N. 443 ORDINANZA 16 - 29 dicembre 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Prova  penale  - Operazioni di intercettazione -
  Impiego  degli apparati esistenti negli uffici giudiziari - Deroghe
  consentite  per  sole insufficienza o inidoneita' degli impianti ed
  eccezionali  ragioni  di urgenza - Sanzione della inutilizzabilita'
  dei  risultati  delle intercettazioni - Lamentata irragionevolezza,
  disparita'   di   trattamento   rispetto   alla   disciplina  delle
  intercettazioni    preventive,   sacrificio   dell'interesse   alla
  prevenzione e alla repressione dei reati, con lesione del principio
  di  obbligatorieta'  dell'azione  penale  -  Manifesta infondatezza
  della questione.
- Cod. proc. pen., artt. 268, comma 3, e 271, comma 1.
- Costituzione, artt. 3 e 112.
(GU n.1 del 5-1-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Valerio ONIDA;
  Giudici:  Carlo  MEZZANOTTE,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,
Francesco   AMIRANTE,   Romano  VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio
FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli 268,
comma 3, e 271, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con
ordinanza   del   12 dicembre   2003  dal  giudice  per  le  indagini
preliminari del Tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico
di  L.L.  ed  altro, iscritta al n. 306 del registro ordinanze 2004 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, 1ª serie
speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 1° dicembre 2004 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che con l'ordinanza in epigrafe, emessa nel corso di un
procedimento  penale  nei confronti di persone imputate di delitti in
materia  di  stupefacenti, il giudice per le indagini preliminari del
Tribunale  di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 112
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 268,  comma 3,  del  codice  di  procedura penale: norma in
forza   della   quale   il  pubblico  ministero  puo'  disporre,  con
provvedimento  motivato,  che  le operazioni di intercettazione siano
compiute  mediante  impianti di pubblico servizio o in dotazione alla
polizia  giudiziaria, unicamente quando gli impianti installati nella
procura  della  Repubblica  risultano  insufficienti  o  inidonei  ed
esistono  eccezionali  ragioni  di  urgenza;  nonche'  dell'art. 271,
comma 1,   del   medesimo   codice,   nella   parte  in  cui  prevede
l'inutilizzabilita'  dei risultati delle intercettazioni, qualora non
siano  state  osservate  le  disposizioni  di cui al citato art. 268,
comma 3;
        che  l'ordinanza premette che, nell'udienza fissata a seguito
dell'ammissione  del  giudizio  abbreviato, i difensori di alcuni fra
gli  imputati  avevano  eccepito  l'inutilizzabilita', ai sensi degli
artt. 268, comma 3, e 271, comma 1, cod. proc. pen., delle operazioni
di  intercettazione  telefonica  eseguite  nel  corso  delle indagini
preliminari, mediante impianti in dotazione all'Arma dei Carabinieri:
operazioni che, per due degli imputati, fornivano elementi essenziali
di prova riguardo a tutti o parte dei reati loro contestati;
        che   la   predetta  eccezione  -  basata  sul  difetto,  nei
provvedimenti   del   pubblico  ministero  che  avevano  disposto  il
compimento   delle   operazioni,  di  ogni  motivazione  riguardo  ai
presupposti  legittimanti  l'utilizzazione  di  impianti esterni alla
procura  della  Repubblica  -  sarebbe,  ad  avviso  del  rimettente,
fondata:  e  cio'  in  quanto solo per le intercettazioni relative ad
alcune  utenze  il  pubblico ministero aveva autorizzato l'esecuzione
delle  operazioni  con  impianti  extra  moenia, omettendo, tuttavia,
anche  in  tal  caso, di motivare circa il requisito dell'eccezionale
urgenza;
        che  secondo  il  giudice  a  quo,  tuttavia,  la sanzione di
inutilizzabilita',  posta  dal legislatore a presidio dell'osservanza
delle   regole   di  cui  all'art. 268,  comma 3,  cod.  proc.  pen.,
risulterebbe del tutto irragionevole;
        che  il  rimettente ricorda, al riguardo, come questa Corte -
nello  scrutinare,  con  ordinanze n. 304 del 2000 e n. 259 del 2001,
analoghe  questioni  di  legittimita'  costituzionale - abbia escluso
l'ipotizzato  vulnus  del principio di ragionevolezza, affermando che
la  disciplina  in  esame  risponde  all'esigenza - evidenziata nella
sentenza  n. 34  del  1973 - di prevenire abusi in sede di esecuzione
delle  operazioni,  evitando,  in  specie,  che  gli  organi  ad essa
preposti  effettuino controlli sul traffico telefonico al di fuori di
una   specifica   e   puntuale   verifica   da  parte  dell'autorita'
giudiziaria;
        che  tale  giustificazione  - la quale poggia sul presupposto
che l'utilizzazione di impianti intra moenia consenta un controllo da
parte  del  pubblico  ministero,  viceversa non garantito nel caso di
impiego  di impianti esterni - risulterebbe peraltro «anacronistica»,
a  fronte  del  progresso tecnologico e del correlato mutamento delle
modalita' tecniche di esecuzione delle operazioni di intercettazione:
mutamento  sul  quale  l'ordinanza  di rimessione si sofferma in modo
diffuso;
        che   attualmente,   infatti,   dette   operazioni   non   si
eseguirebbero  piu',  come  in  passato, collegando materialmente dei
cavi  presso  impianti  pubblici  di  telefonia  - sistema che poteva
prestarsi,  in effetti, ad abusi da parte della polizia giudiziaria -
ma  tramite  la  comunicazione  del decreto del pubblico ministero al
gestore  del  servizio telefonico, i cui tecnici provvedono quindi ad
inserire  il  numero telefonico cellulare da intercettare all'interno
di un sistema automatizzato, convogliando la relativa fonia presso il
punto  di  ascolto  sino  allo scadere del periodo di intercettazione
indicato nel decreto stesso;
        che,  in  simile  cornice  operativa, i paventati abusi della
polizia giudiziaria risulterebbero «ben difficili e collegati solo ad
attivita'  patologiche  e di rilevanza penale» (quale, ad esempio, la
comunicazione  al  gestore  telefonico  di  falsi decreti): attivita'
peraltro  possibili  anche  qualora  le operazioni venissero eseguite
tramite gli impianti installati nella procura della Repubblica;
        che,   in   difetto   di   un'adeguata  ratio  «tecnica»,  le
disposizioni  impugnate  sacrificherebbero dunque ingiustificatamente
l'interesse  - pure costituzionalmente garantito - alla prevenzione e
alla repressione dei reati;
        che   esse  impedirebbero,  infatti,  per  ragioni  puramente
contingenti  -  quale la mancanza di impianti presso la procura della
Repubblica   -   di  svolgere  indagini  che  lo  stesso  legislatore
presuppone «assolutamente indispensabili» (tale essendo la condizione
che  legittima  le  intercettazioni),  ove  non  concorra l'ulteriore
requisito  dell'«eccezionale  urgenza»:  requisito  che - qualora non
venga    fatto    coincidere   con   la   stessa   «indispensabilita'
investigativa»  (il che lo renderebbe peraltro superfluo) - finirebbe
per   precludere   «nella   stragrande  maggioranza  dei  casi»,  con
intrinseca  incoerenza  dell'assetto  normativo,  il ricorso al mezzo
investigativo in questione;
        che,  a  fronte  di  cio',  risulterebbe  dunque  ancor  piu'
irragionevole  che  l'inosservanza  delle regole sulla localizzazione
degli  impianti  venga  equiparata dall'art. 271, comma 1, cod. proc.
pen.  -  quanto alla previsione della sanzione di inutilizzabilita' -
alle  ipotesi  di  totale  mancanza di autorizzazione e di esecuzione
delle intercettazioni fuori dei casi consentiti;
        che  un ulteriore profilo di contrasto delle norme denunciate
con   l'art. 3   Cost.  discenderebbe  dal  fatto  che  l'art. 5  del
decreto-legge  18 ottobre  2001,  n. 374  (Disposizioni  urgenti  per
contrastare    il   terrorismo   internazionale),   convertito,   con
modificazioni, in legge 15 dicembre 2001, n. 438, ha stabilito che le
intercettazioni  c.d. preventive, di cui all'art. 226 disp. att. cod.
proc.  pen.  (come  sostituito dallo stesso art. 5), si eseguono «con
impianti installati presso la procura della Repubblica o presso altre
strutture    idonee   individuate   dal   procuratore   che   concede
l'autorizzazione»;   senza   peraltro   esigere   affatto,   ai  fini
dell'impiego di queste ultime, una particolare urgenza;
        che  ne  deriverebbe, dunque, una irragionevole disparita' di
trattamento  di  situazioni  identiche,  a  seconda  che si tratti di
intercettazioni   autorizzate   dall'autorita'   giudiziaria   o   di
intercettazioni  preventive:  risultando irrilevante, a tal riguardo,
la circostanza che le seconde non siano suscettibili di utilizzazione
processuale (art. 226, comma 5, disp. att. cod. proc. pen.), dato che
in  entrambi  i  casi  si  tratta  comunque  di  tutelare  il diritto
garantito  dall'art. 15  Cost.;  e  dato che i temuti abusi, da parte
dell'organo  esecutivo,  sarebbero teoricamente ipotizzabili anche in
rapporto alle intercettazioni preventive;
        che,  in  realta',  il  legislatore  del  2001 non si sarebbe
affatto  preoccupato  della  localizzazione  degli  impianti, proprio
perche'  consapevole  che  i  predetti abusi rimangono preclusi dalle
attuali modalita' tecniche delle operazioni;
        che  le norme impugnate risulterebbero altresi' incompatibili
con  l'art. 112  Cost.,  giacche',  in presenza di un reato accertato
attraverso  intercettazioni telefoniche, impedire che l'azione penale
venga esercitata - tramite la previsione dell'inutilizzabilita' della
fonte  di  prova  per  violazione  di  una norma irragionevole, quale
dovrebbe  ritenersi  quella dell'art. 268, comma 3, cod. proc. pen. -
contrasterebbe  con il principio di obbligatorieta' dell'esercizio di
tale azione;
        che,  in  base  a  tale  considerazione, il rimettente invita
quindi  questa  Corte  a  rivedere la posizione assunta con la citata
ordinanza  n. 259  del  2001,  che  aveva negato la lesione anche del
parametro costituzionale da ultimo indicato;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata infondata.
    Considerato   che   questa   Corte,   con   pronuncia  successiva
all'ordinanza  di  rimessione,  ha  gia'  scrutinato una questione di
costituzionalita' identica - fatta eccezione per il profilo che sara'
evidenziato  poco  oltre  -  a  quella  oggi sollevata, dichiarandola
manifestamente infondata (cfr. ordinanza n. 209 del 2004);
        che,  nell'occasione  - a conferma delle precedenti decisioni
richiamate anche nell'odierna ordinanza di rimessione (cfr. ordinanza
n. 259  del  2001;  e, in riferimento al solo art. 3 Cost., ordinanza
n. 304   del  2000)  -  questa  Corte  ha  ribadito  che  l'avere  il
legislatore  privilegiato,  per  l'effettuazione  delle operazioni di
intercettazione,  l'impiego  degli  apparati  esistenti  negli uffici
giudiziari  -  dettando  una  disciplina  volta  a circoscrivere, con
apposite garanzie, l'uso di impianti esterni - non puo' qualificarsi,
in se', come scelta arbitraria, avuto riguardo anche alla particolare
invasivita'  del  mezzo nella sfera della segretezza e liberta' delle
comunicazioni  costituzionalmente  presidiata: e cio' proprio perche'
si  tratta  di  una  scelta  finalizzata  ad  evitare  che gli organi
deputati  alla  esecuzione  delle operazioni di intercettazione ed al
relativo  ascolto  possano operare controlli sul traffico telefonico,
al   di   fuori  di  una  specifica  e  puntuale  verifica  da  parte
dell'autorita' giudiziaria;
        che  quanto,  poi,  al carattere «anacronistico» impresso, in
assunto, a simile giustificazione dalle attuali modalita' tecniche di
esecuzione  delle intercettazioni, non e' evidentemente compito della
Corte  «inseguire»  il progresso tecnologico, valutando se esso renda
necessario  od opportuno un adeguamento, o addirittura il superamento
delle  originarie  regole  di  cautela: trattandosi, al contrario, di
valutazione istituzionalmente rimessa al legislatore;
        che,  analogamente,  rientra  in  un  ragionevole  ambito  di
discrezionalita'  legislativa  -  tenuto  conto  della  pregnanza dei
valori  in  gioco  -  stabilire  se  la  violazione  delle  regole in
questione  debba  essere  o meno equiparata, sul piano della sanzione
processuale,  alla carenza dell'autorizzazione e all'esecuzione delle
intercettazioni al di fuori dei casi consentiti dalla legge;
        che    con    riguardo,   ancora,   all'asserita   violazione
dell'art. 112  Cost.,  resta  valido  il  rilievo che le disposizioni
censurate   non  incidono  sull'obbligo  del  pubblico  ministero  di
esercitare  l'azione  penale;  ma  si  limitano  a  stabilire  -  con
finalita'  di  salvaguardia di un valore di rango costituzionale - le
«garanzie  tecniche»  di  espletamento  di  un mezzo di ricerca della
prova particolarmente invasivo;
        che quanto, infine, all'unico profilo di novita' dell'odierna
ordinanza  di rimessione - consistente nella denunciata disparita' di
trattamento,  in  parte  qua, delle intercettazioni a fini di ricerca
della  prova  rispetto alle intercettazioni preventive - va rimarcato
come  affermare  che  la  disciplina  in tema di localizzazione degli
impianti,  di  cui alle disposizioni impugnate, e' costituzionalmente
compatibile,    non    equivalga   a   dire   che   sia   addirittura
costituzionalmente   obbligata:   ben   potendo,   al  contrario,  il
legislatore  modulare  in  maniera  diversa  -  in  un  ventaglio  di
possibili   alternative,   caratterizzate   da   maggiore   o  minore
«rigidezza» - i meccanismi di garanzia degli interessi in gioco;
        che  -  cio'  premesso - il tertium comparationis evocato dal
giudice  a  quo  si  presenta palesemente inidoneo a giustificare una
censura di violazione del principio di uguaglianza;
        che,  infatti, al di la' dell'identita' del mezzo tecnico, le
intercettazioni preventive, di cui all'art. 226 disp. att. cod. proc.
pen.,   sono  un  istituto  diverso  -  per  presupposti,  finalita',
struttura  e procedura - rispetto alle intercettazioni regolate dalle
disposizioni  di  cui  agli  artt. 266 e seguenti del codice di rito:
istituto caratterizzato - proprio in relazione a tale diversita' - da
una  disciplina distinta e da un livello di garanzie complessivamente
inferiore;
        che,  come  indica  lo stesso nomen iuris, le intercettazioni
preventive  mirano,  infatti,  non  gia'  ad  accertare  reati,  ma a
prevenirne   la   commissione  -  in  specie,  ad  acquisire  notizie
concernenti  la  prevenzione  di  delitti  di  particolare gravita' e
allarme  sociale,  quali  quelli di cui agli artt. 51, comma 3-bis, e
407, comma 2, lettera a), numero 4, cod. proc. pen. - sul presupposto
della  sussistenza di «elementi investigativi» che giustifichino tale
attivita';  non e' previsto un intervento autorizzatorio del giudice,
in  quanto  il  relativo  potere  e'  attribuito al procuratore della
Repubblica; i risultati di tali intercettazioni sono privi di valenza
probatoria,   non   potendo  essere  in  alcun  modo  utilizzati  nel
procedimento  penale (salvo a fini investigativi): ed in quest'ottica
e',  tra l'altro, prevista l'immediata distruzione dei supporti e dei
verbali delle operazioni, dopo che il procuratore abbia verificato la
conformita' delle attivita' compiute all'autorizzazione;
        che  in  tale  quadro si inserisce la previsione dell'art. 5,
comma 3,  del  decreto-legge 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con
modificazioni,  in  legge 15 dicembre 2001, n. 438, su cui fa leva il
giudice  a quo: previsione in forza della quale le intercettazioni in
parola  possono  essere  eseguite,  oltre  che  a  mezzo  di impianti
installati   presso   la  procura  della  Repubblica,  «presso  altre
strutture    idonee   individuate   dal   procuratore   che   concede
l'autorizzazione»;  e cio' senza che siano previsti, in aggiunta alla
valutazione di «idoneita», uno specifico obbligo di motivazione sotto
altri  profili - in particolare, riguardo a requisiti di «eccezionale
urgenza»  - ed una correlata sanzione di inutilizzabilita' in caso di
inosservanza  (obbligo e sanzione che, peraltro, avrebbero poco senso
in  difetto  di  un  sindacato  giurisdizionale  successivo  e di una
possibilita' di impiego processuale dei risultati delle operazioni);
        che,  pertanto,  e'  indubitabilmente  vero che l'esigenza di
tutela  del  valore fondamentale della segretezza delle comunicazioni
e'  comune  ad  entrambe  le  forme  di  intercettazione; ma cio' non
significa  che  le  norme  impugnate  possano  ritenersi  lesive  del
principio  di  uguaglianza, per «eccesso di garanzie», sulla base del
raffronto  con  la disciplina dettata per un istituto strutturalmente
eterogeneo - in quanto collocato al di fuori del processo - e nel suo
insieme    meno    «garantito»:    quale,   appunto,   quello   delle
intercettazioni preventive;
        che  la  questione  va  dichiarata,  pertanto, manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  comma 2,  delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale degli artt. 268, comma 3, e 271, comma 1,
del  codice  di  procedura  penale,  sollevata,  in  riferimento agli
artt. 3  e  112  della  Costituzione,  dal  giudice  per  le indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Firenze  con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2004.
                        Il Presidente: Onida
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 29 dicembre 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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