N. 57 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 novembre 2004

Ordinanza  emessa  il  26 novembre 2004 dalla Corte di cassazione nel
procedimento  civile tra Ivan Barbara contro Minuto Rizzo Emanuela ed
altri

Filiazione  -  Filiazione  naturale  -  Dichiarazione  giudiziale  di
  paternita' o di maternita' - Giudizio preliminare di ammissibilita'
  dell'azione  -  Irrazionale  ed  ingiustificata  permanenza  di  un
  procedimento  superato  secondo  la  dottrina,  in  quanto «inutile
  doppione»  del giudizio di merito - Incidenza sul diritto di azione
  e  di  difesa  in  giudizio, sul principio di tutela della famiglia
  anche  naturale, nonche' sul principio della ragionevole durata del
  processo.
- Codice civile, art. 274.
- Costituzione, artt. 2, 3, 24, 30 e 111.
(GU n.8 del 23-2-2005 )
                       la corte di cassazione

    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso
proposto  da Ivan Barbara, elettivamente domiciliata in Roma, via del
Viminale, 43, presso l'avvocato Fabio Lorenzoni, che la rappresenta e
difende  unitamente  all'avvocato  Luigi  Ronfini,  giusta mandato in
calce al ricorso, ricorrente;
    Contro  Minuto  Rizzo  Emanuela,  Minuto Rizzo Alessandro, Cherry
Joanne  Margaret,  Cherry  Lorna  Mary  e  Cherry  Patricia  Adrienne
elettivamente  domiciliati  in  Roma,  viale  Regina Margherita, 244,
presso  l'avvocato  Emilio  Rinaldi,  che  li  rappresenta e difende,
unitamente  all'avvocato  Danilo  Riporti  (delega  in  memoria  dep.
l'8 novembre  2004),  giusta  procura  a  margine  del controricorso,
controricorrenti;  avverso  la  sentenza  della C.A. Venezia, dep. il
7 febbraio 2002 (n. 196/2002);
    Udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
16 novembre 2004 dal consigliere dott. Mario Rosario Morelli;
    Udito  per  il ricorrente l'avv. Loria con delega che insiste per
la  richiesta  di  rinvio  per  trattazione  congiunta  con  il  ric.
n. 25570/03,  nel  merito  per  l'acc.to  del ric.; udito per il res.
l'avv.  Riponti  che  ha  chiesto  il  rig. del ric. e si oppone alla
richiesta;
    Udito  il  p.m.  persona del sost. proc. gen. dott. Marco Pivetti
che ha concluso per la trasmissione alla Corte costituzionale.
    Ritenuto  che - nel quadro di una peculiare vicenda familiare che
aveva  gia'  condotto  all'accertamento  di  non  veridicita'  di  un
precedente  riconoscimento  di  paternita'  naturale, e nel corso del
giudizio   ex   art. 269   cod.  civ.  a  seguito  di  cio'  promosso
dall'interessata,  ornai maggiorenne, nei confronti degli eredi della
persona  (nel  frattempo deceduta) che ella affermava essere stato il
suo vero genitore - e' stato poi proposto ricorso avverso la sentenza
della  Corte  territoriale che ha dichiarato l'improponibilita' della
suddetta  azione  in  ragione della ravvisata carenza del presupposto
processuale  della  previa  dichiarazione  di  ammissibilita'  di cui
all'art. 274 cod. civ.;
        che,  nella fase di legittimita' cosi' instaurata, la sezione
I di questa Corte ha gia' sollevato, con ordinanza n. 10625 del 2003,
questione  di  costituzionalita',  per  quanto  rileva,  del predetto
art. 274,  per  contrasto  con  gli  articoli 2, 30, 3, commi primo e
secondo, 24 e 111 della Carta fondamentale;
        che,  in punto di rilevanza, quella ordinanza argomentava che
avevano  errato  i  giudici a quibus nell'escluderla in ragione di un
pretesto  giudicato  (negativo)  gia'  formatosi  sull'ammissibilita'
dell'azione.  E  cio'  «sia perche' la sentenza, che detto giudicato,
secondo  quei  giudici,  avrebbe  determinato,  ha  bensi' cassato il
precedente decreto di ammissibilita' (per violazione del principio di
integrita' del contraddittorio), ma cio' ha fatto con rinvio al primo
giudice,  lasciando  cosi'  aperto il giudizio ex art. 274 c.c. senza
formazione,  quindi,  di  alcun  giudicato  sul  punto;  sia  perche'
l'eliminazione   del   procedimento   preliminare  di  ammissibilita'
dell'azione,    oggetto   dell'auspicata   pronunzia   costituzionale
caducatoria,  e'  inderogabilmente,  in  ogni caso, rilevante ai fini
della  rimozione della declaratoria di improponibilita' della domanda
di  accertamento  per  difetto  del presupposto processuale di quella
statuizione  preliminare, come adottata dalla Corte di merito e della
quale viene qui, appunto, chiesta la cassazione»;
        che,   in   punto   di   motivazione   sulla   non  manifesta
infondatezza,  la  stessa ordinanza - premesso che la questione cosi'
sollevata   non   riguardava,  come  quelle  decisa  da  Corte  cost.
n. 621/1987,  «il  modo  in  cui  il  giudizio  preliminare  e' stato
ristrutturato»,  bensi'  la  sua  stessa previsione; e che, comunque,
essa incideva su un quadro ordinamentale ormai profondamente innovato
per  (modifiche legislative ed evoluzione giurisprudenziale) rispetto
a  quello  di riferimento di Corte cost. n. 70 del 1965 (che aveva, a
suo  tempo,  escluso  il  contrasto  dell'art. 274 c.c. con l'art. 24
Cost.)  -  argomentava  poi  diffusamente il sospetto di legittimita'
della  suddetta  disposizione  codicistica  in relazione ai parametri
costituzionali evocati. Per i profili:
          a)  della sua sopravvenuta irragionevolezza intrinseca, per
essere  l'esperimento  di  un giudizio di delibazione necessariamente
preliminare  (in  termini  di  presupposto processuale) all'esercizio
della  azione  per  dichiarazione di paternita' naturale non solo non
piu'  coerente  con  la ratio, ad esso originariamente attribuita, di
tutela  del  convenuto  a  fronte di avverse iniziative pretestuose o
temerarie, bensi' addirittura ora configgente con la ratio stessa;
          b)  del  suo  carattere  discriminatorio  nei confronti dei
figli  naturali, in quanto limiti analoghi a quelli cosi' imposti per
il  riconoscimento  della rispettiva paternita' non sono previsti per
la corrispondente azione di accertamento della filiazione legittima;
          c)  dell'ostacolo,  altresi', difficilmente giustificabile,
che la procedura sub art. 274 c.c. oppone alla effettivita' di tutela
di  diritti fondamentali dei figli naturali, attinenti al loro status
ed alla loro identita' biologica;
          d) della assai ardua compatibilita', infine, e soprattutto,
di  quel  giudizio  preliminare  con  il  canone  della  «ragionevole
durata»,  a  sua  volta  coessenziale  al precetto costituzionale del
«giusto processo».
    Rilevato  che,  con  ordinanza n. 169 del 2004, la Corte ad quem,
senza   entrare,   per  alcun  profilo,  nel  merito  della  riferita
questione,  ne  ha dichiarato in limine la manifesta inammissibilita'
per ravvisata duplice carenza di motivazione:
        a)  in  punto  di rilevanza, «in riferimento all'eccezione di
intervenuto  giudicato sulla [in]ammissibilita' della domanda fondata
sulla pronuncia che, nel corso del complesso iter del giudizio a quo,
in   conformita'  al  carattere  presupposto  processuale,  ne  aveva
affermato  la  necessaria preesistenza al giudizio di merito cassando
il provvedimento sospensivo di quest'ultimo»;
        b)  in punto di non manifesta infondatezza, per «non compiuta
individuazione   della  norma  denunciata  e  delle  ragioni  che  la
ispirano»  stante  l'omessa  considerazione, da parte del remittente,
dalla  «concorrente  finalita'  di tutela del minore» (additivamente)
assegnata al procedimento delibativo sub art. 274 c.c. dalla sentenza
costituzionale  n. 341/1990  e  ribadita  dalla  successiva pronuncia
n. 216/1997;
        che,  tornata  cosi' la causa innanzi a questo giudice a quo,
all'odierna  udienza, la difesa della ricorrente ha formulato istanza
di  rinvio a fini di riunione del presente giudizio a quello relativo
ad  altro  ricorso  per cassazione proposto dalle controparti avverso
nuovo e successivo provvedimento autorizzatorio ex art. 274 c.c., nel
frattempo da essa ottenuto;
        che la difesa dei resistenti si' e' opposta al rinvio;
        che   il   p.g.  ha  chiesto  risollevarsi  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 274 cit. in ragione della sua
ribadita rilevanza e non manifesta infondatezza;
        che,  con  successive  note  di  udienza,  i resistenti hanno
contestato anche tale richiesta.
    Considerato che non sussistono i presupposti giustificativi della
chiesta   riunione   di   giudizio,   poiche'  il  nuovo  decreto  di
ammissibilita',   cui  si  fa  a  tal  fine  riferimento  -  ove  pur
suscettibile,  in  tesi,  di divenire definitivo in caso di reiezione
del  ricorso avverso di esso proposto - potrebbe bensi', in tal caso,
consentire  l'instaurazione  di  un nuovo giudizio di merito ai sensi
dall'art.  269  c.c., ma non gia' integrare, con valenza retroattiva,
il  presupposto  processuale  della conseguenza della cui mancanza si
discute in questo giudizio;
        che va viceversa, accolta la richiesta del p.g.;
        che  ben vero le carenze di «motivazione, come quelle poste a
base  della  declaratoria  di  inammissibilita' di cui alla ordinanza
n. 169/2004,  sono  -  per  univoca giurisprudenza della stessa Corte
costituzionale  -  pacificamente  emendabili  dal  giudice  a quo con
reiterazione   della   ordinanza  di  rimessione,  non  preclusa  dal
provvedimento che quelle carenze ha rilevato;
        che  la  riproposizione  della  questione (che, per quanto si
dira',  non  e' comunque identica a quella presupposta dall'ordinanza
n. 169/2004)  costituisce, anzi, nella specie, atto istituzionalmente
dovuto  per questa Corte di cassazione. La quale sarebbe, altrimenti,
costretta  a  decidere  la  lite  sulla  base di una norma fortemente
sospetta  di incostituzionalita'. E verrebbe cosi' meno al dovere del
giudice  di  soggezione  alla  legge  (art.  101  Cost.), che (per il
principio  di  gerarchia  delle  fonti)  e'  dovere,  in  primis,  di
soggezione  alla  Costituzione  e  si specifica, per tal profilo, nel
divieto  di  assumere a parametro del giudizio disposizioni di dubbia
compatibilita'   con   precetti   costituzionali,  ed  a  questi  non
adeguabili  per  via di esegesi correttiva (perche' il testo, come in
questo caso, non lo consente), senza sottoporre siffatte disposizione
al  vaglio  del  Giudice  delle  leggi ed avere da questi ottenuto la
rimozione,  del  dubbio  di illegittimita' o, alternativamente, della
stessa disposizione (ove effettivamente) illegittima;
        che,  ai  fini,  dunque  della integrazione della motivazione
sulla  rilevanza (per l'aspetto sopra indicato) si precisa che non e'
ravvisabile  alcun giudicato nella sentenza (n. 8342/1999) che ebbe a
cassare l'ordinanza di sospensione del giudizio di merito in pendenza
del  procedimento  delibatorio  inizialmente  adottato dal tribunale.
Poiche',  con  quella sentenza, questa Corte (dopo avere escluso che,
nella  specie,  ricorresse una ipotesi di pregiudizialita' necessaria
ai sensi dell'art. 295 c.p.c.) demando', appunto, al giudice di primo
grado  di  decidere egli (ne' evidentemente avrebbe potuto farlo essa
nella  sede  del  regolamento  di competenza ex art. 42, nuovo testo,
c.p.c.),   sulla   questione   della  proponibilita'  dell'azione  di
riconoscimento  nella  carenza attuale di un provvedimento definitivo
di  autorizzazione ex art. 274 c.c. Per cui quella cassazione - lungi
dal  comportare  quel «giudicato atipico sulla inammissibilita» che i
resistenti  insistono  nel ravvisarvi - non altro viceversa configura
che  un  «giudicato  sulla competenza» a procedere del giudice adito,
che  aveva  erroneamente  sospeso  il  giudizio. Cio' che, del resto,
trovasi  testualmente  rimarcato  nella  parte  finale  della  stessa
sentenza  n. 8342/49,  ove si avverte che «la pronuncia adottabile in
questa  sede  non  puo'  essere  che  di cassazione dell'ordinanza di
sospensione».  Con  la  conseguenza,  appunto, che e' stato proprio e
soltanto  il  tribunale,  adito  con  l'azione  di riconoscimento, ad
escluderne,  per la prima volta, la procedibilita/ammissibilita', per
difetto  del  presupposto  processuale  di cui all'art. 274 c.c., con
sentenza  poi  confermata dalla Corte di appello, avverso la quale e'
stato poi pero' proposto l'odierno ricorso per cassazione. Dal che la
conclusione,  che si era ritenuto percio' «assorbente» (anche secondo
i noti criteri di adeguatezza della motivazione sulla rilevanza), che
per  l'effetto  «e'  tuttora  aperto  e  impregiudicato  il  tema dei
rapporti tra giudizio di merito e previo giudizio delibatorio ai fini
del  riconoscimento  della  paternita'  naturale:  tema, a sua volta,
condizionato     dall'esito,     appunto,    dello    scrutinio    di
costituzionalita' dell'art. 274 c.c.»;
        che,  ai  fini,  poi, della «piu' compiuta individuazione del
contenuto  della  norma  denunciata»,  agli effetti della completezza
della  motivazione  sulla non manifesta infondatezza della questione,
si  precisa  che  -  in ragione del principio di necessaria rilevanza
della  questione prospettabile, essenziale alla struttura incidentale
del   giudizio   di   costituzionalita'  e  che  comporta,  come  sua
corollario,  la  necessita'  di  contenere  la  denuncia  della norma
sospetta  di  illegittimita'  entro  i  limiti  della  sua  effettiva
inerenza  al  caso  concreto - nella fattispecie per cui e' causa, in
cui   l'azione   di   riconoscimento  e'  stata  proposta  «ai  sensi
dell'art. 269  c.c.», da soggetto dunque maggiorenne, la questione di
costituzionalita'  del  previo  procedimento  delibatorio  non poteva
investire  (lo  si  riteneva, evidentemente a torto, implicito) e non
investe  (ora,  comunque,  lo  si  esplicita), la procedura stessa in
riferimento  alla  diversa ipotesi dell'azione proposta (ai sensi del
successivo  art. 273 c.c.) da soggetto minorenne. Ragione per cui non
sono  state prese in esame, nella precedenza ordinanza di rimessione,
ne'  ora  si ritiene di dover coinvolgere nel quesito prospettato, le
sentenze  costituzionali nn. 341/1990 e 216/1997, per la parte in cui
hanno  additivamente rimodellato il procedimento delibatorio relativo
a minori (che, si ripete, non viene qui in rilievo), attribuendovi la
ricordata finalita', ulteriore, di verifica dell'interesse del minore
al  riconoscimento,  che  va cosi', in quel procedimento, a cumularsi
con  la  funzione (in via esclusiva invece attribuita al procedimento
attivato da maggiorenne) di verifica dalla veridicita' dell'istanza;
    che,  per  tale  ultimo profilo, attinente alla delibazione della
domanda  proposta  dal  maggiorenne, mette conto sottolineare come il
contenuto   della  correlativa  procedura  sia  stato  riduttivamente
individuato  dalla  stessa citata sentenza costituzionale n. 216/1997
(alla  stregua della interpretazione dell'art. 274 c.c. consolidatasi
in  termini  di  diritto  vivente)  nel  senso  che  «ai  fini  dalla
ammissibilita'  della azione in oggetto e' sufficiente l'esistenza di
elementi  anche  di  tipo  presuntivo  idonei a far apparire l'azione
verosimile,  tanto  che  la  pronuncia  di ammissibilita' puo' essere
fondata anche sulle sole affermazioni della parte ricorrente» (In tal
senso,   anche  in  prosieguo,  Cass.  nn. 4712,  13408/1999,  13272,
13323/2000; 7342/2001; 16259/2002);
        che cio' gia' di per se' evidenzia come il filtro, a siffatte
maglie  larghe,  apprestato  dalla  procedura  sub  art. 274 c.c. (in
relazione  all'azione  ex  art.  269 c.c.) risulti non piu' idoneo ad
assolvere  la  finalita', per cui e' stato a suo tempo introdotto, di
tutela del preteso genitore da istanze di riconoscimento ricattatorie
o  vessatorie.  Il  che  e' reso ancor piu' evidente ove si consideri
che,   anche  nell'ipotesi  (statisticamente  assai  infrequente)  di
denegata  autorizzazione  all'azione,  questa  (in  ragione della sua
imprescrittibilita)   puo'   essere  (come  altrettanto  pacifico  in
giurisprudenza) reiterata (come di fatto e' avvenuto come nel caso di
specie)   sulla   base  di  nuove  allegazioni,  senza  alcun  limite
temporale;
        che, inoltre, per effetto della progressiva accentuazione del
carattere   contenzioso  della  procedura  in  esame,  risultano  ora
fortetente   attenuati,  nella  fase  di  gravame,  e  completamento,
comunque,  azzerati  nella  fase (pubblica) di cassazione, anche quei
connotati di segretezza che inizialmente essa garantiva;
        che,   dunque,   proprio   sul   piano   della  conformazione
attualmente  assunta  dalla  normativa in discussione - in termini di
diritto  vivente  (e  non  gia' solo di inconvenienti applicativi sul
piano  fattuale,  che  non giustificherebbero di per se' censure alla
norma nella sua astrattezza) - il previo processo delibatorio da essa
previsto  permane  nell'ordinamento  senza piu' alcuna ragione che lo
giustifichi  in relazione a domande proposte da soggetti maggiorenni.
Il   che   spiega  perche',  da  oltre  un  trentennio,  la  dottrina
assolutamente prevalente definisca quella procedura «un ramo secco» e
«un inutile (e defatigante) doppione del giudizio di merito»;
        che,   per   di   piu',   e  paradossalmente,  il  meccanismo
processuale  governato  dall'art. 274  c.c., oltre a non evitare (per
come  dimostrato)  si  presta  anzi  ad  incentivare,  per sua stessa
struttura,   strumentalizzazioni  sia  da  parte  del  convenuto  che
(utilizzando  le varie impugnative esperibili contro il provvedimento
autorizzatorio)  e'  in  grado  di differire a tempo indeterminato il
giudizio  di  merito,  sia  da parte dello stesso attore/attrice che,
attraverso  una  programmata graduazione della produzione probatoria,
e' in grado di assicurarsi una reiterabilita', anche in questo caso a
tempo  indeterminato,  della  istanza  di  riconoscimento  (si' che a
fronte  di iniziative effettivamente vessatorie il convenuto potrebbe
non  esserne  mai  definitivamente  al  riparo,  proprio  per  la non
conseguibilita'  di  un  giudicato di merito sulla infondatezza della
domanda);
        che, in ragione appunto di tali attuali connotati e contenuti
del meccanismo disciplinatorio della fase di previa delibazione della
domanda  di  riconoscimento  della  paternita'  naturale  proposta da
soggetto   maggiorenne,   si   ripropone   dunque   la  questione  di
legittimita' dell'art. 274, in relazione all'art. 269, cod. civ., per
contrasto  con  i parametri costituzionali di cui agli articoli 2, 3,
24,  30  e  111  Costituzione,  quanto agli aspetti, gia' evidenziati
dell'eccesso     di    potere    legislativo    per    (sopravvenuta)
irragionevolezza   intrinseca   della   norma  (art. 3  civ.);  dalla
ingiustificata  disparita'  di  trattamento, che ne deriva, tra figli
naturali  e  legittimi  in  tema  di  riconoscimento della paternita'
art. 3,  comma  primo);  del  vulnus  alla  effettivita' di tutela di
diritti   fondamentali,  attinenti  allo  status  ed  alla  identita'
biologica,  che  la  coscienza  sociale  avverte come essenziali allo
sviluppo della persona (articoli 2, 30, 24 Costituzione);
        che,  di  particolare delicatezza appare da ultimo il profilo
di  contrasto  con  l'art. 111  Costituzione,  per  il  dubbio che un
procedimento  come  quello in discussione - che lo stesso legislatore
ha  manifestato  piu' volte l'intenzione di abrogare e che, comunque,
allontana  inevitabilmente e notevolmente nel tempo l'accertamento di
fondamentali  status della persona - possa coniugarsi con il precetto
della   «ragionevole   durata   del  processo»,  anche  in  relazione
all'art. 6   paragrafo  1,  della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo,  cui  l'Italia si e' impegnata a dare concreta attuazione.
Atteso  anche,  per  un verso, che un iter procedurale defatigatorio,
ove  pur tale per accentuazione di garanzie, non e', per definizione,
conforme   al  paradigma  costituzionale  del  «giusto  processo».  E
considerato, per altro verso, che la risposta alle numerose procedure
di  infrazione  aperte  nei  confronti dell'Italia per violazione del
citato  art. 6  CEDU,  non  puo'  esaurirsi  nel rimedio indennitario
adottato  dal  legislatore  del  2001,  ma  deve porsi come obiettivo
primario  quello di ricondurre a ragionevolezza i tempi del processo,
eliminandone  -  ove possibile anche attraverso appunto, lo scrutinio
di  costituzionalita'  in  relazione  al  parametro  dell'art. 111  -
moduli,  segmenti,  scansioni  suscettibili  (nella  loro fisiologica
applicazione)  di  allontanare,  come  nella specie, eccessivamente e
ingiustificatamente nel tempo la risposta a domande di giustizia.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  articoli 134  Cost.  e  23 e ss. legge 11 marzo 1953,
n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 274 cod. civ. - nella parte in
cui  subordina  al previo esperimento di una procedura delibatoria di
ammissibilita'   l'esercizio   dell'azione   di   riconoscimento   di
paternita'  naturale  promossa  da  soggetto maggiorenne ai sensi del
precedente  art. 269  c.c.  -  per  contrasto,  nei  sensi  di cui in
motivazione, con gli articoli 2, 3, 24, 30 e 111 della Costituzione.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale e sospende il presente procedimento sino all'esito del
giudizio incidentale di legittimita' costituzionale.
    Dispone,  altresi',  che  la  presente ordinanza sia notificata a
cura della cancelleria, alle parti ed al Presidente del Consiglio dei
ministri,  nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati
e del Senato della Repubblica.
        Cosi' deciso in Roma, il 16 novembre 2004.
                        Il Presidente: Saggio
05C0209