N. 79 SENTENZA 10 - 18 febbraio 2005

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Parlamento - Immunita' parlamentari - Dichiarazioni rese da un membro
  del  Parlamento nel corso di una trasmissione televisiva - Giudizio
  civile    per   risarcimento   del   danno   -   Deliberazione   di
  insindacabilita'  delle  opinioni  espresse, emessa dalla Camera di
  appartenenza  -  Ricorso  per conflitto di attribuzione della Corte
  d'appello  di  Roma,  sezione  I  civile  - Omessa riproduzione nel
  ricorso  delle frasi asseritamente diffamatorie, sostituite con una
  libera   rielaborazione   ad   opera   dell'autorita'   giudiziaria
  ricorrente  -  Mancanza di una compiuta esposizione dei presupposti
  di  fatto  del  conflitto  - Difetto di un requisito essenziale del
  ricorso - Inammissibilita' del ricorso.
- Delibera della Camera dei deputati del 17 gennaio 2001.
- Costituzione,  art. 68,  primo  comma;  legge 11 marzo 1953, n. 87,
  art. 37;  norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  alla  Corte
  costituzionale, art. 26.
(GU n.8 del 23-2-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernanda CONTRI;
  Giudici:  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto CAPOTOSTI, Annibale
MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE
SIERVO,   Romano  VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,
Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato,
sorto  a  seguito  della  delibera  della  Camera  dei  deputati  del
17 gennaio   2001   relativa  alla  insindacabilita'  delle  opinioni
espresse  dal  deputato  Vittorio  Sgarbi  nei  confronti di Giuseppe
Arlacchi,   promosso  dalla  Corte  d'appello  di  Roma  con  ricorso
notificato  il  26 luglio 2002, depositato in cancelleria il 7 agosto
2002 e iscritto al n. 33 del registro conflitti 2002.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  14 dicembre  2004  il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
    Udito l'avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La  Corte d'appello di Roma, con ordinanza del 15 giugno -
16 luglio  2001,  depositata  presso  la  cancelleria  della Corte il
17 luglio 2001, ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione nei
confronti  della  Camera  dei  deputati  in  relazione alla delibera,
adottata  nella  seduta  di  Assemblea  del  17 gennaio  2001, che ha
stabilito  che  le  dichiarazioni  pronunciate  dal deputato Vittorio
Sgarbi  nel  corso  della trasmissione televisiva «Sgarbi quotidiani»
del  13 gennaio  1996  nei  riguardi  di Pino Arlacchi, costituiscono
opinioni  espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari a norma
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    La  Corte d'appello ricorrente - premesso che Pino Arlacchi aveva
proposto appello avverso la sentenza del Tribunale civile di Roma che
aveva  respinto  la  sua  domanda  di  risarcimento  del danno per le
dichiarazioni   di   contenuto   diffamatorio   che  sarebbero  state
pronunciate  in  occasione  della  citata trasmissione - riferisce in
particolare:
        che  traendo  spunto da un processo allora in corso presso il
Tribunale di Palermo nei confronti del senatore Giulio Andreotti e da
un  libro  scritto  da Pino Arlacchi, intitolato «Il processo. Giulio
Andreotti  sotto accusa a Palermo», il deputato Sgarbi aveva espresso
nella  trasmissione  televisiva  giudizi ritenuti da Arlacchi «lesivi
della  sua identita' e del suo impegno scientifico, politico e civile
contro  la  criminalita'  organizzata, dipingendolo come un "mercante
della  giustizia"»  che  aveva  tratto  immeritate fortune e vantaggi
anche  economici  dall'opera  dei  "pentiti",  sfruttando il fenomeno
mafioso  e lucrando «sulla pelle» di imputati per reati di mafia, tra
cui  lo  stesso Andreotti, e sottolineando che proprio Arlacchi nella
precedente  legislatura  era  stato nominato consulente del Ministero
dell'interno del Governo presieduto dal senatore Andreotti, ricevendo
per detto incarico la somma di duecento milioni di lire;
        che  in  pendenza  dell'appello proposto da Pino Arlacchi nei
confronti   della   sentenza  di  primo  grado,  che  aveva  ritenuto
sussistenti gli estremi della scriminante del diritto di critica e di
cronaca,  era  intervenuta la deliberazione di insindacabilita' della
Camera dei deputati del 17 gennaio 2001.
    Cio'  premesso,  la ricorrente ritiene che la Camera dei deputati
abbia  esercitato  male il proprio potere, affermando arbitrariamente
l'esistenza   del   nesso  funzionale  tra  le  espressioni  ritenute
diffamatorie  e  l'attivita'  parlamentare del deputato convenuto, in
quanto le frasi pronunciate nella trasmissione televisiva non possono
dirsi    collegate   all'esercizio   della   funzione   parlamentare,
costituendo  semplici  apprezzamenti personali formulati dal deputato
alla stregua di un qualsiasi privato cittadino.
    La  Corte  d'appello  solleva pertanto conflitto di attribuzione,
chiedendo alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta alla
Camera   dei   deputati   affermare   l'insindacabilita',   a   norma
dell'art. 68  Cost.,  delle  opinioni  espresse dal deputato Vittorio
Sgarbi, e di annullare, di conseguenza, la relativa deliberazione.
    2.  - Il ricorso, dichiarato ammissibile con ordinanza n. 379 del
10 luglio  2002,  depositata  il  23 luglio 2002, e' stato notificato
alla  Camera  dei  deputati insieme all'ordinanza il 26 luglio 2002 e
depositato  nella  cancelleria della Corte costituzionale il 7 agosto
2002.
    3.  -  Con  atto  depositato il 5 agosto 2002 si e' costituita la
Camera  dei  deputati  in  persona  del  suo  Presidente pro tempore,
chiedendo  che  la  Corte  dichiari  improcedibile o inammissibile il
conflitto  e  in  subordine,  nel  merito,  che  spetta  alla  Camera
affermare  l'insindacabilita',  a  norma  dell'art. 68,  primo comma,
Cost.,  delle  opinioni  espresse  dal  deputato  Sgarbi  oggetto del
giudizio pendente davanti alla Corte d'appello di Roma.
    La  difesa  della  Camera  precisa, in fatto, che nel corso della
trasmissione televisiva del 13 gennaio 1996 il deputato Sgarbi ebbe a
dire:
    «Questo  perche'  avvenne? Perche' la Rizzoli e' proprietaria del
"Corriere  della  Sera".  Agnelli  e'  proprietario  della  Rizzoli e
proprietario  del "Corriere della Sera" [e] fa pubblicita' a un libro
che  si  vende  sulla  pelle di Andreotti e fa guadagnare il deputato
progressista  Arlacchi,  pagato  dal  ministro  Scotti  e chiamato da
Andreotti  -  cosi'  impara  -  a  fare il consulente dei pentiti, su
Buscetta,  sulla mafia e su se stesso quando Andreotti era Presidente
del  Consiglio.  Ti sei voluto chiamare Arlacchi? Ce l'hai adesso qua
che  fa  pubblicita'  al suo libro per venderlo sulla tua pelle, caro
Andreotti. Prova di grande gusto, di grande sensibilita».
    Cio'   premesso,  la  resistente  ritiene  che  il  giudizio  sia
inammissibile  o  improcedibile  per plurimi motivi, e in particolare
perche':
        a) nell'atto  introduttivo non sono riprodotte le «frasi» del
deputato  Sgarbi  che  dovrebbero costituire l'oggetto del conflitto;
omissione   che   renderebbe  carente  la  prospettazione  del  thema
decidendum;
        b) il  medesimo difetto impedirebbe inoltre «di discernere le
dichiarazioni   sulle  quali  si  e'  formato  il  convincimento  del
giudice»,  dal  momento  che  nel  ricorso  i  "giudizi  lesivi della
dignita'  e  dell'impegno" di Arlacchi vengono espressi sulla base di
una "ricostruzione" soggettiva che non corrisponde al tenore testuale
delle  dichiarazioni  e  che  rende «impossibile discernere se talune
formule  -  non  attribuibili  al deputato, ma che nondimeno figurano
nell'atto   introduttivo   -   abbiano  rivestito  efficacia  causale
immediata e diretta nell'elevazione del conflitto».
    Nel  merito,  la  Camera  ritiene errata la tesi della ricorrente
secondo  cui  le  dichiarazioni del deputato Sgarbi sarebbero escluse
dalla  garanzia  del primo comma dell'art. 68 Cost. per il solo fatto
che  sono state pronunciate mentre svolgeva l'attivita' di conduttore
di   un  programma  televisivo,  in  quanto  sarebbe  contraddittorio
escludere l'insindacabilita' proprio quando si fa ricorso a strumenti
che,  come  il  mezzo  televisivo,  sono  i  piu' efficaci veicoli di
comunicazione.
    In  positivo,  l'insindacabilita'  delle  dichiarazioni  in esame
discenderebbe  dalla loro riconducibilita' ad attivita' parlamentari,
posto  che  le  proposizioni riguardanti «i (pretesi) vantaggi che il
deputato  Arlacchi  avrebbe  tratto  dalle  vicende  giudiziarie  del
senatore   Andreotti»   andrebbero  collegate  al  costante  «impegno
politico-parlamentare»  del  deputato  Sgarbi  sul tema del «processo
Andreotti»,   con  particolare  riguardo  «al  ruolo  dei  cosiddetti
pentiti»;  impegno  del quale sarebbero espressione le interrogazioni
2/01770  del 21 aprile 1999, 3/00010 del 29 aprile 1994 e 3/00009 del
29 aprile  1994,  mentre «il costante impegno ispettivo» del deputato
Sgarbi in relazione al problema della "gestione" dei collaboratori di
giustizia  sarebbe  testimoniato  dalle  interrogazioni  4/08683  del
21 marzo  1995,  2/00252  del 21 ottobre 1996, 3/01624 del 28 ottobre
1997.   La  risonanza  in  ambito  parlamentare  della  attivita'  di
consulenza  prestata  dal  deputato  Arlacchi  per il Ministero degli
interni  sarebbe  a sua volta dimostrata dalle interrogazioni 4/05288
del  16 novembre  1994  e  4/14128 del 27 settembre 1995, a firma del
deputato Vincenzo Fragala'.
    Infine la Camera sottolinea che, allorche' le dichiarazioni siano
rese  nell'ambito di una polemica politica tra soggetti che ricoprono
(o  ricoprivano,  come  nella vicenda del giudizio a quo) entrambi la
carica  di parlamentare, l'appartenenza delle opinioni espresse «alla
sfera   politico-parlamentare»   dovrebbe  ritenersi  «insita»  nella
qualita' degli interessati.
    Con  memoria  depositata  il  26 novembre  2004  la  Camera,  nel
richiamare integralmente eccezioni e deduzioni formulate nell'atto di
costituzione,  insiste  in  particolare  sulla  «irricevibilita'  e/o
inammissibilita»   del   conflitto  sotto  il  profilo  della  omessa
riproduzione  nell'atto  introduttivo  delle  frasi  pronunciate  dal
deputato  Sgarbi,  che  dovrebbero  costituire  oggetto del conflitto
medesimo.
    A  tal  proposito  la  resistente  sottolinea  come la «personale
sintesi»  delle  dichiarazioni  del  deputato, contenuta nel ricorso,
«non  e' idonea a prospettare i termini della controversia sottoposta
alla   cognizione   della   Corte».  Dovendo  la  Corte  valutare  la
riconducibilita'  delle opinioni espresse dal parlamentare alla sfera
di operativita' della garanzia costituzionale della insindacabilita',
e'  «indispensabile  che  tali  opinioni vengano riportate in termini
oggettivi  e  compiuti»,  perche' diversamente la Corte finirebbe per
«pronunziarsi  sulle valutazioni effettuate dal giudice ricorrente in
ordine  alle  dichiarazioni  di  cui  si  tratti»,  invece  che sulle
dichiarazioni stesse.
    Al  riguardo,  non  potrebbe  avere  rilievo  che  la Corte abbia
comunque   la   possibilita'   di  prendere  cognizione  delle  frasi
effettivamente  pronunciate, atteso «il criterio dell'autosufficienza
del ricorso introduttivo».
    Sotto  altro aspetto, la lamentata anomalia del ricorso lederebbe
anche  il  principio  del  contraddittorio,  risultando «incerto, dal
punto  di vista difensivo, se il contraddittorio concernente la sfera
di  operativita'  della  garanzia  costituzionale di cui all'art. 68,
primo  comma, Cost. debba riguardare le dichiarazioni cosi' come rese
dal  parlamentare  ovvero  il tenore e il significato che ha ritenuto
personalmente di ravvisarvi il giudice».
    Nel  merito,  la memoria ripercorre le considerazioni gia' svolte
nell'atto di costituzione.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello Stato,
promosso dalla Corte d'appello di Roma nei confronti della Camera dei
deputati,  investe la deliberazione con cui l'Assemblea, nella seduta
del  17 gennaio  2001,  ha  affermato  -  a norma dell'art. 68, primo
comma,   della   Costituzione  -  l'insindacabilita'  delle  opinioni
espresse  dal  deputato  Vittorio Sgarbi, per le quali pende giudizio
civile per risarcimento danni promosso da Pino Arlacchi.
    Le  espressioni  ritenute  offensive  erano state pronunciate nel
corso   della   trasmissione   televisiva   «Sgarbi  quotidiani»  del
13 gennaio  1996,  e  si riferivano, come emerge dalla esposizione in
fatto,  ai  vantaggi  anche  economici  che il «deputato progressista
Arlacchi» avrebbe tratto dalla pubblicazione di un suo libro dedicato
al  processo in corso a Palermo contro il senatore Andreotti, venduto
«sulla  pelle  di  Andreotti»,  che  quando  era stato Presidente del
Consiglio  aveva  chiamato lo stesso Arlacchi a svolgere attivita' di
consulente sulla mafia e sui pentiti.
    2. - Questa Corte, con ordinanza n. 379 del 2002, ha ritenuto, in
sede  di  prima  e  sommaria  delibazione,  ammissibile il conflitto,
riservando espressamente all'attuale fase processuale, nella quale il
giudizio  si  svolge nel contraddittorio tra le parti, ogni ulteriore
decisione, anche relativamente all'ammissibilita'.
    3. - Il ricorso e' inammissibile.
    Nell'atto di costituzione, nella successiva memoria depositata in
prossimita'  dell'udienza  pubblica  e  nella  discussione  nel corso
dell'udienza  stessa,  la difesa della Camera dei deputati resistente
ha  eccepito sotto vari profili l'inammissibilita' o improcedibilita'
del ricorso.
    In  particolare,  la resistente rileva che nell'atto introduttivo
non  sono  riprodotte  le  frasi  ritenute  offensive pronunciate dal
deputato  Sgarbi  nel  corso  della  trasmissione  televisiva,  ma e'
contenuta una ricostruzione dei giudizi nei confronti di Arlacchi che
non  corrisponde  al  tenore  testuale  delle  opinioni  espresse dal
deputato  Sgarbi:  da  un  lato  la  mancata riproduzione delle frasi
pronunciate   renderebbe   carente   la   prospettazione   del  thema
decidendum,  dall'altro  la  libera rielaborazione del tenore di tali
frasi  impedirebbe  di «discernere le dichiarazioni sulle quali si e'
formato  il  convincimento  del giudice in ordine alla elevazione del
conflitto».
    In  effetti,  l'atto  introduttivo  del  ricorso non contiene una
compiuta   esposizione  dei  fatti,  non  solo  perche'  non  vengono
riportate  le  frasi  pronunciate dal deputato Sgarbi nel corso della
trasmissione  televisiva - frasi che assumono importanza fondamentale
ai  fini  dell'accertamento  dell'eventuale nesso funzionale con atti
parlamentari tipici di cui le frasi potrebbero essere la divulgazione
-,  ma  soprattutto  perche',  in  luogo delle parole pronunciate nel
corso   della   trasmissione,   vengono  espresse  valutazioni  circa
l'incidenza   lesiva   delle   dichiarazioni   del   deputato  Sgarbi
sull'impegno  «scientifico,  politico e civile contro la criminalita'
organizzata» di Arlacchi.
    E'  ben  vero  che  le frasi pronunciate dal deputato Sgarbi sono
riprodotte   nella  deliberazione  di  insindacabilita'  allegata  al
ricorso   della  Corte  d'appello,  ma  cio'  che  rende  il  ricorso
inammissibile  non  e'  solo,  come s'e' gia' detto, l'aver omesso di
riprodurre  quelle frasi nel ricorso, bensi' la loro sostituzione con
una   libera   rielaborazione  ad  opera  dell'autorita'  giudiziaria
ricorrente.  Ne  risulta,  infatti, una impropria sovrapposizione tra
l'oggettiva  rilevanza  delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi e
l'interpretazione  soggettiva  che ne e' stata data, che interferisce
con  l'accertamento del nesso funzionale tra le frasi pronunciate nel
corso della trasmissione televisiva e gli eventuali atti parlamentari
tipici  di  cui  le  frasi  stesse  potrebbero essere la divulgazione
esterna.
    La  mancanza di una compiuta esposizione dei presupposti di fatto
del  conflitto  di  attribuzione  si  traduce, a norma degli artt. 37
della  legge 11 marzo 1953, n. 87, e 26 delle norme integrative per i
giudizi   davanti  alla  Corte  costituzionale,  nel  difetto  di  un
requisito  essenziale  del  ricorso, che deve conseguentemente essere
dichiarato inammissibile.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  inammissibile  il ricorso per conflitto di attribuzione
tra  poteri  dello  Stato  proposto dalla Corte d'appello di Roma nei
confronti della Camera dei deputati, con l'atto indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2005.
                        Il Presidente: Contri
                        Il redattore: Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 18 febbraio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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