N. 228 ORDINANZA 6 - 8 giugno 2005
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Procedimento davanti al giudice di pace - Applicazione della pena su richiesta delle parti - Esclusione - Denunciata disparita' di trattamento rispetto a reati attribuiti alla competenza del Tribunale, irragionevolezza, lesione del diritto di difesa, eccesso rispetto ai principi della legge delega - Manifesta infondatezza delle questioni. - D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 2. - Costituzione, artt. 3, 24, 76 e 77, primo comma. Reati e pene - Atti contrari alla pubblica decenza - Mancata depenalizzazione limitatamente all'ipotesi di condotta colposa - Denunciata irragionevolezza, disparita' di trattamento rispetto al delitto di atti osceni, contrasto con la funzione rieducativa della pena - Difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, difformita' tra la parte motiva e il dispositivo dell'ordinanza di rimessione - Manifesta inammissibilita' della questione. - D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, art. 44; legge 25 giugno 1999, n. 205, artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), in relazione all'art. 726 del codice penale. - Costituzione, artt. 3 e 27.(GU n.24 del 15-6-2005 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI; Giudici: Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nonche' dell'art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio), e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche del sistema penale e tributario), in relazione all'art. 726 del codice penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dal Giudice di pace di Pavia con ordinanza del 9 maggio 2003, dal Giudice di pace di Vittorio Veneto con ordinanze del 30 ottobre 2003 e del 5 febbraio 2004, dal Giudice di pace di Conegliano con ordinanze del 14 e 21 novembre 2003 e del 13 febbraio 2004, rispettivamente iscritte al n. 554 del registro ordinanze 2003 e ai numeri 19, 324, 668, 669 e 670 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, 1ª serie speciale, dell'anno 2003 e nn. 8, 17 e 33, 1ª serie speciale, dell'anno 2004. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2005 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto che con ordinanza del 9 maggio 2003 (r.o. n. 554 del 2003) il Giudice di pace di Pavia ha sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3, 76 e 77, primo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non consente il ricorso ai riti alternativi e in particolare all'applicazione della pena su richiesta nel procedimento davanti al giudice di pace; che il giudice rimettente rileva che la legge-delega 24 novembre 1999, n. 468, «nulla dispone circa l'applicabilita' dei riti alternativi nel processo davanti al giudice di pace e che l'esclusione dei medesimi (e, in particolare, del patteggiamento) [...] non appare ragionevolmente riconducibile ai principi generali ispiratori della legge di riforma ne' chiaramente funzionale allo scopo di massima semplificazione da questa perseguito»; che ad avviso del rimettente le motivazioni addotte nella Relazione al decreto legislativo n. 274 del 2000 a sostegno dell'esclusione dei riti alternativi «appaiono poco persuasive, se non addirittura inconferenti, in relazione ai reati di pericolo - tra i quali e' inquadrabile il reato di guida in stato di ebbrezza» oggetto del giudizio a quo - visto che per detti reati, da un lato, non si pone l'esigenza di «assicurare un'adeguata tutela delle ragioni della persona offesa» e, dall'altro, non si puo' ravvisare il rischio di «un aumento del contenzioso civile» come effetto della possibilita' di ricorrere al patteggiamento; che il giudice a quo ritiene che la disposizione censurata violi anche l'art. 3 Cost. sotto il profilo della ingiustificata disparita' di trattamento di «situazioni analoghe», in quanto solo nei procedimenti davanti al tribunale e' possibile usufruire della riduzione di pena collegata al patteggiamento; che la disparita' di trattamento non potrebbe ritenersi «compensata» dalle peculiarita' del processo penale davanti al giudice di pace, quali la particolare tipologia (e mitezza) delle sanzioni applicabili e le forme di definizione alternativa del procedimento: da un lato, infatti, le pene sono si' meno afflittive, ma caratterizzate dall'effettivita', in quanto non e' ammessa la sospensione condizionale; dall'altro, l'esclusione della procedibilita' nei casi di particolare tenuita' del fatto e' statisticamente di portata assai marginale e l'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie non ha un ambito di applicazione generale; che con ordinanza del 30 ottobre 2003 (r.o. n. 19 del 2004) il Giudice di pace di Vittorio Veneto ha sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la medesima questione di legittimita' costituzionale; che il giudice rimettente rileva che l'esclusione dell'applicazione della pena su richiesta sembra imposta dalla necessita' di assicurare una adeguata tutela delle ragioni della persona offesa e di assecondare la funzione conciliativa del giudice di pace, ma tali esigenze non eliminano la disparita' di trattamento derivante dalla diversita' della disciplina processuale rispetto a quella prevista per i reati di competenza del giudice ordinario; che la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza, in quanto l'istituto del patteggiamento risulta ammesso per i reati di maggiore gravita' attribuiti alla competenza del tribunale mentre non lo e' per i reati «minori» di competenza del giudice di pace, nonche' con l'art. 24 Cost., posto che «non e' possibile sottrarre all'imputato il suo fondamentale diritto alla difesa»; che ad avviso del rimettente l'irragionevolezza della disciplina e la lesione del principio di eguaglianza sono particolarmente evidenti nei casi in cui reati di competenza del Giudice di pace sono giudicati dal tribunale per connessione e risultano pertanto applicabili il patteggiamento e gli altri riti alternativi, «con tutti i relativi benefici per l'imputato sul piano sanzionatorio»; che con ordinanza del 5 febbraio 2004 (r.o. n. 324 del 2004) il medesimo Giudice di pace di Vittorio Veneto ha sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., analoga questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000, riproponendo, quanto all'art. 3 Cost., censure sostanzialmente corrispondenti a quelle svolte nell'ordinanza n. 19 del registro ordinanze del 2004; che il rimettente ritiene che la disposizione in esame violi anche l'art. 76 Cost. per eccesso di delega in relazione al criterio direttivo posto dall'art. 17 della legge 24 novembre 1999, n. 468, secondo il quale «il procedimento penale davanti al giudice di pace e' disciplinato tenendo conto delle norme del Libro VIII del codice di procedura penale riguardanti il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, con le massime semplificazioni rese necessarie dalla competenza dello stesso giudice», rilevando che nel Libro VIII e' compreso il Titolo III, relativo ai procedimenti speciali, e che, in particolare, il patteggiamento consente la massima semplificazione ed economia processuale; che nei giudizi relativi alle ordinanze iscritte al n. 554 del registro ordinanze del 2003 e ai numeri 19 e 324 del registro ordinanze del 2004 e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate; che ad avviso dell'Avvocatura rientrerebbe infatti nella discrezionalita' del legislatore «l'estensione o meno di una particolare disciplina, per di piu' speciale, [...] in una determinata area giurisdizionale»; che, in ogni caso, l'esclusione del patteggiamento sarebbe «immediatamente desumibile dalla legge-delega», in quanto gli istituti individuati dall'art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000, e segnatamente il patteggiamento, sono «estranei alla natura» del procedimento davanti al giudice di pace; che il rispetto del criterio della massima semplificazione, la vocazione conciliativa del giudice di pace, la modesta gravita' dei fatti devoluti alla sua cognizione, nonche' la natura delle relative sanzioni, comunque non detentive, hanno appunto indotto il legislatore a non prevedere riti alternativi «al di fuori dei meccanismi di improcedibilita' per tenuita' del fatto, nonche' di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie e all'oblazione»; che il Giudice di pace di Conegliano, con ordinanze del 14 novembre 2003 (r.o. n. 668 del 2004) e del 21 novembre 2003 (r.o. n. 669 del 2004), ha sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000, sulla base di considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nell'ordinanza n. 19 del registro ordinanze del 2004; che, infine, con ordinanza del 13 febbraio 2004 (r.o. n. 670 del 2004) il Giudice di pace di Conegliano ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000, riproponendo le stesse argomentazioni svolte nelle ordinanze numeri 668 e 669 del registro ordinanze del 2004; che inoltre il giudice a quo, nel prendere in esame il reato di atti contrari alla pubblica decenza (art. 726 cod. pen.), per cui procede, rileva che tra tale fattispecie e quella di atti osceni (art. 527 cod. pen.) intercorre un rapporto di genere a specie, in quanto il delitto di atti osceni «offende piu' intensamente ed in modo piu' grave il pudore sessuale»; ciononostante, l'art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio), che ha depenalizzato l'ipotesi colposa disciplinata dal capoverso dell'art. 527 cod. pen., ha mantenuto la punibilita', a titolo di colpa, per la fattispecie prevista dall'art. 726 cod. pen; che, alla luce di tali considerazioni, il giudice a quo solleva, su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44 del decreto legislativo n. 507 del 1999 e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche del sistema penale e tributario), in relazione all'art. 726 cod. pen. (Atti contrari alla pubblica decenza), nella parte in cui non prevedono la depenalizzazione, «sotto il profilo della colpa», della contravvenzione descritta da tale norma; che, in particolare, l'art. 3 Cost. sarebbe violato per irragionevolezza e per disparita' di trattamento, in quanto «se un soggetto commette atti indecenti (colposi) e' punito con sanzione penale, mentre se commette atti osceni (colposi) va esente da pena»; che per gli stessi motivi sarebbero violati il principio di colpevolezza e la finalita' rieducativa della pena (art. 27 Cost.). Considerato che tutti i rimettenti sollevano questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non consente il ricorso ai riti alternativi e, in particolare, all'applicazione della pena su richiesta delle parti nel procedimento davanti al giudice di pace; che deve pertanto essere disposta la riunione dei relativi giudizi; che le questioni sono sollevate in riferimento all'art. 3 della Costituzione da tutti i rimettenti, in riferimento anche all'art. 24 Cost. nelle ordinanze numeri 19, 668 e 669 del registro ordinanze del 2004, e in riferimento altresi' agli artt. 76 e 77 Cost. nelle ordinanze n. 554 del registro ordinanze del 2003 e n. 324 del registro ordinanze del 2004; che, quanto alla violazione dell'art. 3 Cost., i rimettenti in sostanza lamentano l'ingiustificata disparita' di trattamento riservata agli autori dei reati di competenza del giudice di pace, per i quali soltanto e' esclusa la possibilita' di accedere al patteggiamento, nonche' l'irragionevolezza di una disciplina che consente l'applicazione della pena su richiesta in relazione a reati di maggiore gravita', attribuiti alla competenza del tribunale o della corte d'assise, e la preclude, invece, per violazioni di minore gravita', di competenza del giudice di pace; che la lesione del principio di eguaglianza e l'irragionevolezza della disciplina sarebbero particolarmente evidenti quando, verificandosi ipotesi di connessione ai sensi dell'art. 6 del decreto legislativo n. 274 del 2000, reati di competenza del giudice di pace vengono ad essere giudicati dal giudice ordinario, con conseguente possibilita' per l'imputato di patteggiare anche con riferimento a tali reati; che ad avviso del Giudice di pace di Vittorio Veneto e del Giudice di pace di Conegliano l'impossibilita' di fruire del patteggiamento violerebbe altresi' il diritto di difesa dell'imputato; che, in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost., i Giudici di pace di Pavia e di Vittorio Veneto (r.o. n. 554 del 2003 e n. 324 del 2004) lamentano che, in assenza di un'espressa esclusione dei riti alternativi nella legge-delega, la scelta operata dal legislatore delegato non appare conforme ai principi ispiratori del procedimento davanti al giudice di pace e, soprattutto, al principio della massima semplificazione, posto che proprio il ricorso al patteggiamento contribuirebbe ad assicurare tale obiettivo; che, quanto alle censure mosse in riferimento all'art. 3 Cost., si deve tenere presente, da un punto di vista generale, che il procedimento davanti al giudice di pace presenta caratteri assolutamente peculiari, di per se' non comparabili con la struttura del procedimento davanti al tribunale e comunque tali da giustificare sensibili deviazioni rispetto al modello ordinario (per analoghe considerazioni, rispetto a vari istituti non previsti nel procedimento davanti al giudice di pace, v. da ultimo ordinanze numeri 349 e 201 del 2004, numeri 290 e 231 del 2003); che il decreto legislativo n. 274 del 2000 contempla forme alternative di definizione, non previste dal codice di procedura penale, che si innestano in un procedimento che concerne reati di minore gravita', con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo, in cui il giudice deve favorire la conciliazione tra le parti (artt. 2, comma 2, e 29, commi 4 e 5) e in cui la citazione a giudizio puo' avvenire anche sul ricorso della persona offesa (art. 21); che, in particolare, l'istituto del patteggiamento, cosi' come delineato nel codice di procedura penale, mal si concilierebbe con il costante coinvolgimento della persona offesa nel procedimento davanti al giudice di pace, anche con riferimento alle forme alternative di definizione del procedimento; che, infatti, il giudice, da un lato, puo' escludere la procedibilita' per la particolare tenuita' del fatto, ex art. 34, comma 2, solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento e, dall'altro, puo' pronunciare l'estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, ex art. 35, commi 1 e 5, solo dopo aver sentito la persona offesa; che le caratteristiche del procedimento davanti al giudice di pace consentono di ritenere che l'esclusione dell'applicabilita' dei riti alternativi sia frutto di una scelta non irragionevole del legislatore delegato, comunque tale da non determinare una ingiustificata disparita' di trattamento; che tali conclusioni non sono inficiate dal dato che in caso di connessione - peraltro circoscritta dall'art. 6 del decreto legislativo n. 274 del 2000 alla sola ipotesi di concorso formale di reati - e' consentito il ricorso al patteggiamento anche in relazione ai reati attratti nella competenza del giudice «superiore»; che, infatti, le situazioni addotte dai rimettenti a sostegno della supposta disparita' di trattamento sono tra loro affatto diverse e non possono essere oggetto di comparazione al fine del giudizio di costituzionalita'; che le considerazioni esposte valgono anche per i profili di illegittimita' riferiti all'art. 24 Cost., posto che le ragioni che giustificano l'omessa previsione del patteggiamento a loro volta escludono che sia ravvisabile una violazione del diritto di difesa; che, quanto alle censure mosse in relazione agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., per costante giurisprudenza di questa Corte i principi e i criteri direttivi della legge di delegazione devono essere interpretati sia tenendo conto delle finalita' ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte operate dal legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge-delega (v., ex plurimis, ordinanza n. 248 del 2004, nonche' sentenze n. 308 del 2002, n. 96 del 2001 e n. 230 del 1991); che, nella specie, l'art. 17, comma 1, della legge n. 468 del 1999 si limita a raccomandare al legislatore delegato di «tenere conto», quale modello di riferimento, del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, nonche' a prevedere lo svolgimento del giudizio in forma semplificata (lettera l), la introduzione di forme di definizione del procedimento nei casi di particolare tenuita' del fatto e di occasionalita' della condotta e di ipotesi di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie o risarcitorie, nonche' l'obbligo del giudice di procedere al tentativo di conciliazione (lettere f, g e h); che in attuazione di tali principi il legislatore delegato ha delineato un procedimento gia' di per se' caratterizzato da una accentuata semplificazione rispetto al procedimento davanti al giudice monocratico; che e' proprio la struttura complessiva del procedimento davanti al giudice di pace, accompagnata da specifiche forme di definizione alternativa, che consente di escludere che la omessa previsione del patteggiamento integri una violazione della legge-delega; che le questioni devono pertanto essere dichiarate manifestamente infondate in relazione a tutti i parametri costituzionali evocati dai rimettenti; che nell'ordinanza n. 670 del registro ordinanze del 2004 il Giudice di pace di Conegliano ha anche sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio), e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche del sistema penale e tributario), in relazione all'art. 726 del codice penale (Atti contrari alla pubblica decenza), nella parte in cui non prevedono la depenalizzazione della contravvenzione descritta da tale norma, limitatamente all'ipotesi di condotta colposa; che il rimettente lamenta che la disciplina censurata abbia depenalizzato la forma colposa del piu' grave delitto di atti osceni, prevista dall'art. 527, secondo comma, cod. pen., mentre continua a costituire reato la meno grave ipotesi contravvenzionale, attribuita alla competenza del giudice di pace, degli atti contrari alla pubblica decenza, punita anche a titolo di colpa; che pertanto la disciplina censurata violerebbe l'art. 3 Cost. sotto il duplice profilo della irragionevolezza e della disparita' di trattamento, nonche' l'art. 27 Cost. per contrasto con la funzione rieducativa della pena; che il rimettente, pur avendo espressamente enunciato nella parte motiva la questione di legittimita' costituzionale e indicato i relativi parametri di riferimento, nel dispositivo ha sollevato questione di legittimita' solo in relazione all'art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000; che inoltre il giudice a quo richiede alla Corte un intervento volto a eliminare la sola ipotesi colposa della contravvenzione prevista dalla norma incriminatrice, ma non fornisce alcuna indicazione da cui desumere la natura meramente colposa della fattispecie sottoposta al suo esame, cosi' omettendo di motivare in ordine alla rilevanza della questione; che sotto entrambi i profili la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Riuniti i giudizi, Dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77, primo comma, della Costituzione, dal giudice di pace di Pavia, dal Giudice di pace di Vittorio Veneto e dal Giudice di pace di Conegliano, con le ordinanze in epigrafe; Dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio), e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche del sistema penale e tributario), in relazione all'art. 726 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Giudice di pace di Conegliano, con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2005. Il Presidente: Capotosti Il redattore: Neppi Modona Il cancelliere:Di Paola Depositata in cancelleria l'8 giugno 2005. Il direttore della cancelleria: Di Paola 05C0665