N. 168 SENTENZA 18 - 29 aprile 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati e pene - Offese alla religione cattolica mediante vilipendio di
  chi  la professa o di un ministro del culto - Pena della reclusione
  rispettivamente  fino  a  due anni e da uno a tre anni, anziche' la
  pena  diminuita  prevista per analoghi reati contro gli altri culti
  ammessi  nello  Stato  - Disparita' di trattamento tra la religione
  cattolica   e   le   altre  religioni,  lesione  del  principio  di
  imparzialita'  ed equidistanza dello Stato verso tutte le religioni
  - Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- Cod. pen., art. 403, primo e secondo comma.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 8, primo comma.
(GU n.18 del 4-5-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici:  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 403, primo e
secondo  comma,  del  codice  penale,  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento  penale,  dal  Tribunale  di  Verona  con  ordinanza del
16 marzo  2004,  iscritta al n. 628 del registro ordinanze del 2004 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, 1ª serie
speciale - dell'anno 2004;
    Visto l'atto di costituzione dell'imputato nel processo a quo;
    Udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2005 il giudice relatore
Guido Neppi Modona;
    Udito l'avvocato Ugo Fanuzzi per l'imputato.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -   Il   Tribunale  di  Verona  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 403, commi primo e secondo, del
codice  penale (Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio
di  persone),  in  riferimento  agli artt. 3, primo comma, e 8, primo
comma, della Costituzione.
    Il  giudice  rimettente  premette  di  procedere nei confronti di
persona  imputata  del  reato  in  esame  per avere offeso durante un
dibattito  televisivo la religione dello Stato mediante vilipendio di
chi la professa e di ministri del culto cattolico.
    Ai  fini  della  rilevanza  della  questione  il  giudice  a  quo
sottolinea che, ove l'imputato «fosse ritenuto responsabile del reato
di  cui  all'art. 403  cod.  pen.,  non  potrebbe  beneficiare  della
diminuzione  di  pena  di  cui  all'art. 406 cod. pen. prevista per i
culti  ammessi  e  quindi applicabile, dopo l'entrata in vigore della
legge  25 marzo  1985,  n. 121,  che  ha  dato esecuzione all'accordo
18 febbraio  1984  tra  lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, solo
alle confessioni religiose diverse da quella cattolica, non esistendo
piu' una religione di Stato».
    Quanto  alla non manifesta infondatezza, il rimettente rileva che
la  disciplina  censurata  prevede  un trattamento sanzionatorio piu'
grave   per   le   offese  alla  religione  cattolica,  non  trovando
applicazione, in tale ipotesi, la diminuente che l'art. 406 cod. pen.
riserva ai soli delitti commessi contro i culti ammessi nello Stato.
    Il  giudice  a  quo rileva inoltre che la Corte costituzionale ha
gia' dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli artt. 404 e 405
cod.  pen.  nella  parte  in cui non prevedono l'applicabilita' della
disposizione  di  cui  all'art. 406  cod.  pen.  anche ai casi in cui
l'offesa  viene  portata  alla  religione cattolica e sia realizzata,
rispettivamente, mediante vilipendio di cose o turbamento di funzioni
religiose.
    Ad   avviso   del   rimettente,   poiche'  tali  decisioni  hanno
radicalmente  modificato  la  precedente giurisprudenza della Corte e
definitivamente  affermato  il  principio  della  pari liberta' delle
varie  confessioni  religiose, ogni differenza di disciplina prevista
da   altre   fattispecie   incriminatrici   «si   rivela  essere  una
inammissibile discriminazione».
    Il  Tribunale rimettente solleva quindi questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 403 cod. pen. perche' prevede, per le offese
alla   religione   cattolica   mediante  vilipendio  di  persone,  un
trattamento  sanzionatorio piu' grave rispetto a quello stabilito per
le  offese  agli  altri culti ammessi nello Stato. In particolare, la
disciplina  censurata sarebbe in contrasto con l'art. 3, primo comma,
della  Costituzione,  che consacra la pari dignita' ed eguaglianza di
tutti  i  cittadini  davanti  alla  legge senza alcuna distinzione di
religione,  nonche'  con  l'art. 8,  primo comma, della Costituzione,
secondo  cui  tutte  le  confessioni religiose sono egualmente libere
davanti alla legge.
    2. - In data 12 giugno 2004 e' pervenuta alla Corte la nomina del
difensore di fiducia dell'imputato, la procura speciale e la elezione
di  domicilio  in Roma, atti trasmessi dallo stesso difensore «per la
trattazione    della   relativa   questione»   davanti   alla   Corte
costituzionale.
    Il   26 febbraio   2005  il  difensore  dell'imputato  ha  quindi
presentato   memoria   con  la  quale,  da  un  lato,  aderisce  alle
argomentazioni  del  Tribunale  di Verona a sostegno della fondatezza
della  questione  alla  luce delle precedenti sentenze della Corte in
materia e, dall'altro, chiede di «allargare il tema di indagine sulla
portata  della prospettata lesione dell'art. 3 della Costituzione, al
fine  di  pervenire  a  una  pronuncia  ben  piu'  radicale di quella
avanzata dal giudice rimettente».
    In  particolare,  sul  presupposto  che la disposizione censurata
determina  una  disparita'  di  trattamento  perche'  punisce solo le
offese  alla religione cattolica e ai culti ammessi nello Stato e non
anche  le  offese recate all'ateismo, all'agnosticismo e «a qualsiasi
religione  di cui si abbia umana memoria», il difensore dell'imputato
chiede  alla  Corte una declaratoria di illegittimita' costituzionale
da  cui  consegua  la  caducazione  totale della norma censurata, non
essendovi  spazio  in  materia  penale  per  alcuna pronuncia di tipo
additivo.  Ad  avviso  della  difesa,  la pronuncia richiesta sarebbe
infatti  l'unico modo per ripristinare «la parita' di trattamento tra
ideologie  religiose  positive  e negative, dal momento che le offese
all'onore  o  al decoro di chi crede e di chi non crede» trovano gia'
tutela  nelle  disposizioni  contenute  nel  capo del  codice  penale
concernente i delitti contro l'onore.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  di Verona solleva questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 403,  comma  primo  e  secondo,  del codice
penale  (Offese  alla  religione  dello  Stato mediante vilipendio di
persone),  in  quanto  punisce  con la reclusione fino a due anni chi
offende  la religione «mediante vilipendio di chi la professa» (primo
comma)  e  con  la reclusione da uno a tre anni chi commette il fatto
«mediante  vilipendio  di  un  ministro del culto cattolico» (secondo
comma),   mentre  l'art. 406  cod.  pen.  prevede  che  «la  pena  e'
diminuita»  qualora  i  medesimi fatti sono commessi «contro un culto
ammesso nello Stato».
    Premesso che a seguito delle modifiche al Concordato lateranense,
recepite con legge 25 marzo 1985, n. 121, e' venuto meno il principio
secondo  cui la religione cattolica e' la sola religione dello Stato,
e  che  pertanto  in  luogo  di  religione  dello Stato deve leggersi
religione  cattolica e in luogo di culti ammessi religioni diverse da
quella  cattolica,  il  Tribunale rimettente rileva che il piu' grave
trattamento   sanzionatorio  riservato  alle  offese  alla  religione
cattolica determina una «inammissibile discriminazione» nei confronti
delle altre confessioni religiose, in violazione degli artt. 3, primo
comma,   e  8,  primo  comma,  della  Costituzione,  che  sanciscono,
rispettivamente,  i  principi  dell'eguaglianza  di tutti i cittadini
davanti  alla  legge  senza  distinzione  di  religione e dell'eguale
liberta' di tutte le religioni davanti alla legge.
    2.  -  Preliminarmente,  si  deve  precisare  che la questione va
esaminata   entro   i   limiti   del   thema  decidendum  individuati
dall'ordinanza  di  rimessione (v. sentenze numeri 405 e 49 del 1999,
n. 63 del 1998 e n. 79 del 1996). Rimane percio' estranea al presente
giudizio la richiesta, prospettata dalla parte privata, di dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale dell'intera norma incriminatrice, in
quanto  volta ad introdurre un tema del tutto nuovo rispetto a quello
devoluto dal giudice a quo.
    3. - La questione e' fondata.
    4.  - Nell'ultimo decennio questa Corte, ripetutamente chiamata a
pronunciarsi  sulla  tutela penale del sentimento religioso, ha preso
in  esame,  per  quanto  qui specificamente interessa, le fattispecie
incriminatrici  previste  dagli  artt. 402,  404  e  405  cod.  pen.,
accogliendo,  in  riferimento agli artt. 3 e 8 della Costituzione, le
questioni  di legittimita' costituzionale sollevate per disparita' di
trattamento tra la religione cattolica e le altre religioni.
    In  ordine  di tempo, con la sentenza n. 329 del 1997 la Corte ha
dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale  dell'art. 404,  primo
comma,   cod.  pen.  (Offese  alla  religione  dello  Stato  mediante
vilipendio  di  cose),  nella  parte  in  cui  prevede «la pena della
reclusione  da  uno  a  tre anni, anziche' la pena diminuita prevista
dall'art. 406  del  codice  penale» per i medesimi fatti commessi nei
confronti di un culto ammesso nello Stato; con la sentenza n. 508 del
2000 ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 402 cod.
pen.   (Vilipendio   della   religione   dello   Stato),   eliminando
dall'ordinamento la fattispecie incriminatrice, in quanto il rispetto
della  riserva  assoluta  di  legge  in  materia  penale  non avrebbe
consentito  di  estendere  ai  «culti  ammessi» la tutela predisposta
dalla  norma  censurata solo nei confronti della religione cattolica;
infine,   con   la   sentenza   n. 327   del   2002   ha   dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 405 cod. pen. (Turbamento
di  funzioni  religiose  del culto cattolico), nella parte in cui per
tali  fatti  «prevede  pene  piu'  gravi,  anziche' le pene diminuite
stabilite  dall'articolo 406  del  codice penale per gli stessi fatti
commessi contro gli altri culti».
    Le  esigenze  costituzionali  di eguale protezione del sentimento
religioso   che   sottostanno   alla  equiparazione  del  trattamento
sanzionatorio  per le offese recate sia alla religione cattolica, sia
alle  altre  confessioni  religiose,  gia'  affermate da questa Corte
nelle sentenze n. 329 del 1997 e n. 327 del 2002, sono riconducibili,
da  un  lato,  al  principio  di eguaglianza davanti alla legge senza
distinzione  di  religione  sancito  dall'art. 3 Cost., dall'altro al
principio  di  laicita'  o  non-confessionalita' dello Stato (per cui
vedi  sentenze  n. 203  del  1989,  n. 259 del 1990, n. 195 del 1993,
n. 329  del 1997, n. 508 del 2000, n. 327 del 2002), che implica, tra
l'altro,  equidistanza  e  imparzialita'  verso  tutte  le religioni,
secondo  quanto  disposto  dall'art. 8  della  Costituzione,  ove  e'
appunto  sancita  l'eguale liberta' di tutte le confessioni religiose
davanti alla legge.
    Tali esigenze sono evidentemente presenti anche in relazione alla
attuale   questione  di  legittimita'  costituzionale,  che  riguarda
l'unica   fattispecie   incriminatrice  tra  quelle  contemplate  dal
capo dei delitti contro il sentimento religioso che ancora prevede un
trattamento sanzionatorio piu' severo ove le offese siano recate alla
religione cattolica.
    Poiche'  tutte  le  norme  del  capo in  esame  si riferiscono al
medesimo bene giuridico del sentimento religioso, che l'art. 403 cod.
pen.  tutela  in  caso  di  offese  recate  alla  religione cattolica
mediante  vilipendio  di  chi la professa o di un ministro del culto,
anche    tale    norma    appare   connotata   dalla   «inammissibile
discriminazione»  sanzionatoria tra la religione cattolica e le altre
confessioni  religiose  ripetutamente  dichiarata  costituzionalmente
illegittima da questa Corte.
    Si  impone  pertanto, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e
8,   primo   comma,   della   Costituzione,   la   dichiarazione   di
illegittimita'  costituzionale  dell'art. 403, primo e secondo comma,
cod.  pen.,  nella parte in cui prevede, per le offese alla religione
cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del
culto,  la pena della reclusione rispettivamente fino a due anni e da
uno  a  tre  anni, anziche' la pena diminuita stabilita dall'art. 406
dello stesso codice.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 403, primo e
secondo  comma, del codice penale, nella parte in cui prevede, per le
offese  alla  religione  cattolica  mediante  vilipendio  di  chi  la
professa  o  di  un  ministro  del  culto,  la  pena della reclusione
rispettivamente fino a due anni e da uno a tre anni, anziche' la pena
diminuita stabilita dall'art. 406 dello stesso codice.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                     Il redattore: Neppi Modona
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 29 aprile 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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