N. 156 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 ottobre 2004
Ordinanza emessa il 22 ottobre 2004 dal giudice di pace di Chioggia nel procedimento penale a carico di Zennaro Erminio Processo penale - Procedimento davanti al giudice di pace - Richieste del pubblico ministero - Obbligo del pubblico ministero di formulare l'imputazione anche nel caso in cui abbia espresso parere contrario alla citazione - Mancata previsione - Violazione del principio di ragionevolezza - Lesione del diritto di difesa - Contrasto con il principio della ragionevole durata del processo. - Decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 25, comma 2. - Costituzione, artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma.(GU n.12 del 23-3-2005 )
IL GIUDICE DI PACE Visto il ricorso immediato ex art. 21 d.lgs. n. 274/2000 presentato in data 4 ottobre 2004 da Gallo Gianluca, difeso dall'avv. Vincenzo Todaro del Foro di Venezia, nei confronti di Zennaro Erminio R.G.N. 84/04, esaminato il parere contrario alla citazione formulato, ex art. 25 comma 2 d.lgs. n. 274/2000, ha emesso la seguente ordinanza. Con ricorso immediato ex art. 21 d.lgs. n. 274/2000 il sig. Gallo Gianluca, nato a Venezia l'8 agosto 1977 e residente a Mestre (Venezia) in via Perlan n. 51, a mezzo del difensore avv. Vincenzo Todaro, con studio in Venezia-Mestre, via Rosa n. 24 esponeva di aver subito danni patrimoniali e non patrimoniali a seguito di un incidente stradale avvenuto il 4 luglio 2004 alle ore 15 circa in Sottomarina di Chioggia per responsabilita' del sig. Erminio Zennaro residente a Sottomarina di Chioggia (VE), via Madonna Marina n. 60/F, che, alla guida del veicolo Fiat Punto targato BV041NN di proprieta' della sig.ra Bruna Scuttari e assicurata per la responsabilita' civile con la Carige Assicurazioni S.p.A., dopo aver invaso, senza alcuna presegnalazione, la corsia di marcia percorsa dal motociclo da lui condotto, lo investiva. Chiedeva, pertanto, il ricorrente che il giudice volesse fissare udienza per procedere nei confronti del suindicato Erminio Zennaro, il quale veniva individuato specificando esclusivamente la sua residenza, per il reato di lesioni colpose di cui all'art. 590 c.p. perche' per imprudenza, negligenza, imperizia ed inosservanza delle norme del Codice della Strada, invadeva alla guida del suddetto veicolo, la corsia di marcia di pertinenza del motociclo condotto dal ricorrente, spostandosi da sinistra a destra con manovra improvvisa, omettendo di azionare l'indicatore di direzione cosi' investendo Gianluca Gallo dal lato destro, al quale procurava lesioni personali guaribili in oltre quaranta giorni. Per il ristoro di tutti i danni subiti il ricorrente, contestualmente al ricorso ex art. 23 d.lgs. n. 274/2000 si costituiva parte civile. Presentato il ricorso immediato in cancelleria in data 4 ottobre 2004, il giorno successivo il pubblico ministero, ritenuto il ricorso inammissibile per mancanza delle generalita' complete della persona citata a giudizio, formulava parere contrario alla citazione. Questo giudice non ritiene di condividere le censure mosse al ricorso immediato dal pubblico ministero. Come sentenziato dalla Suprema Corte «non sussiste la causa di inammissibilita' prevista dall'art. 24 comma 1 lett. c) d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274 se il ricorso immediato presentato al giudice di pace non contiene l'indicazione della data e del luogo di nascita della persona citata a giudizio, ma riporti comunque l'indicazione del nome, del cognome e del luogo di residenza, in quanto deve escludersi che sussista a carico della persona offesa un onere di preventiva identificazione di colui nei cui confronti e' presentato il ricorso, essendo sufficiente che l'atto non sia diretto ad incertam personam» (Cass. 11 aprile 2003 n. 21714): La stessa Corte costituzionale, nell'ordinanza n. 83 del 2 marzo 2004 ha avallato la suddetta interpretazione puntualizzando, altresi', che «la completa identificazione dell'imputato e' differibile al momento della presentazione del medesimo avanti all'autorita' procedente». Ebbene, benche' in motivato disaccordo con il parere del pubblico ministero il d.lgs. n. 274/2000 non pare consentire al giudice di pace, nel caso di specie come in casi analoghi, il compiuto esercizio delle proprie prerogative. E' bene esaminare gli artt. 25 e ss. d.lgs. n. 274/2000. L'art. 25 d.lgs. n. 274/2000 riconosce al pubblico ministero un vaglio preventivo in ordine all'ammissibilia' del ricorso, alla sua fondatezza ed alla competenza per territorio del giudice adito. In tali casi lo stesso pubblico ministero «esprime parere contrario alla citazione» altrimenti formula l'imputazione confermando o modificando l'addebito contenuto nel ricorso. In ogni caso il pubblico ministero ha dieci giorni di tempo dalla comunicazione del ricorso per presentare le sue richieste nella cancelleria del giudice di pace. Decorso detto termine, l'art. 26 d.lgs. n. 274/2000 prevede che il giudice di pace «anche se il pubblico ministero non ha presentato richieste» provvede a norma dei commi 2, 3 e 4, commi che contemplano le ipotesi in cui il giudice di pace ritenga il ricorso inammissibile, manifestamente infondato, presentato per un reato che appartiene alla competenza di altro giudice ovvero presentato a giudice incompetente per territorio. Qualora poi «non deve provvedere ai sensi dell'art. 26», dispone l'art. 27 comma 1 d.lgs. n. 274/2000, il giudice di pace, entro venti giorni, convoca le parti in udienza con decreto il quale, tra l'altro, deve contenere «la trascrizione dell'imputazione». L'art. 27 d.lgs. n. 274/2000, sostanzialmente, presuppone che un'imputazione, comunque, sia stata formulata mentre, come si e' visto dall'esame degli articoli precedenti, cio' puo' anche non essere avvenuto. Dall'esame del suddetto articolato risulta chiaramente che l'ipotesi in cui il pubblico ministero, ritenendo il ricorso inammissibile ovvero infondato ovvero presentato ad un giudice incompetente per materia, esprime parere contrario alla citazione mentre il giudice di pace ritenga, al contrario, il ricorso ammissibile ovvero fondato ovvero presentato al giudice competente, non e' contemplato e, quindi, non e' prescritto che tipo di provvedimenti il giudice, in mancanza della formulazione dell'imputazione, possa adottare in simili casi. Ne' e' possibile ricavate altrimenti, da altre norme, indicazioni chiare ed inequivoche a riguardo. Ed invero. Non pare che il giudice, possa ugualmente emettere il decreto di convocazione delle parti il quale deve necessariamente contenere, a pena di nullita' ex art. 27 comma 5 d.lgs. n. 274/2000 «la trascrizione dell'imputazione». Ne' puo' il giudice, in analogia con quanto previsto dall'art. 17 comma 4 d.lgs. n. 274/2000 e dall'art. 409 comma 5 c.p.p., sopperire a tale carenza con il meccanismo della c.d. «imputazione coatta». Vi osterebbe innanzitutto la considerazione che le suddette norme disciplinano situazioni ben differenti dal momento che in entrambi i casi, il giudice che dispone l'imputazione coatta e', a differenza di quanto avverrebbe nel caso di specie, un giudice diverso da quello che, in seguito alla formulazione dell'imputazione, conoscera' del merito. Anche alla luce della costante recente giurisprudenza della Corte costituzionale in ordine al principio di imparzialita' del giudice (cfr., ex plurimis, ord. n. 123 del 20 aprile 2004; ord. n. 370 del 2000; ord. n. 232 del 1999) sorgerebbero seri dubbi sulla terzieta' di un giudice che dopo aver, in una fase antecedente l'assunzione, da parte della persona cui il reato e' attribuito, della qualita' di imputato, disposto che il pubblico ministero formulasse l'imputazione, si accingesse, poi, egli stesso a celebrate il relativo dibattimento. A parte tutto cio' si ritiene, altresi' che, in base al noto brocardo ubi voluit dixit, la mancata specificazione di questo potere, in capo al giudice, sia frutto di una precisa volonta' del legislatore rispettoso delle prerogative del pubblico ministero poiche', invece, nei casi in cui lo ha ritenuto, il legislatore ha chiaramente previsto che il giudice potesse disporre che il pubblico ministero formulasse l'imputazione. D'altra parte il giudice non potrebbe neanche, in luogo dell'imputazione che il pubblico ministero non ha formulato riportare, sic et simpliciter nel decreto di convocazione, l'addebito contenuto nel ricorso immediato. Vi ostano, innanzitutto, ragioni di natura testuale. L'art. 27 comma 3 lett. d) d.lgs. n. 274/2000 come si e' gia' detto, prevede che il decreto di convocazione debba contenere, a pena di nullita', «la trascrizione dell'imputazione», cosi' lasciando intendere che il contenuto della traslatio debba necessariamente preesistere in un testo, mentre l'art. 21 d.lgs. n. 274/2000, che disciplina il contenuto del ricorso immediato, impone al ricorrente, al comma 2 lett. f) una ben diversa, e non necessariamente sintetica «descrizione, in forma chiara e precisa, del fatto che si addebita alla persona citata a giudizio, con l'indicazione degli articoli che si assumono violati». Questo giudice e' ben consapevole che, sempre per rimanere nell'ambito testuale, nel testo del decreto legislativo reso pubblico, ufficiosamente, subito dopo la sua approvazione, il 25 agosto 2000, da parte del Consiglio dei ministri, nel testo dell'innanzi citato art. 27 comma 3 lett. d), dopo le parole «trascrizione dell'imputazione» compariva l'inciso «formulata dal pubblico ministero». Non si ritiene, tuttavia, che l'eliminazione, nella stesura definitiva, di tale inciso possa costituire argomento decisivo, inequivoco ed idoneo a confutare l'assunto poc'anzi esposto e sufficiente, in se', a sostenere la tesi diretta a consentire che l'addebito contenuto nel ricorso possa sostituire la mancata formulazione dell'imputazione da parte del pubblico ministero. Soprattutto pero', va considerato che consentire al giudice, nel caso in cui il pubblico ministero abbia espresso parere negativo alla citazione, di adottare l'addebito contenuto nel ricorso significherebbe ammettere il pieno ed esclusivo esercizio dell'azione penale in capo al ricorrente sottraendolo al pubblico ministero, unico soggetto, invece, abilitato a formulare l'imputazione, come si ricava chiaramente dall'art. 25 d.lgs. n. 274/2000 oltre che dall'intero ordinamento. E' ben vero che, come ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale (cfr., ex plurimis, Corte Cost. 30 dicembre 1993 n. 474 e Corte Cost. 18 giugno 1982 n. 114), la Costituzione, nel prevedere che il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale non sancisce affatto la regola, in capo allo stesso, del monopolio dell'azione penale ma ammette la legittimita' di una norma ordinaria che riconosca anche al privato la titolarita' di tale azione. Ma intanto cio' verrebbe consentito, secondo la Consulta, purche' si tratti di titolarita' non esclusiva ma sussidiaria e concorrente rispetto a quella del pubblico ministero, al contrario di quanto, invece, si realizzerebbe nel caso in esame dal momento che, nel sistema costruito dagli artt. 21 e ss. d.lgs. n. 274/2000, pur fondato sulla netta distinzione tra iniziativa del privato ed intervento del pubblico ministero, al primo verrebbe ugualmente consentito, ed addirittura con espresso parere contrario alla citazione da parte del secondo, di ottenere, sia pure nei soli casi in cui il giudice non ritenga sussistenti le ipotesi di cui all'art. 26 commi 2, 3 e 4 d.lgs. n. 274/2000, l'emissione del decreto di convocazione. Va ribadito, invero, che l'art. 27 d.lgs. n. 274/2000 non introduce alcun parametro positivo la cui sussistenza determina l'emissione del decreto di convocazione ma tale emissione e' scelta obbligata per il giudice in tutti i casi in cui non ritenga di dover accedere agli esiti «abortivi» del ricorso di cui ai commi 2, 3 e 4 dell'art. 26 d.lgs. n. 274/2000. Ne' l'anomalia verrebbe meno, ed anzi apparirebbe ancora piu' evidente ed accentuata, qualora si volesse ritenere la formulazione dell'imputazione, sia pure attinta dall'addebito contenuto nel ricorso introduttivo, come atto del giudice, dal momento che verrebbe anche in tal caso palesemente disattesa la prerogativa della formulazione dell'imputazione in capo al pubblico ministero. Il giudice, sostanzialmente, in assenza di una imputazione ritualmente formulata, si troverebbe ad esercitare, d'ufficio, l'azione penale. Scartate, per i motivi sopra dedotti, le soluzioni dell'imputazione coatta e quella della formulazione dell'imputazione attraverso il richiamo all'addebito contenuto nel ricorso immediato, sembrerebbe che al giudice, stante il mancato esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero che ha espresso parere negativo alla citazione, non resti, come ultima alternativa rimasta, pur non ritenendo di dover condividere le censure di inammissibilita' del ricorso, che disporre la restituzione degli atti al rappresentante della pubblica accusa. Anche tale opzione, tuttavia, non pare esente da gravi censure. Nel sistema delineato dal d.lgs. n. 274/2000, come si e' visto, le determinazioni del pubblico ministero di cui all'art. 25 comma 2 d.lgs. n. 274/2000 non condizionano le decisioni del giudice: tutti i provvedimenti reiettivi del ricorso di cui all'art. 26 d.lgs. n. 274/2000 possono essere assunti dal giudice anche in contrasto con la posizione del pubblico ministero e pure se lo stesso, decorso il termine di cui all'art. 25 comma 1 d.lgs. n. 274/2000, sia rimasto inerte. Anzi, anche nel caso in cui questi abbia formulato l'imputazione, al giudice e' consentito interrompere l'iter procedimentale attivato dal privato qualora ritenga di dover adottare uno dei suddetti provvedimenti recettivi. Del resto, se si fosse previsto l'obbligo per il giudice di fissare sempre l'udienza ogni qualvolta il pubblico ministero proceda alla contestazione formale del reato, verrebbe meno la stessa finzione di controllo sul ricorso in questa fase preliminare. Il d.lgs. n. 274/2000 ha voluto, sostanzialmente affidare il controllo finale sui requisiti formali e sostanziali del ricorso al giudice al quale e' soltanto precluso, come si e' gia' detto, ogni intervento sulla imputazione, a modifica o ad integrazione. Ammettere, pertanto, nel caso di specie, che il giudice, pur in disaccordo con le valutazioni del pubblico ministero, debba vedersi ugualmente costretto ad interrompere l'iter del ricorso diretto equivarrebbe a riconoscere a quello che oltretutto lo stesso art. 25 comma 2, d.lgs. n. 274/2000 definisce un mero «parere» del pubblico ministero una portata vincolante, una sorta di potere di veto sulla procedura del ricorso che il legislatore, invece, non pare assolutamente aver configurato. Nel sistema vigente come innanzi delineato, in definitiva, il mancato esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero, come avvenuto nella fattispecie in esame, non pare consentire al giudice un compiuto esercizio delle proprie prerogative giurisdizionali. Pare potersi sostenere, tirando le somme, che solamente la formulazione dell'imputazione puo' consentire al giudice di effettuare il dovuto controllo sui requisiti formali e sostanziali del ricorso onde poter provvedere ai sensi dell'art. 26 commi 2, 3 e 4, d.lgs. n. 274/2000 qualora ritenga di condividere il parere del pubblico ministero ed ai sensi dell'art. 27 d.lgs. n. 274/2000 qualora, invece, ritenga di dover emettere il decreto di convocazione delle parti. Solamente tale soluzione pare ugualmente rispettosa dei diritti del ricorrente e delle prerogative del pubblico ministero e del giudice. E' evidente, invero, che la formulazione dell'imputazione, anche qualora il pubblico ministero ritenga il ricorso inammissibile, infondato ovvero presentato ad un giudice incompetente per territorio, si pone come conditio sine qua non rispetto a qualsivoglia provvedimento che il giudice, in merito al ricorso, riterra' di adottare dal momento che, in caso contrario, come si e' detto, non potrebbe il giudice procedere con l'emissione del decreto di convocazione, non essendo stata formulata l'imputazione dall'unico soggetto abilitato a formularla ne', d'altra parte, potrebbe effettuare il dovuto controllo, che il legislatore gli rimette, in ordine ai requisiti formali e sostanziali del ricorso poiche', essendo mancata la formulazione dell'imputazione, e quindi non essendo stata esercitata l'azione penale, non e' mai stato legittimamente posto nella condizione di poter svolgere tale controllo, dovendo solo prendere atto del mancato esercizio dell'azione penale. Tutto cio' premesso, si ritiene l'art. 25 comma 2 d.lgs. n. 274/2000 incostituzionale per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. dal momento che non prevedendo che, anche nel caso in cui esprime parere contrario alla citazione, il pubblico ministero debba formulare l'imputazione, determina un vincolo, per il giudice a cui il pubblico ministero ha formulato semplice parere contrario, di restituzione degli atti alla pubblica accusa, non potendo il giudice disporre, come si e' visto, in maniera diversa e contrariamente all'ipotesi, inversa, in cui l'avvenuta formulazione dell'imputazione non impedisce al giudice di ritenere, invece, nel pieno esercizio delle proprie prerogative, il ricorso inammissibile, infondato ovvero presentato dinanzi ad un giudice incompetente. L'art. 25 comma 2, d.lgs. n. 274/2000, inoltre, sempre nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero anche quando esprime parere contrario alla citazione, debba formulare l'imputazione, e' viziato con riferimento al parametri di cui all'art. 24 comma 2 Cost. che si assume violato laddove, con la restituzione degli atti al pubblico ministero, che necessariamente conseguirerebbe alla formulazione del parere contrario alla citazione da parte della pubblica accusa, il ricorrente verrebbe privato di un importante strumento processuale riconosciutogli dal legislatore e, per di piu' per ragioni non condivise dal giudice. L'art. 25 comma 2 d.lgs. n. 274/2000, infine, sempre nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, anche quando esprime parere contrario alla citazione, debba formulare l'imputazione, e' viziato con riferimento al parametro della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 comma 2 Cost. che si assume violato laddove, con la restituzione degli atti al pubblico ministero, che necessariamente conseguirebbe alla formulazione e del parere contrario alla citazione da parte della pubblica accusa, il ricorrente, producendo il ricorso gli stessi effetti, ex art. 21 comma 5 d.lgs. n. 274/2000, della presentazione della querela, vedrebbe il proprio ricorso egure l'iter tradizionale, con tempi notevolmente piu' lunghi rispetto a quelli stabiliti per il ricorsi immediato che, invece, consente l'instaurazione del giudizio senza la fase delle indagini preliminari. La rilevanza della sollevata questione di incostituzionalita' emerge chiaramente da tutto quanto innanzi dedotto ed e' ancor piu' evidente se si considera che nella fattispecie in esame mentre, allo stato, parrebbe che al giudice non rimanga che prendere atto del parere contrario all'imputazione da parte del pubblico ministero con conseguente restituzione degli atti, alla luce, invece, della gia' sopra indicata sentenza della Corte di Cassazione n. 21714 dell'11 aprile 2003 e dell'ordinanza della Corte costituzionale n. 83 del 2 marzo 2004, qualora al giudice venisse, invece, consentito il dovuto il controllo finale sui requisiti formali e sostanziali del ricorso, questo darebbe esiti opposti a quelli cui e' pervenuto il pubblico ministero, con conseguente emissione del decreto di convocazione delle parti. Tutto cio' premesso e dedotto.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza, d'ufficio, solleva la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 25 comma 2 d.lgs. n. 274/2000 nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, anche quando esprime parere contrario alla citazione, debba formulare l'imputazione, per contrasto con gli artt. 3, 24 comma 2 e 111 comma 2 Cost. per le ragioni sopra dedotte. Sospende, per l'effetto, il presente giudizio e manda alla cancelleria per l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina alla cancelleria che la presente ordinanza sia notificata al ricorrente, al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due camere del Parlamento italiano. Chioggia, addi' 20 ottobre 2004 Il giudice di pace: Minoia 05C0353