N. 111 SENTENZA 7 - 18 marzo 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Regione Puglia - Bilancio e contabilita' pubblica - Spesa sanitaria -
  Erogazioni  eccedenti il programma preventivo concordato - Prevista
  remunerazione  con  le  regressioni tariffarie fissate dalla Giunta
  regionale - Ritenuta diversita' dei sistemi di remunerazione per le
  strutture   pubbliche  e  private  -  Denunciata  irragionevolezza,
  disparita'  di  trattamento in danno delle strutture accreditate, e
  violazione  del  principio  fondamentale  di  equiordinazione delle
  strutture pubbliche e private - Interpretazione ictu oculi erronea,
  coinvolgimento  di  norme  che  non formano oggetto di rimessione -
  Inammissibilita' della questione.
- Legge Regione Puglia 7 marzo 2003, n. 4, art. 30, comma 4.
- Costituzione, artt. 3, 97 e 117.
Regione Puglia - Bilancio e contabilita' pubblica - Spesa sanitaria -
  Erogazioni  eccedenti il programma preventivo concordato - Prevista
  remunerazione  con  le  regressioni tariffarie fissate dalla Giunta
  regionale  -  Determinazione per l'anno 2003 del «tetto montante» -
  Riferimento    ai   volumi   di   prestazioni   sanitarie   erogate
  nell'anno 1998  -  Denunciata  irragionevolezza,  con  danno per le
  strutture private - Non fondatezza della questione.
- Legge Regione Puglia 7 marzo 2003, n. 4, art. 30, comma 4.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.12 del 23-3-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Fernanda CONTRI;
  Giudici:  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto CAPOTOSTI, Annibale
MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE
SIERVO,   Romano  VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,
Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 30, comma 4,
della legge della Regione Puglia 7 marzo 2003, n. 4 (Disposizioni per
la  formazione del bilancio di previsione 2003 e bilancio pluriennale
2003-2005   della   Regione   Puglia),  promossi  con  ordinanze  del
19 dicembre  2003,  del  19  e  del  29 gennaio  2004  dal  Tribunale
amministrativo  regionale  della  Puglia,  sezione staccata di Lecce,
rispettivamente iscritte ai nn. 178, 261 e 262 del registro ordinanze
2004  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 12 e
15, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  dell'Azienda unita' sanitaria
locale  Lecce 1, del Centro diagnostico salentino, del Laboratorio di
analisi «Madonna della Neve» s.p.a. e della Regione Puglia;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'8 febbraio  2005  il  giudice
relatore Alfonso Quaranta;
    Uditi gli avvocati Gianluigi Pellegrino per il Centro diagnostico
salentino, M. Cristina Lenoci e Fabrizio Lofoco per il Laboratorio di
analisi  «Madonna  della Neve» s.p.a., Beniamino Caravita di Toritto,
Pierluigi  Portaluri  e  Luciano  Ancora per la Regione Puglia e Vito
Aurelio Pappalepore per l'Azienda unita' sanitaria locale Lecce 1.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Il Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione
staccata  di  Lecce,  con  tre  provvedimenti  di pressoche' identico
contenuto  (r.o.  nn. 178,  261  e  262 del 2004), il primo dei quali
avente  forma  di  sentenza,  ha  sollevato questione di legittimita'
costituzionale  -  per  violazione  degli  articoli 3, 97 e 117 della
Costituzione  -  dell'art. 30,  comma 4,  della  legge  della Regione
Puglia  7 marzo  2003,  n. 4  (Disposizioni  per  la  formazione  del
bilancio  di  previsione 2003  e bilancio pluriennale 2003-2005 della
Regione Puglia).
    1.1.  -  Il Tribunale rimettente deduce che «le censure sollevate
nel  ricorso  in  ordine  alla assegnazione di risorse economiche per
l'acquisto, da parte del Servizio sanitario regionale, di prestazioni
specialistiche   ambulatoriali   da  privati  impongono  l'esame  dei
seguenti  profili:  a)  la  competenza  a  disporre, ai vari livelli,
l'assegnazione di risorse per lo svolgimento di diverse attivita' che
spettano  al  Servizio sanitario regionale; b) la posizione rivestita
dalle   istituzioni   private   nell'ambito  del  Servizio  sanitario
regionale;   c)  le  modalita'  di  finanziamento  delle  istituzioni
pubbliche   e   di   quelle  private;  d)  i  criteri  preposti  alla
ripartizione   delle   risorse  economiche  tra  le  varie  finalita'
perseguite dal Servizio sanitario regionale, nonche' all'assegnazione
delle  stesse  alla assistenza specialistica ambulatoriale e, quindi,
alla  determinazione  dei  tetti  di  spesa  relativi all'acquisto di
prestazioni specialistiche ambulatoriali da privati».
    Nei  provvedimenti  di  rimessione,  pertanto,  si procede ad una
analitica  disamina  della normativa, statale e regionale, recante la
disciplina dei profili suddetti.
    1.2.   -   Premesso   il  quadro  normativo  di  riferimento,  il
rimettente,  per  quanto,  specificamente,  attiene alla disposizione
impugnata   nella  «parte  relativa  alla  determinazione  del  tetto
cosiddetto  "montante",  fino al quale la remunerazione e' erogata in
misura pari al 100 per cento delle tariffe previste», osserva che «le
determinazioni  amministrative  sono vincolate dall'art. 30, comma 4,
della  legge  regionale  n. 4  del 2003, che fissa questo tetto della
spesa  globale  in  misura  corrispondente  al  valore  attuale delle
prestazioni  erogate nel 1998». In tal modo, quindi, «non si tiene in
alcun conto l'andamento della domanda negli anni successivi al 1998»,
andamento che mostra, invece, «il divario esistente tra la domanda di
prestazioni   specialistiche   rivolta   alle   strutture  private  e
l'assegnazione   di  somme  per  l'acquisto  da  parte  del  Servizio
sanitario regionale di tali prestazioni».
    Ne  deriva,  secondo  il  giudice  a  quo,  che  la  disposizione
censurata  viola  «il  principio di razionalita' delle scelte sancito
dagli  articoli  3  (in  funzione dell'eguaglianza) e 97 (in funzione
della  bonta' dell'azione amministrativa) della Costituzione, nonche'
l'art. 117  della  Costituzione,  in quanto contraddice vari principi
fondamentali  sanciti  dalla  legislazione  statale  nella  materia»,
rinvenibili,  in  particolare,  nel  decreto  legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).
    Infatti,     «l'insieme    delle    prestazioni    specialistiche
ambulatoriali  che  il  Servizio  sanitario  regionale deve rendere e
deve, quindi, acquistare da strutture pubbliche o private deve essere
suddiviso  fra  le  une  e le altre in base alle esigenze primarie di
assicurare  la  liberta' di scelta dell'utente» (art. 8-bis, comma 2,
del   d.lgs.  n. 502  del  1992),  «l'efficace  competizione  fra  le
strutture  accreditate»,  ex  art. 8-quater,  comma 3, lettera b) del
medesimo  decreto legislativo, nonche' l'equiordinazione delle stesse
(sancita dall'art. 8-bis, comma 1, e dall'art. 8-sexies, comma 1, del
d.lgs.  n. 502 del 1992), e, da ultimo, «l'economicita' della scelta,
dovendo  l'acquisto  conseguire anche a valutazioni comparative della
qualita'  e  dei  costi», cosi' come stabilito dall'art. 8-quinquies,
comma 2, del gia' citato d.lgs. n. 502 del 1992.
    Sempre  in  relazione  all'art. 117  della  Costituzione,  e «con
specifico  riguardo alle norme che sanciscono l'equiordinazione delle
strutture  pubbliche  e di quelle private», il rimettente osserva che
«il   dubbio   di   costituzionalita»   non  parrebbe  escluso  dalla
circostanza  che  la  disposizione  censurata  preveda  che  «i patti
relativi a programmi comprendenti volumi di prestazioni pari a quelli
erogati  nel  1998  riguardino  sia le strutture pubbliche che quelle
private;  cio'  perche'  tali  accordi,  in  base  alla  legislazione
regionale,  non  intercorrono  con i presidi ospedalieri amministrati
dalle  Aziende  unita'  sanitarie  locali (AUSL), cioe' la stragrande
maggioranza delle strutture ospedaliere pubbliche».
    Circa, infine, la rilevanza della questione il rimettente ritiene
che    la   stessa   sia   «indubbia»,   giacche'   la   declaratoria
d'incostituzionalita'  dell'art. 30,  comma 4,  della legge regionale
n. 4 del 2003 - «nella parte in cui prevede che le AUSL stipulano con
le   strutture   private  patti  relativi  a  programmi  comprendenti
prestazioni  sanitarie  per volumi pari a quelli erogati nel 1998, da
remunerare  a  tariffa  intera»  - comporterebbe l'illegittimita' dei
provvedimenti impugnati.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Centro  diagnostico  salentino (parte
ricorrente  nel  primo  dei  tre  giudizi  a  quibus), il quale si e'
costituito  con  atto depositato presso la cancelleria della Corte il
9 aprile  2004,  ed  ha  chiesto  l'accoglimento  della  questione di
legittimita' costituzionale.
    2.1.  -  Nel  premettere  che  «alcuni  dei principi fondamentali
affermati  dal Tribunale amministrativo regionale pugliese sono stati
recentemente  confermati  dal  Consiglio di Stato», la predetta parte
privata   sottolinea   quella  che  definisce  come  «la  sostanziale
ribellione  ai principi cardine dell'ordinamento statuale in materia,
da  parte della Regione Puglia», realizzata per effetto dell'art. 30,
comma 4,  della  legge  regionale  n. 4  del  2003, disposizione alla
stregua  della  quale  «i volumi di prestazioni da concordarsi con le
strutture  private  (ai  fini dell'attribuzione dei relativi budgets)
devono  essere fissati "in misura corrispondente a quelli erogati nel
1998"».
    E'  proprio,  difatti,  il  riferimento  ai volumi di prestazioni
«erogati  nel  1998»  -  sulla  base  dei  quali  gli atti regionali,
impugnati nel giudizio a quo, individuano in concreto «le prestazioni
da  corrispondersi  a  tariffa  intera  alle  strutture  private (cd.
montante),  prevedendo  poi (peraltro solo per un piccolo margine) il
pagamento  in  misura ridotta delle prestazioni ulteriormente erogate
(sino  al  cd. tetto invalicabile)» - a formare oggetto del dubbio di
costituzionalita', giacche' l'impiego di tale sistema darebbe luogo a
determinazioni che «ignorano l'effettiva evoluzione della domanda» in
materia di prestazioni sanitarie.
    «E'  infatti  evidente» - prosegue la parte privata - che «per le
prestazioni  de  quibus le somme che l'Amministrazione sanitaria ha a
disposizione devono essere ripartite per l'acquisto di prestazioni da
parte  di  strutture  pubbliche  e  private,  non gia' in base a dati
cristallizzati nel corso del tempo, ne' tantomeno sulla scorta di una
inammissibile discriminazione soggettiva» tra tali strutture, dovendo
piuttosto  tale  ripartizione  avvenire  -  «pur  nella  riconosciuta
limitatezza delle risorse» - sulla scorta di «criteri che, sulla base
dell'atteggiarsi   della   domanda   dell'utenza,  possano  realmente
garantire  la  piena  equiordinazione  e la concorrenza tra strutture
pubbliche e strutture private».
    Da  cio'  deriva,  quindi, «la evidente violazione» dell'art. 117
della  Costituzione realizzata dalla norma impugnata -- sub specie di
contrasto  con  taluni principi fondamentali posti dalla legislazione
statale  (quali  quelli  della  «liberta'  di  scelta dell'utente tra
strutture   equiordinate»,   della   «efficace  competizione  tra  le
strutture  accreditate»,  e  della  necessita'  che  l'acquisto delle
prestazioni  avvenga  «a  seguito  di  valutazioni  comparative della
qualita'  e  dei  costi»)  - nella parte in cui «vincola al risalente
volume  di  prestazioni  erogate  nel  1998  il volume di prestazioni
"concordato"   (...)   da   attribuire  alle  strutture  private  per
l'anno 2003,  prescindendo  del  tutto dal concreto atteggiarsi della
domanda dell'utenza per come registrato nei cinque anni intercorsi».
    «Indiscutibile»,  poi, «e' anche la violazione degli artt. 3 e 97
Cost.», giacche' «vengono differentemente trattati soggetti (pubblici
e  privati)  equiordinati  dalla disciplina di sistema», mentre viene
osservato  come  «i  principi  fondamentali innanzi richiamati» siano
«precipuamente  funzionali  all'ottimizzazione del sistema attraverso
la  equiordinazione  e  la  concorrenza tra le strutture, a beneficio
ultimo del miglioramento del servizio e cioe' della quantita/qualita'
di  prestazioni  da  erogarsi  con  le  risorse disponibili». Sempre,
infatti,  in relazione al profilo della violazione dell'art. 97 Cost.
viene  rilevato  che  la  norma  impugnata,  «vincolando il budget da
assegnarsi  al  risalente  dato  del  1998,  senza  aver  riguardo al
concreto atteggiarsi della domanda», se - da un lato - «non premia lo
sforzo  di  qualita'  compiuto  dalle  strutture private nei riguardi
dell'utenza»  (essendo  stata  essa,  medio  tempore,  «attratta  dal
miglior  servizio erogato dalle medesime strutture»), «dall'altro non
punisce l'incapacita' riscontrabile, nello stesso arco temporale, nei
confronti  delle  strutture pubbliche nel saper adeguatamente ed allo
stesso modo attrarre l'utenza».
    3. - E' intervenuta in giudizio anche la Regione Puglia, la quale
si  e'  soffermata, preliminarmente, ad illustrare il contenuto della
disposizione  impugnata,  riassumendo taluni punti salienti dell'iter
argomentativo svolto dal giudice a quo.
    3.1.    -   In   particolare,   la   Regione   ha   eccepito   la
«inammissibilita'  della  questione», e cio' sotto il duplice profilo
della  «carenza  di  motivazione  circa  la  rilevanza», ovvero della
«insufficienza   della  motivazione  in  ordine  alla  non  manifesta
infondatezza».
    Secondo   la  Regione,  difatti,  il  Tribunale  rimettente  «non
descrive  i  presupposti  di fatto da cui trae origine il giudizio di
costituzionalita»,  in  tal  modo  contravvenendo  a quanto affermato
dalla  giurisprudenza  costituzionale,  secondo cui «i presupposti di
fatto  che si riflettono sull'individuazione della norma da applicare
nel  giudizio principale, e quindi sulla rilevanza della questione di
legittimita' costituzionale, devono essere verificati e descritti dal
giudice  a  quo  nell'ordinanza  di  rimessione,  a pena di manifesta
inammissibilita'  della  questione»  (sentenza  n. 37 del 1999, ma e'
richiamata anche la sentenza n. 173 del 1992).
    «Ne',  d'altra  parte,  emergono  con  chiarezza»  -  prosegue la
Regione   -  «i  profili  di  illegittimita'  dell'art. 30,  comma 4,
denunciati  dal  giudice  a  quo», giacche' soltanto da «alcuni passi
della  sentenza  si  ha la sensazione che il Tribunale amministrativo
regionale   voglia   investire   della   questione   di  legittimita'
costituzionale  la determinazione del limite massimo annuale di spesa
sostenibile  dalla Regione per l'acquisto di prestazioni sanitarie da
parte  di  strutture accreditate». Se cosi' fosse, pero', si dovrebbe
allora  rilevare  «che  l'art. 30,  comma 4, non disciplina il limite
massimo  annuale  di spesa», atteso che «un riferimento a tale limite
e'  contenuto nel comma 6 dell'art. 30 della legge regionale n. 4 del
2003,  mentre  la  compiuta disciplina di detto limite e' rinvenibile
nell'art. 25, comma 1», della legge regionale 22 dicembre 2000, n. 28
(Variazione  al  bilancio  di  previsione per l'esercizio finanziario
2000).
    Rileva,  inoltre,  la  Regione che in «altri passi della sentenza
sembrerebbe  che  il  giudice a quo ritenga illegittimo il sistema di
finanziamento  dei  presidi  ospedalieri  dettato  dalla legislazione
pugliese  (per  quota  capitaria anziche' attraverso la remunerazione
delle  prestazioni)  e  che  tale  illegittimita'  si  rifletta sulle
modalita'  con  le quali l'art. 30, comma 4, fissa il limite di spesa
entro  il  quale  le  prestazioni  rese  dalle  strutture accreditate
pubbliche  e  private  sono  remunerate  a  tariffa intera»; se tale,
tuttavia,  fosse  il  significato  da  attribuire  all'iniziativa del
rimettente  la  stessa  sarebbe  del  pari inammissibile, «incorrendo
(...) in un'aberratio ictus».
    3.2.  Nel  merito  la  Regione  ha  proceduto  ad  una  analitica
ricostruzione  della  «distribuzione delle competenze legislative tra
lo   Stato  e  le  Regioni  in  materia  di  assistenza  sanitaria  e
ospedaliera».
    Cio'   premesso,   la   stessa   Regione  ha  osservato  come  la
regolamentazione  della  materia  sanitaria  sia  stata  affidata,  a
livello  statale,  al  d.lgs.  n. 502  del 1992, il quale pero' - con
riferimento all'accreditamento delle strutture sanitarie - ha rimesso
l'individuazione  della  disciplina  concreta  ad  un atto statale di
indirizzo e coordinamento (art. 8-quater, comma 3).
    Tuttavia, osserva la Regione, la «mancata adozione da parte dello
Stato  dell'atto  di  indirizzo  e  coordinamento», di cui alla norma
suddetta,  e con essa «la successiva soppressione del relativo potere
statale»  ad  opera  dell'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003,
n. 131   (Disposizioni   per   l'adeguamento  dell'ordinamento  della
Repubblica   alla   legge   costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3),
«consentono   di  concludere  che  le  Regioni  siano  autorizzate  a
disciplinare  gli  ambiti  la cui disciplina era delegata a tale atto
dall'art. 8-quater,  comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, avendo come
unico limite i criteri dettati dal successivo comma 4».
    Cosi'  ricostruito il quadro normativo di riferimento, la Regione
ha dedotto la «infondatezza delle censure di violazione dell'art. 117
della  Costituzione»,  soffermandosi  su  quelli  che  - a suo dire -
sarebbero  i (veri) «principi "desumibili" dalla legislazione statale
in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera» (ed in particolare
in  ordine  al ruolo ed alle modalita' di finanziamento delle aziende
sanitarie  locali  e  delle altre strutture che erogano prestazioni a
carico  del  Servizio sanitario nazionale), giacche' il rimettente, a
suo   dire,   sarebbe   incorso  in  un  «equivoco  di  fondo»  nella
individuazione di tali principi.
    «L'errore   interpretativo  del  giudice  a  quo»,  si  sostiene,
consisterebbe  «nel  considerare  come  poste  sullo stesso piano, in
generale,  tutte le strutture pubbliche e quelle private, anziche' le
strutture  accreditate, pubbliche e private», e cio' nella pretesa di
estendere  tale  approccio interpretativo (viceversa errato) «a tutte
le  disposizioni  del d.lgs. n. 502 del 1992», ricavando dalle stesse
quei  «principi  fondamentali  che, a suo parere, l'art. 30, comma 4,
della legge reg. n. 4 del 2003 violerebbe».
    Tali  principi,  invece,  «sono  chiaramente  individuabili e non
coincidono con quelli estratti dal giudice a quo», giacche' il citato
d.lgs.  n. 502  del  1992  «ha  inteso  porre  sullo  stesso piano le
strutture  "accreditate"  con  le  quali  le  ASL  stipulano appositi
accordi/contratti  e  non  in generale tutte le strutture pubbliche e
quelle private». Gli stessi principi, quindi, della libera scelta del
luogo   di   cura   e   della  efficace  competizione  tra  strutture
troverebbero applicazione «esclusivamente tra i soggetti "accreditati
con  i  quali  siano  definiti  appositi  accordi  contrattuali"», ex
articoli  8-bis, comma 2, e 8-quater, comma 3, lettera b), del citato
d.lgs. n. 502 del 1992.
    Ne'   «sembra,  infine,  che  dagli  articoli 8-bis,  comma 1,  e
8-sexies,  comma 1,  possa  desumersi un principio di equiordinazione
tra tutte le strutture pubbliche e quelle private», giacche' il primo
«si  limita  ad elencare soggetti erogatori dei livelli essenziali di
assistenza  senza,  tuttavia,  nulla  disporre in ordine al reciproco
rapporto  tra  di essi», mentre il secondo «detta la disciplina delle
modalita'  di  finanziamento delle strutture che erogano assistenza a
carico  del  Servizio  sanitario nazionale e che stipulano con le ASL
appositi  accordi»,  ma  «non  invece la disciplina del finanziamento
delle ASL e, conseguentemente, dei presidi dalle stesse gestiti».
    Sulla  scorta,  pertanto,  di  tali  considerazioni la Regione ha
concluso  nel senso che i «principi affermati dal giudice a quo (...)
non  esistono  nel  d.lgs.  n. 502  del  2002», e che gli stessi sono
«frutto  di una interpretazione distorta della legislazione statale»,
con  conseguente infondatezza della censura relativa al contrasto con
l'art. 117  Cost.,  giacche' basata proprio sulla supposta violazione
dei principi suddetti.
    3.3. - La Regione inoltre - in aggiunta ai rilievi di cui innanzi
-  ha  dedotto  la  «inammissibilita' della questione di legittimita'
costituzionale», in ragione della «errata individuazione da parte del
giudice  a quo delle disposizioni regionali da sottoporre al giudizio
della Corte», cioe' a dire per «aberratio ictus».
    3.4. - Infine, e' stata dedotta la «infondatezza delle censure di
violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione».
    4.  -  Si  e'  costituita  in  giudizio  anche  l'Azienda  unita'
sanitaria  locale  Lecce  1 (parte resistente nei primi due giudizi a
quibus),  con  atto  depositato  presso la cancelleria della Corte il
24 febbraio 2004.
    Preliminarmente,  e'  stata  eccepita  «l'inammissibilita'  della
sollevata questione di legittimita' costituzionale per irrilevanza ai
fini  della  decisione  del  giudizio  pendente dinnanzi al Tribunale
amministrativo regionale», e cio' sotto un triplice profilo.
    Si  osserva,  difatti, che «a carico del ricorso a quo sono state
sollevate  diverse eccezioni di inammissibilita' ed improcedibilita',
preliminari  rispetto  ad  ogni  decisione  sul merito», sulle quali,
tuttavia,  il  rimettente  «ha  ritenuto  di  non  pronunciarsi»;  si
osserva,  inoltre,  che  -  stando  a  quanto  affermato dallo stesso
Tribunale  amministrativo regionale pugliese - «nel 1998 (data cui la
norma  sospettata  di  illegittimita' costituzionale si riferisce) la
capacita'  produttiva  delle strutture private si e' potuta esplicare
senza limiti (per la tardivita' degli atti adottati di determinazione
del  tetto  di  spesa  assegnato  ad  ogni  struttura)», sicche', «in
concreto»,    «non    vi    sarebbe    alcuna    lesione    derivante
dall'applicazione» della norma impugnata, atteso che la stessa prende
a  riferimento,  appunto,  tale  annualita';  rileva,  infine,  che i
provvedimenti   impugnati  non  si  fondano,  comunque,  sulla  norma
censurata.
    Nel  merito,  invece, e' stata dedotta «la manifesta infondatezza
della   questione   sollevata,  avendo  il  Tribunale  amministrativo
regionale  della  Puglia  operato una ricostruzione solo parziale dei
principi   che  regolano  il  funzionamento  del  Servizio  sanitario
nazionale,  come  disciplinato  dal d.lgs. n. 502 del 1992», giacche'
dagli  stessi  si  evince  che  le  strutture private possono erogare
prestazioni  sanitarie  per  conto  e a carico del Servizio sanitario
nazionale  «solo  se  istituzionalmente accreditate e solo nei limiti
degli  accordi  contrattuali»,  operando,  cosi',  il principio della
equiordinazione  limitatamente alle strutture «accreditate», e non in
termini assoluti.
    5.  - Si e', infine, costituito in giudizio - con atto depositato
presso  la  cancelleria  della  Corte  il  4 maggio  2004  - anche il
Laboratorio  di  analisi  «Madonna  della Neve» (parte ricorrente nel
secondo  dei  tre giudizi a quibus), limitandosi ad insistere «per la
declaratoria d'incostituzionalita' dell'art. 30, comma 4, della legge
della Regione Puglia n. 4 del 2003, per contrasto con gli articoli 3,
97 e 117 della Costituzione».
    6.  - Con memoria depositata il 25 gennaio 2005, l'Azienda unita'
sanitaria  locale  Lecce  1  ha  ribadito  le proprie argomentazioni,
contestando,   in   via   preliminare,   l'affermazione  del  giudice
rimettente  secondo  cui  la  questione sollevata «rientrerebbe nella
materia  della  «tutela  della  salute»  e,  quindi,  nella  potesta'
legislativa  concorrente  in  cui  spetta  alla  legislazione statale
fissare  i  principi  fondamentali», affermando - alla luce di quanto
statuito  nella richiamata sentenza n. 380 del 2004 della Corte - che
«non tutto cio' che ha una generica attinenza con la salute (o meglio
con il sistema Sanita) rientra nella potesta' legislativa concorrente
prevista per la "tutela della salute"».
    Si  osserva,  inoltre,  che,  quand'anche  questa  Corte  dovesse
ritenere  «la  materia  della  ripartizione delle risorse finanziarie
relative   alla   Sanita»   rientrante  «nella  potesta'  legislativa
concorrente riguardante la "tutela della salute" di cui all'art. 117,
terzo  comma,  Cost.», cio' non escluderebbe, comunque, la necessita'
di  rigettare  la questione sollevata, «atteso che "in tale quadro le
Regioni  possono  esercitare  le  attribuzioni,  di  cui ritengono di
essere  titolari,  approvando  -  fatto  naturalmente salvo il potere
governativo  del  ricorso previsto dall'art. 127 della Costituzione -
una  propria  disciplina  legislativa  anche  sostitutiva  di  quella
statale"» (e' citata la sentenza n. 510 del 2002).
    6.1. - Cio' premesso, l'Azienda unita' sanitaria locale Lecce 1 -
nel  ripercorrere le censure prospettate dal Tribunale amministrativo
rimettente,  rilevando  come  sia lo stesso giudice a quo, non solo a
negare  alla  disposizione impugnata carattere innovativo (essendo la
stessa  «gia' contenuta» nell'art. 25, comma 4, della legge regionale
n. 28 del 2000), ma anche a porre in evidenza la «conformita' di tale
disciplina  ai  principi  sanciti  dalla  legislazione  nazionale»  -
sottolinea  come  sia  ardua  «l'individuazione dei motivi per cui la
norma   regionale   sarebbe   sospetta   di   incostituzionalita'  e,
soprattutto,  la  sollevata  questione  sarebbe rilevante ai fini del
decidere».
    Quanto,  invece,  al  merito della questione, l'azienda sanitaria
leccese  si  riporta,  sostanzialmente,  a  quanto  gia' sostenuto in
occasione della costituzione in giudizio.
    7.  -  Ha  depositato  memoria,  il  26 gennaio  2005,  anche  il
Laboratorio  di  analisi  «Madonna  della  Neve», integrando cosi' le
scarne considerazioni svolte nel precedente atto di costituzione.
    7.1.   Sul   presupposto   che   la   questione  di  legittimita'
costituzionale  sollevata dal rimettente sia «certamente rilevante ed
ammissibile»,  la  parte  privata  suddetta osserva - quale «premessa
indispensabile  all'esame  della  vicenda» - che, nel caso di specie,
«non  e' in contestazione la possibilita' di subire un c.d. «tetto di
spesa»»  nella  remunerazione  delle  prestazioni  sanitarie,  quanto
piuttosto  la  scelta della disposizione impugnata di distribuire «le
risorse finanziarie secondo criteri iniqui ed apodittici».
    Infatti,   il   principio  della  equiordinazione  tra  strutture
pubbliche  e  private,  enunciato dalla legislazione statale, sarebbe
stato  disatteso  dal  legislatore  regionale,  come avrebbe posto in
evidenza lo stesso giudice rimettente.
    Questi,  invero,  ha  sottolineato  -  richiamando  il  combinato
disposto   della  legge  regionale  30 dicembre  1994,  n. 38  (Norme
sull'assetto  programmatico,  contabile,  gestionale  e  di controllo
delle  Unita'  sanitarie locali in attuazione del decreto legislativo
30 dicembre  1992,  n. 502  «Riordino  della  disciplina  in  materia
sanitaria,  a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421»,
cosi'  come  modificato  dal  decreto  legislativo  7 dicembre  1993,
n. 517) e della legge regionale 15 dicembre 2001, n. 32 (Assestamento
e  variazioni  al  bilancio di previsione per l'esercizio finanziario
2001)  -  come  la  legge regionale n. 4 del 2003 abbia escluso dalla
«fissazione  di  tetti massimi di remunerazione» le Aziende sanitarie
locali  «che  amministrano  tutti  i restanti presidi ospedalieri non
eretti  in aziende autonome», giacche' il loro finanziamento «avviene
con  il  diverso  "sistema"  per  quote  capitarie».  Su  tali  basi,
pertanto,  il  Tribunale  amministrativo  rimettente  sarebbe «giunto
all'unica  conclusione possibile: il criterio della regressione quale
sistema  di  pagamento  delle  prestazioni erogate al di la' del c.d.
"tetto di spesa" non puo' legittimamente operare, perche' funzionante
solo nei confronti delle strutture private, delle aziende ospedaliere
autonome»,  e  non  pure  «nei  confronti  delle  ASL  e  dei presidi
ospedalieri».
    La norma regionale impugnata sarebbe, dunque, contraria - secondo
il   Laboratorio   «Madonna   delle  Neve»  -  «a  numerosi  principi
costituzionali».
    Con   particolare   riferimento  all'art. 3  della  Costituzione,
prosegue   la  parte  privata  suddetta,  deve  osservarsi  che  tale
parametro   «e'   stato  invocato  e  ritenuto  violato  dal  giudice
rimettente»  in  quanto  la  disposizione  impugnata nel prendere «le
mosse  da  un precetto contenuto nella legge statale (...) "tenta" di
fare  proprio il principio di equiordinazione tra strutture pubbliche
e private», il quale pero' «viene relegato solo a un profilo formale,
ma disatteso nella sostanza».
    Quanto,   invece,   «al   riferimento   ai  principi  del  giusto
procedimento,  buon  andamento  e  buona  amministrazione, ex art. 97
Cost.»,   le   osservazioni   appena   svolte   confermerebbero   «la
realizzazione di una vera e propria ipotesi di sviamento» della norma
dallo  scopo  per  cui  era stata prevista, come evidenzierebbe anche
l'analisi  della  giurisprudenza  della  Corte  sul punto, secondo la
quale  «il  riferimento all'art. 97 Cost. "implica necessariamente lo
svolgimento  di un giudizio di ragionevolezza sulla legge censurata"»
(si richiama la sentenza n. 63 del 1995).
    Infine,  in  merito  alla  dedotta violazione dell'art. 117 della
Costituzione,  si  osserva  che  «il  legislatore  ha esuberato anche
nell'apprezzamento  dei  confini entro cui sarebbe stato legittimo il
suo  intervento  regolativo  della  materia», avendo esso «operato un
incauto scollamento con la disciplina statale».
    7.2.  -  In  conclusione,  il  Laboratorio  «Madonna  della Neve»
ritiene  che  la  disposizione  impugnata  costituisca «un esempio di
vivido  contrasto  con  altre  norme  costituzionali»,  pure  da esso
richiamate  nel  ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo
rimettente,   ma   sulle  quali  quest'ultimo  «ha  ritenuto  di  non
soffermarsi».
    Tali  norme (identificate negli articoli 24, 32, 41, 72, 81 e 113
della    Costituzione)    risulterebbero    «tutte    ampiamente    e
cumulativamente violate», per i motivi che la parte suddetta illustra
nell'ultima parte della propria memoria.
    8.  -  In  data  26 gennaio  2005  anche  la  Regione  Puglia  ha
depositato   ulteriore   memoria,  con  la  quale  ha  insistito  nel
riproporre  le  conclusioni  gia'  rassegnate  nei precedenti scritti
difensivi,   riassumendo   -   per   il   resto   sinteticamente   le
considerazioni ivi svolte.
    9.  -  Ha depositato, infine, una memoria fuori termine il Centro
diagnostico salentino.

                       Considerato in diritto

    1.-  Il  Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione
staccata  di  Lecce,  ha  sollevato,  con tre distinti provvedimenti,
questione  di  legittimita'  costituzionale  -  per  violazione degli
articoli 3,  97  e  117  della  Costituzione - dell'art. 30, comma 4,
della legge della Regione Puglia 7 marzo 2003, n. 4 (Disposizioni per
la  formazione del bilancio di previsione 2003 e bilancio pluriennale
2003-2005  della  Regione  Puglia),  il quale stabilisce che «a norma
dell'art. 8-quinquies,  comma 1,  lettera d),  del  d.lgs. n. 502 del
1992,  ove le strutture pubbliche e private abbiano erogato volumi di
prestazioni  eccedenti il programma preventivo concordato, fissato in
misura corrispondente a quelli erogati nel 1998, e il relativo limite
di spesa a carico del Servizio sanitario regionale, detti volumi sono
remunerati   con  le  regressioni  tariffarie  fissate  dalla  Giunta
regionale».
    1.1.  -  Premessa  un'analitica  (ma  in  piu' punti disorganica)
ricostruzione  del  quadro normativo statale e regionale, concernente
la materia della spesa sanitaria per le prestazioni rese da strutture
pubbliche  e  private,  il  giudice  a  quo  ha  espresso dubbi sulla
conformita'  a Costituzione della disposizione suddetta, sia sotto il
profilo  della  sua intrinseca irragionevolezza, con riferimento agli
articoli 3 e 97 della Costituzione, sia sotto quello della violazione
dei  principi fondamentali fissati in materia dal decreto legislativo
30 dicembre  1992,  n. 502  (Riordino  della  disciplina  in  materia
sanitaria,  a  norma  dell'articolo 1  della  legge  23 ottobre 1992,
n. 421), in relazione all'art. 117 della Carta fondamentale.
    Il   rimettente,   sostanzialmente,   dubita  della  legittimita'
costituzionale  della  disposizione  censurata, in quanto la stessa -
sia   pure   nei  limiti  delle  risorse  economiche  necessariamente
ristrette, destinate al finanziamento della spesa sanitaria regionale
-   non   avrebbe   seguito,  fino  in  fondo,  quel  criterio  della
remunerazione  delle  prestazioni  sanitarie  -  rese dalle strutture
pubbliche  e da quelle private accreditate - che assume a riferimento
esclusivo  (previa  una  valutazione  comparativa  tra  le stesse) le
quantita' e qualita' delle prestazioni erogate da entrambe.
    La  norma  censurata, pertanto, si porrebbe in contrasto con quel
principio  di  equiordinazione  tra  i  due  tipi  di  strutture, che
costituisce  il  cardine  fondamentale  della legislazione statale in
materia.
    Come  corollario di tale impostazione, il giudice a quo, sia pure
confusamente,  dubita  anche  della legittimita' costituzionale della
disposizione  censurata «nella parte relativa alla determinazione del
tetto  cosiddetto  "montante",  fino  al  quale  la  remunerazione e'
erogata  in  misura pari al 100 per cento delle tariffe previste», in
quanto,   fissando   il   tetto   della   spesa   globale  in  misura
corrispondente  al valore attuale delle prestazioni erogate nel 1998,
non  terrebbe  conto, irragionevolmente, dell'andamento della domanda
negli  anni  successivi al 1998; andamento che dimostrerebbe, invece,
«il  divario  esistente  tra la domanda di prestazioni specialistiche
rivolta   alle  strutture  private  e  l'assegnazione  di  somme  per
l'acquisto   da  parte  del  Servizio  sanitario  regionale  di  tali
prestazioni».
    Cio'  integrerebbe,  in  particolare, la violazione del parametro
costituzionale  dell'art. 117  della  Costituzione, dando luogo ad un
evidente contrasto tra la norma regionale censurata e taluni principi
fondamentali  -  oltre quello, gia' menzionato, della equiordinazione
delle  strutture  pubbliche e private - desumibili dalla legislazione
statale,   quali,  in  sintesi,  quelli  della  «liberta'  di  scelta
dell'utente tra strutture equiordinate», della «efficace competizione
tra le strutture accreditate» e della necessita' che l'acquisto delle
prestazioni  avvenga  «a  seguito  di  valutazioni  comparative della
qualita' e dei costi».
    2.  -  Deve,  innanzi  tutto,  essere  disposta  la  riunione dei
giudizi, attesa l'identita' delle questioni sollevate.
    3.  -  In via preliminare devono essere rigettate le eccezioni di
inammissibilita'  sollevate  dalla  Regione  Puglia  e  dalla Azienda
unita'  sanitaria  locale  Lecce  1  sotto i profili della carenza di
motivazione  in  ordine alla rilevanza della questione, nonche' della
insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza.
    Dall'esame  complessivo dei provvedimenti del rimettente, emerge,
in  effetti,  con  sufficiente  approssimazione  (tale,  comunque, da
consentire  il  vaglio di questa Corte), l'oggetto del giudizio quale
sopra  si  e'  individuato.  Del  pari  emerge,  sia pure con qualche
difficolta' ricostruttiva, l'iter argomentativo seguito dal giudice a
quo,  che  appare sufficientemente idoneo a rivelare, da un lato, gli
aspetti  di  rilevanza  della questione e, dall'altro, il sostanziale
profilo della ritenuta sua non manifesta infondatezza.
    In  sostanza,  dai  provvedimenti  di rimessione si ricava che il
giudice  a  quo  dubita della legittimita' costituzionale della norma
censurata sotto due distinti profili.
    Il  primo  attiene  alla ingiustificata disparita' di trattamento
che  la  norma  regionale  impugnata  avrebbe creato tra le strutture
accreditate di sanita' privata e quelle di sanita' pubblica, quale si
desumerebbe,  in  particolare, dal differente modo in cui le une e le
altre  sono  finanziate.  Il  secondo  concerne,  specificamente,  il
riferimento   all'anno 1998   ai   fini  della  quantificazione,  per
l'anno 2003  (nel  corso  del  quale  le  prestazioni  di  assistenza
specialistica  ambulatoriale  sono  state  erogate),  del c.d. «tetto
montante»,  ignorando  cosi'  l'effettivo  andamento della domanda di
prestazioni  sanitarie proveniente dall'utenza nel periodo intercorso
tra le due annualita' indicate.
    4.  -  Orbene,  i  due  profili  sopra  evidenziati devono essere
esaminati partitamente.
    5.  -  Con  riferimento  al  primo  di  essi,  deve  ritenersi la
questione inammissibile.
    5.1.  -  Appare  ictu  oculi evidente l'errore di fondo in cui e'
incorso  il  giudice  a  quo,  il quale ha dato all'art. 30, comma 4,
della legge regionale n. 4 del 2003 un significato che oggettivamente
non ha, in quanto nello stesso non si rinviene affatto l'affermazione
secondo  cui il sistema di remunerazione delle prestazioni rese dalle
strutture sanitarie pubbliche sarebbe diverso da quello relativo alle
strutture private accreditate.
    La  disposizione  censurata,  in  realta', si limita a stabilire,
richiamando   l'art. 8-quinquies,  comma 1,  lettera d),  del  d.lgs.
n. 502  del 1992, che nel caso in cui le strutture pubbliche e quelle
private,   unitariamente   considerate,  abbiano  erogato  volumi  di
prestazioni  eccedenti  il programma preventivo concordato (fissato a
sua  volta  in  misura  corrispondente  ai  volumi dell'anno 1998), e
quindi  il  relativo  limite di spesa a carico del Servizio sanitario
regionale,   detti  volumi  «in  eccesso»  siano  remunerati  con  le
regressioni tariffarie fissate dalla Giunta regionale.
    Orbene,  la  disposizione  de  qua,  atteso  il suo contestuale e
specifico  riferimento, appunto unitario e indistinto, sia al settore
pubblico  che  a quello privato, non opera alcuna discriminazione tra
gli  stessi,  sicche'  la  disposizione,  di per se' considerata, non
risulta  in contrasto con gli invocati parametri costituzionali degli
artt. 3, 97 e 117 della Costituzione.
    5.2. - Il giudice a quo, sostanzialmente, ritiene che la Regione,
malgrado la formale affermazione della equiordinazione tra i due tipi
di   strutture,   pubbliche   e  private,  operi  una  ingiustificata
discriminazione  -  anche  per  effetto  di  norme  diverse da quella
censurata  e  di  atti  amministrativi  applicativi  di  tale diversa
normativa  regionale  -  tra  le  situazioni riconducibili all'uno ed
all'altro  tipo  di strutture, privilegiando quelle pubbliche a danno
di  quelle  private.  In  tal modo, pero', il rimettente, da un lato,
coinvolge  nelle  sue  doglianze  norme  che  non  formano oggetto di
rimessione  a  questa  Corte,  e  dall'altro,  rileva  come  in  sede
attuativa di principi, pure enunciati dalle disposizioni suddette, la
Regione abbia adottato determinazioni amministrative non coerenti con
il   disegno   normativo  desumibile  dalla  legislazione  statale  e
regionale.
    Piu'    in    particolare,    il    rimettente   sembra   dedurre
l'illegittimita'  costituzionale  della  disposizione  impugnata  dal
contenuto  di  altre  norme che egli stesso rinviene, in particolare,
nella  legge  della  Regione  Puglia  5 dicembre 2001, n. 32, recante
«Assestamento  e variazioni al bilancio di previsione per l'esercizio
finanziario 2001» (articoli 7 e 12), nonche' nella legge della stessa
Regione 30 dicembre   1994,   n. 38,   recante   «Norme  sull'assetto
programmatico,  contabile,  gestionale  e  di  controllo delle Unita'
sanitarie  locali  in  attuazione del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502 «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell'art. 1   della   legge  23 ottobre  1992,  n. 421»,  cosi'  come
modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517» (articoli
7   e   8).  Tali  norme  vengono  «criticate»  nella  parte  in  cui
disciplinano  la  formazione  del  bilancio consolidato delle Aziende
sanitarie  locali  (relativamente  ai  dati  delle  varie  gestioni),
articolato  nella  iscrizione, tra i ricavi, delle assegnazioni della
Giunta  regionale. Il Tribunale amministrativo, segnatamente, censura
tale  disciplina  in  relazione  alla  mancata previsione, per i vari
presidi  ospedalieri,  della  formazione  di un autonomo bilancio che
iscriva,  invece,  tra  i ricavi, il valore delle prestazioni rese, e
che sia finanziato in tal modo.
    Il rimettente, pero', non ha sollevato, come sarebbe stato invece
necessario,  questione  di legittimita' costituzionale delle predette
disposizioni   in   luogo  di  (o  in  aggiunta  a)  quella  relativa
all'art. 30, comma 4, della legge regionale n. 4 del 2003.
    Questa  Corte,  per  contro,  ha avuto modo di precisare che «non
possono costituire motivo di illegittimita' di una norma non solo gli
effetti  distorsivi che possono derivare da applicazione non corretta
(...),  ma  anche  gli effetti riflessi che costituiscono conseguenza
indiretta  di altre precedenti norme non denunciate» (sentenza n. 451
del 2000; nello stesso senso sentenza n. 63 del 1998).
    Ne'  sembra,  infine,  senza  significato - sempre nella medesima
prospettiva  della  declaratoria  di  inammissibilita' della presente
questione  di  legittimita', in relazione al profilo della (supposta)
violazione  del  principio  della  «equiordinazione»  delle strutture
pubbliche  e  private  -  la  circostanza che il principio de quo non
opera  in  rapporto  alle  fonti  di  finanziamento complessivo delle
strutture  del  settore sanitario, bensi' ai criteri e alle modalita'
di  remunerazione a tariffa delle sole prestazioni rese sulla base di
appositi accordi contrattuali.
    Cio'  comporta  che  tale  equiordinazione, al di fuori del campo
della  remunerazione  delle  prestazioni,  non  possa  coinvolgere il
finanziamento delle aziende pubbliche costituenti presidi ospedalieri
a  diretta  gestione delle AUSL di appartenenza. A questo riguardo e'
sufficiente  osservare che i predetti presidi, in relazione alla loro
struttura ed alle funzioni loro assegnate, svolgono compiti, ed hanno
correlative  esigenze  finanziarie,  ben  diversi dai compiti e dalle
esigenze delle strutture private.
    6.  -  Quanto,  poi,  al  secondo  profilo  in cui si articola la
denuncia di illegittimita' costituzionale avanzata dal giudice a quo,
deve escludersene la fondatezza.
    6.1.  -  Come si e' innanzi chiarito, il Tribunale rimettente, in
buona  sostanza,  ritiene  che  il  riferimento contenuto nella norma
oggetto  di  denuncia  ai volumi di prestazioni sanitarie erogate nel
1998  (ed  al  limite  derivante  dalla  relativa  spesa complessiva,
sostenuta  nello  stesso anno), determini una inammissibile sfasatura
temporale  tra  tali  elementi  e gli effettivi volumi di prestazione
(nonche' la spesa corrispondente) relativi all'anno 2003.
    Si  tratterebbe,  dunque,  di  una  previsione  irragionevole, in
quanto  il  legislatore  regionale  non avrebbe tenuto in alcun conto
l'andamento  della  domanda registrato nel quinquennio intercorso tra
il  1998  ed  il  2003,  e  cio'  con  evidente danno delle strutture
sanitarie private.
    6.2.  -  Orbene,  in ordine a tale doglianza occorre innanzitutto
premettere  che la norma censurata deve essere interpretata nel senso
che,  ai  fini  della  remunerazione  per  intero  a  valori  attuali
(riferiti  cioe'  all'anno in cui effettivamente le prestazioni siano
state rese), i volumi delle prestazioni medesime, vale a dire la loro
quantita'  e,  correlativamente,  la  spesa  complessiva, non possono
essere superiori a quelli del 1998.
    Cio' premesso, il riferimento - contenuto nella norma de qua - ai
predetti  volumi  e  limiti  di  spesa si presenta come il frutto, da
parte  del  legislatore  regionale,  di  una  scelta discrezionale di
politica  sanitaria  e  di contenimento della spesa, la quale, tenuto
conto   della   ristrettezza  delle  risorse  finanziarie  dirette  a
soddisfare le esigenze del settore, non risulta viziata da intrinseca
irragionevolezza.  Non  ricorre,  dunque, quella evenienza che, sola,
puo'  giustificare l'intervento sulla norma da parte di questa Corte,
in applicazione del parametro di cui all'art. 3 della Costituzione.
    Non  appare  dubbio,  infatti,  che  nel  sistema  di  assistenza
sanitaria  - delineato dal legislatore nazionale fin dalla emanazione
della   legge   di   riforma   sanitaria,  23 dicembre  1978,  n. 833
(Istituzione  del  Servizio  sanitario  nazionale)  -  l'esigenza  di
assicurare   la   universalita'   e   la   completezza   del  sistema
assistenziale  nel  nostro Paese si e' scontrata, e si scontra ancora
attualmente,  con la limitatezza delle disponibilita' finanziarie che
annualmente  e' possibile destinare, nel quadro di una programmazione
generale  degli  interventi  di carattere assistenziale e sociale, al
settore sanitario. Di qui la necessita' di individuare strumenti che,
pur  nel  rispetto  di  esigenze  minime,  di  carattere  primario  e
fondamentale,   del   settore   sanitario,  coinvolgenti  il  «nucleo
irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come
ambito  individuale della dignita' umana» (sentenza n. 509 del 2000),
operino come limite alla pienezza della tutela sanitaria degli utenti
del servizio. In tale contesto, inoltre, non e' senza significato che
la disposizione censurata - a conferma di quella che appare essere la
sua  specifica  finalita'  (commisurare l'attuazione del diritto alla
salute    alle   effettive   disponibilita'   finanziarie   dell'ente
territoriale)  -  sia  stata  inserita  nelle  norme  attinenti  alla
formazione del bilancio di previsione 2003 e del bilancio pluriennale
2003-2005 della Regione.
    Ed  e' anche significativo - come, d'altronde, riconosciuto dallo
stesso   giudice   a  quo  -  che  il  riferimento,  nella  impugnata
disposizione  della  legge  regionale di bilancio, all'anno 1998, con
particolare   riguardo   ai  volumi  quantitativi  delle  prestazioni
sanitarie  erogate  e  alla complessiva spesa sostenuta, trovi la sua
motivazione   nella   considerazione   che   per  le  prestazioni  di
specialistica  ambulatoriale  in  tale  anno «la capacita' produttiva
delle strutture private (...) si e' potuta esplicare senza limiti».
    E',   infatti,  proprio  il  Tribunale  rimettente  ad  affermare
testualmente  che, nell'interpretazione della disposizione impugnata,
«si  deve  tener  conto  che per il 1998, se la delibera della Giunta
regionale  n. 1800  del  1998  e  le  successive  integrazioni  hanno
previsto   un   tetto   di   spesa  globale  per  le  prestazioni  di
specialistica  ambulatoriale  e la delibera di Giunta regionale n. 74
del  1999  ha previsto una limitazione delle remunerazioni per i mesi
di ottobre e novembre, nessuna limitazione ha in concreto operato», e
cio'  «per  la  tardivita'  degli  atti adottati» in esecuzione delle
delibere suddette.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
        a) dichiara   inammissibile   la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 30,  comma 4,  della  legge  della  Regione
Puglia  7 marzo  2003,  n. 4  (Disposizioni  per  la  formazione  del
bilancio  di  previsione 2003  e bilancio pluriennale 2003-2005 della
Regione  Puglia),  sollevata,  in  riferimento agli artt. 3, 97 e 117
della  Costituzione,  dal  Tribunale  amministrativo  regionale della
Puglia,  sezione  staccata  di  Lecce,  con  le ordinanze indicate in
epigrafe;
        b)   dichiara   non  fondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dello  stesso  art. 30,  comma 4,  della  legge della
Regione  Puglia  n. 4  del  2003 sollevata, in riferimento all'art. 3
della  Costituzione,  dal  Tribunale  amministrativo  regionale della
Puglia,  sezione  staccata  di  Lecce,  con  le ordinanze indicate in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2005.
                        Il Presidente: Contri
                       Il redattore: Quaranta
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 18 marzo 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
05C0364