N. 1040 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 agosto 2004

Ordinanza  emessa il 31 agosto 2004 dalla Corte dei conti, sez. giur.
per  la Regione Puglia, sul ricorso proposto da Della Fonte Gualtiero
contro  Ufficio  scolastico regionale - Centro servizi amministrativi
per la Provincia di Lecce

Pensioni  - Dipendenti pubblici con anzianita' contributiva inferiore
  a  trentacinque  anni - Riduzione del trattamento pensionistico, in
  proporzione agli anni mancanti al raggiungimento di detto requisito
  contributivo  secondo determinate percentuali fissate dalla legge -
  Applicazione  nei  confronti  dei  dipendenti  che hanno presentato
  domanda  di collocamento entro il 31 dicembre 1992 - Violazione del
  principio  di  uguaglianza sotto il profilo dell'uguale trattamento
  di  coloro che hanno presentato la domanda di collocamento a riposo
  entro  tale  data e quelli che l'hanno presentata successivamente -
  Incidenza  sul  principio  di  adeguatezza e proporzionalita' della
  retribuzione   e  sulla  garanzia  previdenziale  -  Richiamo  alla
  sentenza della Corte n. 417/1996.
- Legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, commi 16 e 18.
- Costituzione, artt. 3, 36 e 38.
(GU n.3 del 19-1-2005 )
                         LA CORTE DEI CONTI

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso iscritto al
n. 457  (ex  1135/C)  del  registro  di segreteria, proposto dal sig.
Della Fonte Gualtiero, rappresentato e difeso, in virtu' di procura a
margine  del  ricorso,  dall'avv.  Franco  Carrozzo, ed elettivamente
domiciliato  in  Bari  al  corso  Mazzini  n. 134/A, presso lo studio
dell'avv. M. Basso.
    Contro    Ufficio   scolastico   regionale   -   Centro   servizi
amministrativi  per  la  provincia di Lecce (gia' Provveditorato agli
studi  di  Lecce),  avverso il provvedimento n. 8244 del 14 settembre
1994 del Provveditorato agli studi di Lecce.
    Visto il ricorso.
    Esaminati gli atti ed i documenti di causa.

                          Ritenuto in fatto

    Con  l'impugnato  provvedimento n. 8244 del 14 settembre 1994, il
Provveditorato  agli  studi  di  Lecce  ha  liquidato  il trattamento
provvisorio  di  pensione, in favore del prof. Della Fonte Gualtiero,
gia'  docente di ruolo della scuola secondaria di II grado, collocato
a   riposo,   a   decorrere   dal   1° settembre  1994,  con  decreto
n. 1634/Div.II/Sez. I del 27 ottobre 1993 del provveditore agli studi
di Lecce, in accoglimento delle dimissioni dallo stesso presentate in
data 12 dicembre 1992.
    Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 12 novembre 1994 e
depositato  in  segreteria  il 21 novembre 1994, il prof. Della Fonte
Gualtiero  ha  impugnato,  innanzi  a  questa Sezione giurisdizionale
regionale,  il  suddetto provvedimento n. 8244 del 14 settembre 1994,
dolendosi  che  il  provveditore gli studi di Lecce nel liquidare, in
via provvisoria, il trattamento di pensione in favore del ricorrente,
abbia  disposto,  ai  sensi  dell'art. 11,  commi 16 e 18 della legge
24 dicembre  1993,  n. 537  e  della tabella «A» allegata alla stessa
legge,  la sua decurtazione del 32%, e chiedendo l'accertamento ed il
riconoscimento   del   diritto   alla   riliquidazione  del  suddetto
trattamento  pensionistico  senza la decurtazione di cui alla tab. A,
legge  n. 537/1993,  ivi compresi interessi e rivalutazione monetaria
sulle  somme  spettanti,  previa  rimessione  degli  atti  alla Corte
costituzionale   per   il  giudizio  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 11,  comma  18,  legge 24 dicembre 1993, nella parte in cui
estende  la  disciplina  di  cui  all'art. 11, comma 16, della stessa
legge n. 537, anche ai dipendenti cessati dal servizio dal 15 ottobre
1993,  per  violazione  degli  artt. 3,  25, secondo comma, 36, primo
comma, e 97 della Costituzione.
    Secondo  la prospettazione attorea, l'impugnato provvedimento del
provveditore agli studi «effettivamente conforme alla disposizione di
cui  all'art. 11,  comma  18, legge n. 537/1993», sarebbe, nondimeno,
illegittimo    per    illegittimita'    derivata,    in    dipendenza
dell'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 11,  comma  18,  legge
n. 537/1993,  prospettata  dal  ricorrente in relazione ad un duplice
ordine di profili ed in particolare per la limitazione retroattiva di
un  diritto  costituzionalmente  tutelato (lett. A del ricorso) e per
l'esercizio  irrazionale  del  potere  discrezionale  del legislatore
(lett. B del ricorso).
    A)   In   relazione   al  primo  dei  summenzionati  profili,  il
ricorrente,   richiamati   gli   orientamenti   della  giurisprudenza
costituzionale  nel  senso  che la pensione di anzianita' costituisce
un'ipotesi   di   trattamento  normale  di  quiescenza  (Corte  cost.
12 aprile 1991, n. 194) e nel senso che l'art. 36, primo comma, Cost.
non  tutela semplicemente il diritto del lavoratore al trattamento di
attivita'  ma  anche a quello pensionistico, dovendo essere intesa la
pensione stessa come retribuzione differita (Corte cost., n. 24/1975,
n. 176/1975,  n. 173/1986) e rilevato che, «per il periodo decorrente
dal  19 settembre  1992  al  31 dicembre 1993, l'art. 1, comma 1, del
decreto-legge n. 384/1992 conv. in legge n. 483/1992, ha sospeso ogni
disposizione  di  legge  o  regolamentare  che  preveda  il diritto a
trattamenti  pensionistici  di  anzianita',  ivi  compresa  anche  la
disposizione   dell'art. 42,   secondo  comma,  t.u.  1092/1973»,  ha
allegato  che  «i  dipendenti  statali  che,  come il ricorrente sono
cessati  dal servizio nel corso dell'anzidetto periodo di sospensione
in  possesso  di  un  anzianita' utile alla pensione, pur non potendo
percepire  il  trattamento  di  quiescenza  loro spettante» sarebbero
comunque - a detta dell'attore - «divenuti titolari, quanto meno, del
diritto  riconosciuto  e  tutelato  dall'art. 36,  primo comma, Cost.
disposizione  questa che non poteva certo essere sospesa dall'art. 1,
comma  1,  legge  n. 483  del  1992»  per  cui avrebbero «sicuramente
acquistato  - per effetto della loro semplice cessazione dal servizio
-   il   diritto   alla  pensione  determinabile  anche  in  rapporto
all'anzianita'   contributiva,   pur   non  potendo  essi  esercitare
concretamente tale diritto se non dal 1° gennaio 1994», dolendosi che
l'art. 11,  comma  18,  della  legge  n. 537/1993 avrebbe tenuto solo
parzialmente   in   considerazione  la  differenziata  posizione  dei
dipendenti  gia' cessati dal servizio - titolari di un diritto di cui
era  solo  sospeso  l'esercizio  -  rispetto  a  quella di coloro che
sarebbero cessati dal servizio dopo l'entrata in vigore della legge -
per  i  quali  un  tale diritto non si sarebbe ancora concretato - in
quanto la suddetta disposizione normativa ha previsto la decurtazione
di  cui  al precedente comma 16, in relazione all'anzianita' mancante
per  il  raggiungimento  del  requisito contributivo di 35 anni, «non
solo  nei  confronti  dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio
dopo  l'entrata  in  vigore della legge, ma anche dei dipendenti che,
come  il ricorrente, erano gia' cessati nel periodo intercorrente fra
il  15 ottobre  1993  e  la data in cui hanno acquistato efficacia le
nuove  disposizioni»  escludendone, invece, i soli dipendenti cessati
dal  19 settembre  1992  al  14 ottobre  1993, donde l'illegittimita'
costituzionale della suddetta disposizione normativa «in relazione al
principio  di  irretroattivita'  della legge desumibile dall'art. 25,
secondo comma Cost., e che a detta dell'attore - sarebbe «applicabile
- secondo l'insegnamento della Corte costituzionale - anche in ambito
extrapenale  ove  a  seguito  dell'efficacia  retroattiva della norma
siano  contraddetti  principi  e  valori  costituzionali (Corte cost.
10 febbraio  1988,  n. 190)»,  atteso  che  «i dipendenti cessati dal
servizio  a  decorrere  dal  15  ottobre  1993  non  diversamente dai
soggetti  cessati prima di tale ultima data» sarebbero stati titolari
- al momento dell'entrata in vigore della legge n. 537 del 1993 - del
diritto alla pensione riconosciuto dall'art. 36, primo comma, Cost.
    B)  In ordine al secondo dei summenzionati profili, il ricorrente
si  duole  dell'esercizio  irrazionale  del  potere discrezionale del
legislatore,  non essendo, a detta del ricorrente, «rinvenibile alcun
motivo  logico  in  base  al quale la riduzione della pensione di cui
all'art. 11,  comma  16, legge n. 537/1993 debba essere applicata nei
confronti  solo  di alcuni soggetti cessati dal servizio e, comunque,
con   dimissioni   accettate   nel  periodo  di  sospensione  di  cui
all'art. 1,  comma,  1,  legge n. 483/1992 (cioe' entro il 15 ottobre
1993)».
    In  proposito  ha  dedotto  il  ricorrente  che  la  «ratio della
disciplina  di  cui  all'  art. 11,  comma 16, legge n. 537 e' quella
evidentemente  di  scoraggiare  nuove  domande  di  pensionamento  di
dipendenti   non   ancora   in   possesso   del   massimo   dell'eta'
pensionabile»;  sennonche'  - a detta del ricorrente - tale finalita'
sarebbe stata conseguibile perfettamente escludendo dall'applicazione
della  nuova  disciplina,  non  solo  coloro  che  erano  cessati dal
servizio  prima  del  15 ottobre 1993 ma tutti i dipendenti che, alla
data  di  emanazione della legge, erano ormai cessati definitivamente
dal  servizio, in quanto «per tali dipendenti il proposito dissuasivo
perseguito dal legislatore con la norma di cui all'art. 11, comma 16,
legge  n. 537  non  aveva  alcuna  ragione  d'essere  essendosi ormai
realizzato  il  fatto  (cessazione  dal servizio) che la norma stessa
aveva lo scopo di impedire».
    Ne',  secondo il ricorrente, puo' sostenersi che la fissazione di
un  termine  retroattivo  si rendesse necessaria per non sollecitare,
nell'imminenza   dell'introduzione   della   nuova   disciplina  piu'
restrittiva,  un  massiccio  ricorso  al  pensionamento anticipato in
quanto  «alla  data di approvazione della legge (24 dicembre 1993) le
cessazioni  gia'  avvenute erano un fatto incontrovertibile e che non
poteva certo essere modificato, sicche' la previsione di un'efficacia
retroattiva   della   nuova   disciplina   aveva  ed  ha  l'esclusiva
conseguenza  di  penalizzare  i dipendenti meno fortunati cessati dal
servizio  dopo  il  15 ottobre 1993», per cui se non risponderebbe ad
alcuna  logica la previsione di un'efficacia retroattiva della norma,
tanto  meno  avrebbe  una  qualche  giustificazione la fissazione del
termine del 15 ottobre.
    In   data   11 marzo   2004,   si   e'  costituito  il  Ministero
dell'istruzione,   dell'universita'   e   della   ricerca  -  Ufficio
scolastico  regionale  per  la  Puglia  -  C.S.A. per la provincia di
Lecce,   depositando   il   decreto   n. 564  del  3 luglio  2003  di
liquidazione    definitiva   della   pensione,   recante,   al   pari
dell'impugnato   provvedimento   di   liquidazione   provvisoria,  la
riduzione  di  cui  all'art. 11,  commi 16 e 18, legge n. 537/1993 ed
allegata tabella «A», nonche' memoria, con la quale l'amministrazione
nel  confermare che quanto disposto nel trattamento pensionistico del
prof.  Della Fonte Gualtiero e' pienamente conforme alle disposizioni
di cui all'art. 11, commi 16 e 18 della legge n. 537/1993, ha inviato
copia   della   relazione   trasmessa,   in   data   2 gennaio  1995,
all'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato  di  Bari,  nella quale ha
espresso  l'avviso  che  l'eccezione di illegittimita' costituzionale
sarebbe manifestamente infondata.
    Con  memoria  depositata  in data 6 giugno 2003, il difensore del
ricorrente ha evidenziato che «il ricorrente ha presentato domanda di
dimissioni  volontarie  al Provveditorato agli studi di Lecce gia' in
data  12 dicembre  1992,  domanda poi accolta dall'amministrazione in
data  27 ottobre  1993 e con decorrenza 1° settembre 1994», allegando
che  tale  circostanza avvalorerebbe «le censure di costituzionalita'
sollevate  con  l'atto  introduttivo  evidenziandone  la fondatezza»,
osservando  che  «in  base  all'art. 10,  commi  4 e 5, decreto-legge
n. 357/1989   conv.   dalla  legge  n. 417/1989,  le  dimissioni  del
personale  della  scuola direttivo, ispettivo, docente e non docente,
se  presentate  entro  il 31 marzo, hanno effetto dal primo settembre
successivo»  e  «possono  essere revocate fino al 31 marzo successivo
alla  data  di  presentazione» e che «in base al decreto ministeriale
della  Pubblica  istruzione  11 luglio  1991,  n. 212, che ha dettato
norme di attuazione della legge n. 241/1990, in materia, fra l'altro,
di  termini  per  i  procedimenti  di competenza dell'amministrazione
della  pubblica  istruzione,  e  che  era vigente all'epoca dei fatti
oggetto  del  presente  ricorso,  il termine per l'accettazione delle
dimissioni dei dipendenti e' di gg. 60».
    Ha allegato, in proposito, il difensore del ricorrente che «dalla
congiunta  lettura  delle  disposizioni citate, deriva che i sessanta
giorni  devono  comunque  decorrere  dal  31  marzo  successivo  alla
presentazione  della domanda di dimissioni onde garantire l'esercizio
da  parte  del  dipendente  del  diritto  di  revoca», e che «su tale
meccanismo  e'  poi  intervenuta  la  legge  n. 537/1993  che, avendo
previsto  una  decurtazione  del trattamento pensionistico in caso di
dimissioni  accettate  dopo  il 15 ottobre 1993, ha fatto sorgere nei
dipendenti   della  amministrazione  scolastica  l'interesse  ad  una
tempestiva accettazione delle loro dimissioni, da intervenire in data
anteriore  al 15 ottobre 1993», dolendosi che «nel caso di specie, il
decreto  di  accettazione  delle dimissioni e' intervenuto solo il 27
ottobre del 1993, ben oltre la data di scadenza del termine di 60 gg.
di  cui si e' detto, atteso che detto termine e' decorso dal 31 marzo
1993,  ultima  data  per  la  presentazione, da parte del ricorrente,
della  revoca delle proprie dimissioni presentate in data 12 dicembre
1992»,  osservando che «quand'anche si volesse riconoscere, in quello
dei  sessanta  giorni,  un  termine  ordinatorio e non perentorio, la
risposta  dell'amministrazione  sarebbe oltremodo tardiva e comunque,
in  contrasto  con  i  principi  di  buon  andamento e ragionevolezza
dell'agire  amministrativo»,  osservando, inoltre, che «la violazione
degli  artt. 3,  25, secondo comma, 36, primo comma, e 97 della Cost.
da  parte  della legge n. 537/1993 si appalesa ancor piu' evidente se
si  considera  che coloro che sono stati dichiarati cessati nel 1993,
ma  prima  del  14  ottobre hanno beneficiato dell'intero trattamento
pensionistico   e  che  il  prof.  Della  Fonte  ben  avrebbe  potuto
beneficiare  degli  stessi  diritti  se solo l'amministrazione avesse
adottato  il  provvedimento  impugnato  in  un tempo piu' ragionevole
stante  anche  l'evidente  interesse  dell'amministrato»  e  ªtanto a
maggior  ragione  se  si considera anche che la domanda di dimissioni
del  ricorrente  aveva comunque efficacia dal 1° settembre 1993 e che
il  decreto  impugnato  e'  intervenuto  solo  pochi  giorni  dopo la
decorrenza  degli  effetti  della  legge  n. 537/1993  ovvero in data
27 ottobre 1993».

                       Considerato in diritto

    1.  -  E'  appena il caso di premettere che non puo' revocarsi in
dubbio  l'ammissibilita'  del ricorso in epigrafe, con riferimento al
disposto  di  cui  all'art. 64  r.d.  1214/1934,  che  prevede che il
ricorso  non  e'  ammesso  contro  la  liquidazione provvisoria della
pensione.
    L'art. 64  r.d.  1214/1934 e' stato dichiarato costituzionalmente
illegittimo   con  sentenza  23  febbraio  1972,  n. 38  della  Corte
costituzionale,   la  quale,  peraltro,  era  stata  investita  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  con riferimento ad altro
precetto     contenuto     nello     stesso     articolo,    relativo
all'inammissibilita'    del    ricorso    avverso   la   liquidazione
dell'indennita'  riscossa  prima  della  scadenza  del termine per la
proposizione del ricorso.
    Reputa,  in  proposito,  la  Sezione che possa prescindersi dalla
soluzione  della  questione se la suddetta pronuncia investa anche il
precetto   che   non  ammette  il  ricorso  avverso  la  liquidazione
provvisoria,  considerato  che  il  suddetto precetto deve ritenersi,
comunque,   abrogato   a   seguito   dell'entrata   in  vigore  della
Costituzione  che,  con  disposizione  immediatamente  precettiva, ha
disposto,   all'art. 113,   che   «contro  gli  atti  della  pubblica
amministrazione  e'  sempre  ammessa  la  tutela  giurisdizionale dei
diritti   e   degli   interessi  legittimi  dinanzi  agli  organi  di
giurisdizione   ordinaria   o  amministrativa»  e  che  «tale  tutela
giurisdizionale  non  puo'  essere  esclusa  o limitata a particolari
mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti».
    Deve,   pertanto,   ritenersi,  in  conformita'  all'orientamento
assolutamente  maggioritario  di  questa Corte (cfr., ex multis, Sez.
III  P.C.,  21 luglio 1993, n. 69750 e Sez. giur. Sicilia, 3 febbraio
1992,  n. 43/C)  che il ricorso sia ammissibile quand'anche proposto,
come   nella   specie,   avverso  il  provvedimento  di  liquidazione
provvisoria della pensione.
    D'altro  canto,  considerata la natura del giudizio pensionistico
che,  seppur  strutturato  nella  sua  fase  introduttiva  in termini
formalmente  impugnatori  (art. 62, r.d. 1214/1934, art. 71, lett. b]
r.d.  1038/1933),  non  ha ad oggetto il provvedimento (rectius: atto
paritetico)  gravato ed i suoi eventuali vizi ma il rapporto, e cioe'
l'an  ed  il quantum del diritto alla pensione, deve ritenersi che il
gravame   proposto   si   estenda   automaticamente   al   successivo
provvedimento  di  liquidazione  definitiva  della pensione che, come
innanzi  rilevato,  reca,  al  pari del provvedimento di liquidazione
provvisoria, la contestata decurtazione del trattamento pensionistico
di  cui  al  comb.  disp.  dei commi 16 e 18 dell'art. 11 cit., legge
n. 537/1993.
    2.  -  Nel  merito  della  prospettata  questione di legittimita'
costituzionale si osserva quanto segue.
    L'art. 11  della  legge n. 537/1993 prevede, al sedicesimo comma,
che  «con  effetto  dal  1°  gennaio 1994, fermi restando i requisiti
concessivi   prescritti   dalla   vigente  normativa  in  materia  di
pensionamento   anticipato   rispetto   all'eta'   stabilita  per  la
cessazione   dal   servizio  ovvero  per  il  collocamento  a  riposo
d'ufficio,  nei  confronti  di  coloro  che  conseguono  il diritto a
pensione  anticipata  con  un  anzianita'  contributiva  inferiore  a
trentacinque  anni,  escluse  le cause di cessazione dal servizio per
invalidita',  l'importo  del  relativo trattamento pensionistico, ivi
compresa l'indennita' integrativa speciale, e' ridotto in proporzione
agli   anni   mancanti   al  raggiungimento  del  predetto  requisito
contributivo,  secondo  le percentuali di cui all'allegata tabella A»
ed, al diciottesimo comma, che «le disposizioni di cui al comma 16 si
applicano  ai  dipendenti  delle  pubbliche  amministrazioni  di  cui
all'art. 1,  d.lgs.  3 marzo  1993,  n. 29,  iscritti  alle  forme di
previdenza  esclusive  dell'assicurazione  generale  obbligatoria per
l'invalidita',  la  vecchiaia  ed  i  superstiti,  nonche' alle altre
categorie  di  dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza,
esclusi  i soggetti la cui domanda di pensionamento sia stata accolta
prima del 15 ottobre 1993 dalle competenti amministrazioni».
    Il  successivo  diciannovesimo  comma dispone, poi, che «e' fatta
salva,  per  coloro che abbiano presentato domanda di collocamento in
pensione  successivamente  al  31  dicembre  1992  e  che ne facciano
domanda  entro  sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente  legge, la possibilita' di revocarla ovvero, qualora cessati
dal  servizio, di essere riammessi con la qualifica e l'anzianita' di
servizio maturata all'atto del collocamento a riposo, con facolta' di
riscattare  il  periodo  scoperto  ai  fini  della previdenza e della
quiescenza secondo aggiornati criteri attuariali».
    Il  ricorrente  censura la surriportata disposizione normativa di
cui  al  comma  18,  deducendone  l'illegittimita'  costituzionale  e
dolendosi   che,   con   l'impugnato  provvedimento  di  liquidazione
provvisoria della pensione, ne sia stata fatta applicazione.
    Premesso  quanto innanzi, si osserva che la Corte costituzionale,
con  sentenza  27 dicembre  1996,  n. 417, ha dichiarato infondate le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 16 e 18,
della legge n. 537/1993 sollevata in riferimento agli artt. 3, 36, 38
e  97  della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del
Lazio  e  dalla  Corte  dei  conti  -  Sezione giurisdizionale per la
regione  Marche e con successiva ordinanza dell'8 aprile 1997, n. 92,
ha  dichiarato  la manifesta infondatezza delle analoghe questioni di
legittimita'  costituzionale sollevate, con riferimento agli artt. 3,
24,  36,  38 e 97 Cost., dalle Sezioni giurisdizionali per le regioni
Emilia-Romagna, Puglia e Liguria.
    Alla  luce  delle  summenzionate pronunce deve essere delibata la
questione di legittimita' costituzionale sollevata dal ricorrente.
    Occorre,  peraltro,  osservare  che  la questione di legittimita'
costituzionale, cosi' come prospettata dal Della Fonte con il ricorso
introduttivo,   deve   considerarsi  inammissibile,  per  difetto  di
rilevanza   nel   presente  giudizio,  nella  parte  in  cui  lamenta
l'estensione  della  disciplina  di  cui all'art. 11, comma 16, della
legge n. 537, anche ai dipendenti cessati dal servizio dal 15 ottobre
1993  alla  data  di  entrata in vigore della cit. legge n. 537/1993,
considerato,  da  un  lato,  che,  come  risulta dalla documentazione
versata agli atti del presente giudizio, il ricorrente non e' cessato
dal  servizio  nel  suddetto periodo ma il 1° settembre 1994 (data di
collocamento  a riposo) e, dall'altro, che l'art. 11, comma 18, legge
n. 537/1993  adotta,  quale  discrimine  cronologico fra il vecchio e
nuovo  regime,  non la data di cessazione dal servizio, ma la data di
accoglimento delle dimissioni.
    Come  ritenuto  dalla  Corte  costituzionale  con  sentenza  12 -
27 dicembre  1996,  n. 417,  l'assunzione, nell'art. 11, diciottesimo
comma,  legge  n. 537/1993, quale discrimine temporale fra il vecchio
ed il nuovo regime, della data di accoglimento delle dimissioni trova
plausibile  giustificazione  nella  natura  costitutiva  del relativo
provvedimento   amministrativo,   a   termini  dell'art. 124,  d.P.R.
n. 3/1957   (disposizione   che,   ai   sensi   dell'art. 72,  d.lgs.
n. 29/1993,   ha   continuato   a  trovare  applicazione  nel  regime
transitorio della riforma del pubblico impiego di cui al d.lgs. cit.;
cfr.  Sez. giur. Liguria 22 novembre 1995, n. 124, Sez. giur. Liguria
21 novembre 1995, n. 115, Sez. giur. Lazio 5 maggio 1997, n. 1916).
    L'estraneita',   di   converso,  di  qualsiasi  riferimento  alla
decorrenza  delle  dimissioni stesse e, pertanto, alla cessazione dal
servizio,  evidenzia  la  manifesta  infondatezza  delle questioni di
costituzionalita'   prospettate   con   la   memoria  depositata  dal
ricorrente  in  data  6 genniao  2003, valendo ad escludere che possa
considerarsi  irrazionale la sua estensione al personale della scuola
in  relazione alla peculiare disciplina (artt. 110 d.P.R. n. 417/1974
e 10, quarto e quinto comma, decreto-legge n. 357/1989 conv. in legge
n. 417/1989)  dettata - al fine di garantire la continuita' dell'anno
scolastico - con riferimento alla suddetta categoria di personale, in
ordine alla decorrenza dell'efficacia delle dimissioni stesse, mentre
d'altro  canto,  escluso  che  il  mero  decorso  del  termine per la
conclusione  del  procedimento di accettazione delle dimissioni possa
determinare  -  in difetto di un'espressa previsione normativa in tal
senso - una sorta di «silenzio-assenso» (cfr. Sez. giur. Friuli V.G.,
20 luglio  1995,  n. 16),  e' evidente che le eventuali disparita' di
trattamento   determinate   dalla  maggiore  o  minore  sollecitudine
dell'amministrazione  nell'accogliere  le dimissioni, risolvendosi in
disparita'  di  mero  fatto,  riferibili  non gia' alla norma nel suo
contenuto precettivo ma semplicemente alla sua applicazione concreta,
sono   irrilevanti   ai   fini   dello   scrutinio   di  legittimita'
costituzionale,   donde   la  manifesta  infondatezza  delle  censure
prospettate,   al   riguardo,   con  la  summenzionata  memoria,  con
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
    In   ordine   alle   censure   di  illegittimita'  costituzionale
prospettate  dal  ricorrente con il ricorso introduttivo in relazione
alla  retroattivita' della norma ed all'adozione, in quanto tale, del
termine del 15 ottobre 1993, cui il legislatore ha inteso ricollegare
la  produzione  degli effetti della norma in esame, e' appena il caso
di   osservare  che  l'orientamento  della  Corte  costituzionale  e'
consolidato  nel  senso che il divieto di retroattivita' della legge,
pur costituendo fondamentale valore di civilta' giuridica e principio
generale   dell'ordinamento,   non   sia  stato  elevato  a  dignita'
costituzionale,  se  si  eccettua  la  previsione dell'art. 25 Cost.,
relativa alla legge penale, e che, pertanto, il legislatore ordinario
ben  puo',  nel  rispetto  del  suddetto  limite,  emanare  norme con
efficacia  retroattiva,  a  condizione  che  la  retroattivita' trovi
adeguata  giustificazione sul piano della ragionevolezza - che assume
in  materia  un  valore particolarmente stringente in quanto riferito
alla certezza dei rapporti preteriti nonche' al legittimo affidamento
dei  soggetti  interessati  - e non si pongano in contrasto con altri
valori   ed  interessi  costituzionalmente  protetti,  cosi'  da  non
incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere
da  leggi  precedenti  (cfr.,  ex  multis, Corte cost. 7 giugno 1999,
n. 229,   27 ottobre   1999,   n. 416,   16 dicembre   1997,  n. 432,
10 novembre 1994, n. 397).
    Considerato che, come evidenziato dalla Corte costituzionale, con
la  summenzionata  pronuncia  n. 417/1996  «la  norma in questione si
inserisce  nel  processo di radicale riconsiderazione del trattamento
di  anzianita',  iniziato  con  l'adozione  dei  cosiddetti  "decreti
catenaccio"  succedutisi  a breve distanza di tempo (legge n. 438 del
1992,   legge   n. 537  del  1993,  decreto-legge  n. 553  del  1994,
decreto-legge  n. 654  del 1994 e legge n. 724 del 1994) che ebbero a
disporre il blocco della liquidazione dei pensionamenti anticipati, e
infine  concluso  dalla  legge  8  agosto 1995, n. 335, che prevede a
lungo  periodo  la graduale soppressione dell'istituto»; e' evidente,
considerati la complessita' ed i tempi dell'iter parlamentare, che la
suddetta  disposizione  normativa  -  introdotta,  in ragione del suo
organico inserimento nella manovra di finanza pubblica, con una legge
formale (cfr. artt. 72, ultimo comma, Cost. e 15 legge n. 400/1988) -
per produrre i propri effetti dissuasivi dei pensionamenti anticipati
ed  evitare che l'intento perseguito fosse frustrato da comportamenti
determinati  dall'aspettativa  della prossima approvazione ed entrata
in  vigore  della  legge,  non  poteva che assumere, quale discrimine
temporale di efficacia, una data anteriore ai suddetti eventi.
    In   proposito,   occorre  osservare  che  il  disegno  di  legge
(S1508/C3339)  divenuto, a seguito dell'approvazione, all'esito di un
complesso  iter  parlamentare,  la  legge  24 dicembre  1993, n. 537,
risulta  presentato  sin dal 15 settembre 1993, sicche' evidentemente
non  irrazionale  si  palesa  la fissazione della data del 15 ottobre
1993 quale discrimine temporale dei suddetti effetti.
    Come   ritenuto   dall'Alta   Corte,   evidentemente  conforme  e
funzionale  al  generale ed adeguato disegno previsto dal legislatore
nella rappresentata ottica dissuasiva dei pensionamenti anticipati e'
la  prevista retroattivita' della norma, senza che possa configurarsi
alcun   contrasto   con   l'art. 24  Cost.  -  pure  prospettato  dal
ricorrente, con il ricorso introduttivo senza, peraltro, esplicitarne
le  ragioni - atteso che «operando sul piano delle fonti, non esclude
ne'  comprime la tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche di
cui il soggetto e' titolare» (cfr. ordinanza 8 aprile 1997, n. 92).
    Se  alla  luce  delle  suesposte  considerazioni  la questione di
legittimita'  costituzionale,  cosi' come prospettata dal ricorrente,
si palesa irrilevante e/o manifestamente infondata reputa, nondimeno,
questo  giudice che ricorrano i presupposti per sollevare ex officio,
a  termini  del terzo comma dell'art. 23, legge n. 87/1953, questione
di   legittimita'  costituzionale  delle  summenzionate  disposizioni
normative nei termini che si vengono ad esporre.
    E'  appena  il  caso  di  premettere  che,  con  la summenzionata
sentenza n. 416/1996, la Corte costituzionale, rilevato che «il comma
19  fa  espressamente  salva  - per coloro i quali abbiano presentato
domanda  di  collocamento  in pensione successivamente al 31 dicembre
1992  e che ne facciano domanda entro 60 gg. dalla data di entrata in
vigore della legge - la possibilita' di revocare la domanda stessa e,
addirittura,  di  chiedere,  qualora  nel frattempo siano cessati dal
servizio,  la  riammissione  con la qualifica o l'anzianita' maturata
all'atto  del  collocamento  a  riposo,  nonche'  con  la facolta' di
riscattare  il  periodo  scoperto  ai  fini  della previdenza e della
quiescenza  secondo  aggiornati  criteri  attuariali»  e ritenuto che
tanto  basti  «per  ritenere  che nella fattispecie, la posizione del
soggetto  viene  adeguatamente  garantita»  in quanto la decurtazione
prevista   dal   comma   16  deriverebbe  «da  un  pensionamento  cui
l'interessato perviene per sua libera e consapevole scelta, prima nel
presentare  le  dimissioni  e  poi  nel  non revocarle ovvero nel non
richiedere  la  riammisione  in  servizio», ha escluso il prospettato
vulnus agli artt. 36 e 38 Cost.
    Sennonche',  i dipendenti pubblici che, come il ricorrente, hanno
presentato,   entro  il  31 dicembre  1992,  la  propria  domanda  di
collocamento  a riposo - quindi accolta successivamente al 15 ottobre
1993  - non avevano la possibilita' di revocare le dimissioni ovvero,
ove  cessati dal servizio, di chiedere la riammissione in servizio, a
termini  del  diciannovesimo  comma  dell'art. 11, legge n. 537/1993,
atteso   che   la   suddetta   disposizione  normativa  si  riferisce
inequivocabilmente  solo  a  coloro  che  hanno presentato domanda di
collocamento in pensione successivamente al 31 dicembre 1992.
    Se, giusto l'insegnamento del Giudice delle leggi, l'operativita'
della  suddetta  disposizione  normativa  di  cui al comma 19, con la
prevista attribuzione, in favore degli interessati, della facolta' di
revoca  delle  dimissioni  (ovvero  di  chiedere  la  riammissione in
servizio), vale a sottrarre, il comb. disp. di cui all'art. 11, commi
16   e   18,   legge  n. 537/1993,  alle  censure  di  illegittimita'
costituzionale  per  contrasto con gli artt. 36 e 38, e' evidente che
ad  opposte  conclusioni  deve  pervenirsi  con  riferimento  ai casi
esulanti  dall'ambito  applicativo  del  succitato  comma 19, e cioe'
avuto   riguardo  ai  dipendenti  che,  come  il  ricorrente,  avendo
presentato  la propria domanda di collocamento in quiescenza entro il
31 dicembre 1992 (quindi accolta successivamente al 15 ottobre 1993),
non  si sono visti attribuire analoga facolta' di revocare le proprie
dimissioni  e  che,  pertanto,  senza  che  fosse  loro consentito di
valutare  la propria convenienza in relazione a quanto previsto dalla
normativa  stessa, si sono venuti a trovare in una situazione di mera
soggezione  alle  conseguenze  economiche  sfavorevoli  imposte dalla
nuova normativa.
    Ne  consegue  la  configurabilita' di un contrasto della suddetta
disciplina, in quanto estesa anche ai dipendenti che hanno presentato
domanda  di collocamento a riposo entro il 31 dicembre 1992, non solo
con  le disposizioni di cui agli artt. 36 e 38 Cost. - avuto riguardo
alla  sua  incidenza  negativa  sulla  misura della pensione, oggetto
della tutela costituzionale di cui alle summenzionate disp. normative
- ma anche con l'art. 3 Cost., sotto un duplice ordine di profili:
        1) per la palese irragionevolezza della disciplina, incidente
retroattivamente  sui  diritti  degli interessati, siccome gravemente
lesiva  del loro affidamento in ordine alla misura della pensione che
gli  sarebbe  spettata  alla  stregua della normativa vigente e sulla
base  della  quale  gli  stessi  hanno  assunto  la determinazione di
chiedere  il collocamento a riposo (senza che, come innanzi rilevato,
gli  sia  stata  attribuita  la  facolta'  di ritornare sulle proprie
determinazioni, alla luce della sopravvenuta normativa);
        2)  per  la  sottoposizione  alla  medesima disciplina sia di
coloro  che avessero presentato le proprie dimissioni successivamente
al  31 dicembre  1992  sia di coloro che le avessero presentate entro
quest'ultima  data,  nonostante  la differente situazione dei secondi
rispetto  ai  primi  (i  soli  cui,  a  termini  del  comma 19, fosse
consentito  revocare  le  dimissioni  o  chiedere  la riammissione in
servizio),  cio' che evidenzia un palese contrasto con l'art. 3 Cost.
che,  cosi'  come  vieta di dettare discipline diverse per situazioni
sostanzialmente   analoghe,  del  pari  vieta  di  assoggettare  alla
medesima disciplina situazioni differenziate.
    Sicche', in termini di non manifesta infondatezza si prospetta la
questione   di   legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli
artt. 3, 36 e 38 Cost. del comb. disp. di cui all'art. 11, sedicesimo
e diciottesimo comma, legge n. 537/1993, nella parte in cui prevedono
la  riduzione  del  trattamento pensionistico di cui alla tabella «A»
della stessa legge anche nei confronti dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni  che,  avendo  presentato  domanda di collocamento in
pensione  entro  il  31 dicembre  1992,  non si sono conseguentemente
potuti  avvalere  della facolta' di revocare le dimissioni (ovvero di
chiedere  la  riammissione  in  servizio) prevista dal comma 19 dello
stesso articolo.
    Non  puo',  d'altro canto, revocarsi in dubbio la rilevanza della
prospettata questione di legittima costituzionale.
    La  definizione  della  presente controversia postula, invero, la
preventiva risoluzione della questione di legittimita' costituzionale
che,   si   appalesa,   pertanto,   pregiudiziale,   considerato  che
l'eventuale   dichiarazione   d'illegittimita'  costituzionale  della
censurata  disposizione di cui all'art. 11, commi 16 e 18 della legge
n. 537/1993, nei termini di cui innanzi, comporterebbe l'accoglimento
del  ricorso  con il riconoscimento del diritto del ricorrente - che,
come  risulta dagli atti di causa ha presentato le proprie dimissioni
in data 12 dicembre 1992 - all'invocata riliquidazione della pensione
senza la contestata decurtazione.
    Sicche',  ricorrono  i  presupposti  per  sollevare  la suesposta
questione di legittimita' costituzionale.
                              P. Q. M.
    Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 22 aprile 2004;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli artt. 3, 36 e 38
Cost.,  dell'art. 11,  commi  16  e 18, della legge 24 dicembre 1993,
n. 537, nella parte in cui prevedono (rectius.: non escludono) che la
riduzione  del  trattamento  pensionistico  di  cui  alla tabella «A»
allegata  alla  stessa legge si applichi nei confronti dei dipendenti
delle  pubbliche  amministrazioni  che  hanno  presentato  domanda di
collocamento in pensione entro il 31 dicembre 1992 e, per l'effetto,
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale e la sospensione del presente giudizio;
    Ordina  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in  causa ed al Presidente del Consiglio dei
ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Bari, addi' 31 agosto 2004
                         Il giudice: Martina
05C0012