N. 268 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 gennaio 2005

Ordinanza  emessa  il  20  gennaio  2005  dal tribunale di Genova nel
procedimento penale a carico di El Hilali Abderrahim

Straniero e apolide - Espulsione amministrativa - Espulsione disposta
  per  ingresso illegale - Reato di trattenimento, senza giustificato
  motivo,  nel  territorio  dello  Stato in violazione dell'ordine di
  allontanamento  impartito dal questore - Nuova disciplina - Arresto
  da  uno  a quattro anni - Lesione del principio di ragionevolezza e
  di proporzionalita' della pena - Disparita' di trattamento rispetto
  a  fattispecie  analoghe  di cui agli artt. 650 cod. pen. e 2 della
  legge  n. 1423/1956  - Parita' di trattamento rispetto alle ipotesi
  piu' gravi di cui all'art. 13, comma 13-bis, del d.lgs. n. 286/1998
  - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  come  sostituito  dall'art. 1, comma 5-bis, della legge 12 novembre
  2004,  n. 271  [recte:  decreto-legge  14 settembre  2004,  n. 241,
  convertito,   con  modificazioni,  nella  legge  12 novembre  2004,
  n. 271].
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.21 del 25-5-2005 )
                            IL TRIBUNALE

    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
    El   Hilali   Abderrahim,  cittadino  sedicente  di  nazionalita'
marocchina,  tratto in arresto il 29 novembre 2004, e' stato condotto
dinanzi  a questo giudice per la convalida ed il contestuale giudizio
direttissimo in relazione al reato di cui all'art. 14 comma 5-ter del
d.lgs.  n. 286/1998 e successive modifiche, perche', ricevuto in data
15 aprile 2004 l'ordine scritto del Questore di Genova di lasciare il
territorio  dello  Stato  italiano entro il termine di cinque giorni,
ivi  si tratteneva senza giustificato motivo in violazione all'ordine
predetto.
    All'odierna udienza, svoltasi nelle forme del rito abbreviato, il
p.m.  ha  concluso  chiedendo  la  condanna dell'imputato. dall'esame
degli   atti  acquisiti  al  fascicolo  per  il  dibattimento  e,  in
particolare,  dalle  dichiarazioni  rese  dall'arrestato  in  sede di
udienza  di convalida, non pare possa profilarsi la sussistenza di un
giustificato   motivo   all'inosservanza,   da  parte  di  El  Hilali
Abderrahim,  dell'ordine  impartitogli  dal  questore  a  seguito  di
decreto  del  Prefetto di Genova emanato ai sensi dell'art. 13, comma
2,  lett.  a)  e  b) del d.lgs. cit.; ordine personalmente notificato
all'imputato  in  lingua  francese il 15 aprile 2004 ed in cui si da'
atto   dell'impossibilita'  sia  di  eseguire  l'espulsione  mediante
accompagnamento alla frontiera (per indisponibilita' del vettore o di
altro mezzo idoneo), sia di trattenere l'imputato presso un centro di
permanenza   temporanea  (per  carenza  di  posti  disponibili,  come
comunicato dal Servizio immigrazione del Ministero dell'interno).
    In relazione all'art. 14, comma 5-ter del d.lgs. n. 286/1998 come
sostituito  daIl'art. 1,  comma  5-bis  della  legge  n. 271  del  12
novembre  2004  (che ha convertito in legge con modificazioni il d.l.
n. 241  del  14  settembre  2004),  il tribunale solleva questione di
legittimita'  costituzionale nella parte in cui commina la pena della
reclusione da uno a quattro anni, per sospetta violazione:
        a)  dell'art. 3  della Costituzione, sotto il duplice profilo
dell'irragionevolezza  della scelta legislativa in merito all'entita'
della  pena comminata e dell'ingiustificata disparita' di trattamento
sanzionatorio rispetto a fattispecie analoghe;
        b)  dell'art. 27,  terzo  comma,  della Costituzione, perche'
prevede  una pena detentiva i cui limiti edittali appaiono, in quanto
sproporzionati  al  disvalore  dell'illecito,  del  tutto  divergenti
rispetto alla finalita' rieducativa del condannato.
    La  questione  assume rilevanza nel presente giudizio poiche', in
caso  di  accoglimento della richiesta di condanna avanzata dal p.m.,
questo  giudice  dovrebbe  infliggere  una pena detentiva che pare in
contrasto con le norme costituzionali sopra indicate.
    In  merito  al  primo dei profili d'illegittimita' denunciati, si
osserva   che,   sebbene   dal   controllo   demandato   alla   Corte
costituzionale  sia  escluso, ai sensi dell'art. 28 legge n. 87/1953,
«ogni sindacato sull'uso del potere discrezionale del Parlamento», la
stessa  Corte ha piu' volte precisato che l'esercizio di detto potere
«puo'   essere   censurato,   sotto  il  profilo  della  legittimita'
costituzionale,  soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il
limite  della  ragionevolezza»  (cosi'  Corte  costituzionale,  sent.
n. 409  del  1989;  v., altresi' sentenza n. 62 del 1986; n. 84/1997;
ordinanza n. 267 del 1999).
    Nel caso in esame, la scelta di inasprire la pena per il reato di
cui  all'art. 14  comma  5-ter  del  t.u.  in  tema  di  immigrazione
(raddoppiando  il  minimo e quadriplicando il massimo originariamente
previsti)  appare arbitraria in quanto non sorretta da criteri logici
e razionali, quale potrebbe essere un recente maggior allarme sociale
determinato  dalla  presenza  sul territorio dello Stato di stranieri
clandestini.
    Ad  avviso  del  giudicante, gli emendamenti apportati in sede di
conversione   del   decreto-legge   n. 241   del  14  settembre  2004
evidenziano   come   il  rigore  sanzionatorio  introdotto,  anziche'
rispondere a mutate esigenze di politica criminale, abbia quale unica
finalita'   quella   di   surrettiziamente   ripristinare   l'arresto
obbligatorio,  la  cui  previsione,  in  relazione  alla  fattispecie
incriminatrice  in esame, e' stata dichiarata illegittima dalla Corte
costituzionale  con  sentenza  n. 223  del  2004.  Al  riguardo  pare
opportuno   ripercorrere  brevemente  l'iter  che  ha  condotto  alle
modifiche   da   ultimo  inserite  nel  testo  unico  in  materia  di
immigrazione.
    Il  decreto-legge n. 241 del 14 settembre 2004, come si legge dal
preambolo,  e' stato emanato sulla base della ritenuta «necessita' ed
urgenza,  a  seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 222
del  15 luglio 2004, di modificare l'attuale disciplina in materia di
espulsioni  di  immigrati clandestini, per assicurare piena efficacia
alle  garanzie previste dall'art. 13 della Costituzione anche per gli
stranieri  per  i  quali  sia  stato  disposto l'accompagnamento alla
frontiera   e,   contestualmente,   prevedere   adeguate  misure  per
assicurare  la  massima celerita' dei provvedimenti di convalida e di
esecuzione delle espulsioni».
    In  attuazione di quanto deciso dalla Corte costituzionale con la
sentenza   su  indicata,  il  decreto-legge  n. 241/2004  ha  infatti
previsto,  all'art. 1  comma  1, la sospensione del provvedimento del
questore   di  allontanamento  dal  territorio  nazionale  sino  alla
decisione   da   parte  del  giudice  di  pace  sulla  convalida  del
provvedimento di accompagnamento alla frontiera.
    Lo   stesso   art. 1   ha  inoltre  sostituito  l'art. 14,  comma
5-quinquies del testo unico in materia di immigrazione (che prevedeva
l'arresto  obbligatorio  ed il giudizio direttissimo sia in relazione
al reato di inosservanza dell'ordine del questore di allontanarsi dal
territorio  dello  Stato  entro  il  termine di cinque giorni, sia in
relazione  al  reato di reingresso in Italia da parte dello straniero
espulso),  facendo venir meno la possibilita' di procedere ad arresto
nei  confronti  degli stranieri inottemperanti al predetto ordine del
questore (v. art. 1, comma 6 decreto legislativo cit.).
    E'  evidente  che  con tale ultima disposizione il legislatore ha
inteso  adeguarsi,  non gia' alla sentenza n. 222 del 15 luglio 2004,
bensi'  a  quella coeva con cui la Corte costituzionale ha dichiarato
l'illegittimita',   per   violazione   degli   artt. 3   e  13  della
Costituzione,  dell'art. 14,  comma  5-quinquies,  t.u.  immigrazione
«nella  parte  in  cui stabilisce che per il reato previsto dal comma
5-ter  del medesimo art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del
fatto»  (v.  sentenza  n. 223 del 15 luglio 2004 ove il giudice delle
leggi   ha   ritenuto  la  manifesta  irragionevolezza  della  misura
«precautelare»  prevista dalla norma censurata, non essendo la stessa
suscettibile di sfociare, in base al vigente ordinamento processuale,
in  alcun  provvedimento  coercitivo.  Sul punto si veda la Relazione
governativa  al  decreto  legge,  in cui si precisa che «in relazione
alla  sentenza  n. 223  del  2004  della  Corte costituzionale ... il
decreto  provvede  a  rimodulare  il  testo  della  norma  censurata,
escludendo  il  reato  di  cui  al comma 5-ter dalla disposizione che
impone l'arresto»).
    In   sede   di  conversione  del  decreto-legge  n. 241/2004,  il
legislatore, tra le altre modifiche apportate, ha:
        1)  reintrodotto  l'arresto  obbligatorio  per  la violazione
dell'ordine  del  questore  di  allontanarsi dal territorio nazionale
(salva   l'ipotesi  in  cui  il  provvedimento  di  espulsione  dello
straniero,  destinatario  dell'intimazione  del  questore,  sia stato
emesso  «perche'  il  permesso  di  soggiorno  e'  scaduto da piu' di
sessanta giorni e non ne e' stato richiesto il rinnovo»);
        2)  modificato  l'originario trattamento sanzionatorio per il
reato  suddetto,  stabilendo  la reclusione da uno a quattro anni, in
luogo  dell'originaria  pena  dell'arresto  da  sei  mesi ad un anno,
attualmente  riservata  al  solo  caso  in cui l'espulsione sia stata
decretata  per scadenza del permesso di soggiorno di cui non e' stato
richiesto il rinnovo (cfr. art. 1, comma 5-bis).
    Appare   dunque  evidente  -  nonostante  nel  corso  dei  lavori
preparatori  tali emendamenti siano stati presentati quale attuazione
della  pronuncia n. 223 della Corte costituzionale (cfr., ad esempio,
relazione 1ª Commissione in sede referente del 26 ottobre 2004) - che
solo mediante un adeguamento del limite edittale massimo per il reato
di   inosservanza   dell'ordine   del   questore  a  quello  previsto
dall'art. 280  cod.  proc.  pen.  ai fini dell'adozione di una misura
cautelare  coercitiva  (e,  in  particolare, a quello previsto per la
custodia cautelare in carcere), il legislatore ha potuto reintrodurre
l'arresto  obbligatorio  dell'autore del fatto, che lo stesso decreto
legge oggetto di conversione, in ossequio - esso si' - alla pronuncia
della Consulta, aveva eliminato dal previgente testo unico in materia
di immigrazione.
    La  misura della pena comminata per il reato in questione risulta
in  contrasto con l'art. 3 della Costituzione, non solo perche' priva
di  una  giustificazione  realmente  connessa  ad  un  mutamento  del
fenomeno  dell'immigrazione clandestina (che, attraverso la normativa
contenuta  nel  testo  unico  n. 286/1998, s'intende contrastare), ma
anche  perche'  non ragionevolmente rapportabile al tipo di illecito.
La  violazione  sanzionata  e'  invero  in  reato di pericolo, la cui
incriminazione  ha lo scopo di «rendere effettivo il provvedimento di
espulsione,   rimuovendo  situazioni  di  illiceita'  o  di  pericolo
correlate  alla  presenza dello straniero nel territorio dello Stato»
(cosi': Corte costituzionale, ordinanza n. 302/2004). E' pur vero che
l'art. 14,  comma  5-ter  prevede  un'ampia  cornice  edittale, si da
astrattamente  consentire  l'irrogazione  di  una  risposta  punitiva
modulata  sulle  singole  concrete  fattispecie.  Cio' nonostante, il
minimo  di  un  anno  di reclusione appare sproporzionato per eccesso
rispetto  ai  casi,  quale quello in esame, in cui il soggetto attivo
del reato non risulta in concreto socialmente pericoloso (trattandosi
di  straniero  che,  sebbene irregolarmente presente in Italia e, per
tale ragione, destinatario di un provvedimento di espulsione, risulta
privo di precedenti penali e di pendenze giudiziarie a suo carico).
    Il  principio  di  proporzionalita' tra pena e gravita' del fatto
(recentemente   recepito   nella  Carta  costituzionale  europea:  v.
art. II-109,  comma  3),  come piu' volte precisato dal giudice delle
leggi,  e'  espressione del piu' generale principio di uguaglianza di
cui  all'art. 3  della  Costituzione,  la cui osservanza da parte del
legislatore   fa  si  «che  il  sistema  sanzionatorio  adempia,  nel
contempo, alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle
posizioni  individuali»  (cosi'  Corte costituzionale n. 409/1989; si
veda altresi' sentenza n. 84 del 1997, in cui la Corte, ribadendo che
«la  valutazione  di  adeguatezza  delle sanzioni penali in relazione
alla  gravita'  dell'illecito  spetta  alla  ... discrezionalita' del
legislatore,  col limite della non irragionevolezza», ha ritenuto non
fondata   la   questione  di  legittimita'  dell'art. 93  del  d.P.R.
n. 570/1960, poiche' la norma impugnata commina pene determinate solo
nel  massimo  e  non  nel  minimo,  consentendo, dunque, che fatti di
minore  gravita'  siano puniti in concreto con le pene previste dagli
artt. 23 e 24 cod. pen.).
    A  dimostrazione dell'incongnuenza del rapporto tra disvalore del
fatto  incriminato  e  sanzione  penale comminata dall'art. 14, comma
5-ter,  vale  altresi'  il  raffronto tra detta disposizione e quella
contenuta   nell'art. 13,   comma   13-bis,   primo   periodo   d.lgs
n. 286/1998, che parimenti punisce con la reclusione da uno a quattro
anni  il  trasgressore del divieto di reingresso nello Stato italiano
conseguente  ad  un'espulsione  disposta  dal giudice e rispetto alla
quale,  singolarmente,  il  legislatore  del  2004  non  ha avvertito
l'esigenza di inasprire il trattamento sanzionatorio. Eppure trattasi
di  una  condotta  criminosa  piu'  grave rispetto a quella delineata
dall'art. 14,  comma 5-ter,  sia  perche'  implica  un  comportamento
attivo  da  parte  dello  straniero gia' espulso, sia - soprattutto -
perche'  realizzata  da  un  soggetto concretamente pericoloso per la
collettivita'  o  che,  comunque,  e'  gia'  stato  raggiunto  da una
sentenza   di   condanna.  Ai  sensi  degli  artt. 15  e  16,  d.lgs.
n. 286/1998,   l'espulsione  viene  infatti  disposta  dall'autorita'
giudiziaria:  1)  titolo  di  misura di sicurezza nei confronti dello
straniero,  socialmente pericoloso, condannato per uno dei delitti di
cui  agli artt. 380 e 381 c.p.p.; 2) a titolo di sanzione sostitutiva
di  una  pena  detentiva non superiore a due anni, sempre che non sia
possibile  formulare  nei  confronti  dello  straniero condannato una
prognosi  di  non  recidiva;  3)  a titolo di misura alternativa alla
detenzione  nei  confronti  dello  straniero  condannato  e che debba
scontare una pena, anche residua, non superiore a due anni.
    Appare  arduo comprendere la ragione della scelta di riservare ma
pena  identica  a fatti criminosi che lo stesso legislatore, solo nel
luglio  2002,  aveva  diversamente  apprezzato sotto il profilo della
lesione  dell'interesse pubblico tutelato, tanto da configurare l'uno
(il ritorno in Italia dello straniero coattivamente espulso a seguito
di provvedimento giurisdizionale) un delitto, l'altro (l'inosservanza
dell'intimazione   del   questore   ad  allontanarsi  dal  territorio
nazionale), una fattispecie meramente contravvenzionale da punire con
l'arresto da sei mesi ad un anno.
    Un'ulteriore   violazione   del   principio   costituzionale   di
uguaglianza  (che  impone un trattamento differenziato per situazioni
non  omogenee)  e'  ravvisabile ponendo a raffronto le pene comminate
dalla  norma impugnata e quelle comminate dall'art. 13, comma 13-bis,
secondo periodo, che punisce il reingresso in italia dello straniero,
gia'  denunciato  per  il  medesimo fatto e coattivamente espulso. In
relazione a tale ultima fattispecie incriminatrice il legislatore del
2004 ha per vero inciso sulla pena, limitandosi tuttavia ad innalzare
il  solo  limite massimo edittale (che e' passato da quattro a cinque
anni  di  reclusione), lasciando invece invariato il limite minimo di
in anno. La diversa gravita' delle condotte in esame, anche in questo
caso,  non  era  sfuggita  al legislatore del 2002, che aveva infatti
riservato  alle stesse un trattamento sanzionatorio ben differenziato
sotto il profilo qualitativo e quantitativo. Anche il lieve «ritocco»
apportato,  per  rimarcare  quella  che  il  legislatore non puo' che
continuare   a   considerare   ipotesi   piu'   grave,  non  rispetta
proporzionalmente  il  rapporto  tra  i  limiti (minimo e massimo) di
pena,  che  in  origine opportunamente distingueva le due fattispecie
incriminatici.  Ad  avviso  del  tribunale, appare comunque del tutto
irragionevole  punire  con lo stesso minimo edittale sia lo straniero
inottemperante  all'ordine  del  questore, sia lo straniero che, gia'
denunciato  per analogo reato (con cio' solo dimostrando una maggiore
pericolosita'  sociale),  ritorna  in  Italia  dopo esserne stato due
volte espulso manu militari.
    L'entita'   della   pena   comminata   risulta  irragionevolmente
sproporzionata  per  eccesso  non  solo  se  rapportata  alle  scelte
complessivamente  operate  dal legislatore in sede di conversione del
decreto  legge n. 241/2004, ma anche se raffrontata a quella prevista
in  relazione  a  fattispecie  criminose  analoghe  sotto  il profilo
oggettivo  e del bene giuridico tutelato. Il richiamo va all'art. 650
c.p.  che  punisce l'inosservanza di un provvedimento dell'autorita'.
Lo  scarto sanzionatorio esistente tra le pene previste dall'art. 14,
comma 5-ter e quelle comminate dall'art. 650 c.p. (arresto fino a tre
mesi  o  ammenda) appare difficilmente giustificabile a fronte di una
condotta  illecita  sostanzialmente  omogenea:  l'inosservanza  di un
provvedimento emesso dalla pubblica autorita' per motivi di sicurezza
pubblica  o  di  ordine pubblico (ragioni che, ai sensi dell'art. 13,
comma  1,  d.lgs.  n. 286/1998,  legittimano un decreto di espulsione
dello straniero da parte del Ministro dell'interno) e' infatti punita
in  maniera significativamente piu' severa se autore della violazione
e' un cittadino extracomunitario illegalmente presente sul territorio
nazionale.
    Ne  varrebbe  obiettare,  per  escludere l'irragionevolezza della
scelta legislativa, che le due norme poste a raffronto fanno parte di
distinti   contesti   legislativi,   posto   che   «il  canone  della
ragionevolezza  deve  trovare  applicazione  non  solo all'interno di
singoli comparti normativi, ma anche con riguardo all'intero sistema»
(v. in tal senso: Corte costituzionale, sentenza cit. n. 84/1997).
    La  denunciata  violazione del principio di proporzionalita' lede
altresi'  il  precetto costituzionale di cui all'art. 27, terzo comma
della    Costituzione,    poiche',   come   affermato   dalla   Corte
costituzionale,   «l'adeguamento  delle  risposte  punitive  ai  casi
concreti   -  in  termini  di  uguaglianza  e/o  differenziazione  di
trattamento  -  e' strumento per una determinazione della pena quanto
piu'  possibile  "finalizzata", nella prospettiva dell'art. 27, terzo
comma,  Costituzione»  (sentenza n. 50 del 1980). Invero, ma sanzione
non  corrispondente  al  disvalore  del  fatto  (nel  caso di specie,
sperequata  per eccesso) sarebbe avvertita dall'autore del reato come
non  «meritata»  e,  dunque,  lungi  dal rieducarlo, lo indurrebbe ad
ulteriori atteggiamenti di trasgressione alla legge.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    Solleva,  in  relazione  agli  artt. 3  e  27  terzo  comma della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14,
comma  5-bis,  del  d.lgs.  n. 286/1998, come sostituito dall'art. 1,
comma  5-bis  della legge 12 novembre 2004 n. 271, nella parte in cui
commina  la pena della reclusione da uno a quattro anni nei confronti
dello  straniero  che,  senza  giustificato  motivo, si trattiene nel
territorio  dello  Stato  in  violazione  dell'ordine  impartito  dal
questore.
    Manda  la  cancelleria  affinche'  gli  atti siano immediatamente
trasmessi alla Corte costituzionale.
    Sospende il giudizio in corso.
    Manda  la  cancelleria  affinche'  notifichi  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri e comunichi ai Presidenti delle due Camere del
Parlamento   l'ordinanza   di  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale.
        Genova, addi' 20 gennaio 2005
                          Il giudice: Bossi
05C0581