N. 78 SENTENZA 10 - 18 febbraio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Straniero - Lavoratore extracomunitario - Istanza di regolarizzazione
  -  Rigetto automatico in presenza di denuncia per uno dei reati per
  i  quali  e'  previsto  l'arresto  obbligatorio  o  facoltativo  in
  flagranza - Irragionevolezza Illegittimita' costituzionale in parte
  qua.
- Legge  30 luglio  2002,  n. 189, art. 33, comma 7, lettera c); d.l.
  9 settembre  2002,  n. 195  (convertito,  con  modificazioni, nella
  legge 9 ottobre 2002, n. 222), art. 1, comma 8, lettera c).
- Costituzione, art. 3 (artt. 2, 4, 13, 16, 24, 27, 29, 35, 41 e 97).
(GU n.8 del 23-2-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernanda CONTRI;
  Giudici:  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto CAPOTOSTI, Annibale
MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE
SIERVO,   Romano  VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,
Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1, comma 8,
lettera c),  del decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni
urgenti  in  materia  di  legalizzazione  del  lavoro  irregolare  di
extracomunitari),   convertito,   con   modificazioni,   nella  legge
9 ottobre  2002,  n. 222  e  dell'art. 33, comma 7, lettera c), della
legge  30 luglio  2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di
immigrazione  e  di  asilo),  promossi con ordinanze del Tribunale di
Vicenza  del  26 agosto  2003, del Tribunale amministrativo regionale
della  Lombardia,  sezione  staccata di Brescia, del 7 novembre 2003,
del  Tribunale di Catania del 4 dicembre 2003, del Tribunale di Prato
del  18 novembre  2003,  del  Tribunale  amministrativo regionale del
Veneto  del  10 febbraio 2004, del Tribunale amministrativo regionale
della  Lombardia, sezione staccata di Brescia, del 12 febbraio 2004 e
del  Tribunale amministrativo regionale del Veneto del 10 marzo 2004,
rispettivamente iscritte al n. 1146 del registro ordinanze 2003 ed ai
n. 20, n. 232, n. 265, n. 451, n. 548 e n. 610 del registro ordinanze
2004  e  pubblicate  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3,
n. 8,  n. 14,  n. 15, nella edizione straordinaria del 3 giugno 2004,
n. 24 e n. 27, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 1° dicembre 2004 il giudice
relatore Francesco Amirante.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Nel corso di due analoghi giudizi di impugnazione, promossi
da  due  cittadini  extracomunitari  avverso  i decreti di espulsione
tramite  accompagnamento alla frontiera, il Tribunale di Vicenza e il
Tribunale  di Prato, con ordinanze rispettivamente del 26 agosto 2003
(r.o.  n. 1146  del  2003) e 18 novembre 2003 (r.o. n. 265 del 2004),
hanno sollevato - il primo in riferimento agli artt. 24, primo comma,
e  27, secondo comma, della Costituzione, e il secondo in riferimento
agli  artt. 3  e  27 Cost. - questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 1, comma 8, lettera c), del decreto-legge 9 settembre 2002,
n. 195  (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro
irregolare  di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella
legge  9 ottobre  2002,  n. 222,  nella  parte in cui non consente di
procedere  alla  legalizzazione  dei  lavoratori  extracomunitari  in
posizione irregolare che siano stati semplicemente denunciati per uno
dei reati di cui agli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale.
    In  punto  di  rilevanza  i remittenti precisano che la questione
sollevata  e'  decisiva  nei  rispettivi  giudizi  in  quanto dal suo
eventuale  accoglimento  potrebbe  derivare  la  disapplicazione  del
provvedimento   di   espulsione  impugnato  che  e'  teleologicamente
connesso  con  quello di rigetto dell'istanza di regolarizzazione cui
direttamente si riferisce la disposizione censurata.
    Quanto  al  merito  della  questione,  il  primo  degli  indicati
remittenti  ritiene  che  la  norma in questione sia in contrasto con
l'art. 24,  primo  comma, Cost., in quanto l'interessato non e' posto
in  condizione  di  opporsi  alla semplice denuncia, e con l'art. 27,
secondo  comma,  Cost.,  perche'  sarebbe  violata  la presunzione di
innocenza  che  dovrebbe  valere  fino  alla  condanna definitiva. Il
Tribunale  di  Prato  svolge  analoga  argomentazione  in riferimento
all'art. 27   Cost.  e  soggiunge  un  profilo  di  censura  riferito
all'art. 3  Cost.,  perche'  vengono  parificati  i reati per i quali
l'arresto  in  flagranza  e'  obbligatorio  a  quelli  per i quali e'
facoltativo   -   e   cioe'  consentito  solo  dopo  un  esame  sulla
pericolosita'  del  soggetto  e  sulla  gravita' del fatto (art. 381,
comma 4, cod. proc. pen.) - in violazione dei principi di proporzione
ed adeguatezza su cui si fonda il principio di uguaglianza.
    2.   -   Analoga  questione  e'  stata  sollevata  dal  Tribunale
amministrativo   regionale   della  Lombardia,  sezione  staccata  di
Brescia,  con  ordinanza  del 7 novembre 2003 (r.o. n. 20 del 2004) e
dal  Tribunale  amministrativo regionale del Veneto con ordinanza del
10 febbraio  2004  (r.o.  n. 451  del 2004), nel corso di due giudizi
avverso il provvedimento prefettizio di rigetto della domanda diretta
ad ottenere la regolarizzazione di un rapporto di lavoro di cittadini
extracomunitari.
    Entrambi  i  remittenti  affermano  la  rilevanza della sollevata
questione  nei  rispettivi  procedimenti e, quanto alla non manifesta
infondatezza, evocano parametri solo in parte coincidenti.
    Infatti,  le  relative  censure  vengono  riferite  dal Tribunale
amministrativo   regionale  della  Lombardia  ai  seguenti  parametri
costituzionali:  art. 2  Cost., perche' il previsto collegamento alla
sola  ricorrenza  di  una  notitia  criminis, neppure preventivamente
sottoposta  ad  una  verifica seppure sommaria di fondatezza quale si
potrebbe avere con il rinvio a giudizio dell'interessato, comporta la
violazione della garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo  sia  nelle  formazioni  sociali  in  cui  si  svolge  la sua
personalita';  art. 3 Cost., in quanto del tutto irragionevolmente si
attribuisce  un  ruolo  determinante  ad  un  elemento  - la semplice
denuncia  -  del  tutto  inidoneo rispetto alla finalita' perseguita;
art. 4  Cost.,  in  quanto  il  disposto  collegamento  tra  la  mera
esistenza  di  una notizia di reato e l'esclusione dalla possibilita'
di ottenere la legalizzazione in oggetto si traduce in una violazione
del  principio  fondamentale di tutela del diritto al lavoro; art. 27
Cost.,  perche' si fanno discendere effetti potenzialmente definitivi
-  quali  la  perdita  del lavoro e il conseguente allontanamento dal
territorio  nazionale  - dalla semplice iscrizione nel registro delle
notizie  di  reato,  violando  il  principio  di cui al secondo comma
dell'art. 27 Cost. che riconnette la qualificazione di un soggetto in
termini  di  colpevolezza all'esistenza di una sentenza definitiva di
condanna,  eludendo  cosi'  anche  il  principio  del giusto processo
contemplato nell'art. 111 della Costituzione.
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Veneto fa, invece,
esclusivo  riferimento  all'art. 3  Cost.  sotto  il  profilo  che si
differenziano automaticamente gli stranieri meritevoli di ottenere la
sanatoria  rispetto  a  quelli  immeritevoli  in  base  alla semplice
esistenza  di  una  notizia  di  reato, senza dare all'interessato la
possibilita' di verificarne, in contraddittorio, l'attendibilita' nel
corso del procedimento di regolarizzazione.
    3.  -  La  stessa  questione  viene  sollevata  dal  Tribunale di
Catania,  con  ordinanza  del 4 dicembre 2003 (r.o. n. 232 del 2004),
nel  corso  di  un  giudizio di impugnazione promosso da un cittadino
extracomunitario  avverso  il  decreto di espulsione emanato nei suoi
confronti, con riguardo all'art. 33, comma 7, lettera c), della legge
30 luglio  2002,  n. 189  (Modifica  alla  normativa  in  materia  di
immigrazione  e di asilo), contenente una norma di contenuto eguale a
quella dell'art. 1, comma 8, lettera c), del d.l. n. 195 del 2002, da
applicare ai lavoratori domestici e assimilati.
    Dopo  aver affermato la rilevanza della questione sul presupposto
della  sua incidenza in ordine all'accoglimento del ricorso contro il
provvedimento di espulsione, che rappresenta l'antecedente necessario
dell'intervenuto   rigetto   dell'istanza   di  regolarizzazione,  il
remittente  passa  all'esame del merito della questione. Al riguardo,
egli  ravvisa  violazione:  dell'art. 2  Cost., perche' il gravissimo
pregiudizio  che  lo  straniero  subisce fa si' che l'ordinamento non
appaia  ispirato,  sul  punto,  a  principi di doverosa solidarieta';
dell'art. 3  Cost.,  per  il trattamento irragionevolmente diverso di
situazioni   giuridiche   uguali;   dell'art. 24  Cost.,  perche'  lo
straniero   patisce  la  censurata  ingiustizia  senza  avere  alcuna
possibilita'  di difendersi dalla denuncia, facendo valere la propria
innocenza;  dell'art. 27  Cost., perche' viene violata la presunzione
di  innocenza  che  dovrebbe  valere  fino  alla condanna definitiva;
dell'art. 35  Cost., «perche' si incide in maniera grave e definitiva
sul  diritto  al  lavoro nel nostro Paese di una persona che si trova
nelle  condizioni  previste  dalla  legge per avere riconosciuto quel
diritto»;  dell'art. 41  Cost., perche' in modo del tutto illogico il
datore  di  lavoro  viene  costretto  a  rinunciare  a mantenere alle
proprie  dipendenze  il lavoratore extracomunitario da lui scelto; ed
infine  dell'art. 97  Cost.,  perche'  la  norma  impugnata determina
nell'amministrazione  un  modo  di  procedere  che  non  ne  assicura
l'imparzialita',  dal  momento  che  la scelta dei lavoratori ammessi
alla sanatoria finirebbe per essere affidata al caso.
    4.  -  Questione  analoga  a  quella prospettata dal Tribunale di
Catania  e' stata sollevata, con riguardo alla medesima disposizione,
dal  Tribunale  amministrativo  regionale  della  Lombardia,  sezione
staccata  di Brescia, con ordinanza del 12 febbraio 2004 (r.o. n. 548
del  2004)  e  dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto, con
ordinanza  del 10 marzo 2004 (r.o. n. 610 del 2004), nel corso di due
giudizi  instaurati  da lavoratori extracomunitari, svolgenti in modo
irregolare un rapporto di lavoro compreso tra quelli cui si riferisce
l'art. 33  della  legge  n. 189  del  2002,  avverso  i provvedimenti
prefettizi   di   rigetto   della  domanda  diretta  ad  ottenere  la
legalizzazione dei suddetti rapporti di lavoro.
    Dopo  aver  affermato  la rilevanza della questione, i remittenti
fanno riferimento, quanto al merito della stessa, a parametri solo in
parte coincidenti.
    Precisamente   il   Tribunale   amministrativo   regionale  della
Lombardia  invoca altresi' - oltre agli artt. 2, 3, 4 e 27 Cost., con
argomentazioni  analoghe a quelle sviluppate nella propria precedente
ordinanza  n. 20  del  2004 relativa all'art. 1, comma 8, lettera c),
del  d.l.  n. 195  del  2002  -  i seguenti parametri: art. 13 Cost.,
perche' da una semplice denuncia deriva una lesione del diritto dello
straniero  alla  liberta'  personale;  art. 16  Cost.,  per  asserita
lesione   del  diritto  dell'interessato  alla  libera  circolazione;
art. 29  Cost.,  richiamato unitamente all'art. 2 Cost., in quanto la
disposizione   censurata,   utilizzando   uno   strumento  del  tutto
inadeguato  rispetto  al  fine  perseguito, verrebbe a sacrificare il
diritto dello straniero all'unita' familiare.
    Il  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Veneto, invece, si
limita  a  richiamare l'art. 3 Cost. sotto il profilo gia' illustrato
nella   propria   precedente   ordinanza  n. 451  del  2004  relativa
all'art. 1,  comma 8,  lettera c),  del d.l. n. 195 del 2002, secondo
cui  la  disposizione  censurata prevede che la semplice denuncia per
uno  dei  reati  ivi  indicati  comporta automaticamente l'esclusione
dello   straniero   dal   beneficio   della  regolarizzazione,  senza
attribuire  all'interessato  la  facolta'  di ottenere, nel corso del
procedimento di regolarizzazione, la verifica dell'attendibilita' del
contenuto della denuncia stessa.
    5.  -  Nei  giudizi  promossi  con le ordinanze n. 1146 del 2003,
n. 20  del  2004, n. 232 del 2004 e n. 610 del 2004 e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che la questione
venga dichiarata infondata.
    Osserva  la  difesa  del Governo che le norme del d.l. n. 195 del
2002  hanno  la  finalita'  di  consentire  la  regolarizzazione  dei
lavoratori  extracomunitari  che,  seppure  illegalmente presenti nel
territorio  dello Stato, svolgono attivita' di lavoro subordinato. La
presunzione  di innocenza di cui all'art. 27 Cost. non esclude che il
legislatore  possa  valorizzare  la presenza di una denuncia penale a
carico  dello  straniero,  considerandola  indice  sintomatico di una
possibile  inclinazione  a  delinquere,  tanto  piu'  che la norma ha
individuato  una  ristretta  serie di ipotesi, ossia quelle dei reati
per  i  quali  e'  previsto  l'arresto  obbligatorio o facoltativo in
flagranza, nelle quali la presenza di una denuncia implica il rigetto
dell'istanza  di  regolarizzazione.  Ne' dovrebbe essere dimenticato,
secondo  l'Avvocatura  dello  Stato,  che  la  normativa  del 2002 e'
finalizzata  a  consentire la sanatoria del c.d. lavoro «nero», ossia
un'attivita'   svolta  da  chi  si  e'  illegalmente  introdotto  nel
territorio  dello  Stato;  non  e'  irragionevole,  percio',  che  il
legislatore,  nel  disporre  una normativa per la regolarizzazione di
situazioni  illegali,  abbia ritenuto di dover escludere soggetti che
versano  in situazioni di un certo tipo, come quella di chi ha subito
una denuncia per alcuni reati.
    Il  testo  unico  di  cui  al decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286,  d'altra  parte,  prevede all'art. 17 la possibilita', per il
cittadino extracomunitario illegalmente presente nel territorio dello
Stato,  di  permanervi  per  il  tempo  necessario  all'esercizio del
diritto di difesa.
    Ne  consegue che il riferimento alla semplice denuncia penale non
contrasta,  di  per  se',  con  i principi costituzionali, purche' la
denuncia  «sia  assunta non gia' come mero dato formale, bensi' quale
effetto di una condotta materiale realizzata dal soggetto».

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte  e'  chiamata  a pronunciarsi sulla legittimita'
costituzionale  di  due norme - l'art. 33, comma 7, lettera c), della
legge  30 luglio  2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di
immigrazione  e  di  asilo),  e  l'art. 1,  comma 8,  lettera c), del
decreto-legge  9 settembre  2002,  n. 195  (Disposizioni  urgenti  in
materia  di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari),
convertito,  con  modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222 -
le   quali  vietano  (1'art. 33,  comma 7,  citato  con  riguardo  ai
lavoratori  domestici  e  l'art.  l,  comma 8, citato con riguardo ai
dipendenti  delle imprese) la regolarizzazione - chiamata «emersione»
o  «legalizzazione»  -  della  posizione  lavorativa  degli stranieri
extracomunitari  che  siano  stati denunciati per uno dei reati per i
quali  gli  articoli 380  e  381  cod. proc. pen. prevedono l'arresto
obbligatorio o facoltativo in flagranza.
    Le  norme  suindicate sono denunciate, sotto diversi profili, per
contrasto  con  gli  artt. 2,  3,  4, 13, 16, 24, 27, 29, 35, 41 e 97
Cost.,   e   tutti   i   remittenti  hanno  fornito  motivazioni  non
implausibili della rilevanza della questione nei rispettivi giudizi.
    2.  -  Poiche'  la questione non si pone in termini diversi per i
lavoratori  domestici  e per i dipendenti da imprese, tutti i giudizi
vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.
    3.  -  La  questione  e' fondata con riferimento all'art. 3 della
Costituzione.
    Se   e'  indubitabile  che  rientra  nella  discrezionalita'  del
legislatore  stabilire  i  requisiti che i lavoratori extracomunitari
debbono  avere  per ottenere le autorizzazioni che consentano loro di
trattenersi  e  lavorare nel territorio della Repubblica, e' altresi'
vero  che  il suo esercizio deve essere rispettoso dei limiti segnati
dai  precetti  costituzionali.  A  prescindere  dal rispetto di altri
parametri, per essere in armonia con l'art. 3 Cost. la normativa deve
anzitutto  essere  conforme  a  criteri  di intrinseca ragionevolezza
(cfr. sentenze n. 62 e n. 283 del 1994).
    Ora,  nel  nostro  ordinamento  la denuncia, comunque formulata e
ancorche'  contenga l'espresso riferimento a una o a piu' fattispecie
criminose,  e' atto che nulla prova riguardo alla colpevolezza o alla
pericolosita'  del  soggetto  indicato  come autore degli atti che il
denunciante  riferisce. Essa obbliga soltanto gli organi competenti a
verificare  se  e  quali  dei fatti esposti in denuncia corrispondano
alla  realta'  e  se essi rientrino in ipotesi penalmente sanzionate,
ossia  ad  accertare  se  sussistano le condizioni per l'inizio di un
procedimento penale.
    Considerazioni  analoghe sono alla base della sentenza n. 173 del
1997   la   quale,  nel  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 47-ter,  ultimo  comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354,
rilevo' che era l'automatismo delle conseguenze ricollegate alla sola
denuncia a urtare contro il principio di ragionevolezza.
    Le   norme   censurate  fanno  irragionevolmente  derivare  dalla
denuncia  conseguenze  molto  gravi in danno di chi della medesima e'
soggetto    passivo,    imponendo    il   rigetto   dell'istanza   di
regolarizzazione  che  lo  riguarda  e l'emissione nei suoi confronti
dell'ordinanza  di  espulsione;  conseguenze tanto piu' gravi qualora
s'ipotizzino  denunce non veritiere per il perseguimento di finalita'
egoistiche del denunciante e si abbia riguardo allo stato di indebita
soggezione  in  cui,  nella  vigenza  delle  norme  stesse, vengono a
trovarsi i lavoratori extracomunitari.
    Si  deve  pertanto  dichiarare,  in riferimento all'art. 3 Cost.,
l'illegittimita'  costituzionale delle norme impugnate nella parte in
cui  fanno  derivare  automaticamente  il  rigetto  della  istanza di
regolarizzazione  del lavoratore extracomunitario dalla presentazione
nei  suoi confronti di una denuncia per uno dei reati per i quali gli
artt. 380  e  381  cod. proc. pen. prevedono l'arresto obbligatorio o
facoltativo in flagranza.
    Restano assorbiti tutti gli altri profili di censura.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 33, comma 7,
lettera c),   della  legge  30 luglio  2002,  n. 189  (Modifica  alla
normativa  in  materia  di  immigrazione  e di asilo), e dell'art. 1,
comma 8,  lettera c),  del  decreto-legge  9 settembre  2002,  n. 195
(Disposizioni   urgenti  in  materia  di  legalizzazione  del  lavoro
irregolare  di extracomunitari), convertito, con modificazioni, nella
legge  9 ottobre  2002,  n. 222,  nella  parte  in cui fanno derivare
automaticamente  il  rigetto  della  istanza  di regolarizzazione del
lavoratore  extracomunitario  dalla presentazione di una denuncia per
uno  dei  reati  per  i  quali gli articoli 380 e 381 cod. proc. pen.
prevedono l'arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2005.
                        Il Presidente: Contri
                       Il redattore: Amirante
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 18 febbraio 2005.
                Il direttore di cancelleria: Di Paola
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