N. 437 ORDINANZA 16 - 29 dicembre 2004

Giudizio   sull'ammissibilita'   del   ricorso   per   conflitto   di
attribuzione tra poteri dello Stato.

Parlamento   -  Immunita'  parlamentari  -  Procedimento  penale  nei
  confronti    di   un   deputato   per   espressioni   asseritamente
  intimidatorie   ed   offensive   pronunciate   nel   corso  di  una
  trasmissione  televisiva  - Dichiarazione di insindacabilita' delle
  opinioni  espresse,  emessa  dalla Camera di appartenenza - Ricorso
  del  Tribunale  di  Taranto,  sezione  seconda  penale - Denunciata
  lesione delle attribuzioni costituzionalmente garantite - Requisiti
  soggettivo  e  oggettivo  di  un conflitto tra poteri dello Stato -
  Sussistenza   -   Ammissibilita'  del  ricorso  -  Comunicazione  e
  notificazione.
- Delibera della Camera dei deputati del 26 maggio 2004.
- Costituzione,  art. 68,  primo  comma;  legge 11 marzo 1953, n. 87,
  art. 37;  norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  alla  Corte
  costituzionale, art. 26, comma 3.
(GU n.1 del 5-1-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Valerio ONIDA;
  Giudici:  Carlo  MEZZANOTTE,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,
Francesco   AMIRANTE,   Ugo   DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di ammissibilita' del conflitto tra i poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
26 maggio 2004 relativa alla insindacabilita', ai sensi dell'art. 68,
primo  comma  della  Costituzione,  delle  opinioni espresse dall'on.
Giancarlo Cito nei confronti del signor Giovanni Liviano D'Arcangelo,
promosso dal Tribunale di Taranto - sezione II penale, con il ricorso
depositato  il  16  giugno 2004  ed  iscritto  al n. 266 del registro
ammissibilita' conflitti.
    Udito  nella  camera di consiglio del 17 novembre 2004 il giudice
relatore Alfonso Quaranta.
    Ritenuto  che il Tribunale di Taranto in composizione monocratica
-  sezione  II  penale,  ha promosso, con ricorso del 16 giugno 2004,
conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della
Camera  dei  deputati,  per  l'annullamento della deliberazione (doc.
IV-quater,  n. 105)  adottata  dalla Camera dei deputati nella seduta
del 26 maggio 2004;
        che  il  ricorrente premette di essere investito del giudizio
sulla  responsabilita'  penale  dell'on.  Giancarlo  Cito, chiamato a
«rispondere dei delitti di ingiuria e minaccia», in ragione di alcune
espressioni   intimidatorie   ed  offensive  che  lo  stesso  avrebbe
pronunciato,  a  carico di Giovanni Liviano D'Arcangelo, intervenendo
telefonicamente  nel  corso della trasmissione televisiva "Polifemo",
diffusa dall'emittente locale tarantina "Blustar";
        che  -  prosegue  il  Tribunale  di  Taranto  -  con  la gia'
menzionata  delibera  del  26 maggio 2004, la Camera dei deputati, «a
seguito  di  apposita richiesta avanzata direttamente e personalmente
dall'imputato»,   a   norma  dell'art. 3,  comma 7,  della  legge  20
giugno 2003,  n. 140  (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68
della   Costituzione  nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei
confronti  delle alte cariche dello Stato), «ha ritenuto di approvare
la  proposta  della  Giunta per le autorizzazioni», cosi' dichiarando
«che  i  fatti  per  i  quali e' in corso il procedimento "concernono
opinioni  espresse dall'onorevole Giancarlo Cito nell'esercizio delle
sue  funzioni,  ai  sensi  del  primo  comma  dell'articolo 68  della
Costituzione"»;
        che  -  secondo  il  Tribunale  di Taranto - le dichiarazioni
espresse   nel   caso   di   specie   dal   deputato  Cito  sarebbero
«completamente  slegate  dall'esercizio delle funzioni parlamentari»,
non  potendo  pertanto ritenersi «coperte dalla garanzia di immunita'
di  cui  all'art. 68 comma primo della Costituzione», come desumibile
dalla  giurisprudenza costituzionale anteriore all'avvento della gia'
menzionata  legge  n. 140  del  2003,  giurisprudenza  secondo cui la
prerogativa   costituzionale   in   questione   concerne  soltanto  i
comportamenti dei parlamentari «strettamente funzionali all'esercizio
indipendente  delle attribuzioni proprie del potere legislativo», non
investendo  invece  «l'intera  attivita'  politica  di  un membro del
Parlamento»;
        che  tale  quadro, inoltre, sarebbe rimasto immutato pur dopo
l'avvento  della  gia'  ricordata  legge n. 140 del 2003, giacche' la
Corte, con recente pronuncia, avrebbe «ribadito i confini ermeneutici
e  le condizioni interpretative entro le quali la disciplina in esame
puo'  ritenersi  costituzionalmente  legittima»,  rimarcando che «non
qualsiasi opinione espressa dai membri delle Camere e' sottratta alla
responsabilita'   giuridica,   ma   soltanto   le  opinioni  espresse
"nell'esercizio delle funzioni"» (sentenza n. 120 del 2004);
        che,  quanto  alle  cosiddette  "attivita' non tipizzate", la
ricorrente  autorita'  giudiziaria  sottolinea  come le stesse - alla
luce  dei principi riconfermati dalla sentenza appena menzionata - si
debbano «considerare "coperte" dalla garanzia di cui all'art. 68, nei
casi  in cui si esplicano mediante strumenti, atti e procedure, anche
"innominati",  ma  comunque  rientranti nel campo di applicazione del
diritto  parlamentare»,  di  talche', «ai fini dell'insindacabilita»,
cio'  che  rileva  e'  proprio  «il  collegamento  necessario  con le
"funzioni" del Parlamento, cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto
si  iscrive,  a  prescindere dal suo contenuto comunicativo, che puo'
essere  il  piu'  vario,  ma  che  in  ogni  caso deve essere tale da
rappresentare  concreto  esercizio  delle  funzioni  dei membri delle
Camere»;
        che,   tuttavia,   l'evenienza   da   ultimo   descritta  non
ricorrerebbe  - secondo il Tribunale di Taranto - nel caso sottoposto
al  suo  giudizio,  giacche' le dichiarazioni rese dall'imputato «non
paiono  minimamente  riconducibili  ad alcuna attivita' parlamentare,
sia  pure  "atipica", dell'onorevole Cito, inquadrandosi per converso
in  un  contesto  esclusivamente localistico e anzi trasmodando in un
attacco  tanto  estemporaneo  quanto prettamente personale, senza che
sia   dato  rinvenire  alcun  plausibile  e  sia  pur  minimo  "nesso
funzionale" con altra attivita' parlamentare»;
        che su tali basi, quindi, la ricorrente autorita' giudiziaria
ha  concluso  -  non senza evidenziare come l'impugnata deliberazione
della  Camera  dei deputati appaia costituire «un'illegittima lesione
della  sfera  di  attribuzioni  dell'autorita' giudiziaria», rendendo
cosi'  necessaria  la scelta di «attivare il rimedio del conflitto di
attribuzione   tra   poteri   dello   Stato»  -  affinche'  la  Corte
costituzionale «adotti la decisione prevista dall'art. 38 della legge
11 marzo 1953, n. 87».
    Considerato  che  in  questa  fase  la Corte e' chiamata, a norma
dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
a  delibare,  senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in
quanto  esista  «la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti
alla sua competenza», fermo restando il potere della Corte, a seguito
del  giudizio,  di  pronunciarsi  su  ogni aspetto del conflitto, ivi
compresa la sua ammissibilita';
        che,  secondo  la costante giurisprudenza di questa Corte, vi
e'  materia  di  un  conflitto  la  cui  risoluzione  spetta alla sua
competenza,  sussistendo  i  requisiti  soggettivi e oggettivi di cui
all'art. 37,  primo  comma,  della legge n. 87 del 1953, quando, come
nel  caso di specie, un giudice - chiamato a pronunciarsi nell'ambito
di  un  giudizio  concernente  la  responsabilita'  di  un membro del
Parlamento  in  relazione  a  dichiarazioni  da lui rese - lamenti la
lesione  delle  proprie  attribuzioni  giurisdizionali  derivanti dal
cattivo  uso  del  potere,  riconosciuto alle Camere parlamentari, di
affermare  la  insindacabilita',  a  norma dell'art. 68, primo comma,
della Costituzione, di dichiarazioni rese dai propri membri, ritenute
espressione dell'esercizio delle funzioni parlamentari;
        che  pertanto il conflitto promosso col presente ricorso deve
ritenersi  ammissibile,  ai  sensi  dell'art. 37, quarto comma, della
legge n. 87 del 1953.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riservato ogni definitivo giudizio,
    Dichiara  ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo
1953,  n. 87,  il  ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal
Tribunale  di Taranto - sezione II penale, nei confronti della Camera
dei deputati con l'atto indicato in epigrafe;
    Dispone:
        a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione
alla ricorrente autorita' giudiziaria della presente ordinanza;
        b) che,  a  cura  della  ricorrente autorita' giudiziaria, il
ricorso  e  la  presente  ordinanza  siano notificati alla Camera dei
deputati, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta
giorni  dalla comunicazione di cui sub a), per essere successivamente
depositati,   con   la   prova   dell'avvenuta  notifica,  presso  la
cancelleria  della  Corte  entro  il  termine di venti giorni fissato
dall'art. 26,  comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2004.
                        Il Presidente: Onida
                       Il redattore: Quaranta
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 29 dicembre 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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