N. 225 SENTENZA 6 - 8 giugno 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Imposte   e   tasse  -  Accertamento  delle  imposte  sui  redditi  -
  Imprenditore  -  Prelevamenti  non  giustificati dai conti correnti
  bancari  - Presunzione che si tratti, detratti i relativi costi, di
  ricavi   -   Denunciata   violazione  del  principio  di  capacita'
  contributiva e irragionevolezza - Non fondatezza della questione.
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, primo comma, numero 2).
- Costituzione, artt. 3 e 53.
(GU n.24 del 15-6-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici: Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 32,  primo
comma,  numero  2),  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
29 settembre   1973,   n. 600  (Disposizioni  comuni  in  materia  di
accertamento  delle  imposte sui redditi), promosso con ordinanza del
4 novembre  2002  dalla  Commissione  tributaria  regionale di Torino
sull'appello  proposto da Nota Bruno contro l'Agenzia delle Entrate -
Ufficio  di Saluzzo, iscritta al n. 689 del registro ordinanze 2004 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, 1ª serie
speciale, dell'anno 2004.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 20 aprile 2005 il giudice
relatore Annibale Marini.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Con ordinanza del 4 novembre 2002 la Commissione tributaria
regionale  di  Torino  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 32,  primo  comma,  numero  2),  del decreto del Presidente
della  Repubblica  29 settembre  1973, n. 600 (Disposizioni comuni in
materia  di accertamento delle imposte sui redditi) - come sostituito
dall'art. 1  del  decreto  del Presidente della Repubblica n. 463 del
15 luglio  1982  -  nella parte in cui stabilisce «che i prelevamenti
annotati  nei conti bancari sono posti come ricavi se il contribuente
non ne indica il soggetto beneficiario».
    Premette il rimettente di essere chiamato a decidere, in grado di
appello,  sulla  impugnazione di un avviso di accertamento in materia
di   imposte   dirette,   precisando,  quanto  alla  rilevanza  della
questione,  che,  su  un  reddito  complessivamente accertato in lire
1.439.156.000,   ben  lire  1.231.898.000  derivano  da  prelevamenti
bancari non giustificati.
    Quanto alla non manifesta infondatezza, la Commissione tributaria
rileva  che  il  legislatore  tributario avrebbe costruito un sistema
basato  su  di  una  doppia  presunzione legale, in base alla quale i
prelevamenti  non  giustificati si presumono acquisti e questi ultimi
si  presumono ricavi, cosi' da sollevare l'amministrazione dall'onere
di  provare  l'effettiva  evasione  fiscale.  Tale doppia presunzione
sarebbe,  ad  avviso  del rimettente, logicamente viziata, tanto piu'
che ad essa necessariamente conseguirebbe «l'equazione» secondo cui i
ricavi  equivalgono a redditi, non essendo possibile detrarre i costi
da   ricavi   che   sono   considerati  tali  solo  per  disposizione
legislativa.
    Da   cio'   discenderebbe   -   ad   avviso   del   rimettente  -
un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento, quanto al criterio di
determinazione   del  reddito,  in  danno  di  quanti  sono  soggetti
all'accertamento in base alle risultanze bancarie.
    Aggiunge,  sotto  altro  aspetto,  il rimettente che il descritto
procedimento   accertativo,   in  virtu'  del  quale  i  prelevamenti
sarebbero considerati reddito, si sostanzierebbe in definitiva in una
sanzione impropria, determinando un maggior debito di imposta tale da
comportare  l'applicazione  della  «sanzione  propria», con ulteriore
disparita'   di   trattamento   tra  contribuenti,  a  seconda  della
metodologia di accertamento adottata.
    Dalle  considerazioni tutte che precedono discenderebbe, poi, che
la  disposizione  impugnata,  determinando  un  debito di imposta non
adeguato  alla  effettiva  capacita'  contributiva,  si  porrebbe  in
contrasto anche con l'art. 53 della Costituzione.
    2.   -   E'  intervenuto  in  giudizio,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei
ministri,   che  ha  concluso  per  l'inammissibilita'  o,  comunque,
l'infondatezza  della questione, ulteriormente illustrando le proprie
difese  in  una  memoria  depositata  nell'imminenza  della camera di
consiglio.
    Premesso  che  di  per  se'  la  disponibilita', o meno, di conti
bancari  e'  elemento  idoneo  a  differenziare  le diverse capacita'
contributive,  rileva  innanzitutto  la  difesa erariale che la norma
impugnata   determina  una  mera  inversione  dell'onere  probatorio,
essendo  consentito  al contribuente di liberarsi dagli effetti della
presunzione indicando il beneficiario del prelievo.
    Del tutto immotivata sarebbe, comunque, l'affermazione secondo la
quale  ne discenderebbe un'ingiustificata equiparazione dei ricavi ai
redditi.  La  pretesa  indeducibilita' dei costi dai ricavi presunti,
oltretutto  non  confortata  dalla  piu'  recente  giurisprudenza  di
legittimita',   deriverebbe   eventualmente   da   altra  norma,  non
individuata  dal  rimettente,  con  conseguente  difetto di rilevanza
della questione.
    Riguardo,  poi, alla asserita irragionevolezza della disposizione
impugnata,   l'Avvocatura   osserva   che   l'inversione   dell'onere
probatorio  che  deriva  dalla disposizione colpisce il comportamento
reticente del contribuente, ma non priva invece di adeguata tutela il
contribuente  che  cooperi  nella  esatta quantificazione del reddito
imponibile,  restando  priva  di  significato  -  nel  caso in cui la
presunzione  non  sia  vinta - una qualificazione degli effetti della
norma in termini di sanzione impropria.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La Commissione tributaria regionale di Torino dubita della
legittimita' costituzionale dell'art. 32, primo comma, numero 2), del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica 29 settembre 1973, n. 600
(Disposizioni  comuni  in  materia  di accertamento delle imposte sui
redditi),  nella  parte  in cui prevede che i prelevamenti effettuati
nell'ambito  dei  rapporti  bancari  siano posti, come ricavi, a base
delle rettifiche ed accertamenti dell'amministrazione finanziaria, se
il  contribuente  non ne indica il soggetto beneficiario e sempreche'
non risultino dalle scritture contabili.
    La  norma  sarebbe  -  ad  avviso  del  rimettente  -  lesiva del
principio  di  eguaglianza in danno dei titolari di rapporti bancari,
assoggettandoli   alla   irragionevole   doppia   presunzione  che  i
prelevamenti  non  giustificati  siano  acquisti e che dagli acquisti
derivino   ricavi,   costituenti   imponibile  per  l'intero,  stante
l'impossibilita'  di  dedurre  i  costi  da siffatti ricavi meramente
presunti.  Con  violazione, percio', anche del principio di capacita'
contributiva.
    2. - La questione non e' fondata.
    Va   premesso   che   l'assunto  del  rimettente,  relativo  alla
indeducibilita'   delle   componenti  negative  dal  maggior  reddito
d'impresa  accertato  in  base  alla  norma  impugnata,  non  solo e'
apodittico,   ma   risulta   altresi'  smentito  dalla  piu'  recente
giurisprudenza  di legittimita', secondo cui, in caso di accertamento
induttivo,  si  deve  tenere  conto  -  in  ossequio  al principio di
capacita'  contributiva - non solo dei maggiori ricavi ma anche della
incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti
dall'ammontare dei prelievi non giustificati.
    Cosi'   interpretata,   la  norma  si  sottrae  alla  censura  di
violazione dell'art. 53 della Costituzione, risolvendosi, quanto alla
destinazione  dei  prelievi non risultanti dalle scritture contabili,
in  una  presunzione  di  ricavi iuris tantum suscettibile, cioe', di
prova  contraria  attraverso  la  indicazione  del  beneficiario  dei
prelievi.
    Una  presunzione  siffatta  non appare, poi, lesiva del canone di
ragionevolezza  di  cui  all'art. 3  della  Costituzione, non essendo
manifestamente  arbitrario  ipotizzare  che i prelievi ingiustificati
dai  conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati
destinati  all'esercizio dell'attivita' d'impresa e siano, quindi, in
definitiva,  detratti  i  relativi  costi,  considerati in termini di
reddito imponibile.
    Deve,   infine,   escludersi   la  violazione  del  principio  di
eguaglianza  in  danno  dei  titolari  di  conti  bancari, essendo la
disponibilita' di tali conti elemento idoneo a legittimare il rilievo
meramente  probatorio  attribuito  al  prelievo  non  giustificato di
somme.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 32,  primo  comma,  numero  2),  del decreto del Presidente
della  Repubblica  29 settembre  1973, n. 600 (Disposizioni comuni in
materia  di  accertamento  delle  imposte sui redditi), sollevata, in
riferimento   agli   articoli 3   e   53  della  Costituzione,  dalla
Commissione  tributaria  regionale  di  Torino,  con  l'ordinanza  in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                        Il redattore: Marini
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria l'8 giugno 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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