N. 108 SENTENZA 7 - 18 marzo 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Regione  Umbria  - Ambiente - Parchi nazionali - Divieto di attivita'
  di  cava  -  Deroghe introdotte dalla legge regionale - Ricorso del
  Governo  -  Lesione  della  competenza  dell'ente Parco e deroga in
  peius  agli  standard  di  tutela  uniformi  sull'intero territorio
  nazionale,  stabiliti  dalla legge-quadro statale in tema di parchi
  nazionali - Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- Legge  Regione Umbria 3 gennaio 2000, n. 2, art. 5, commi 2, 3 e 5,
  come  sostituito dall'art. 5 della legge Regione Umbria 29 dicembre
  2003, n. 26.
- Costituzione, art. 117, secondo comma, lettera s); legge 6 dicembre
  1991, n. 394, art. 11, comma 3, lettera b).
Regione  Umbria  - Ambiente - Parchi regionali - Divieto di attivita'
  di  cava  -  Deroghe introdotte dalla legge regionale - Ricorso del
  Governo - Denunciata lesione della competenza esclusiva dello Stato
  nella   materia  «tutela  dell'ambiente»  -  Non  fondatezza  della
  questione.
- Legge  Regione Umbria 3 gennaio 2000, n. 2, art. 5, commi 2, 3 e 5,
  come  sostituito dall'art. 5 della legge Regione Umbria 29 dicembre
  2003,   n. 26,   salva   la   parte  colpita  da  dichiarazione  di
  illegittimita' costituzionale.
- Costituzione, art. 117, secondo comma, lettera s).
Regione  Umbria  - Ambiente - Opere civili - Materiali provenienti da
  scavi  -  Obbligo  di conferimento per reimpiego con fine di tutela
  dell'ambiente  -  Ricorso  del  Governo  -  Denunciata  lesione del
  principio  di  eguaglianza,  della liberta' di iniziativa privata e
  del  diritto  di  proprieta', violazione della competenza esclusiva
  dello  Stato nella materia dell'«ordinamento civile» - Sopravvenuta
  sostituzione  integrale della norma censurata nel senso auspicato -
  Cessazione della materia del contendere.
- Legge  Regione  Umbria  3 gennaio 2000, n. 2, art. 18-ter, comma 1,
  introdotto  dall'art. 21  della  legge  Regione  Umbria 29 dicembre
  2003, n. 26.
- Costituzione, artt. 3, 41, 42 e 117, secondo comma, lettera l).
(GU n.12 del 23-3-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernanda CONTRI;
  Giudici:  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto CAPOTOSTI, Annibale
MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE
SIERVO,   Romano  VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,
Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 5, commi 2, 3 e
5,  della  legge della Regione Umbria 3 gennaio 2000, n. 2 (Norme per
la  disciplina  dell'attivita'  di  cava  e per il riuso di materiali
provenienti  da demolizioni), come sostituito dall'art. 5 della legge
della    Regione    Umbria   29 dicembre   2003,   n. 26   (Ulteriori
modificazioni,  nonche'  integrazioni della legge regionale 3 gennaio
2000,  n. 2.  Norme per la disciplina dell'attivita' di cava e per il
riuso  di  materiali  provenienti da demolizioni) e dell'art. 18-ter,
comma 1, della stessa legge n. 2 del 2000,
introdotto dall'art. 21 della predetta legge n. 26 del 2003, promosso
con  ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il
5 marzo  2004,  depositato in cancelleria l'11 successivo ed iscritto
al n. 39 del registro ricorsi 2004.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Umbria;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  25 gennaio  2005  il  giudice
relatore Alfio Finocchiaro;
    Uditi  l'avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  e  l'avvocato  Maurizio Pedetta per la
Regione Umbria.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, con ricorso
depositato   in   data  11 marzo  2004,  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 5, commi 2, 3 e 5, della legge
della  Regione  Umbria  3 gennaio 2000, n. 2 (Norme per la disciplina
dell'attivita'  di  cava  e  per il riuso di materiali provenienti da
demolizioni),  come  sostituito  dall'art. 5 della legge della stessa
Regione  29 dicembre  2003,  n. 26  (Ulteriori modificazioni, nonche'
integrazioni  della legge regionale 3 gennaio 2000 n. 2. Norme per la
disciplina  dell'attivita'  di  cava  e  per  il  riuso  di materiali
provenienti  da demolizioni), per violazione degli artt. 11, comma 3,
lettera  b)  e  22,  lettera  d)  della legge 6 dicembre 1991, n. 394
(Legge   quadro   sulle   aree   protette),  da  ritenere,  ai  sensi
dell'art. 117,  secondo  comma, lettera s), della Costituzione, quali
standard  di  tutela  uniformi sull'intero territorio nazionale anche
incidenti  sulle  competenze  legislative regionali ex art. 117 della
Costituzione;  nonche'  dell'art.18-ter  comma  1, della citata legge
regionale   n. 2   del  2000,  introdotto  dall'art. 21  della  legge
regionale  n. 26  del 2003, per violazione degli articoli 3, 41, 42 e
117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
    Secondo  il ricorrente, la legge impugnata si sovrappone in parte
alla legge statale 6 dicembre 1991, n. 394, il cui art. 1 dispone che
la  legge stessa e' attuazione degli artt. 9 e 32 della Costituzione.
In  virtu'  di  tale  richiamo, le norme contenute nella legge quadro
statale  costituiscono  il  parametro  per  valutare  la legittimita'
costituzionale  delle norme che le regioni, nell'ambito della propria
competenza legislativa, adottano in materia.
    L'art. 5  della  legge  impugnata  disciplina  le  aree  di cava,
disponendo,  tra  l'altro  (comma  2,  lettera  g),  che  e'  vietata
l'apertura  di  nuove  cave  e  la  riattivazione  di  cave  dismesse
all'interno  dei  parchi nazionali o regionali, con la sola eccezione
(commi  3  e  5) di interventi di ampliamento (solo per interventi in
corso  di  attivita'  alla  data  di  entrata  in  vigore della norma
impugnata   e   solo   per  l'estrazione  di  pietre  ornamentali)  o
completamento  delle  cave in servizio, o di reinserimento o recupero
ambientale  di  cave  dismesse,  e  in  ogni  caso solo nelle ipotesi
previste  dal PRAE (programma regionale attivita' estrattive), per le
quali la giunta regionale esprime parere vincolante.
    Tale  norma  viola, ad avviso del ricorrente, l'art. 11, comma 3,
lettera  b),  della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991,
che,   tra   le  attivita'  vietate  all'interno  del  parco,  indica
l'apertura  di  cave nonche' l'asportazione di minerali, e l'art. 22,
comma  1,  lettera  d), che indica tra i principi fondamentali per la
disciplina  delle  aree protette l'adozione di regolamenti delle aree
protette,   secondo   criteri   stabiliti   con  legge  regionale  in
conformita' ai principi di cui all'art. 11.
    La  norma  regionale antepone interessi economici di sfruttamento
del   territorio   alla   tutela   dell'ambiente,  e,  quindi,  viola
l'art. 117,   secondo   comma,   lettera   s),   della  Costituzione.
Quest'ultima norma esprime un'esigenza unitaria per cio' che concerne
la  tutela dell'ambiente, ponendo un limite agli interventi regionali
che possano pregiudicare gli equilibri ambientali.
    L'art. 21  della  legge  della  Regione  Umbria  n. 26  del  2003
introduce  nella  legge regionale n. 2 del 2000 l'art. 18-ter, il cui
primo  comma  dispone  che «i materiali provenienti da scavi di opere
civili  assimilabili  ai  materiali  di  cava  e  non impiegati nella
realizzazione  delle  opere  stesse, sono ceduti a titolo gratuito al
comune  competente  per  territorio, qualora eccedano la quantita' di
ventimila  metri cubi totali»; il secondo comma stabilisce invece che
il comune utilizza i materiali di cui al comma primo per le finalita'
di  cui  al  quarto comma dell'art. 12 (tutela dell'ambiente), ovvero
dispone  per  il  loro  conferimento, a titolo oneroso, a impianti di
prima  lavorazione o trasformazione di materiali di cava presenti nel
territorio regionale.
    Detta  norma  violerebbe  gli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione
(liberta'  di  iniziativa  economica  privata e diritto di proprieta)
perche'  concretizzerebbe  un'espropriazione senza indennizzo per una
finalita' puramente lucrativa (risparmio di spesa nell'acquisto degli
inerti  o  cessione  dietro  corrispettivo);  si  porrebbe inoltre in
contrasto con l'art. 117 della Costituzione perche' inciderebbe sulla
materia   «ordinamento  civile»,  riservata  dal  predetto  art. 117,
secondo   comma,  lettera  l)  della  Costituzione,  alla  competenza
esclusiva dello Stato.
    2. - Con memoria depositata il 27 marzo 2004, si e' costituita la
Regione  Umbria,  chiedendo che il ricorso dello Stato sia dichiarato
inammissibile o comunque infondato.
    Osserva la Regione Umbria che la materia delle cave era assegnata
alla  potesta'  legislativa  concorrente  della  regione fin da prima
della modifica del titolo V della Costituzione.
    Non  essendo  ora  la  materia  delle cave indicata fra quelle di
competenza  statale  esclusiva  o concorrente, si puo' dedurre che la
stessa  rientri  nell'ambito della competenza esclusiva delle regioni
di  cui all'art. 117, quarto comma, della Costituzione, ed e' facendo
applicazione  di  questo  potere che la Regione Umbria ha emanato una
legislazione in materia di cave.
    Inoltre,   non   esisterebbe  un  divieto  assoluto  di  svolgere
attivita'  di  cave  nelle  aree  protette, tanto che la stessa legge
n. 394  del  1991  prevede  che tale divieto sia derogabile, peraltro
neppure con legge, ma con il semplice regolamento del parco (art. 11,
comma terzo).
    L'art. 5  impugnato, poi, sarebbe riproduttivo del divieto di cui
all'art. 11  della  legge  n. 394  del  1991;  inoltre  non sarebbero
indicati    i   motivi   della   violazione,   con   la   conseguente
inammissibilita' della censura.
    Il principio del divieto di svolgere attivita' di cava nelle aree
protette,  inoltre,  sottolinea la regione, si riferisce all'apertura
di  nuove  cave,  non  anche a quelle in esercizio in base a regolare
concessione o dismesse senza che sia stata attuata la riambientazione
del  relativo  sito,  alle  quali  si  indirizza la disciplina di non
assoluto  divieto della Regione Umbria. L'art. 5 impugnato e' volto a
regolare  l'attivita'  di  cava  in  vista del suo esaurimento ovvero
successiva  allo  stesso, al fine di una ricomposizione ambientale in
un  quadro  programmatico enunciato dall'art. 1 della legge regionale
n. 2  del  2000.  Il  terzo  comma,  infatti, consente, nei soli casi
previsti dal programma regionale attivita' estrattive, esclusivamente
interventi di completamento di cave in esercizio o di reinserimento o
di  recupero  ambientale  di  cave  dismesse,  cosi' da realizzare il
ripristino   morfologico  del  sito  di  cava  e  il  recupero  delle
naturalita'   preesistenti  (art. 2,  comma  primo,  del  regolamento
regionale   24 maggio   2000,  n. 4,  che  definisce  i  concetti  di
reinserimento  e  ricomposizione ambientale dei siti di cava). Infine
gli  interventi  di ampliamento sono limitati a quelli destinati alla
estrazione  di  pietre ornamentali e che comunque siano gia' in corso
alla data di entrata in vigore della legge.
    Quanto  alla  censura  riguardante  l'art. 18-ter  inserito nella
legge della Regione Umbria n. 2 del 2000, essa sarebbe inammissibile:
con  riguardo  agli  artt. 3,  41,  e  42 Cost., perche' con il nuovo
titolo  V  della  Costituzione  lo  Stato potrebbe impugnare le leggi
regionali  solo  per  difetto  o eccesso di competenza (cfr. sentenza
n. 282  del  2002)  e  non per altri vizi; quanto all'art. 117 Cost.,
perche' non vi e' motivazione alcuna con riferimento a tale parametro
(cfr. sentenza n. 63 del 2000).
    Nel  merito,  la  ratio  della disposizione della legge regionale
impugnata  e'  quella  di impedire la trasformazione di scavi in cave
permanenti  mediante la previsione di un deterrente - il conferimento
al  comune  del  materiale  eccedente  i  ventimila  metri  cubi  non
impiegato   nella   realizzazione   delle   opere  -  per  scavi  non
giustificati  dalle caratteristiche dell'opera da realizzare; inoltre
la  deroga  alla  potesta'  legislativa  in  materia  di rapporti tra
privati  si  giustificherebbe  per  il raggiungimento delle finalita'
pubbliche     connesse     allo    svolgimento    delle    competenze
costituzionalmente assegnate alla regione (sentenza n. 35 del 1992) e
quale contributo al comune connesso all'attivita' edilizia nonche' ai
vantaggi   -   di  tipo  meramente  speculativo,  e  ai  danni  della
collettivita' - da essa derivanti per chi la compie.
    3.  -  Con memoria depositata in data 11 gennaio 2005, la Regione
Umbria ha osservato che con l'art. 2 della legge della Regione Umbria
23 dicembre 2004, n. 34 (Ulteriori modificazioni e integrazioni della
legge  regionale  3 gennaio  2000,  n. 2  -  Norme  per la disciplina
dell'attivita'  di  cava  e  per il riuso di materiali provenienti da
demolizioni.  Modifica dell'art. 22 della legge regionale 29 dicembre
2003,  n. 26  -  Ulteriori  modificazioni  nonche' integrazioni della
legge  regionale  3 gennaio  2000,  n. 2),  l'art. 18-ter  oggetto di
impugnazione, e' stato integralmente sostituito.
    La nuova disciplina elimina la previsione - oggetto delle censure
da  parte  dello Stato e che peraltro non ha mai avuto applicazione -
della  cessione a titolo gratuito al comune dei materiali provenienti
da scavi per la parte eccedente i ventimila metri cubi.
    In  luogo  di  simile previsione la legge ora stabilisce semplici
facolta'  per chi realizza opere pubbliche o private, quali quella di
stoccare  i  materiali  provenienti  da  tali  lavori in aree messe a
disposizione  dal  comune,  o  quella  di  conferire tali materiali a
titolari   di   autorizzazione   di   cava   per   essere  utilizzati
nell'attivita' di ricomposizione ambientale.
    Pertanto,  conclude  la  regione,  deve  ritenersi intervenuta la
cessazione  della materia del contendere in conseguenza dell'avvenuta
abrogazione  della  norma  impugnata e dell'emanazione di una diversa
disciplina.
    Quanto  all'impugnazione  dell'art. 5  della legge regionale n. 2
del  3 gennaio  2000,  nel  richiamare  gli argomenti sostenuti nella
precedente  memoria,  la  Regione  Umbria  precisa  che la competenza
regionale  in  materia  di  cave  e'  riconosciuta  anche dalla parte
ricorrente  quando  afferma che la legge n. 394 del 1991 e' una legge
quadro,   che,   come   tale,  detta  principi  fondamentali,  quindi
riconoscendo  che  si  versa  in  ipotesi  di competenza concorrente.
L'art. 5  impugnato sarebbe coerente con l'art. 11 della legge n. 394
del  1991,  perche'  al  comma  2 esso amplia l'ambito del divieto di
istituire  cave dai soli parchi alle aree contigue. Quanto ai commi 3
e  5  dello  stesso  articolo,  vengono  consentiti  solo  interventi
collocati  in una prospettiva programmatica, incentrata sul programma
regionale  attivita'  estrattive,  mentre,  quanto agli interventi di
ampliamento  consentiti, ovverosia quelli riguardanti l'estrazione di
pietre  ornamentali  in  corso  di  attivita' alla data di entrata in
vigore della legge, e' permessa solo un'attivita' di tipo prettamente
artigianale,  irrilevante per superficie e quantita' dei materiali di
cava   sotto   il   profilo  dell'incidenza  ambientale.  Infine  gli
interventi  attuabili nei parchi sono sottoposti al parere vincolante
della  giunta  regionale, ai fini della verifica della compatibilita'
ambientale dell'esercizio della cava.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, con ricorso
depositato   in   data   11 marzo   2004,   ha   chiesto  dichiararsi
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 5,  commi 2, 3 e 5, della
legge  della  Regione  Umbria  3 gennaio  2000,  n. 2  (Norme  per la
disciplina  dell'attivita'  di  cava  e  per  il  riuso  di materiali
provenienti  da demolizioni), come sostituito dall'art. 5 della legge
della    stessa    Regione   29 dicembre   2003,   n. 26   (Ulteriori
modificazioni,  nonche'  integrazioni della legge regionale 3 gennaio
2000  n. 2.  Norme  per la disciplina dell'attivita' di cava e per il
riuso  di  materiali provenienti da demolizioni), nella parte in cui,
nel  vietare  l'apertura  di  nuove  cave  e la riattivazione di cave
dismesse  all'interno  dei  parchi  nazionali o regionali, prevede la
possibilita'  di  deroghe (commi 3 e 5) per interventi di ampliamento
(sia  pure  solo  per  interventi  in corso di attivita' alla data di
entrata  in  vigore  della norma impugnata e solo per l'estrazione di
pietre  ornamentali)  o  completamento  delle  cave in servizio, o di
reinserimento  o  recupero  ambientale  di cave dismesse, sia pure in
ogni  caso  solo nelle ipotesi previste dal PRAE (Programma regionale
attivita' estrattive) per le quali la giunta regionale esprime parere
vincolante.  La norma impugnata violerebbe l'art. 117, secondo comma,
lettera  s), della Costituzione, che riserva allo Stato la competenza
esclusiva  in  materia  di  ambiente,  e  le  norme interposte di cui
all'art. 11, comma 3, lettera b), della legge 6 dicembre 1991, n. 394
(Legge  quadro  sulle  aree  protette), che, tra le attivita' vietate
all'interno   del   parco,   indica   l'apertura   di   cave  nonche'
l'asportazione  di minerali, e stabilisce che eventuali deroghe siano
previste   con   regolamento   adottato   dall'ente   parco;  nonche'
all'art. 22, comma 1, lettera d), della stessa legge, che indica, tra
i  principi  fondamentali  per  la  disciplina  delle  aree  naturali
protette  regionali,  l'adozione, secondo criteri stabiliti con legge
regionale   in   conformita'  ai  principi  di  cui  all'art. 11,  di
regolamenti delle aree protette.
    Con  lo  stesso  atto il Presidente del Consiglio dei ministri ha
chiesto  dichiararsi l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18-ter
della  legge  della  Regione  Umbria 3 gennaio 2000, n. 2, introdotto
dall'art. 21  della  legge  della  stessa  regione  29 dicembre 2003,
n. 26, in quanto, disponendo (comma 1) che i materiali provenienti da
scavi  di  opere civili non impiegati nella realizzazione delle opere
stesse  sono  ceduti  a  titolo  gratuito  al  comune  competente per
territorio,  qualora  eccedano  la  quantita' di ventimila metri cubi
totali;  e stabilendo (comma 2) che il comune utilizza i materiali di
cui al comma 1, per finalita' di tutela dell'ambiente, ovvero dispone
per  il  loro  conferimento,  a  titolo  oneroso, a impianti di prima
lavorazione  o  trasformazione  di  materiali  di  cava  presenti nel
territorio   regionale,   violerebbe  gli  artt. 3,  41  e  42  della
Costituzione   (principio  di  uguaglianza,  liberta'  di  iniziativa
privata  e  diritto  di  proprieta), concretizzando un'espropriazione
senza indennizzo per una finalita' puramente lucrativa
(risparmio  di  spesa  nell'acquisto  degli  inerti o cessione dietro
corrispettivo),  nonche' l'art. 117, secondo comma, lettera l), della
Costituzione, incidendo sulla materia «ordinamento civile», riservata
alla competenza esclusiva dello Stato.
    2.  -  In  via  preliminare, deve essere disattesa l'eccezione di
inammissibilita'  del  ricorso  sollevata  dalla  Regione  Umbria per
omessa indicazione dei motivi della impugnazione.
    Detti  motivi,  sia  pure  molto  succintamente,  sono  indicati.
Infatti  lo  Stato,  nel  suo  ricorso, dopo avere descritto la norma
impugnata, dopo avere citato i parametri costituzionali asseritamente
violati  e  le  relative  norme  interposte,  e soprattutto dopo aver
affermato  che  la  norma  regionale  si sovrappone alla legge-quadro
statale  in  tema  di  parchi nazionali, afferma che l'art. 117 della
Costituzione  esprime  un'esigenza  unitaria per cio' che concerne la
tutela dell'ambiente, ponendo un limite agli interventi regionali che
possano pregiudicare gli equilibri ambientali.
    Cio' e' sufficiente per respingere l'eccezione della resistente.
    3.  -  Va  innanzitutto  esaminata  la  questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 5 della legge regionale n. 2 del 2000, come
sostituito dall'art. 5 della legge regionale n. 26 del 2003.
    3.1. - La questione e' fondata relativamente ai parchi nazionali.
    Lo  Stato  -  in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera
s),  della Costituzione (tutela dell'ambiente) - solleva questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 5, commi 2, 3 e 5, della legge
della Regione Umbria n. 2 del 2000, come sostituito dall'art. 5 della
legge  della  Regione  Umbria  n. 26  del  2003,  che individua nella
regione  il  soggetto  competente  a  disciplinare  le cave quando le
stesse siano all'interno di un parco nazionale o regionale.
    La  tutela  dell'ambiente,  di cui alla lettera s) dell'art. 117,
secondo  comma,  della Costituzione, si configura come una competenza
statale  non  rigorosamente  circoscritta e delimitata, ma connessa e
intrecciata  con  altri interessi e competenze regionali concorrenti.
Nell'ambito   di  dette  competenze  concorrenti,  risulta  legittima
l'adozione di una disciplina regionale maggiormente rigorosa rispetto
ai limiti fissati dal legislatore statale (sentenza n. 222 del 2003).
Relativamente   all'art. 117,   secondo   comma,  lettera  s),  della
Costituzione,  non si puo' parlare di una «materia» in senso tecnico,
qualificabile  come  «tutela  dell'ambiente», riservata rigorosamente
alla competenza statale, giacche' essa, configurandosi piuttosto come
un  valore  costituzionalmente protetto, investe altre competenze che
ben  possono  essere  regionali,  spettando  allo Stato il compito di
fissare  standard di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale
(sentenze  n. 307 del 2003 e n. 407 del 2002), con la conseguenza che
la   competenza  esclusiva  dello  Stato  non  e'  incompatibile  con
interventi  specifici del legislatore regionale che si attengano alle
proprie  competenze  (sentenze  n. 259  del 2004; n. 312 e n. 303 del
2003).
    La  legge  quadro  statale  sulle aree protette (legge 6 dicembre
1991,  n. 394),  premessa  una  prima  parte (artt. 1-7) di carattere
generale,  presenta un titolo II dedicato alle aree naturali protette
nazionali  (artt. 8-21)  ed un titolo III dedicato alle aree protette
naturali regionali (artt. 22-28).
    Lo  Stato,  nel  fissare  gli  standard  di  tutela uniformi, con
l'art. 11,  comma  1,  della  legge  n. 394  del  1991,  prevede  che
l'esercizio  delle attivita' consentite entro il territorio del parco
nazionale  e' disciplinato con regolamento e, con il successivo comma
3, lettera b), stabilisce, fra l'altro, che nei parchi nazionali sono
vietati l'apertura e l'esercizio di cave, di miniere e di discariche,
nonche' l'asportazione di minerali.
    La  legge  regionale  impugnata,  nel vietare l'apertura di nuove
cave  e  la  riattivazione  di  cave  dismesse  all'interno di parchi
nazionali  e  regionali,  comprese le aree contigue (art. 5, comma 2,
lettera   g),  consente,  all'interno  dei  predetti,  interventi  di
ampliamento   o   completamento   delle   cave   in  esercizio  e  di
reinserimento o recupero ambientale di cave dismesse, come definiti e
nei  soli  casi  previsti dal PRAE (art. 5, comma 3), aggiungendo che
«per  gli  interventi  ricadenti all'interno degli ambiti di cui alla
lettera   g)  del  comma  2  nella  conferenza  di  cui  al  comma  7
dell'art. 5-bis  la giunta regionale esprime parere vincolante, fermo
restando  che  non  sono  consentiti  interventi  di  ampliamento  ad
eccezione  di  quelli destinati alla estrazione di pietre ornamentali
in  corso  di attivita' alla data di entrata in vigore della presente
legge» (art. 5, comma 5).
    Dal  confronto  fra  la  norma  statale  interposta in materia di
parchi nazionali (art. 11, comma 3, lettera b, della legge n. 394 del
1991) e la norma regionale impugnata emerge evidente che le modifiche
introdotte,  lungi dal disporre una disciplina piu' rigorosa rispetto
ai  limiti  fissati  dal  legislatore statale, derogano in peius agli
standard di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale.
    Ne'  appare fondata la deduzione della Regione Umbria secondo cui
la   normativa   impugnata   sarebbe  legittima,  in  quanto  emanata
nell'esercizio  della propria competenza esclusiva in materia di cave
a  seguito della modifica del titolo V della Costituzione. E' infatti
sufficiente  osservare che nel caso di specie non si e' semplicemente
disciplinata la materia «cave», ma quella delle cave quando le stesse
insistano   in   un  parco,  e  pertanto  la  materia  «cave»  va  ad
intrecciarsi  con  il  valore  ambiente,  con la conseguenza che deve
trovare  applicazione  la  giurisprudenza  in  precedenza richiamata,
secondo  cui,  quando  viene  toccato  tale  valore,  la regione puo'
legiferare, ma solo per fissare limiti ancor piu' rigorosi di tutela,
senza  dunque alcuna possibilita' di introdurre deroghe al divieto di
coltivare cave nei parchi.
    Secondo  la  regione, poi, non esisterebbe un divieto assoluto di
svolgere  attivita'  di cava nelle aree protette, tanto che la stessa
legge  n. 394  del  1991  prevede  che  tale  divieto sia derogabile,
peraltro neppure con legge, ma con il semplice regolamento del parco,
con  la  conseguenza  che  se  la deroga puo' essere effettuata da un
regolamento, a maggior ragione si potranno effettuare deroghe tramite
legge.
    Anche  questa  tesi  e'  infondata.  E'  bensi'  vero  che  e' il
regolamento  che  disciplina  l'esercizio  delle attivita' consentite
entro  il  territorio  del  parco,  ma  qui  non  viene in rilievo il
rapporto   di   gerarchia  legge-regolamento,  ma  il  fatto  che  la
competenza a disciplinare la materia delle deroghe al divieto di cave
nel  parco  e'  attribuita in via esclusiva, da una legge statale, al
regolamento  del  parco.  L'illegittimita' costituzionale della norma
dunque deve individuarsi non gia' in una presunta inammissibilita' di
deroghe  al  divieto di cave nel parco, ma nel fatto che tali deroghe
possono  essere eventualmente adottate tramite regolamento del parco,
che  viene  approvato  dal  Ministro  dell'ambiente  d'intesa  con le
regioni  interessate  (cfr. in questo senso l'art. 11, comma 6, della
legge n. 394 del 1991).
    Ne'   si   puo'  convenire  -  in  presenza  della  perentorieta'
dell'enunciazione  contenuta nell'art. 11, comma 3, lettera b), della
legge  n. 394  del  1991,  secondo  cui  «sono  vietati  l'apertura e
l'esercizio  di  cave»  - con la interpretazione offerta dalla difesa
regionale,  secondo la quale il divieto di svolgere attivita' di cava
nelle  aree  protette  si  riferisce  all'apertura di nuove cave, non
anche a quelle in esercizio in base a regolare concessione o dismesse
senza  che  sia  stata  attuata la riambientazione del relativo sito,
alle  quali  si indirizza la disciplina di non assoluto divieto della
Regione Umbria.
    Parimenti  infondata  e'  poi  la tesi regionale per la quale gli
interventi  di ampliamento sarebbero limitati a quelli destinati alla
estrazione  di  pietre ornamentali e che comunque siano gia' in corso
alla  data  di  entrata  in  vigore  della presente legge: secondo la
giurisprudenza costituzionale, non sono ammissibili deroghe in peggio
alla  protezione  dell'ambiente,  senza  che si possa distinguere tra
«piccole deroghe» (tollerate) e «grandi deroghe» (non tollerate).
    3.2. - La questione non e', invece, fondata per quanto riguarda i
parchi regionali.
    Con  riferimento alle aree naturali protette regionali, l'art. 22
della  legge  n. 394  del  1991 dispone che l'adozione di regolamenti
delle aree protette, secondo i criteri stabiliti con legge regionale,
rientra fra i principi fondamentali per la disciplina di tali aree.
    La  legge regionale impugnata stabilisce in linea di principio il
divieto  di  condurre  cave  nei  parchi  regionali,  in  conformita'
all'art. 11   della  legge  n. 394  del  1991.  La  legge  stabilisce
altresi',  in  alcune  ipotesi  ben  circoscritte, la possibilita' di
deroghe  a  tale  divieto. Anche queste disposizioni sono conformi ai
principi di cui all'art. 11, che parimenti prevede tale possibilita',
e  pertanto  non  puo'  sostenersi  che  la  legge regionale disponga
arbitrariamente  delle  deroghe in peius in materia di ambiente. Essa
ha,  dunque,  secondo  il dettato dell'art. 22 della legge n. 394 del
1991,   semplicemente  riprodotto  i  principi  fondamentali  per  la
disciplina  delle  aree  protette,  in  conformita' a quanto disposto
dall'art. 11 della stessa legge.
    Nel  caso dei parchi nazionali, pero', la legge regionale si pone
in  contrasto  con  la  norma  statale  che stabilisce che le deroghe
possono  essere  poste in essere solo con un regolamento adottato dal
Ministero  dell'ambiente  d'intesa  con  le  regioni,  mentre analoga
disposizione   non  esiste  in  tema  di  parchi  regionali,  la  cui
disciplina  e'  riservata  dalla  stessa  legge  n. 394 del 1991 alla
regione.
    Il  parco  regionale e' infatti tipica espressione dell'autonomia
regionale.  Deve a questo proposito menzionarsi l'art. 23 della legge
n. 394  del  1991, che stabilisce che il parco regionale e' istituito
con  legge  regionale e determina altresi' i principi del regolamento
del parco.
    Inoltre,  l'art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991 prevede
che  il  regolamento  del  parco  regionale  puo'  anche  non  essere
adottato.  E'  allora  evidente  che,  in sua mancanza, la disciplina
delle attivita' di cava non puo' che essere quella regionale, perche'
altrimenti  il  parco  regionale non potrebbe usufruire di deroghe al
divieto  di  istituire  cave  nei parchi, dovendosi fare applicazione
dell'art. 11 della legge n. 394 del 1991, che vieta le cave nel parco
salvo diversa previsione regolamentare.
    Ancora,  la  norma  impugnata  e' altresi' rispettosa di un altro
principio  dettato  in  tema  di  parchi regionali dall'art. 22 della
legge  n. 394  del  1991,  quello,  espresso dal comma 1, lettera c),
della  partecipazione  degli  enti  locali  interessati alla gestione
dell'area  protetta.  Infatti, tra i soggetti che partecipano al PRAE
(Piano  regionale  attivita'  estrattive), che costituisce la sede di
decisione  in  merito ad alcune delle possibili deroghe al divieto di
condurre  cave  nei  parchi,  vi sono anche enti locali diversi dalle
regioni (cfr. l'art. 4 della legge regionale impugnata).
    Infine,  proprio  il rinvio al PRAE testimonia che la legge della
Regione  Umbria  lascia  spazio,  oltre che alla partecipazione degli
altri  enti  locali,  anche  all'emanazione  di  norme  di  carattere
regolamentare  di  ulteriore  dettaglio,  e  dunque  ad  un eventuale
regolamento   del   parco   regionale  che  voglia  per  ipotesi,  in
conformita'  ai  criteri  dettati  dalla  norma  regionale impugnata,
fissare  in  modo  piu' analitico la disciplina delle cave nei parchi
regionali.
    4. -Passando    all'esame   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 18-ter della legge della Regione Umbria n. 2
del 2000, introdotto dall'art. 21 della legge n. 26 del 2003, si deve
dichiarare,  conformemente alle conclusioni della difesa erariale nel
corso  della  pubblica  udienza,  la  cessazione  della  materia  del
contendere,   trattandosi   di   norma   che,   successivamente  alla
proposizione   del  ricorso  (marzo  2004),  e'  stata  integralmente
sostituita  dall'art. 2  della legge della Regione Umbria 23 dicembre
2004,  n. 34  (Ulteriori  modificazioni  e  integrazioni  della legge
regionale   3 gennaio   2000,   n. 2   -   Norme  per  la  disciplina
dell'attivita'  di  cava  e  per il riuso di materiali provenienti da
demolizioni.  Modifica dell'art. 22 della legge regionale 29 dicembre
2003,  n. 26  -  Ulteriori  modificazioni, nonche' integrazioni della
legge  regionale  3 gennaio  2000,  n. 2),  che  non  prevede piu' la
cessione  a titolo gratuito al comune dei materiali di cava eccedenti
una determinata quantita'.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    a) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, commi 2,
3  e  5, della legge della Regione Umbria 3 gennaio 2000, n. 2 (Norme
per  la disciplina dell'attivita' di cava e per il riuso di materiali
provenienti  da demolizioni), come sostituito dall'art. 5 della legge
della    Regione    Umbria   29 dicembre   2003,   n. 26   (Ulteriori
modificazioni,  nonche'  integrazioni della legge regionale 3 gennaio
2000  n. 2.  Norme  per la disciplina dell'attivita' di cava e per il
riuso  di  materiali  provenienti da demolizioni), nella parte in cui
disciplina l'attivita' di cava all'interno dei parchi nazionali;
    b)  dichiara  non  fondata,  salvo quanto disposto al capo a), la
questione  di  legittimita' costituzionale dello stesso art. 5, commi
2,  3 e 5, della legge della Regione Umbria n. 2 del 2000, sollevata,
in   riferimento  all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione,  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con il
ricorso indicato in epigrafe;
    c)  dichiara  cessata  la  materia  del contendere in ordine alla
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.18-ter comma 1,
della  citata  legge regionale n. 2 del 2000, introdotto dall'art. 21
della   predetta  legge  regionale  n. 26  del  2003,  sollevata,  in
riferimento  agli  artt. 3,  41, 42 e 117, secondo comma, lettera l),
della  Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il
ricorso in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2005.
                        Il Presidente: Contri
                      Il redattore: Finocchiaro
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 18 marzo 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
05C0361