N. 10 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 10 febbraio 2005

Ricorso  per  conflitto  di attribuzione depositato in cancelleria il
10 febbraio 2005 (del Tribunale di Milano)

Parlamento  - Immunita' parlamentari - Deliberazione della Camera dei
  deputati  in  data  4 febbraio 2004, con la quale si dichiara che i
  fatti per cui si procede penalmente nei confronti dell'on. Vittorio
  Sgarbi   nei  confronti  dell'avv.  Giuseppe  Lucibello  concernono
  opinioni  espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle
  sue  funzioni  -  Conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
  sollevato  Tribunale  di  Milano,  settima  sezione  penale, per la
  ritenuta  mancanza  di  nesso  tra i fatti attribuiti e l'esercizio
  delle funzioni parlamentari.
- Deliberazione della Camera dei deputati 4 febbraio 2004.
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.8 del 23-2-2005 )
    Il tribunale ha pronunciato la seguente ordinanza sulle richieste
formulate  rispettivamente  dal p.m., cui si sono associate la difesa
dell'imputato  e  del responsabile devile, di assoluzione trattandosi
di  fatto  non  punibile  ex  art. 68 Cost., e dal difensore di parte
civile  di  sollevare  conflitto  di  attribuzione  con la Camera dei
deputati  avanti  alla  Corte  costituzionale  o,  in  subordine,  di
sollevare  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 legge
n. 140 del 2003, in relazione agli artt. 3, 24, 102, 111 Cost.;
    Premesso che l'on. Vittorio Sgarbi e' imputato del delitto di cui
agli artt. 595 c.p., 21 legge n. 47 del 1948, 30 comma 5 legge n. 223
del  1990, perche', intervenendo nella trasmissione televisiva Sgarbi
quotidiani,  andata  in  onda sull'emittente televisiva «Canale 5» in
data  17 ottobre  1996,  alle  ore  13,30,  offendeva  la reputazione
dell'avv.  Giuseppe Lucibello di Milano, affermando, fra l'altro, che
questi si sarebbe reso responsabile di abusi, poiche' quale difensore
di  un  indagato  arrestato ed essendo egli stesso indagato per reati
connessi,  aveva  la  liberta',  grazie  all'amicizia con il dott. Di
Pietro,  di incontrare liberamente l'indagato in carcere, di modo che
aveva  la  possibilita'  di «incontrare» Di Pietro e quindi dire a Di
Pietro  quello  che  aveva  detto Pacini Battaglia e quando Pacini ha
detto  qualcosa  che lo mette in discussione, di cambiare la versione
«sbancato, stancato»;
        con   ordinanza  del  20 novembre  2003,  questo  giudice  ha
trasmesso  gli  atti  alla  Camera  dei deputati, a norma dell'art. 3
comma 4 legge 20 giugno 2003, n. 140;
        nella  seduta  del 4 febbraio 2004, la Camera dei deputati ha
deliberato  nel senso che i fatti per i quali e' in corso il presente
procedimento  penale  a  carico  dell'on.  Sgarbi concernono opinioni
espresse  da  un  membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue
funzioni, ai sensi dell'art. 68 comma 1 Cost.

                            O s s e r v a

    In  primo  luogo,  il  giudice  ritiene  che  al fatto per cui e'
processo  non  sia  applicabile l'art. 68 comma 1 Cost., e che quindi
sia  viziata  la  delibera  assunta dalla Camera dei deputati in data
4 febbraio 2003.
    Invero  come  si  e' gia' affermato nell'ordinanza emessa in data
20 novembre 2003, da intendersi qui richiamata, l'art. 3 legge n. 140
del  2003  non  ha innovato la portata precettiva dell'art. 68 Cost.,
avendo   solo   specificato  che  l'insindacabilita'  della  funzione
parlamentare  copre non solo l'attivita' di parlamentare intra moenia
(presentazione  di  disegni  o proposte di legge, emendamenti, ordini
dei  giorno,  ecc.)  ma  anche «ogni altra attivita' di ispezione, di
divulgazione,  di  critica  e  di  denuncia  politica,  connessa alla
funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento».
    Non  e'  percio' venuta meno, quale requisito imprescindibile per
l'operativita'  della  scriminante  in  esame,  la  connessione delle
dichiarazioni  alla  funzione  di  parlamentare; cadono percio' al di
fuori del perimetro segnato dall'art. 3 comma 1 legge n. 140 del 2003
-  e  quindi  dall'art. 68, primo comma Cost. - le dichiarazioni rese
intra  moenia  che  non  siano  divulgative  di  una  scelta politica
espressa  in  atti  funzionali,  come  si e' verificato nella specie,
avendo  l'imputato,  quale conduttore di una trasmissione televisiva,
espresso  giudizi  lesivi dell'onore altrui, senza alcun collegamento
con l'esercizio della funzione di parlamentare.
    Nella   stessa  relazione  della  giunta  per  la  autorizzazione
presentata  dall'on.  Kessler alla Presidenza il 10 novembre 2003, si
legge che «non e' emerso che in atti parlamentari formali il deputato
Sgarbi abbia mai usato espressioni di analogo contenuto sull'avvocato
Lucibello»;  la  medesima  conclusione  e'  ribadita dall'on. Kessler
nella  seduta del 4 novembre 2004 (p. 12 del resoconto stenografico):
«in  nessun  atto  parlamentare, precedente o successivo ai fatti, e'
stato   riscontrato  che  il  deputato  Sgarbi  abbia  mai  adoperato
espressioni  di  analogo  contenuto  o espresso critiche di qualsiasi
tipo  nei riguardi dell'avvocato Lucibello. Non e' stato riscontrato,
e  nemmeno  l'onorevole  Sgarbi ci ha potuto aiutare in questo, alcun
aggancio fra queste critiche che l'onorevole Sgarbi ha espresso quale
conduttore  della  nota  trasmissione  televisiva Sgarbi quotidiani e
l'attivita' parlamentare dell'onorevole Sgarbi medesimo. Non solo: la
giunta  ha anche ritenuto di non intravedere alcun contenuto politico
nelle suddette affermazioni dell'onorevole Sgarbi».
    L'interpretazione  qui  accolta dell'art. 3 legge n. 140 del 2003
e'  in  linea  con  l'indirizzo  della Corte costituzionale, ribadito
dalla  sentenza  n. 508  del 2002, in cui pure il conflitto era stato
sollevato  nell'ambito  di  un  procedimento  penale ad oggetto frasi
ritenute  diffamatorie,  pronunciate  dall'on. Sgarbi nel corso della
trasmissione  televisiva  Sgarbi  quotidiani. In quella decisione, la
Corte  ha  confutato  la  motivazione  con  la quale la giunta per le
autorizzazioni  a  procedere  aveva avanzato la proposta, poi accolta
dall'Assemblea  con  la  deliberazione  impugnata,  di considerare le
dichiarazioni  del deputato Sgarbi alla stregua di «opinioni espresse
da  un  membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle sue funzioni»,
riaffermando  il  principio  secondo  cui  «altra  e'  la liberta' di
critica  della quale tutti sono titolari, altro e' la prerogativa che
la  Costituzione,  onde preservare una sfera di liberta' ed autonomia
delle  Camere,  riserva  ai  parlamentari  nell'esercizio  delle loro
funzioni. Se privata del suo specifico orientamento finalistico, tale
prerogativa   si   trasformerebbe   in  un  inaccettabile  privilegio
personale  a  favore  dei  membri delle Camere, le cui manifestazioni
verrebbero  ad  essere  sempre  affrancate  dalle comuni regole dello
Stato di diritto».
    Quest'interpretazione   e'   stata  recentemente  ribadita  dalla
sentenza  n. 120 del 2004, in cui la Corte ha dichiarato infondata la
questione   di   legittimita'  costituzionale  dell'art. 3  legge  20
giugno 2003,  n. 140,  sollevata per contrasto con gli artt. 68 comma
1, 24 comma 1 e 3 Cost.
    Dopo  aver  richiamato  la propria giurisprudenza, avallata dalle
decisioni  della  Corte  europea dei diritti dell'uomo del 30 gennaio
2003  sui  ricorsi n. 40877/98 e n. 45649/99, la Corte costituzionale
ha  precisato che, «nonostante le evoluzioni subite, nel tempo, nella
giurisprudenza  di  questa Corte, e' enucleabile un principio, che e'
possibile  oggi  individuare  come  limite  estremo della prerogativa
dell'insindacabilita',   e   con   cio'   stesso   delle  virtualita'
interpretative astrattamente ascrivibili all'art. 68: questa non puo'
mai  trasformarsi  in  un  privilegio  personale,  quale  sarebbe una
immunita'  dalla  giurisdizione  conseguente  alla mera "qualita'" di
parlamentare».  Ne  segue  che  le  attivita'  coperte  da immunita',
elencate   nell'art. 3   comma   1   legge   n. 140   del  2003,  non
rappresentano«un'ipotesi  di  indebito  allargamento  della  garanzia
dell'insindacabilita'  apprestata dalla norma costituzionale, proprio
perche'  esse,  anche se non manifestate in atti "tipizzati", debbono
comunque,  secondo  la previsione legislativa e in conformita' con il
dettato  costituzionale,  risultare in connessione con l'esercizio di
funzioni parlamentari».
    In  particolare,  ai  fini dell'insindacabilita', cio' che rileva
«e'   dunque   il  collegamento  necessario  con  le  "funzioni"  del
Parlamento,  cioe' l'ambito funzionale entro cui l'atto si iscrive, a
prescindere  dal  suo contenuto comunicativo, che puo' essere il piu'
vario,  ma  che  in  ogni  caso  deve  essere  tale  da rappresentare
esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere,
anche se attuato in forma "innominata" sul piano regolamentare. Sotto
questo  profilo  non c'e' percio' una sorta di automatica equivalenza
tra  l'atto  non  previsto  dai  regolamenti  parlamentari  e  l'atto
estraneo  alla funzione parlamentare, giacche', come gia' detto, deve
essere  accertato  in  concreto  se  esista  un nesso che permetta di
identificare  l'atto  in  questione  come  "espressione  di attivita'
parlamentare"».
    Se,  quindi,  ad  avviso  del tribunale, la delibera della Camera
risulta  viziata,  in  quanto  e' stata fatta un'erronea applicazione
dell'art. 68  comma  1  Cost.,  dal  momento che le frasi pronunciate
dall'on.  Sgarbi  non  sono,  come  detto,  «espressione di attivita'
parlamentare»,  si  tratta  di  verificare  se sia precluso o meno al
tribunale  la  possibilita'  di  sollevare  conflitto di attribuzioni
davanti alla Corte costituzionale.
    Invero,  a  differenza  dell'art. 2 comma 8 d.l. n. 555 del 1996,
l'art.  3  legge  n. 140  del 2003 non prevede che il giudice dopo la
pronuncia  della  Camera  che  ritenga  illegittima,  possa sollevare
conflitto di attribuzioni.
    Si  tratta  tuttavia di una circostanza non decisiva, dal momento
che  il  potere  di  sollevare il conflitto deriva direttamente dagli
artt. 134  Cost.  e  37  legge  1° marzo 1953, n. 87, secondo cui «il
conflitto   tra   poteri   dello   Stato   e'  risoluto  dalla  Corte
costituzionale   se   insorge  tra  organi  competenti  a  dichiarare
definitivamente  la  volonta'  del  potere  cui appartengono e per la
delimitazione  della  sfera  di  attribuzioni  determinata per i vari
poteri da norme costituzionali».
    Nel  caso di specie, sussistono le condizioni richieste dall'art.
37,  dal  momento  che  questo  tribunale  e' competente a dichiarare
definitivamente,  per  il  procedimento  del  quale  e' investito, la
volonta'  del  potere cui appartiene, in ragione dell'esercizio delle
funzioni   giurisdizionali   svolte   in  posizione  di  indipendenza
costituzionalmente  garantita,  e  la  Camera  dei  deputati,  che ha
deliberato   la  dichiarazione  di  insindacabilita'  delle  opinioni
espresse   dall'on.  Sgarbi,  e'  legittimata  ad  essere  parte  del
conflitto,   essendo   competente  a  dichiarare  definitivamente  la
volonta'  del  potere che rappresenta (cfr., ex plurimis, Corte cost.
283/2003, 282/2003, 272/2003, 252/2003, 248/2003).
                              P. Q. M.
    Solleva   davanti   alla   Corte   costituzionale   conflitto  di
attribuzione  con  la Camera dei deputati, in relazione alla delibera
assunta  nella  seduta del 4 febbraio 2004, secondo cui i fatti per i
quali  e'  in  corso  il  presente  processo penale a carico dell'on.
Vittorio  Sgarbi  concernono  opinioni  espresse  da  un  membro  del
Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.
    Ordina  la  trasmissione  degli  atti alla Corte costituzionale e
sospende il giudizio in corso.
    Ordina  che, a cura della cancelleria, l'ordinanza sia notificata
al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  sia  comunicata  ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Milano, addi' 29 aprile 2004.
                    Il giudice: Stefano Corbetta
05C0192