N. 144 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 2004
Ordinanza emessa l'8 aprile 2004 (pervenuta alla Corte costituzionale il 28 febbraio 2005) dal tribunale di Grosseto nel procedimento penale a carico di Guerrieri Donatella ed altro Processo penale - Ricusazione del giudice - Giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilita' di un imputato, abbia esercitato in un diverso procedimento, anche non penale, funzioni con contenuto pregiudicante - Causa di ricusazione - Mancata previsione - Violazione del principio di uguaglianza - Lesione del diritto di difesa - Contrasto con i principi del giusto processo. - Codice di procedura penale, art. 37, comma 1. - Costituzione, artt. 3, 24, comma secondo, e 111, commi secondo e quarto.(GU n.12 del 23-3-2005 )
IL TRIBUNALE All'udienza penale del giorno 8 aprile 2004 ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 03/26 R.G.T. a carico di Guerrieri Donatella e Stagno Francesco, in atti generalizzati, imputati del reato di cui agli artt. 113 e 589 c.p., in relazione alla morte, avvenuta in Isola del Giglio il 27 agosto 1999 a causa di una immersione subacquea, di Andreose Milko Ugo. Ritenuto in fatto ed in diritto 1. - In osservanza dell'organizzazione dell'Ufficio questo giudice veniva chiamato alla trattazione, per l'udienza dibattimentale del 4 dicembre 2003, del procedimento penale indicato in epigrafe. In sede di atti introduttivi rilevava - anche su indicazione del pubblico ministero, del difensore della costituita parte civile e dei difensori degli imputati - che era anche giudice del procedimento civile, pendente presso questo stesso Tribunale e nel quale vi era stata considerevole impostazione processuale, n. 1658/00 R.A.C., avente ad oggetto lo stesso fatto della morte dello Andreose: dichiarava, quindi, la propria astensione ai sensi dell'art. 36, comma 1, lettera h), c.p.p., ravvisando le gravi ragioni di convenienza in mancanza di specifica causa di incompatibilita' espressamente prevista dall'ordinamento. Con decreto del 15 dicembre 2003 il Presidente del Tribunale rigettava l'istanza e disponeva la restituzione degli atti, per la prosecuzione del giudizio, a questo giudice, che fissava all'uopo l'udienza del 25 marzo 2004. 2. - A tale udienza il difensore dell'imputata Guerrieri Donatella ha manifestato la volonta' di proporre istanza di ricusazione, prospettando la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24, comma 2, e 111, comma 2, dell'art. 37, comma 1, c.p.p. nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalla parte il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilita' penale di un imputato, abbia esercitato in un diverso procedimento non penale, funzioni giurisdizionali che in concreto abbiano contenuto pregiudicante. Alla stessa udienza del 25 marzo 2004 ed all'odierna udienza del giorno 8 aprile 2004, cui il procedimento e' stato rinviato, le altre parti hanno aderito a tale impostazione. 3. - Nella causa civile - promossa dagli eredi di Andreose Milko Ugo nei confronti di Guerrieri Donatella - l'istruzione e' al termine, essendo stati escussi quasi tutti i testimoni: ne restano da escutere soltanto due. Nella stessa causa vi era stata richiesta di chiamata in causa di terzo da parte di Guerrieri Donatella convenuta - con conseguente spostamento, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., della prima udienza. Nel corso del processo civile sono state valutate le richieste istruttorie formulate dalle parti, con le memorie e repliche proposte ai sensi dell'art. 184 c.p.c., e sono state ammesse prove, previa valutazione della loro ammissibilita' rilevanza e/o fondatezza con riferimento all'oggetto della causa. Sono stati depositati, previa ordinanza ammissiva, documenti estratti dal fascicolo penale del pubblico ministero: in particolare, le relazioni delle consulenze tecniche disposte dallo stesso pubblico ministero, copie dei verbali di dichiarazioni rese da persone informate sui fatti (testimoni indicati nel processo penale) e copie dei verbali di dichiarazioni rese dagli stessi imputati Guerrieri Donatella e Stagno Francesco, senza assistenza del difensore. Tutti tali elementi sono conosciuti (o, comunque, legittimamente o quanto meno «non indebitamente» conoscibili) da questo giudice, mentre secondo l'impianto del processo penale, quando richiede la formazione della prova al dibattimento, non devono essere conosciuti dal giudice - appunto - del dibattimento (nella specie, sempre chi scrive) e dovrebbero poter essere conosciuti soltanto nel corso della loro «formazione» nell'istruzione dibattimentale: anzi, l'ultimo degli elementi menzionati non potrebbe mai essere conosciuto (ai sensi dell'art. 350, comma 6, c.p.p.) dal giudice del dibattimento. Il procedimento civile, in definitiva e come giova ribadire, e' giunto quasi al termine mentre nel procedimento penale, conclusasi l'udienza preliminare, non e' stato ancora dichiarato aperto il dibattimento e, se lo fosse e questo giudice procedesse alla trattazione del processo, ci troveremmo di fronte ad una situazione, che non puo' non ritenersi singolare, nella quale uno stesso giudice dovrebbe pronunciarsi - due volte, in sede civile ed in sede penale - sulla responsabilita' di uno stesso soggetto per il medesimo fatto: senza peraltro che possa farsi luogo a questioni di pregiudizialita', non ricorrendone alcun presupposto, questioni che comunque non inciderebbero e non muterebbero i termini del problema posta la «conoscenza» gia' in essere del giudice. 4. - Orbene, l'impianto (fondamentalmente accusatorio) del processo penale ha assunto dignita' costituzionale con l'attuale formulazione dell'art. 111: vengono in particolare rilievo sia il secondo comma, per il quale «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti a giudice terzo ed imparziale», sia il quarto comma per il quale «il processo penale e' regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova», che postula non conoscenza aliunde del giudice ed immediatezza nella formazione della prova ed in tal senso e' disciplinato dal legislatore ordinario. L'esigenza della «non conoscenza iniziale», di cui si e' sopra detto, del giudice del dibattimento penale ha dunque rilievo costituzionale e nella specie la situazione insorta porterebbe ad una violazione di tale esigenza: questo giudice ha tentato di ovviare, dichiarando la propria astensione, a tale possibile violazione, senza che peraltro si verificasse l'effetto sperato e voluto anche dalle parti del processo. 5. - All'uopo mette conto ricordare che la Corte costituzionale ha gia' avuto modo di precisare (Corte cost., sent. n. 113 del 2000), il significato della espressione «altre gravi ragioni di convenienza», riconoscendone il carattere di formula di chiusura cui ricondurre tutte le ipotesi, non ricadenti nelle precedenti lettere dell'art. 36, comma 1, c.p.p., nelle quali vi sia fondato motivo di ritenere compromessa l'imparzialita' del giudice. Il problema, in effetti, era quello di chiarire il termine «altre», cioe' in che cosa consistesse la diversita' di tale ipotesi di astensione rispetto alle precedenti. Attraverso un'interpretazione logico-sistematica delle varie previsioni del comma 1 dell'articolo la Corte ha affermato che tutte le cause di astensione elencate nella norma si traducono in «ragioni di convenienza». In ossequio al principio del giusto processo, quindi, occorreva superare l'impostazione di quanti riconoscevano nelle «altre gravi ragioni di convenienza» esclusivamente motivi di carattere personale ed estendere la formula anche a casi (come e' nel caso di specie) in cui l'imparzialita' del giudice risulti compromessa dallo svolgimento di altre, precedenti attivita' giudiziarie. 6. - Ora, alla luce del sistema normativo rimane preclusa alle parti - che, giova ribadirlo, tutte hanno piu' o meno incisivamente manifestato la volonta' di uniformarsi sin da ora ai principi del giusto processo, il cui mancato rispetto potrebbe comunque venire in piu' pregiudizievole rilievo negli ulteriori gradi di giurisdizione - la possibilita' di proporre ricusazione ai sensi dell'art. 37 c.p.p., dal momento che alla regola della corrispondenza tra i casi di astensione e di ricusazione fa eccezione proprio l'ampia formula finale delle «altre gravi ragioni di convenienza», cui si e' richiamato questo giudice in difetto, giova ribadirlo, di specifica previsione normativa: ricusazione dalla quale - giova sottolinearlo - deriverebbe, a differenza che per l'astensione, la giurisdizionalizzazione del procedimento incidentale, essendo proponibile avverso l'ordinanza di eventuale rigetto il ricorso per cassazione. I rapporti intercorrenti tra gli artt. 34, 36 e 37 del c.p.p. e le possibilita' applicative degli istituti dell'astensione e della ricusazione, specie alla luce della - appunto - costituzionalizzazione del principio del giusto processo, sono stati peraltro gia' oggetto di altre (oltre quella di cui si e' gia' detto) disamine della Corte ed e' nel solco di (anche) tali disamine che si deve porre la presente fattispecie: non sembrando, per altro verso, che essa sia gia' stata posta e sia gia' stata risolta nella sua specificita'. 7. - All'uopo vengono in particolare rilievo anche le sentenze n. 306, 307, 308 del 1997, che si rivelano improntate dagli stessi principi. Benche' fossero diverse le questioni sollevate, in tutti e tre i casi e' stato riconosciuto l'elevato rischio di lesione dei principi costituzionali del giusto processo e di imparzialita' e terzieta' del giudice: e sono state elaborate delle riflessioni sugli strumenti di tutela del principio di - appunto - imparzialita' e terzieta' del giudice apprestati dal codice di procedura penale e sulla loro idoneita' a garantire in forma razionale ed esaustiva il principio del giusto processo. Il punto nodale ditali pronunce attiene proprio ai rapporti intercorrenti tra gli istituti di cui agli artt. 34, 36 e 37 c.p.p., al loro differente ambito di operativita' ed alle diverse - non immuni da dubbi sul rispetto di principi costituzionali - tipizzazioni operate dal legislatore ordinario. Il fondamento dell'istituto dell'incompatibilita' e' quello di assicurare l'autonomia della funzione giudicante rispetto ad attivita' compiute in fasi e gradi anteriori del medesimo procedimento. Le cause di astensione e di ricusazione, invece, «prescindono da qualunque riferimento alla struttura del processo e dall 'esigenza del rispetto della logica intrinseca ai suoi diversi momenti di svolgimento» (Corte cost., sent. n. 306/1997). Ma il decisivo elemento di differenziazione si rivela il fatto che le ipotesi di incompatibilita' di cui all'art. 34 c.p.p. sono tutte previste in modo da operare in astratto e rispondono - a ben vedere - alla convinzione del legislatore di poterle evitare «preventivamente attraverso idonei atti di organizzazione dello svolgimento del processo». Per converso, gli artt. 36 e 37 c.p.p. mirano a scongiurare situazioni che, verificatesi dentro o fuori il processo stesso, per il loro «concreto» contenuto possono far ritenere la sussistenza di un «pregiudizio» in capo al giudice: «le situazioni che danno luogo alla astensione-ricusazione debbono essere sempre oggetto di una puntuale valutazione di merito, che consenta, previa verifica in concreto dell'eventuale effetto pregiudicante, di rendere operante la tutela del principio del giusto processo» (Corte cost., sent. n. 283/2000). Del resto, sarebbe «impossibile pretendere dal legislatore uno sforzo di astrazione e di tipicizzazione idoneo a individuare a priori tutte le situazioni in cui il giudice, avendo esercitato funzioni giudiziarie in un diverso procedimento, potrebbe poi venire a trovarsi in una situazione di incompatibilita' nel successivo procedimento penale» (Corte cost., sent. n. 308/1997). In relazione a tali principi si pongono, da un lato, la - appunto - legge costituzionale n. 2 del 1999, dalla quale deriva la attuazione informa esaustiva della garanzia del giusto processo con la vigente formulazione dell'art. 111, e dall'altro lato - e piu' specificamente - la citata sentenza n. 283/2000, dalla quale emerge quale fondata causa di ricusazione l'avere il giudice espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto, sottolineando che il generale sistema che si deve delineare e' un sistema che si proponga «di apprestare la necessaria tutela del principio del giusto processo in tutti i casi in cui puo' risultare compromessa l'imparzialita' del giudice», a prescindere da una espressa previsione legislativa. 8. - Alla luce di tali osservazioni la questione di legittimita' costituzionale de quo, dunque, si rivela non manifestamente infondata (e non a caso era stato lamentato dai giudici, rimettenti le questioni relative a talune delle summenzionate pronunce, che fra le cause di ricusazione previste dall'art. 37 c.p.p. non fosse prevista anche la causa di astensione prevista dall'art. 36, comma 1, lettera h), c.p.p., ovvero l'esistenza di «altre gravi ragioni di convenienza») in relazione all'art. 3 (principio di uguaglianza in relazioni a situazioni omologhe, nella specie riguardante la possibilita' di accedere al «giusto processo», che sarebbe preclusa a differenza di situazioni diverse ed anche meno pregiudizievoli), in relazione all'art. 24 (diritto di difesa: si e' gia' detto che con la ricusazione si instaura un procedimento giurisdizionale incidentale, mentre cosi' non e' per l'astensione, posto che, difatti, nella specie non resterebbe altro che celebrare il processo) ed in relazione all'art. 111 - e, come si e' sopra considerato, non soltanto in ordine al secondo comma, ma anche in ordine al quarto comma - della Costituzione. La Corte, del resto, aveva appunto avvertito che «qualora una situazione carente dal punto di vista dell'imparzialita' non potesse trovare soluzione alla stregua degli articoli 36 e 37 del cod. proc. pen., quali attualmente vigenti, potrebbe aprirsi la via per un'ulteriore, ma diversamente impostata, questione di legittimita' costituzionale» (sent. n. 306 del 1997). 9. - La questione e' rilevante nel processo poiche' con l'attuale, denunciato assetto normativo non resterebbe, come si detto, a questo giudice che celebrare il processo, con le possibili, gravi (ed anche sicuramente piu' gravi, rispetto a talune delle altre ipotesi previste dagli artt. 34, 36 e 37 c.p.p.) lesioni di diritti costituzionalmente garantiti delle parti, lesioni da loro - giova ribadirlo - concordemente prospettate.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 23 e segg. della legge 11 marzo 1953 n. 87. Dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 1, c.p.p. nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalla parte il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilita' di un imputato, abbia esercitato in un diverso procedimento, anche non penale, funzioni che in concreto abbiano avuto e/o abbiano un contenuto pregiudicante, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma e 111, secondo e quarto comma della Costituzione. Dispone la trasmissione degli atti del procedimento alla Corte costituzionale. Sospende il presente giudizio. Manda alla cancelleria per l'immediata notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e per la sua comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. In Grosseto il giorno 8 aprile 2004. Il giudice: Addimandi 05C0341