfera di
competenza  costituzionalmente  garantita alla Regione, la ricorrente
conclude,  in  replica  alla  battuta  polemica dell'Avvocatura sulla
sorte  degli  istituti  di  credito  siciliani,  precisando  che ogni
funzione di vigilanza in materia creditizia e' preclusa alla Regione,
essendo di esclusiva pertinenza della Banca d'Italia.
    La  Regione  Sardegna in primo luogo ribadisce l'inapplicabilita'
delle disposizioni censurate ad essa Regione perche' dotata, in forza
delle disposizioni dello statuto, di forme di autonomia piu' ampie di
quelle      previste      dall'art. 119      Cost.,     soffermandosi
sull'interpretazione  dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, e
richiamando, in proposito, anche la sentenza n. 103 del 2003.
    Qualora le disposizioni censurate fossero invece ritenute ad essa
applicabili, sarebbero tuttavia incostituzionali perche' lesive delle
competenze  legislative  regionali,  per  la natura strumentale della
competenza  in  materia di bilancio e contabilita', cui va ricondotta
la  disciplina  dell'indebitamento,  in  quanto  la  Regione verrebbe
limitata  nella  potesta'  programmatoria  degli  interventi pubblici
nella varie materie.
    La  ricorrente  contesta  poi  che  la disciplina impugnata possa
essere  considerata esercizio di una competenza esclusiva statale per
l'attuazione   dell'art. 119,  ultimo  comma,  Cost.,  in  quanto  il
principio,    posto    dalla   norma   costituzionale,   del   limite
all'indebitamento  non  richiede norme di dettaglio e/o di attuazione
che   puntualizzino   o   restringano   il   concetto   economico  di
investimento,   come   insegnerebbe   la   storia   dell'applicazione
dell'art. 10  della  legge n. 281 del 1970 - di cui l'art. 119, sesto
comma,  rappresenterebbe  il  «precipitato»  costituzionale -, che in
trent'anni  non  ha conosciuto attuazione, essendo stata interpretata
la  nozione  di  «spese di investimento» esclusivamente alla luce del
suo  significato  economico,  il  che rende manifesto il carattere di
dettaglio delle disposizioni censurate.
    La Provincia autonoma di Trento ricorda invece come rientri nella
propria   competenza   legislativa   la   contabilita'   propria   e,
segnatamente,    la    disciplina   della   modalita'   del   ricorso
all'indebitamento  degli  enti  locali (art. 17, comma 3, della legge
n. 268   del   1992,  ricostruisce  brevemente  la  storia  normativa
dell'indebitamento  delle Regioni sino all'illegittimo restringimento
della  nozione  di investimento operata dalle disposizioni censurate,
ed  osserva  come  la  tesi  della  difesa  erariale secondo la quale
l'esclusione   dei  finanziamenti  di  investimenti  privati  sarebbe
conforme  al  parametro  costituzionale  avrebbe  trovato smentita in
quanto  disposto, per gli anni 2003 e 2004, per gli enti ad autonomia
speciale  dal  sopravvenuto art. 3, comma 1, del d.l. 12 luglio 2004,
n. 168, introduttivo del comma 21-bis nella normativa impugnata.
    La   Regione   Valle   d'Aosta  richiama  a  proprio  favore,  in
particolare,  in  tema  di  disciplina  dell'indebitamento degli enti
locali, la sentenza n. 376 del 2003 di questa Corte.
    La  Regione Marche si sofferma in particolare su natura e portata
del  coordinamento della finanza pubblica, compreso tra le materie di
legislazione   concorrente   dall'art. 117,   terzo   comma,   Cost.,
osservando,  con  numerosi  richiami  alla dottrina, come nel sistema
dell'art. 119  Cost.  il  coordinamento  statale  intervenga  su  una
potesta'  legislativa  regionale  gia'  preesistente,  e debba essere
limitato  alla  determinazione  dei principi fondamentali, laddove la
normativa  impugnata fornisce un elenco puntuale degli investimenti e
degli   indebitamenti   ammessi   (viene   in   proposito  richiamata
l'audizione  della  Conferenza  dei  Presidenti delle Regioni e delle
Province autonome presso la Commissione bilancio del 18 marzo 2004).
    La  Regione  Toscana  aggiunge  che  la  normativa  impugnata  si
porrebbe   altresi'  in  contrasto  con  il  regolamento  comunitario
n. 2223/1996.
    Le  Regioni  Umbria  ed  Emilia-Romagna  osservano  che  la prima
disciplina delle possibilita' di investimento delle Regioni ordinarie
risale  all'art. 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti
finanziari  per  l'attuazione  delle Regioni a statuto ordinario), e,
anche a seguito delle successive modifiche legislative (art. 22 della
legge  n. 335  del  1976,  recante  «Principi fondamentali e norme di
coordinamento   in  materia  di  bilancio  e  di  contabilita'  delle
regioni»,  e  art. 23  del  d.lgs.  n. 76 del 2000, recante «Principi
fondamentali  e  norme  di  coordinamento in materia di bilancio e di
contabilita'  delle regioni», in attuazione dell'articolo 1, comma 4,
della  legge   25  giugno 1999,  n. 208),  si  limitava  ad escludere
l'indebitamento per finanziare la spesa corrente.
    Secondo  le ricorrenti, la ratio dell'art. 119 della Costituzione
e'  di  «costituzionalizzare  il  divieto  di indebitamento, da parte
delle Regioni, per finanziare la spesa corrente gia' risultante dalle
leggi  statali  ordinarie»,  sicche',  posto  che tale divieto non si
sarebbe  esteso  al finanziamento degli investimenti privati, sarebbe
illegittimo  introdurlo  mediante  la  norma  impugnata: essi infatti
«producono  utilita' per il futuro nel territorio» e pertanto «devono
rientrare nel concetto costituzionale di investimento».
    In   tal  senso  militerebbe  la  stessa  formulazione  letterale
dell'art. 119  Cost. («finanziare spese di investimento»), nonche' la
deroga  al  divieto  concernente  il  ricorso  all'indebitamento  per
finanziare  contributi  agli  investimenti di privati, introdotta dal
d.l.  12 luglio  2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento
della  spesa  pubblica),  convertito  nella  legge   30 luglio  2004,
n. 191.
    Inoltre,  le ricorrenti ribadiscono che la nozione di «contributo
agli  investimenti»  vigente  in  Italia non puo' che essere conforme
alla   definizione   adottata   a  livello  comunitario,  tramite  il
regolamento n. 2223/1996.
    Infine,  la  Regione  Campania insiste sul proprio interesse alla
decisione,  pur  dopo  l'emanazione  del  d.l.  n. 168  del 2004, che
dichiara  di  avere  impugnato  in separato ricorso (di cui chiede la
riunione con il presente).
    Nel  merito,  la  ricorrente  insiste sui profili di censura gia'
svolti,  osservando  che  i  «contenuti  dell'autonomia» regionale in
punto   del   ricorso   all'indebitamento   sono  direttamente  posti
dall'art. 119  Cost.  e  si  ricollegano  inscindibilmente alla piena
attuazione  della  norma  costituzionale,  sicche'  «sarebbe  davvero
paradossale  assumere  ed  imporre  soltanto  la  vigenza attuale dei
limiti,  in  assenza del `sistema' cui gli stessi si riferiscono», in
altre  parole fino a quando non si realizzi «la completa ed effettiva
attuazione dell'autonomia finanziaria» regionale.
    14.  -  Ha  altresi' depositato memorie illustrative, nei ricorsi
promossi  dalle  Regioni Siciliana, Campania, Emilia-Romagna, Marche,
Toscana,   Umbria,   l'Avvocatura   dello   Stato,   insistendo   per
l'accoglimento delle conclusioni gia' formulate.
    Lo  Stato  sottolinea  come  l'art. 119,  sesto  comma,  Cost. si
applichi  indifferenziatamente  a tutte le Regioni, dovendo qualsiasi
deroga  essere  esplicita  e  consacrata in una norma costituzionale,
atteso  che  la  finanza  pubblica e' configurata unitariamente dalla
Costituzione  e  che  i  mercati  finanziari non sarebbero disposti a
considerare il «rischio-regione» come separato dal «rischio-Paese» ed
a credere nella insensibilita' dello Stato ad eventuali insolvenze di
singole  autonomie,  ordinarie  o  speciali  che siano. A ben vedere,
dunque,  il  censurato comma 21 recherebbe una norma superflua, volta
solo a prevenire equivoci attraverso un'interpretazione autentica «di
chiarimento».   Quanto,   infine,   al   confine  della  «espansione»
dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, richiamando la sentenza
n. 274  del  2003 l'Avvocatura osserva come esso riguardi l'art. 117,
comma quarto, e non i principi e le regole posti dall'art. 119 Cost.
    Inoltre, l'introduzione dei commi 21-bis e 21-ter nel testo della
norma  impugnata viene incontro a richieste avanzate dalle autonomie,
sicche'  «non  puo'  escludersi  che  sia  venuto  meno  l'interesse»
all'esame delle censure dirette avverso il comma 18.
    Lo  Stato,  in  ogni  caso,  si sarebbe limitato a porre principi
fondamentali  in  materia  di  coordinamento  della finanza pubblica:
peraltro,  «una  competenza  di  coordinamento  deve  necessariamente
essere  esercitata mediante atti statali "autosufficienti" e non puo'
richiedere,   per   la   completezza  della  sua  effettivita',  atti
legislativi posti in essere dalle regioni "coordinate"».
    Viene  altresi'  contestato  che il diritto comunitario recepisca
una nozione di investimento comprensiva dei finanziamenti ai privati,
posto  che  i «contributi agli investimenti» previsti dal regolamento
n. 2223/1996  (punto  D.92)  costituirebbero  «trasferimenti in conto
capitale» distinti dagli «investimenti fissi» (punto P.51).
    L'investimento  richiederebbe, per essere tale, «un accrescimento
del  proprio patrimonio», che non consegue invece ai trasferimenti in
conto  capitale  ai  privati,  cosicche'  sarebbe  «irrazionale» e in
contrasto con la lettera dell'art. 119 della Costituzione recepirne a
livello legislativo una nozione cosi' allargata.
    Infine, quanto al potere ministeriale di incidere sulle tipologie
di indebitamento e di investimento previste dalla legge, l'Avvocatura
osserva che, in ordine alle prime (comma 17), il decreto ministeriale
avrebbe carattere meramente integrativo e che, in ordine alle seconde
(comma  18),  il  decreto «puo' soltanto precisare ed interpretare le
«tipologie»  elencate  (...)  senza  ambizione di apportare modifiche
sostanziali».
    L'Avvocatura   ritiene   poi   ammissibile   che   all'attuazione
dell'art. 119 Cost. si proceda mediante «interventi parziali», di cui
la norma impugnata sarebbe un esempio.
    Essa  si  limiterebbe  a  porre,  nella materia del coordinamento
della  finanza  pubblica, «principi cui le singole leggi regionali di
spesa nei vari settori d'intervento devono attenersi».
    Inoltre,  «una  competenza  di coordinamento deve necessariamente
essere  esercitata mediante atti statali "autosufficienti" e non puo'
richiedere,   per   la   completezza  della  sua  effettivita',  atti
legislativi posti in essere dalle Regioni "coordinate"».
    15. - All'udienza del 28 settembre 2004 le parti hanno discusso i
ricorsi, insistendo sulle conclusioni gia' rassegnate.

                       Considerato in diritto

    1.  -  L'art. 119,  sesto  comma,  della  Costituzione, nel testo
novellato   dalla   legge   costituzionale   18 ottobre  2001,  n. 3,
stabilisce,  nel  suo  secondo periodo, che i Comuni, le Province, le
Citta'    metropolitane    e    le    Regioni    «possono   ricorrere
all'indebitamento  solo  per  finanziare  spese  di  investimento»; e
aggiunge,  nel  terzo  periodo,  che  «e' esclusa ogni garanzia dello
Stato sui prestiti dagli stessi contratti».
    L'art. 3  della  legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per
la  formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria   2004),   al   comma 16   stabilisce   che   «Ai   sensi
dell'articolo 119,  sesto  comma,  della  Costituzione,  le regioni a
statuto ordinario, gli enti locali, le aziende e gli organismi di cui
agli articoli 2, 29 e 172, comma 1, lettera b, del testo unico di cui
al  decreto  legislativo  18 agosto  2000, n. 267, ad eccezione delle
societa'  di  capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici
[vale  a  dire,  oltre  a Comuni, Province e Citta' metropolitane, le
comunita' montane, le comunita' isolane o di arcipelago, le unioni di
Comuni, i consorzi cui partecipano gli enti locali, con esclusione di
quelli   che   gestiscono  attivita'  aventi  rilevanza  economica  e
imprenditoriale,  e,  ove  previsto  dallo statuto, i consorzi per la
gestione  dei  servizi  sociali,  nonche'  le  aziende  speciali e le
istituzioni]  possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare
spese  di  investimento»(primo  periodo); e che «Le regioni a statuto
ordinario  possono,  con  propria legge, disciplinare l'indebitamento
delle  aziende  sanitarie  locali  ed  ospedaliere  e  degli  enti  e
organismi  di  cui  all'articolo 12  del decreto legislativo 28 marzo
2000,  n. 76  [vale a dire degli enti e organismi, in qualunque forma
costituiti,  dipendenti  dalla Regione], solo per finanziare spese di
investimento» (secondo periodo).
    Il  successivo  comma 17  stabilisce  che «Per gli enti di cui al
comma 16 costituiscono indebitamento, agli effetti dell'articolo 119,
sesto   comma,   della   Costituzione»   una   serie   di  operazioni
dettagliatamente  elencate nel primo e nel secondo periodo del comma.
Il  terzo periodo aggiunge che «Non costituiscono indebitamento, agli
effetti  del  citato  articolo 119,  le operazioni che non comportano
risorse  aggiuntive,  ma  consentono  di  superare,  entro  il limite
massimo  stabilito  dalla  normativa  statale vigente, una momentanea
carenza  di  liquidita'  e  di  effettuare spese per le quali e' gia'
prevista  idonea  copertura  di  bilancio».  Ai  sensi del successivo
quarto  periodo,  «Modifiche alle predette tipologie di indebitamento
sono disposte con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze,
sentito l'ISTAT, sulla base dei criteri definiti in sede europea».
    Il  comma 18,  a  sua  volta,  elenca, nelle lettere da a a i, le
operazioni  che  «ai fini di cui all'articolo 119, sesto comma, della
Costituzione, costituiscono investimenti».
    Il  comma 19  aggiunge  che  «gli  enti e gli organismi di cui al
comma 16 non possono ricorrere all'indebitamento per il finanziamento
di  conferimenti  rivolti alla capitalizzazione di aziende o societa'
finalizzata   al   ripiano   di   perdite.  A  tale  fine  l'istituto
finanziatore,  in  sede istruttoria, e' tenuto ad acquisire dall'ente
l'esplicazione    specifica   sull'investimento   da   finanziare   e
l'indicazione   che   il   bilancio  dell'azienda  o  della  societa'
partecipata,   per   la  quale  si  effettua  l'operazione,  relativo
all'esercizio  finanziario precedente l'operazione di conferimento di
capitale, non presenta una perdita di esercizio».
    Il comma 20 stabilisce che «Le modifiche alle tipologie di cui ai
commi 17  e 18 sono disposte con decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze, sentito l'ISTAT».
    Infine,  il  comma 21  recita:  «Ai fini della tutela dell'unita'
economica  della  Repubblica  e  nel  quadro  del coordinamento della
finanza  pubblica  di cui agli articoli 119 e 120 della Costituzione,
le  disposizioni di cui ai commi da 16 a 20 si applicano alle regioni
a  statuto  speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano,
nonche'  agli enti e agli organismi individuati nel comma 16 siti nei
loro territori».
    Tali  disposizioni  sono  impugnate,  con distinti ricorsi, dalle
Regioni  Sicilia  (tutti i predetti commi), Sardegna (il comma 21, in
relazione  ai commi da 16 a 20), Valle d'Aosta (tutti i commi), dalla
Provincia  autonoma  di  Trento  (i  commi 17,  18, 20 e 21), e dalle
Regioni  Campania  (tutti  i commi), Emilia-Romagna (i commi 17, 18 e
20),  Marche  (i  commi  da 16 a 20), Toscana (i commi 18, 19 e 20) e
Umbria (i commi 17, 18 e 20).
    2.  -  Le  censure mosse dalle ricorrenti possono suddividersi in
tre  gruppi. In primo luogo, il comma 21 e' impugnato dalle Regioni a
statuto  speciale e dalla Provincia autonoma di Trento (nonche' dalla
Regione Campania, che non sviluppa pero' su di esso autonome censure,
ne' e' riguardata dalle disposizioni di detto comma, onde la relativa
censura  risulta  inammissibile), le quali lamentano che sia disposta
nei   loro  confronti  e  nei  confronti  degli  enti  in  esse  siti
l'applicazione delle disposizioni dei precedenti commi, sostenendo in
sostanza  che ad esse l'articolo 119, sesto comma, della Costituzione
non  potrebbe  applicarsi se non nelle parti in cui comporti forme di
autonomia piu' ampie rispetto a quelle loro gia' attribuite, ai sensi
dell'art. 10  della legge costituzionale n. 3 del 2001, il che non si
potrebbe  dire  o si potrebbe dire solo per qualche aspetto, al quale
dovrebbe  limitarsi detta applicabilita'; e che in ogni caso (secondo
la   Regione   Siciliana)   la   individuazione   delle   nozioni  di
indebitamento   e   di   investimento,   ai   fini  dell'applicazione
dell'art. 119, sesto comma, spetterebbe alla Regione.
    Il  secondo  gruppo  di censure riguarda i commi da 16 a 20. Esse
accomunano  le  ricorrenti  Regioni ordinarie e le ricorrenti Regioni
speciali,  le quali, in subordine rispetto alla questione che investe
il  comma 21,  o  in  correlazione  con  questa, lamentano anch'esse,
sostanzialmente,  l'estensione  dell'applicazione  delle norme a enti
diversi  da quelli espressamente indicati nell'art. 119, sesto comma,
e   le   restrizioni,   che   si   affermano   illegittime  e  lesive
dell'autonomia  finanziaria  regionale  e provinciale, che i commi in
esame  apportano  alle  nozioni  di  indebitamento  e  in  ispecie di
investimento.
    In  particolare, sarebbe illegittimo il comma 18 la' dove esclude
dal  novero  delle  spese di investimento, per le quali e' ammesso il
ricorso  all'indebitamento, i contributi erogati a favore di soggetti
privati e molti co-finanziamenti regionali di programmi comunitari.
    Infine,  i  commi 17  e  20  sono  censurati,  sia  dalle Regioni
ordinarie  che da quelle speciali (ad eccezione della Valle d'Aosta),
in  quanto attribuiscono al Ministro dell'economia e delle finanze il
potere,  sostanzialmente  regolamentare,  di  modificare  con proprio
decreto  le  tipologie  di  operazioni  costituenti  indebitamento  e
investimento.
    3.  -  La  presente  decisione  riguarda  solo  le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  sollevate  nei  confronti  dell'art. 3,
commi  da  16 a 21, della legge n. 350 del 2003, restando riservata a
separate  pronunzie  la  decisione delle altre questioni sollevate in
alcuni dei ricorsi.
    Con  riguardo  alle  disposizioni  indicate,  i  relativi giudizi
devono  essere  riuniti,  per  la coincidenza dell'oggetto, ed essere
decisi con unica pronunzia.
    4.  - Le questioni sollevate con il ricorso della Regione Toscana
devono  essere  dichiarate inammissibili, in quanto la delibera della
Giunta  regionale  n. 66  in  data  9 febbraio  2004,  che  ha deciso
l'impugnazione di disposizioni della legge n. 350 del 2003, non reca,
nella  motivazione,  alcun  riferimento  all'art. 3, commi da 16 a 20
(ancorche'  indichi  a  titolo di «esempio» alcune altre disposizioni
ritenute  lesive),  mentre  la  generica  autorizzazione  a sollevare
questione  di legittimita' costituzionale della legge n. 350 - avente
contenuti molteplici e assai vari - non puo', per la sua genericita',
dare  ingresso all'impugnazione di disposizioni non individuate (cfr.
sentenza n. 43 del 2004).
    Parimenti  inammissibile, come si e' accennato, e' l'impugnazione
del  comma 21  proposta,  senza  motivazione  alcuna,  dalla  Regione
Campania  in  relazione  ad un comma, che riguarda le sole Regioni ad
autonomia speciale.
    5.  -  Le questioni, sollevate dalle Regioni a statuto speciale e
dalla  Provincia autonoma di Trento, nei confronti del comma 21, sono
infondate.
    L'articolo 119,   sesto  comma,  della  Costituzione,  nel  testo
novellato  dalla  legge  costituzionale  n. 3 del 2001, non introduce
nuove  restrizioni  all'autonomia regionale, ma enuncia espressamente
un  vincolo  - quello a ricorrere all'indebitamento solo per spese di
investimento  -  che  gia'  nel  previgente  regime  costituzionale e
statutario  il  legislatore  statale  ben  poteva  imporre anche alle
Regioni  a  statuto  speciale,  in  attuazione del principio unitario
(art. 5  della  Costituzione)  e  dei  poteri  di coordinamento della
finanza  pubblica,  nonche'  del  potere  di dettare norme di riforma
economico-sociale  vincolanti  anche  nei  confronti  della  potesta'
legislativa  primaria  delle Regioni ad autonomia differenziata. E se
quest'ultimo  vincolo  puo'  non  trovare piu' applicazione, in forza
della    clausola    di   salvaguardia   dell'art. 10   della   legge
costituzionale  n. 3  del  2001,  negli  ambiti  nei quali le Regioni
ordinarie  abbiano acquisito potesta' piu' ampie, cio' non puo' dirsi
in  ambiti,  come  quello  dei  principi di coordinamento finanziario
(cfr.  art. 117,  terzo  comma),  in  cui  l'autonomia  delle Regioni
ordinarie  incontra  tuttora  gli stessi o piu' rigorosi limiti (cfr.
sentenza n. 536 del 2002).
    La  finanza  delle  Regioni  a  statuto speciale e' infatti parte
della  «finanza pubblica allargata» nei cui riguardi lo Stato aveva e
conserva   poteri   di   disciplina   generale  e  di  coordinamento,
nell'esercizio  dei  quali  poteva  e puo' chiamare pure le autonomie
speciali a concorrere al conseguimento degli obiettivi complessivi di
finanza  pubblica,  connessi  anche ai vincoli europei (cfr. sentenze
n. 416 del 1995; n. 421 del 1998), come quelli relativi al cosiddetto
patto di stabilita' interno (cfr. sentenza n. 36 del 2004).
    Il  nuovo  sesto  comma  dell'art. 119  della  Costituzione trova
dunque  applicazione nei confronti di tutte le autonomie, ordinarie e
speciali,  senza  che  sia necessario all'uopo ricorrere a meccanismi
concertati   di  attuazione  statutaria:  e  di  conseguenza  non  e'
illegittima  l'estensione  che  la  legge  statale  ha  disposto, nei
confronti di tutte le Regioni, della normativa attuativa.
    Ne'  si potrebbero rinvenire ragioni giustificatrici di una cosi'
radicale  differenziazione  fra i due tipi di autonomia regionale, in
relazione  ad un aspetto - quello della soggezione a vincoli generali
di equilibrio finanziario e dei bilanci - che non puo' non accomunare
tutti  gli  enti  operanti  nell'ambito  del  sistema  della  finanza
pubblica allargata.
    6. - Anche le censure del secondo gruppo, mosse nei confronti dei
commi  da  16  a  20  nei ricorsi sia delle Regioni ordinarie, sia di
quelle speciali, sono infondate.
    Il  quesito  che  si  pone  e' il seguente: se e in che misura la
legge  dello  Stato possa porre regole specifiche che concretizzano e
attuano   il   vincolo   di  cui  all'art. 119,  sesto  comma,  della
Costituzione,  in particolare definendo cio' che si intende, a questi
fini, per «indebitamento» e per «spese di investimento».
    Non  si  tratta  di nozioni il cui contenuto possa determinarsi a
priori,   in  modo  assolutamente  univoco,  sulla  base  della  sola
disposizione  costituzionale,  di  cui  questa  Corte sia in grado di
offrire  una  interpretazione  esaustiva  e vincolante per tutti, una
volta  per  sempre.  Si  tratta di nozioni che si fondano su principi
della  scienza economica, ma che non possono non dare spazio a regole
di   concretizzazione   connotate  da  una  qualche  discrezionalita'
politica.
    Cio' risulta del resto evidente, se si tiene conto che proprio le
definizioni  che il legislatore statale ha offerto nelle disposizioni
qui  impugnate  (art. 3,  commi 17,  18  e 19, della legge n. 350 del
2003)   derivano  da  scelte  di  politica  economica  e  finanziaria
effettuate  in  stretta  correlazione  con  i  vincoli  di  carattere
sovranazionale  cui  anche  l'Italia  e'  assoggettata  in  forza dei
Trattati europei, e dei criteri politico-economici e tecnici adottati
dagli organi dell'Unione europea nel controllare l'osservanza di tali
vincoli.
    La   nozione  di  spese  di  investimento  adottata  appare  anzi
estensiva  rispetto  ad  un  significato  strettamente contabile, che
faccia  riferimento  solo ad erogazioni di denaro pubblico cui faccia
riscontro   l'acquisizione  di  un  nuovo  corrispondente  valore  al
patrimonio  dell'ente  che  effettua  la  spesa: comprende infatti ad
esempio   i   trasferimenti   in   conto   capitale   destinati  alla
realizzazione  degli  investimenti  di altri enti pubblici (comma 18,
lettera g), o gli interventi contenuti in programmi generali relativi
a  piani  urbanistici  dichiarati  di  preminente interesse regionale
aventi finalita' pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del
territorio (comma 18, lettera i).
    Parimenti,  la  nozione di «indebitamento» e' ispirata ai criteri
adottati  in  sede  europea  ai  fini  del  controllo  dei  disavanzi
pubblici;  si  tratta,  in  definitiva,  di  tutte le entrate che non
possono essere portate a scomputo del disavanzo calcolato ai fini del
rispetto dei parametri comunitari.
    Cio'  posto, e' chiaro come non si possa ammettere che ogni ente,
e cosi' ogni Regione, faccia in proprio le scelte di concretizzazione
delle  nozioni  di  indebitamento e di investimento ai fini predetti.
Trattandosi  di far valere un vincolo di carattere generale, che deve
valere  in  modo  uniforme  per  tutti  gli  enti, solo lo Stato puo'
legittimamente provvedere a tali scelte.
    7. - Sono pertanto infondate le censure sollevate in relazione ai
commi 17  e  18  dell'art. 3 in esame sul presupposto che spetti alla
Regione,  e  non  allo  Stato,  il  potere  di definire le nozioni di
indebitamento  e  di investimento ai fini dell'attuazione del vincolo
espresso   nell'art. 119,  sesto  comma,  della  Costituzione.  Resta
naturalmente  fermo  che  qualora,  in concreto, lo Stato effettuasse
scelte  irragionevoli,  le  Regioni  ben potrebbero contestarle nelle
sedi appropriate.
    Questo non si verifica pero' nella specie. Le scelte espresse nei
commi 17  e 18 dell'impugnato art. 3 non possono dirsi irragionevoli.
Non  puo'  dirsi  tale,  in particolare, la scelta di escludere dalla
nozione  di  spese di investimento le erogazioni a favore di privati,
sia pure effettuate per favorirne gli investimenti.
    Queste  infatti,  ancorche'  possano  indubbiamente  concorrere a
promuovere (con effetti che occorrerebbe peraltro definire e misurare
caso  per  caso)  lo  sviluppo  del  sistema economico nazionale, non
concorrono  ad  accrescere  il patrimonio pubblico nel suo complesso:
criterio  negativo,  questo,  che  non  irragionevolmente appare aver
guidato  il legislatore statale in dette scelte. Lo stesso e' a dirsi
per  le  forme di co-finanziamento regionale di programmi comunitari,
che  di  per  se' possono attenere a tipologie di spese assai diverse
fra di loro, non necessariamente definibili come investimenti secondo
il criterio predetto.
    8.  -  Sono  invece  fondate  le  censure  del  terzo gruppo, che
investono i commi 17, ultimo periodo, e 20, la' dove attribuiscono al
Ministro dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTAT, il potere di
disporre   con   proprio   decreto   modifiche   alle   tipologie  di
«indebitamento»  e di «investimenti» stabilite in detti commi ai fini
di cui all'art. 119, sesto comma, della Costituzione.
    Tali  disposizioni  (di  cui l'una, quella del comma 20, in parte
ripete   la   previsione   del  comma 17  quanto  alle  tipologie  di
indebitamento,  ed  estende lo stesso meccanismo alle tipologie degli
investimenti)  conferiscono al Ministro una potesta' il cui esercizio
puo' comportare una ulteriore restrizione della facolta' per gli enti
autonomi  di  ricorrere  all'indebitamento  per finanziare le proprie
spese,  e  si  traducono sostanzialmente in una delegificazione delle
statuizioni  contenute nei predetti commi, che definiscono le nozioni
di  indebitamento  e  di  investimento ai fini dell'applicazione alle
Regioni  e  agli  enti  locali del vincolo di cui all'art. 119, sesto
comma, della Costituzione.
    Ma   una  siffatta  previsione  presupporrebbe  il  rispetto  del
principio di legalita' sostanziale, in forza del quale l'esercizio di
un  potere politico-amministrativo incidente sull'autonomia regionale
(nonche'  sull'autonomia  locale) puo' essere ammesso solo sulla base
di  previsioni  legislative  che  predeterminino  in  via generale il
contenuto   delle   statuizioni   dell'esecutivo,   delimitandone  la
discrezionalita'  (cfr.  sentenze  n. 150  del 1982, n. 384 del 1992,
n. 301 del 2003).
    Ne'   puo'   valere  a  soddisfare  tale  requisito  la  generica
previsione  del comma 17, ultimo periodo (non ripetuta, peraltro, dal
comma 20,  e quindi non applicabile alle modifiche delle tipologie di
investimento  di  cui  al comma 18), secondo cui il Ministro dovrebbe
disporre  le  eventuali  modifiche  alle  tipologie  di indebitamento
«sulla  base  dei criteri definiti in sede europea». Infatti, ove non
si  tratti di norme europee suscettibili di diretta applicazione (nel
qual   caso,  peraltro,  non  occorrerebbe  la  mediazione  di  norme
nazionali),  tale  previsione  non basta ad integrare una sufficiente
determinazione legislativa dei presupposti e del contenuto degli atti
ministeriali.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riservata a separate pronunzie la decisione delle altre questioni
sollevate con i ricorsi in epigrafe;
    Riuniti   i   giudizi   limitatamente   alle  questioni  relative
all'art. 3, commi da 16 a 21, della legge impugnata,
        a) dichiara   l'illegittimita'   costituzionale  dell'art. 3,
comma 17,  quarto  periodo,  della  legge  24 dicembre  2003,  n. 350
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2004);
        b) dichiara   l'illegittimita'   costituzionale  dell'art. 3,
comma 20, della predetta legge n. 350 del 2003;
        c)   dichiara  inammissibili  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 3,  commi 18, 19 e 20, della predetta legge
n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli artt. 117 e 119 della
Costituzione, dalla Regione Toscana (reg. ric. n. 32 del 2004) con il
ricorso in epigrafe;
        d)   dichiara  inammissibile  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 21, della predetta legge n. 350 del
2003,  sollevata,  in  riferimento  agli artt. 3, 114, 117, 119 e 120
della  Costituzione, dalla Regione Campania (reg. ric. n.37 del 2004)
con il ricorso in epigrafe;
        e)   dichiara   non  fondate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 21, della predetta legge n. 350 del
2003, sollevate dalla Regione Siciliana (reg. ric. n. 28 del 2004) in
riferimento  agli  articoli 117,  118  e 119 della Costituzione, agli
artt. 14,  lettere  o e p, e 36 dello statuto speciale per la Regione
Siciliana  di  cui  al r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, e all'art. 10
della  legge  costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3;  dalla Regione
Sardegna  (reg.  ric.  n. 29 del 2004) in riferimento agli artt. 116,
117,  119  e  120 della Costituzione, agli artt. 3, 4, 5, 7, 11 dello
statuto  speciale per la Sardegna di cui alla legge cost. 26 febbraio
1948,   n. 3,   all'art. 3  del  d.lgs.  10 aprile  2001,  n. 180,  e
all'art. 10  della  legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; dalla
Provincia   autonoma   di  Trento  (reg.  ric.  n. 35  del  2004)  in
riferimento  agli  artt. 116,  117,  119 e 120 della Costituzione, al
titolo VI dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige di cui al
d.P.R.   31 agosto   1972,  n. 670,  all'art. 10  della  legge  cost.
18 ottobre  2001,  n. 3, e agli artt. 2 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992,
n. 266;  dalla  Regione  Valle  d'Aosta  (reg. ric. n.36 del 2004) in
riferimento  agli  artt. 3,  5,  117,  119  e 120 della Costituzione,
all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, nonche'
ai  principi  di  sussidiarieta'  e  di  leale  collaborazione, con i
ricorsi in epigrafe;
        f) dichiara   non   fondate   le  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 3,  commi 16,  17 (salvo quanto disposto al
capo  a), 18 e 19 della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in
riferimento   agli   artt. 117,   118  e  119  della  Costituzione  e
all'art. 20 dello statuto speciale per la Regione Siciliana di cui al
r.d.lgs.  15 maggio  1946,  n. 455,  dalla  Regione  Siciliana con il
ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 28 del 2004);
        g) dichiara   non   fondate   le  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 3,  commi 16,  17 (salvo quanto disposto al
capo a), 18 e 19, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in
riferimento  agli  artt. 116, 117, 119 e 120 della Costituzione, agli
artt. 3,  4,  5, 7 e 11 dello statuto speciale per la Sardegna di cui
alla  legge  cost.  26 febbraio  1948,  n. 3, e all'art. 3 del d.lgs.
10 aprile  2001,  n. 180,  dalla  Regione  Sardegna con il ricorso in
epigrafe (reg. ric. n. 29 del 2004);
        h)   dichiara   non  fondate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 3,  commi 17 (salvo quanto disposto al capo
a),  e  18,  della  predetta  legge  n. 350  del  2003, sollevate, in
riferimento  agli  artt. 3,  117  e  119  della  Costituzione,  dalla
Provincia  autonoma  di  Trento con il ricorso in epigrafe (reg. ric.
n. 35 del 2004);
        i) dichiara   non   fondate   le  questioni  di  legittimita'
dell'art. 3, commi 16, 17 (salvo quanto disposto al capo a), 18 e 19,
della  predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in riferimento agli
artt. 3,  5,  116,  117  e  118 della Costituzione, agli artt. 3, 4 e
48-bis  dello statuto speciale per la Valle d'Aosta di cui alla legge
cost.  26 febbraio  1948,  n. 4,  dalla  Regione Valle d'Aosta con il
ricorso in epigrafe (reg. ric. n. 36 del 2004);
        l)   dichiara   non  fondate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 3,  commi 16,  17 (salvo quanto disposto al
capo a), 18 e 19, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in
riferimento  agli  artt. 117  e 119 della Costituzione, dalla Regione
Marche (reg. ric. n. 31 del 2004) con il ricorso in epigrafe;
        m)   dichiara   non  fondate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 3,  commi 17 (salvo quanto disposto al capo
a),  e  18,  della  predetta  legge  n. 350  del  2003, sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 117 e 119 della Costituzione, dalle Regioni
Emilia-Romagna  (reg.  ric. n. 33 del 2004) e Umbria (reg. ric. n. 34
del 2004) con i ricorsi in epigrafe;
        n)   dichiara   non  fondate  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 3,  commi 16,  17 (salvo quanto disposto al
capo a), 18 e 19, della predetta legge n. 350 del 2003, sollevate, in
riferimento  agli  artt. 3,  114,  117, 119 e 120 della Costituzione,
dalla  Regione  Campania  (reg. ric. n.37 del 2004) con il ricorso in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2004.
                  Il Presidente e redattore: Onida
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 29 dicembre 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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