N. 22 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 1 giugno 2005

Ricorso   per   conflitto  tra  poteri  dello  Stato,  depositato  in
cancelleria 1° giugno 2005 (della Camera dei deputati)

Parlamento  -  Mandato  parlamentare  - Adempimento da parte dell'on.
  Cesare  Previti,  sottoposto a procedimento penale - Partecipazione
  ai   lavori  parlamentari  -  Valore  di  legittimo  impedimento  a
  comparire  nelle  udienze penali fissate in concomitanza con essi -
  Diniego da parte del Tribunale di Milano, prima sezione penale, con
  provvedimenti  in  cui  si afferma che l'impedimento non opera, non
  consistendo  i  lavori  parlamentari di cui si tratta in votazioni,
  che  lo  stesso  non e' stato provato o che comunque il suo mancato
  riconoscimento  e'  rimasto  «innocuo»  - Conseguente rigetto delle
  eccezioni  difensive in ordine alla nullita' degli atti processuali
  compiuti  in  tali  udienze  nonche'  del  decreto  che  dispone il
  giudizio  -  Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
  sollevato   dalla   Camera   dei   deputati  -  Denunciata  lesione
  dell'autonomia   e   funzionalita'   delle   Camere   -   Incidenza
  sull'esercizio  della funzione legislativa e di quella di indirizzo
  politico   -   Compromissione  del  libero  esercizio  del  mandato
  parlamentare  -  Inadeguata  ponderazione  del  contemperamento tra
  esigenze  del  processo  ed  esigenze  del  mandato  parlamentare -
  Violazione  del  principio  di  ragionevolezza  -  Contrasto con il
  principio   di  leale  collaborazione  tra  poteri  dello  Stato  -
  Violazione  del  giudicato  costituzionale - Richiamo alla sentenza
  n. 225/2001 della Corte costituzionale.
- Ordinanze   del   Tribunale   di   Milano,  prima  sezione  penale,
  5 giugno 2000  e 1° ottobre 2001; sentenza del Tribunale di Milano,
  prima sezione penale, 22 novembre 2003, n. 11069.
- Costituzione,  artt. 3,  55,  64,  67,  68,  70, 72, 94, 134, comma
  secondo, e 137, comma terzo.
(GU n.24 del 15-6-2005 )
    Ricorso  della  Camera  dei  deputati,  in persona del Presidente
on. Pier  Ferdinando  Casini,  come  da deliberazioni dell'Ufficio di
Presidenza  n. 199  in  data 30 settembre 2004 e dell'Assemblea della
Camera  dei  deputati in data 4 ottobre 2004, rappresentato e difeso,
in  virtu' di procura ad litem per notar Francesco Colistra, in Roma,
rep.  n. 100.637 del 28 dicembre 2004, dall'avv. prof. Roberto Nania,
ed  elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Carlo
Poma n. 2.

    Contro il Tribunale di Milano, Sezione I penale, in ragione e per
l'annullamento  dell'ordinanza emessa dal Tribunale di Milano, Sez. I
penale,  in  data  5 giugno 2000, nell'ambito del procedimento penale
R.G.  879/00  nei confronti del deputato Cesare Previti, con la quale
sono   state  respinte  le  eccezioni  relative  al  dedotto  impegno
parlamentare   dell'imputato   concomitante   con  l'udienza  del  20
settembre 1999, ed e' stato altresi' disposto doversi procedere oltre
nel dibattimento; dell'ordinanza emessa dal Tribunale di Milano, Sez.
I   penale,  in  data  1°  ottobre  2001,  nell'ambito  del  medesimo
procedimento  penale  R.G.  879/00  nei confronti del deputato Cesare
Previti,  con  la  quale, relativamente allo stesso impedimento, sono
state  respinte  le eccezioni difensive in ordine alla nullita' degli
atti  processuali  tra cui il decreto che ha disposto il giudizio, ed
e'  stato  disposto  doversi  procedere oltre nel dibattimento; della
sentenza  adottata dal Tribunale di Milano, Sez. I penale, in data 22
novembre  2003,  n. 11069, sempre nell'ambito del procedimento penale
R.G.  879/00  nei confronti del deputato Cesare Previti, con la quale
e' stato implicitamente ribadito, ma senza alcuna motivazione, quanto
stabilito  nelle ordinanze del 5 giugno 2000 e del 1° ottobre 200l; e
per  la  statuizione  che non spetta all'autorita' giudiziaria, e per
essa al Tribunale di Milano, Sezione Prima penale, disconoscere nella
specie,   negandogli   validita',   l'impedimento   del   deputato  a
partecipare all'udienza penale per concomitanti impegni parlamentari,
cosi'  come  non  le spetta affermare che l'impedimento non opera non
consistendo i lavori parlamentari di cui si tratta in votazioni o che
l'impedimento  non  sia  stato  provato  o  che  comunque  il mancato
riconoscimento  dell'impedimento  sia rimasto «innocuo»; che pertanto
non  le  spetti  impedire  che  il  contemperamento  tra esigenze del
processo  ed  esigenze  del  mandato parlamentare venga realizzato in
concreto a seguito della declaratoria di nullita' degli atti compiuti
in tali udienze nonche' del decreto che dispone il giudizio.

                              F a t t o

    E'  da  rammentare  che con le ordinanze in data 17 settembre, 20
settembre,  22  settembre,  5  ottobre  e  6  ottobre  1999, adottate
nell'ambito  di  due diversi procedimenti penali, il G.U.P. presso il
Tribunale  di  Milano  respingeva  le  rispettive  istanze  di rinvio
dell'udienza  - motivate dalla concomitanza di impegni parlamentari -
avanzate  dall'on. Cesare  Previti,  che  in  quei  procedimenti  era
imputato.
    Avverso  tali  ordinanze,  la  Camera  dei deputati - ritenendole
lesive  delle  proprie  attribuzioni  costituzionalmente  garantite -
sollevava  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato con
ricorso depositato presso la Corte costituzionale in data 19 novembre
1999.
    In  data  6  luglio  2001,  con la sentenza n. 225/2001, la Corte
costituzionale,   accogliendo   il  ricorso  proposto  dalla  Camera,
annullava le ordinanze emesse dal G.U.P. stabilendo altresi' «che non
spettava  al  Giudice  per  le  indagini preliminari del Tribunale di
Milano,    in   funzione   di   giudice   dell'udienza   preliminare,
nell'apprezzare  i caratteri e la rilevanza degli impedimenti addotti
dalla  difesa  dell'imputato  per  chiedere  il  rinvio dell'udienza,
affermare  che l'interesse della Camera dei deputati allo svolgimento
delle    attivita'   parlamentari,   e   quindi   all'esercizio   dei
diritti-doveri  inerenti  alla  funzione parlamentare, dovesse essere
sacrificato  all'interesse  relativo alla speditezza del procedimento
giudiziario».
    Nelle more della decisione, la Prima Sezione penale del Tribunale
di Milano, che nel frattempo aveva assunto la competenza in ordine ad
uno dei due procedimenti originariamente incardinati presso il G.U.P.
(quello  contrassegnato  con  il  R.G. n. 879/00), si pronunziava sul
legittimo   impedimento   dell'on. Cesare   Previti   a   partecipare
all'udienza  tenutasi  innanzi  al  G.U.P. in data 20 settembre 1999,
asserendo  che  detto  impedimento  non  poteva  riconoscersi poiche'
«concerneva  non  la  partecipazione  a votazioni in assemblea, ma ad
altri lavori parlamentari» (cfr. l'ordinanza in data 5 giugno 2000).
    Successivamente,  la  medesima Sezione del Tribunale di Milano, a
seguito   della   menzionata   sentenza  della  Corte  costituzionale
n. 225/2001,  dichiarava  di  prendere  atto  dell'annullamento della
precedente  ordinanza  del  G.U.P.  in  data  20  settembre  1999, ed
ammetteva  esplicitamente  che  la stessa doveva considerarsi tamquam
non  esset.  Cio'  nonostante,  disponeva doversi procedere oltre nel
dibattimento  rilevando, in conformita' all'indirizzo precedentemente
assunto,«la  legittimita'  del  mancato  rinvio  dell'udienza  del 20
settembre  1999».  A  tale conclusione il tribunale perveniva - oltre
che  mediante  le precedenti considerazioni in merito alla natura dei
lavori  parlamentari  in data 20 settembre 1999 - anche accampando un
ulteriore  duplice  rilievo:  da  un  lato, osservava che la nullita'
delle  attivita'  dibattimentali  di  cui  si  tratta,  a  causa  del
disconoscimento  dell'impedimento parlamentare, era comunque «rimasta
"innocua"»;  dall'altro  rilevava che «l'allegazione dell'impedimento
(era)  stata  manchevole  ed  assolutamente  inidonea a consentire al
giudice  quella  valutazione  di  contemperamento  di esigenze che la
Corte  costituzionale ha ammonito dover costituire oggetto necessario
della  valutazione  del giudice» (cfr. l'ordinanza in data 1° ottobre
2001).
    I  medesimi  postulati venivano implicitamente fatti propri anche
dalla  sentenza in data 22 novembre 2003, conclusiva del procedimento
R.G. n. 789/00.
    In tal modo, l'Autorita' Giudiziaria, e per essa la Prima Sezione
penale  del  Tribunale  di  Milano, ha affermato, mediante i distinti
atti impugnati e specificati in epigrafe, un convergente indirizzo in
tema  di  impedimento parlamentare nel procedimento penale che, anche
in  ragione  delle motivazioni addotte a suo sostegno, risulta lesivo
delle   attribuzioni   costituzionali  della  ricorrente  Camera  dei
deputati, per i seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    Sulla ammissibilita' del ricorso.
    1.  - Giova preliminarmente osservare che nella specie sussistono
tutti i requisiti richiesti ai fini della ammissibilita' del presente
ricorso per conflitto di attribuzione.
    In  punto  di  legittimazione  attiva, e' appena da precisare che
secondo  la  consolidata giurisprudenza costituzionale, la Camera dei
deputati,  in  quanto  abilitata  ad  esprimere  in via definitiva la
volonta' del potere che essa rappresenta, e' facoltizzata a sollevare
conflitto  di  attribuzione  concernente  l'impedimento  del deputato
relativo  alla concomitanza tra lavori parlamentari ed udienze penali
(cfr. le sentenze nn. 225/2001; 263/2003; 284/2004).
    In  ordine  alla  legittimazione passiva del Tribunale di Milano,
Sez.  I  penale,  la gia' richiamata giurisprudenza costituzionale ha
riconosciuto  -  proprio  con  specifico riferimento alle fattispecie
riguardanti  l'impedimento  parlamentare  -  «la legittimazione degli
organi  giudiziari che hanno adottato i provvedimenti in relazione ai
quali  e'  promosso  il  conflitto di attribuzione a essere parti del
medesimo,  poiche',  come ripetutamente affermato da questa Corte (da
ultimo,  ordinanze  n. 84,  n. 37  e n. 6 del 2002), i singoli organi
giurisdizionali  sono  legittimati,  nell'esercizio  della funzione a
essi   assegnata   dalla   Costituzione   ed   esercitata   in  piena
indipendenza,   a   essere  parti  nei  conflitti  costituzionali  in
questione» (cosi' l'ordinanza n. 126/02).
    Quanto  ai  requisiti  oggettivi  del  conflitto di attribuzione,
nessun dubbio puo' esservi sulla loro sussistenza. E' ampiamente noto
che  il  conflitto  risolvibile ai sensi degli articoli 134, Cost., e
37,  legge  n. 87/1953,  si  configura  quando  -  sia sotto forma di
vindicatio  potestatis, sia sotto forma di conflitto da menomazione o
da  interferenza  - si controverta in ordine alla delimitazione della
sfera  delle  attribuzioni di cui sono titolati i poteri dello Stato.
Ora,  che  nella  specie  la  controversia  presenti  siffatta natura
risulta  di  immediata  evidenza,  dovendosi  stabilire se mediante i
provvedimenti   impugnati   emessi   nell'esercizio   della  funzione
giurisdizionale  (artt. 101  e  102  ss. Cost.), tutti concernenti la
materia dell'impedimento parlamentare, si sia inciso illegittimamente
sulle  attribuzioni della Camera con particolare riguardo, come sara'
ulteriormente  dimostrato  nella parte sul merito del conflitto, alle
disposizioni   costituzionali  poste  a  tutela  della  indipendenza,
autonomia  ed integrita' della Camera, nonche' di quelle, preordinate
alla  tutela  dei medesimi valori, che presidiano il libero esercizio
del mandato rappresentativo.
    Quanto  all'interesse  specifico  della  Camera  dei  deputati  a
proporre il presente ricorso per conflitto di attribuzioni, giova sin
d'ora  segnalare  che nella specie detto interesse discende dal fatto
che  gli  atti  impugnati non hanno proceduto ad alcun bilanciamento,
allo  scopo  di  renderle compatibili, tra le esigenze del processo e
quelle  connesse  all'attivita'  parlamentare;  interesse  ancor piu'
attuale  dopo  l'intervenuto  annullamento  degli  atti del G.U.P. di
Milano da parte della sentenza della Corte costituzionale n. 225/2001
che  una siffatta modalita' di bilanciamento aveva prescritto. Il che
sarebbe sufficiente, considerata la divergenza di vedute tra i poteri
interessati, a comprovare la sussistenza dell'interesse al ricorso in
ragione  della lesivita' che il contenuto decisorio dei provvedimenti
in oggetto e' di per se' suscettibile di esprimere, soprattutto sotto
l'aspetto  della  vanificazione  del  conflitto  gia'  proposto dalla
Camera  e risolto con la predetta declaratoria di nullita' degli atti
del  G.U.P.  Altrettanto  chiaro l'interesse della ricorrente a veder
stigmatizzata  l'affermazione, reiterata nei provvedimenti impugnati,
in  ordine  alla  pretesa inidoneita' della prova dell'impedimento di
cui   si   tratta   con   conseguente   negazione   della   validita'
dell'impedimento  stesso:  affermazione che, per le argomentazioni in
cui  si  articola,  risulta lesiva, come meglio si vedra' in seguito,
della posizione del singolo deputato e della Camera nel suo complesso
nonche' del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato,
anche  alla  luce  della  sua  portata palesemente elusiva del canone
della  coesistenza  tra  esigenze  del  processo  ed  esigenze  delle
funzioni parlamentari.
    Violazione  sotto diversi profili degli artt. 55, 64, 67, 68, 72,
oltre   che   degli  artt. 70  e  94  Cost.,  nonche'  del  principio
costituzionale   che   ne   discende,   di  cui  alla  giurisprudenza
costituzionale,  di  bilanciamento tra esigenze del processo e tutela
della  integrita'  funzionale  della Camera; Violazione del giudicato
costituzionale  con  conseguente  lesione  delle  attribuzioni  della
Camera  in  esso  riconosciute  e  di cui ai parametri costituzionali
appena   richiamati;   Violazione  del  principio  costituzionale  di
ragionevolezza  e  di leale cooperazione tra poteri dello Stato anche
in riferimento ai medesimi principi costituzionali.
    2.  - Nel merito, come gia' si e' avuto modo di rammentare con la
sentenza  n. 225/01,  la  Corte  costituzionale -  nel  risolvere  il
conflitto  di  attribuzioni  determinatosi anteriormente all'apertura
del  dibattimento,  nell'ambito  dello stesso procedimento penale dal
quale  trae  origine  il  presente  conflitto  -  ha statuito che non
spettava  al  G.U.P.  di  Milano, pur chiamato ad applicare le comuni
regole processuali in materia, disconoscere l'impedimento a comparire
all'udienza   del   20   settembre   1999,  addotto,  in  ragione  di
concomitanti   impegni  di  carattere  parlamentare,  dall'on. Cesare
Previti che nel predetto procedimento era imputato.
    La  Corte ha dunque annullato l'ordinanza emessa in pari data dal
medesimo  G.U.P.,  puntualizzando che questi, in sede di applicazione
dell'art. 486 c.p.p. in tema di impedimento dell'imputato a comparire
in  udienza,  avrebbe  dovuto  tenere  conto «non solo delle esigenze
delle  attivita'  di  propria  pertinenza,  ma anche degli interessi,
costituzionalmente   tutelati,   di  altri  poteri,  che  vengano  in
considerazione ai fini dell'applicazione delle regole comuni»; e cio'
proprio  «ai  fini  dell'apprezzamento degli impedimenti invocati per
chiedere il rinvio dell'udienza».
    Giova   aggiungere   che   l'anzidetta  ratio  decidendi  trovava
ulteriore  e  circostanziato  svolgimento  nella  stessa sentenza, in
particolare  la'  dove  -  stante,  puo' ben dirsi, la indispensabile
convivenza   tra   il   diritto-dovere   di   partecipare  ai  lavori
parlamentari  ed  il  diritto-dovere di prendere parte alle udienze -
veniva  additata  la  possibilita'  di  «adattare  i  calendari delle
udienze,  previamente  stabiliti  e discussi con le parti, in modo da
tenere   conto   di  prospettati  impegni  parlamentari  concomitanti
dell'imputato»;  considerato  altresi' che - come il giudice potrebbe
facilmente  accertare  «data  la  pubblicita' degli atti e dei lavori
parlamentari»  - vi sono nel corso dell'anno giorni e periodi «in cui
non  vengono programmate riunioni degli organi parlamentari», sicche'
mediante  la  semplice  «consultazione  dei  calendari parlamentari»,
sarebbe  agevole  scongiurare quella «concomitanza con i lavori della
Camera»  che  si  e'  verificata  nella  specie  e che ha determinato
appunto l'annullamento dei provvedimenti giudiziari.
    Mette  conto  evidenziare  che nella stessa sentenza in esame, la
Corte  ha  precisato  che  detti  canoni di comportamento - derivanti
dalla «parita' di rango costituzionale degli interessi configgenti» -
devono   operare   con  riguardo  alla  intera  attivita'  di  natura
parlamentare, che consista o meno in votazioni: atteso che altrimenti
non  sarebbe adeguatamente garantito l'interesse del Parlamento, «sia
per  la  netta  (e  quanto meno discutibile) distinzione che verrebbe
cosi' introdotta fra diversi aspetti dell'attivita' del parlamentare,
tutti riconducibili egualmente ai suoi diritti e doveri funzionali».
    Ora,  i provvedimenti oggi contestati incorrono nei medesimi vizi
ravvisati  dalla  Corte  costituzionale  ed  appena  riassunti: basti
osservare  che essi, mediante capziose ed unilaterali interpretazioni
della  normativa  processuale, negano in definitiva qualunque rilievo
all'interesse  costituzionalmente garantito della Camera dei deputati
a   veder   adeguatamente  riconoscere  l'incidenza  dell'impedimento
parlamentare   nello   svolgimento   della   attivita'   processuale,
sottraendosi  in  concreto  all'obbligo  di  bilanciare  le  esigenze
processuali  con quelle della integrita' funzionale del Parlamento in
modo  da  renderne  possibile la coesistenza e da assicurare cosi' il
sereno  esercizio  da  parte del deputato dei diritti-doveri inerenti
alla funzione.
    E'  sufficiente  leggere le due ordinanze emesse dal Tribunale di
Milano,  Sez.  I penale, per avere l'immediata conferma del fatto che
detto  bilanciamento e' stato del tutto omesso o che comunque esso ha
avuto  un  esito  irragionevole  ed  inadeguato,  con  la conseguente
lesione delle attribuzioni della ricorrente Camera dei deputati.
    Per  quanto attiene alla ordinanza del 5 giugno 2000, va premesso
che essa andrebbe considerata travolta in via automatica dalla citata
sentenza  n. 225/2001,  a  nulla  valendo  il tentativo, effettuato a
posteriori  dall'ordinanza  del  1°  ottobre  2001,  di integrarne la
motivazione  al  fine  di sanarne retroattivamente gli effetti lesivi
oramai  prodottisi. In ogni caso, essa e' incentrata in via esclusiva
sulla  circostanza  che  il  legittimo impedimento «concerneva non la
partecipazione   a   votazioni  in  assemblea,  ma  ad  altri  lavori
parlamentari», di talche', sempre ad erroneo avviso del giudice, «non
era  dovuto  il  rinvio dell'udienza e la sua celebrazione in assenza
dell'imputato  (da ritenersi espressione di sua libera scelta) non ha
comportato alcun vizio di nullita».
    Per  parte  sua,  la  ordinanza  del 1° ottobre 2001, pur essendo
intervenuta  successivamente alla sentenza della Corte costituzionale
sopra  citata  -  omettendo  ancora  una volta qualsiasi ponderazione
degli   interessi   costituzionalmente  garantiti  della  Camera  dei
deputati   -   e'   arrivata   alla  conclusione  di  proseguire  nel
dibattimento, postulando che «la nullita' dell'ordinanza 20 settembre
1999,  pure  intervenuta,  nel  caso  specifico  in esame, e' rimasta
"innocua"»,   ossia   pretesamente   priva  di  qualunque  lesivita',
nonostante  la  decisione  della  Corte costituzionale, nei confronti
della   posizione   del   deputato.   Altrettanto   irragionevole  ed
unilaterale  e'  l'ulteriore  argomentazione  per  la  quale  sarebbe
mancata «idonea allegazione» dell'impedimento, tale non essendo - per
le  pretese  ragioni  ivi  esposte  e che di seguito si vedranno - il
«foglio-lettera  intestata,  datata 17 settembre 1999 dell'on. Pisanu
indirizzata agli onorevoli Frattini e Previti».
    Per  non  dire,  infine, della sentenza in data 22 novembre 2003,
adottata  sempre dalla medesima sezione del Tribunale di Milano, dove
e'  stato  sbrigativamente  ribadito,  ed  addirittura  per implicito
stante  l'assenza  di  specifica  motivazione  sul  punto,  lo stesso
orientamento adottato dalle due ordinanze sopra considerate.
    Ebbene,  la  giurisprudenza  costituzionale ha escluso in termini
univoci  che,  in  presenza  di  un impegno parlamentare anche non di
votazione, il giudice sia esentato ut sic dall'obbligo di riconoscere
all'impegno stesso il peso che gli e' costituzionalmente dovuto nella
modulazione   della   attivita'   processuale   (cfr.   le   sentenze
nn. 225/2001  e  263/2003).  Inoltre,  la  Corte costituzionale nella
citata  sentenza n. 263 del 2003, ha evidenziato come, in presenza di
una  allegazione  di  impedimento  di carattere parlamentare, risulta
comunque  indispensabile  che  il  giudice  proceda alla ponderazione
dell'interesse  della Camera ed al relativo confronto con l'interesse
del  processo, non essendogli consentito eludere tale ponderazione in
forza  di  pretese riserve di carattere probatorio, ossia limitandosi
«a osservare che non sarebbe stato specificato se il deputato avrebbe
effettivamente  partecipato  ai  lavori  o  se  la sua presenza fosse
indispensabile  in  Parlamento». Proposizioni pressoche' identiche si
trovano  formulate  anche  nella sentenza n. 284 del 2004, dove si e'
argomentato,  ai  fini  dell'annullamento  dell'atto  giudiziario che
aveva negato la validita' dell'impedimento parlamentare addotto, come
il  giudice  si  fosse  «trincerato  dietro  un  rilievo  di  pretesa
tardivita'  dell'istanza  (presentata  peraltro  gia' il giorno prima
della udienza fissata) pur in assenza di qualsiasi termine prescritto
per  l'allegazione  dell'impedimento».  E  si  e' altresi' censurato,
ancora  piu'  in  termini  vista la trasparente allusione al riguardo
reperibile  nella  ordinanza  del  1°  ottobre  2001,  «l'improbabile
rilievo  della  possibilita'  di conciliare le due presenze in citta'
diverse e lontane nel giorno in questione».
    Ne  deriva,  in termini che piu' chiari ed univoci non potrebbero
essere,  la riprova che l'obbligo, imposto dal sistema costituzionale
delle  attribuzioni,  della  ponderazione tra esigenze processuali ed
esigenze  della funzione parlamentare, a fronte della allegazione del
relativo  impedimento,  e'  appunto  immanente  ad ogni attivita' del
giudice:  di  talche'  questi - a meno, per ipotesi, di contestare la
stessa  veridicita'  della  allegazione  -  non  vi si puo' sottrarre
accampando semplicemente ragioni di ordine probatorio. Ne' tanto meno
vi  si  puo'  sottrarre  elaborando  alla  bisogna  la non conosciuta
categoria   della   «innocuita»  della  illegittimita'  compiuta  dal
giudice:  dove  addirittura  il  riconoscimento  del  vizio in cui e'
incorso  il  provvedimento  del  G.U.P.,  ossia  l'aver  precluso  al
deputato  la  possibilita' di partecipare all'udienza, non mette capo
alla   ovvia   esigenza  di  emendare  il  processo  dalla  acclarata
violazione  delle  regole  costituzionali  che reggono l'ordine delle
attribuzioni   dei   poteri  dello  Stato,  ma  induce  a  confermare
l'anzidetto vulnus.
    Sotto  un  diverso  ma  convergente profilo, non puo' non suonare
conferma  della  portata obiettivamente elusiva del modo di procedere
dell'autorita'  giudiziaria  nella vicenda in questione, il fatto che
l'idoneita'  probatoria  della  documentazione  prodotta nella specie
risultava  gia'  a  suo tempo appurata dal G.U.P.: esso difatti - pur
avendo   negato,   nei  termini  poi  stigmatizzati,  ogni  rilevanza
all'impedimento  -  aveva  dato atto che la documentazione depositata
dalla  difesa  del  deputato era idonea ad «attestare» l'«impedimento
parlamentare».
    Al   che   aggiungasi  che  il  dato  obiettivo  della  esistenza
dell'impedimento  ha  costituito il presupposto, ancorche' implicito,
della   piu'   volte  citata  pronunzia  della  Corte  costituzionale
n. 225/01,  non  fosse  altro  che  alla  luce di quanto affermato in
sentenza  in  ordine  alla  «pubblicita'  degli  atti  e  dei  lavori
parlamentari»,  e  per  conseguenza della praticabilita' del relativo
riscontro,  se  del  caso,  da parte del giudice procedente. Resta da
sottolineare  che  l'omessa  ponderazione appare, se possibile, ancor
piu'   rilevante  per  i  provvedimenti  giudiziari  successivi  alla
sentenza  n. 225/01:  cio'  in  quanto, disattendendo detta sentenza,
ossia  non  osservando  gli  obblighi  applicativi  e  gli  ulteriori
adempimenti  indicati  dalla Corte intesi ad inverare la regola della
coesistenza  tra attivita' processuale ed attivita' parlamentare, si'
e'  lasciata  integra - ed anzi la si e' ulteriormente aggravata - la
lesione  determinatasi  a  carico  della  posizione  della  Camera ed
acclarata nella sentenza stessa.
    Sotto  questo aspetto, deve avanzarsi, a carico dei provvedimenti
impugnati  e  segnatamente  della ordinanza in data 1° ottobre 2001 e
della  sentenza in data 22 novembre 2003, l'ulteriore doglianza della
violazione   del   giudicato  costituzionale  (art. 134,  comma  2  e
art. 137, comma 3, Cost.), posto che una siffatta violazione non puo'
che  ridondare in lesione delle attribuzioni della Camera che in quel
medesimo  giudicato hanno trovato il loro riconoscimento ai sensi dei
principi e delle disposizioni costituzionali menzionate in rubrica.
    Si  aggiunga che la riaffermazione della pretesa legittimita' del
modo  di  procedere  del  G.U.P.,  l'aver  negato  al parlamentare il
diritto  di  partecipare  alle  udienze  (art. 24  Cost.)  nonostante
l'impedimento,  determina  di  per se' la reviviscenza della volonta'
lesiva   ivi  contenuta  e  con  essa  la  sostanziale  vanificazione
dell'esito   del   conflitto   gia'   risolto  dalla  Corte  mediante
l'annullamento degli atti in cui simile volonta' si era espressa.
    In conclusione, alla luce di quanto svolto non puo' che ribadirsi
che,   nel  fare  applicazione  delle  regole  processuali,  l'organo
giudicante  ha  sacrificato,  persino piu' radicalmente di quanto non
fosse   avvenuto   in   precedenza,  le  attribuzioni  della  Camera,
compromettendo  la  liberta' di espletamento del mandato parlamentare
che  e'  garantita  dagli  artt. 67  e 68 della Costituzione, nonche'
violando  in  particolare  gli  artt. 64,  68 e 72 Cost. sui quali si
fonda  la  posizione  di  autonomia  della  Camera,  con le ulteriori
disposizioni  costituzionali  che vi si correlano. Ne risulta inoltre
violato  l'art. 3  Cost.,  con  il canone di ragionevolezza che vi e'
racchiuso,  in  uno  col principio di leale collaborazione tra poteri
dello   Stato   come   da   tempo   codificato  nella  giurisprudenza
costituzionale  (sentenze  nn. 231/1975,  379/1992,  403/1994):  cio'
essendosi  impedito che il criterio della equilibrata coesistenza tra
processo  ed  attivita'  parlamentare  trovi nella fattispecie la sua
effettiva realizzazione.
    3.  -  Ferma  restando  l'assorbente  censura di cui sopra, e' da
ravvisare  una indubbia portata lesiva delle prerogative della Camera
di  cui  agli  invocati  parametri  costituzionali - quali sono state
definite  dalla  giurisprudenza costituzionale in tema di impedimento
parlamentare  -  nella  affermazione  che l'impedimento sarebbe nella
specie irrilevante, atteso che esso «concerneva non la partecipazione
a  votazioni  in  assemblea,  ma  ad altri lavori parlamentari» (cfr.
l'ordinanza   in   data   5   giugno  2000,  pag.  11;  ed  in  senso
sostanzialmente  conforme,  l'ordinanza in data 1° ottobre 2001, pag.
5, ss.).
    Si tratta di argomentazione che - come gia' si e' anticipato - e'
in  palese  contrasto con l'orientamento espresso dallo stesso G.U.P.
procedente,  che  aveva  dimostrato  di non ritenere discriminante la
circostanza  che  gli  impegni  parlamentari coincidessero o meno con
l'attivita'  di voto in Parlamento. Il G.U.P., infatti, pur invocando
erroneamente la priorita' assoluta del valore dell'effettivita' della
giurisdizione,   concordava  comunque  «con  le  difese  che  non  e'
possibile  fare  una  distinzione tra impegni parlamentari, ritenendo
taluni  prevalenti  ed  altri  subvalenti  rispetto  alle esigenze di
celebrazione  del  processo,  poiche'  quello  che  si  afferma e' un
principio   generale,   derivante  dalla  comparazione  di  attivita'
parimenti  previste  dalla  Carta  costituzionale» (cfr. ordinanza in
data 20 settembre 1999, pagg. 3 e 4).
    Ma  quel  che  piu'  conta e' che le argomentazioni del tribunale
entrano  in  vera  e  propria  rotta  di  collisione  con  i principi
enunciati  dalla  Corte  costituzionale in sede di annullamento della
menzionata ordinanza del G.U.P. Ha rilevato invero la Corte - vale la
pena di riportarne ancora una volta testualmente le affermazioni piu'
significative  -  che la tesi oggi espressa dal tribunale si dimostra
«inadeguata  a garantire l'interesse del Parlamento: sia per la netta
(e quanto meno discutibile) distinzione che verrebbe cosi' introdotta
fra   diversi   aspetti   dell'attivita'   del   parlamentare,  tutti
riconducibili  egualmente  ai suoi diritti e doveri funzionali» (cfr.
Corte  cost.,  225/2001).  Dal  che deriva in via immediata, anche la
incongruita'   della   ulteriore  argomentazione  avanzata  oggi  dal
Tribunale di Milano per la quale, a fronte della contemporaneita' tra
impegno  giudiziario  ed  impegno  parlamentare  non di votazione, il
deputato  avrebbe  dovuto  puramente  e semplicemente soprassedere al
secondo.
    Ebbene, applicando la medesima ratio decidendi alle ordinanze del
tribunale  in  data  5  giugno  2000  e  1°  ottobre  2001,  le quali
continuano  a  propugnare la stessa tesi giudicata «inadeguata» dalla
Corte costituzionale in vista del corretto bilanciamento tra esigenze
processuali  ed  esigenze della attivita' parlamentare, non si potra'
che  pervenire  all'annullamento  delle  medesime  ordinanze, nonche'
della  sentenza  conclusiva  del  giudizio  che,  implicitamente,  fa
propria tale tesi.
    D'altronde,  il  principio  di  parita'  tra  le attivita' che si
svolgono  in  seno  al  Parlamento,  ai  fini  della  attivazione del
legittimo  impedimento, discende dalla constatazione che tutte quante
godono  di  fondamento  costituzionale,  cosi'  come  tutte risultano
strettamente  correlate  al  ruolo  che  la  Camera  e'  chiamata  ad
assolvere  nel  sistema costituzionale, con particolare riguardo agli
artt. 70  e  94  Cost.  in tema di funzione legislativa e funzione di
indirizzo  politico,  nonche'  alle altre disposizioni costituzionali
indicate in rubrica.
    4.  -  Parimenti lesiva risulta l'ulteriore argomentazione svolta
dall'ordinanza  del  1° ottobre 2001 - anch'essa implicitamente fatta
propria  dalla sentenza conclusiva del processo penale di primo grado
-  secondo  cui  la  nullita' determinatasi a seguito della pronunzia
della  Corte  costituzionale  sarebbe  nullita'  «innocua», posto che
nell'udienza  cui il deputato in questione non prese parte «fu svolta
unicamente  una  mera  attivita'  interlocutoria...» e non fu assunto
«nessun  provvedimento»  se  non  quello  di rinvio ad una successiva
udienza.
    Va precisato che, come si puo' constatare leggendo il dispositivo
della  relativa  ordinanza,  non  di  udienza  di  mero  rinvio si e'
trattato,  essendosi  scrutinate  nel  merito le istanze avanzate dai
difensori  ed essendo stato deciso di procedersi oltre. A parte cio',
il  solo  fatto  di  prefigurare  allo  scopo  una  medita  categoria
processuale   (quella,  appunto,  della  nullita'  «innocua»)  sta  a
dimostrare  l'intento di evitare le conseguenze della pronunzia della
Corte,  in  primo  luogo  quella di restituire al deputato, stante la
oggettivita'  dell'impedimento,  la  possibilita'  di  esercitare  il
proprio diritto di difesa.
    Cio'  detto,  non  e'  nemmeno  immaginabile  che il canone della
coesistenza  tra  attivita' giudiziaria ed attivita' parlamentare non
sia  governato  dalla  razionalita'  costituzionale  sibbene dal puro
caso:  solo per caso, infatti, avverrebbe che l'udienza alla quale il
deputato  sia stato costretto a rinunziare presenti quel carattere di
pretesa ininfluenza sulla vicenda processuale che il giudice postula.
Mentre  e' da ritenere che quando sono in gioco attribuzioni di rango
costituzionale  devono  operare  criteri  preventivi  e decifrabili -
quelli codificati appunto nella giurisprudenza costituzionale in tema
di  coesistenza  tra impegni giudiziari ed impegni parlamentari - che
consentano immancabilmente di scongiurarne la vulnerazione.
    Ma vi e' altro da aggiungere. Richiamarsi alla attivita' svoltasi
in  udienza  allo  scopo  di  derivarne  ex  post la inutilita' della
partecipazione che il deputato legittimamente impedito avrebbe potuto
dispiegarvi,  significa rinnegare la stessa finalita' cui il criterio
costituzionale  della  coesistenza tra udienza e impegno parlamentare
e'  preordinata:  se la finalita', invero, e' quella di assicurare al
deputato  la possibilita' di esercitare appieno il diritto di difesa,
e' sufficiente che tale opportunita' non si sia realizzata - come non
si   e'   realizzata   nella   specie  -  stante  il  disconoscimento
dell'impegno   parlamentare   addotto,   per  ritenere  acclarata  la
intervenuta  lesione dell'ordine delle attribuzioni costituzionali e,
conseguentemente, per addivenire alla sua reintegrazione.
    Insomma,  quel  che e' costituzionalmente ineludibile - alla luce
della  giurisprudenza  in  materia  - e' che al deputato che si trovi
impedito  venga  assicurata,  nei  termini  che  si'  sono  visti, la
possibilita'  di  presenziare all'udienza, utilizzando, come per ogni
altro   soggetto  che  si  trovi  nella  posizione  di  imputato,  le
potenzialita' difensive insite in detta partecipazione: potenzialita'
che,   come   tali,  non  sono  giammai  preventivabili  ne'  giammai
potrebbero    ritenersi,    come   fa   il   Tribunale   di   Milano,
aprioristicamente inutili ai fini dell'andamento del processo.
    5.  -  Ulteriore  e grave vulnus alle attribuzioni costituzionali
della     odierna     ricorrente    scaturisce,    in    particolare,
dall'affermazione - esplicitata nell'ordinanza del 1° ottobre 2001, e
da ritenersi implicitamente confermata dalla sentenza del 22 novembre
2003   -   secondo   la  quale  l'allegazione  dell'impedimento,  non
contenendo  i  dati  e  la  documentazione  necessaria  ad  attestare
l'attualita'  dell'impedimento  stesso,  sarebbe stata «manchevole ed
assolutamente  inidonea a consentire al giudice quella valutazione di
contemperamento  di  esigenze» imposta dalla sentenza n. 225/01 della
Corte  costituzionale.  Sarebbe  stato necessario - sempre secondo il
tribunale   milanese   -   dimostrare  l'attualita'  dell'impedimento
allegato,  indicando  «per  esempio,  l'ora dell'inizio lavori» della
riunione  svoltasi  nella  sede  istituzionale, ovvero indicando dati
idonei  «a  mettere  il  giudice  in  grado  di  svolgere  la propria
valutazione  che  non  puo'  essere  surrogata da frasi di stile come
quella   riportata»   nella  lettera  di  convocazione  a  firma  del
capogruppo   del   gruppo   parlamentare   nel   quale   e'  iscritto
l'on. Previti (cfr. l'ordinanza in data 1° ottobre 2001, pag. 6).
    Si  tratta  di argomentazione palesemente arbitraria ed incongrua
sotto diversi profili.
    In  primo  luogo,  perche'  oltre  alla convocazione da parte del
capogruppo,  era  stata depositata in atti, e ben prima della udienza
del 20 settembre, la conforme documentazione della Camera relativa al
calendario  lavori  14 settembre-1° ottobre 1999, e segnatamente alla
attivita'  prevista  in  coincidenza  con  la predetta udienza penale
(cfr. deposito difensivo all'udienza del 17 settembre 1999).
    Inoltre,  perche'  non e' nemmeno immaginabile che i rapporti tra
deputato  e  gruppo, quando, come nella specie, si tratti di rapporti
aventi ad oggetto l'attivita' parlamentare cui i gruppi sono chiamati
a  concorrere,  si  possano  relegare  in  una dimensione informale o
privata  o  quant'altro,  disconoscendo  cosi'  la  loro appartenenza
all'ordinamento parlamentare.
    Ma  ancor  piu'  grave  e  lesiva  per la Camera e per il singolo
parlamentare appare una simile presa di posizione se si considera che
nella  specie  si  pretende  di reputare come irrilevante, o comunque
inadeguata,  la  comunicazione del presidente del gruppo in ordine ai
lavori  parlamentari previsti ed alle relative incombenze dei singoli
appartenenti  al  gruppo.  E'  difatti improprio, avuto riguardo alle
specifiche  attribuzioni  dei  presidenti  di  gruppo  in  materia di
programma  dei  lavori  dell'Assemblea  (art. 23  Reg.), degradare la
comunicazione   di  cui  si  tratta  ad  allegazione  «manchevole  ed
assolutamente inidonea», nella terminologia adoperata dalla ordinanza
del  17  novembre  2001,  perche'  cio' significa estrometterla dalla
sfera  parlamentare  in  cui  essa,  per  le  ragioni  anzidette,  va
inscritta.
    La conferma di tutto quanto dedotto si puo' trarre dalla sentenza
della  Corte  costituzionale n. 219 del 2003. In detta occasione, nel
risolvere  un  conflitto  di  attribuzione  in  punto di applicazione
dell'art. 68,  primo  comma,  Cost.  in  cui veniva in discussione la
valenza  da  riconoscersi  a  tal  fine  ad una lettera inviata da un
componente di una commissione parlamentare di inchiesta al presidente
della  commissione  stessa,  si  e'  escluso  che  la  missiva  fosse
riducibile  a  mera  «comunicazione  privata»;  le si e' riconosciuta
pertanto  la  natura  di  atto parlamentare in considerazione del suo
promanare  da  «una  fonte  parlamentare»  (ossia dal senatore che la
missiva  aveva  inviato)  e nell'esercizio delle attribuzioni proprie
del  componente  della  commissione  (principio  questo  che e' stato
puntualmente ribadito nella sentenza n. 298 del 2004).
    Alla  luce  di tali paradigmi decisionali, ne deriva che nel caso
di  specie,  ancorche' in presenza di un circuito comunicativo che ha
come   fonte   il   presidente   del   gruppo   e  come  destinatario
l'appartenente al gruppo, alla informativa di cui si parla non poteva
negarsi  tanto  radicalmente  l'idoneita'  a comprovare l'impedimento
occorso  al  deputato sottoposto a procedimento penale. Ed e' in ogni
caso ragionevole, a parte ogni altra considerazione, che il deputato,
che  e'  avvinto  da  un  rapporto  di natura anche istituzionale col
proprio  gruppo,  ritenga di avvalersi di tale informativa al fine di
comprovare l'impedimento stesso.
    Si  aggiunga  infine,  come e' stato osservato dalla stessa Corte
costituzionale  nella  sentenza 225 del 2001, che l'ordine del giorno
della  Camera  e'  pubblico  ed  agevolmente  accessibile, cosicche',
indipendentemente  dalla sua materiale allegazione, risulta implicito
il  rinvio  ad  esso  e ad ogni riscontro che si ritenga opportuno in
ordine ai lavori previsti.
    Se  cosi'  e',  parimenti  lesiva  risulta,  per  le ragioni gia'
esposte,   l'affermazione   secondo   la  quale,  a  quanto  e'  dato
comprendere,  tutte  le  frasi  di  cui  si  compone la comunicazione
presidenziale  (relative  alla  iscrizione  a  parlare  da  parte dei
destinatari)  ed  in  particolare  quella con la quale si chiude («la
vostra   presenza  e'  quindi  assolutamente  necessaria»)  sarebbero
nient'altro  che  «frasi di stile», come appunto ritiene di definirle
l'ordinanza del 17 novembre 2001.
    Quanto  alla  notazione  del  giudice  milanese  reperibile nella
ordinanza appena citata, benche' dedotta in via allusiva, riguardante
la  possibilita'  per  il deputato di essere presente nel corso della
stessa giornata nella sede parlamentare ed in quella giudiziaria, pur
trattandosi  di  citta'  diverse e lontane, non vi e' che da ribadire
che  nella  sentenza della Corte costituzionale n. 284/2004 non si e'
esitato  a reputare un simile argomento come «improbabile»: il che e'
da  condividere,  posto  che  il  principio di coesistenza tra le due
attivita'  in  gioco,  quella parlamentare e quella processuale, deve
riposare  su  di  una  base  certa,  qual  e'  appunto  quella  della
compatibile  organizzazione  dei  tempi  processuali  indicata  dalla
giurisprudenza costituzionale.
    Dovendosi presumere che il giudice voglia postulare anche che non
sia stata data prova tempestiva della effettiva presenza del deputato
in  aula, e' da evidenziare che, fermo restando il diritto-dovere dei
deputati  di partecipare ai lavori della Camera, non sono contemplate
procedure  intese  segnatamente  a verificare la presenza in aula dei
singoli deputati all'inizio o nel corso della seduta, e pertanto - in
caso  di  partecipazioni  a  dibattiti  o votazioni - la presenza del
deputato puo' essere documentata, di regola, soltanto ex post tramite
i  resoconti  stenografici delle sedute stesse. Peraltro, anche detti
resoconti  non  consentono  di  documentare  la presenza dei deputati
quando  gli  stessi, pur presenziando alla seduta, non prendano parte
alle votazioni ovvero non intervengano nella discussione.
    Richiedere  quindi  che  il deputato debba fornire la prova della
partecipazione  ai  lavori parlamentari, della cui esistenza egli non
possiede  preventiva  certezza,  significa spingerlo verosimilmente -
proprio a causa dell'incertezza di cui si e' detto - ad optare per la
presenza  in  udienza,  indipendentemente  da  ogni  conseguenza  che
siffatta  abdicazione  alla propria funzione politico parlamentare e'
suscettibile di comportare.
    Sotto  altro  profilo,  la  liberta'  di esercizio della funzione
parlamentare,  insita nel mandato rappresentativo, ne viene vulnerata
perche'  si  immagina  che  essa  debba  per  forza esprimersi con le
modalita' tali che ne consentano la documentazione (e comunque sempre
a  posteriori):  mentre  e' indiscutibile che ogni singolo membro del
Parlamento  e'  facoltizzato,  in  relazione  alle piu' diverse e non
preventivabili    evenienze   politico   parlamentari,   a   modulare
liberamente  la  propria  partecipazione alla dinamica dei lavori (si
pensi  appunto  alla  presenza  fisica  non  documentata, oppure alla
astensione dai lavori, come anche allo stesso abbandono dell'aula).
    Si  e'  in  presenza,  dunque,  ove  mai  sia stata fatta, di una
inadeguata  ed  irragionevole  ponderazione del rapporto tra esigenze
processuali  ed  esigenze  della  attivita'  parlamentare;  e' chiaro
difatti  che  chiedere  ora  per  allora  adempimenti non previsti (e
nemmeno  mai  richiesti  dal  G.U.P.)  ai  fini  della  dimostrazione
dell'impedimento, significa assolutizzare l'esigenza probatoria ai di
la'  di  ogni  soglia  di  ragionevolezza  e  di compatibilita' con i
criteri al riguardo fissati nella giurisprudenza costituzionale, sino
a  renderla  in  concreto  non  assolvibile  da  parte  del  deputato
interessato.  D'altro canto, non puo' sfuggire la irragionevolezza di
un  esito  della vicenda, quale sarebbe quello propiziato dall'organo
giudiziario, che originata dalla mancata applicazione del criterio di
coesistenza  tra  impegni  parlamentari  e  svolgimento del processo,
dovrebbe  concludersi,  per  quanto qui interessa, con l'affermazione
della  inesistenza dell'impedimento stesso (in quanto non provato con
le stringenti cadenze prescritte, ed in via successiva, dal giudice).
E  cio'  per  di piu' postulando, in aperta contraddizione col canone
della  leale  collaborazione tra poteri dello Stato, che nessun onere
di  alcun  genere sarebbe stato configurabile a carico del G.U.P. che
avesse  inteso  avere certezza, nei termini descritti, dell'effettivo
assolvimento  dell'attivita'  parlamentare dedotta quale impedimento,
nemmeno  quello  di  chiedere  gli eventuali riscontri da parte della
Camera.
    6.  -  Sotto  quest'ultimo  profilo,  e'  da  dire che ancor piu'
insostenibili    appaiono   le   richiamate   posizioni   dell'organo
giudicante, e l'indirizzo unitario che esso ha espresso per negare in
definitiva   la   rilevanza   dell'impedimento  parlamentare,  se  si
considera il criterio di comportamento che, a seguito della pronunzia
della  Corte  costituzionale  n. 225/2001,  proprio  il  Tribunale in
questione  ha  ritenuto  di  assumere nelle circostanze posteriori in
cui,  sempre  nell'ambito  del processo di cui trattasi, e' venuta in
considerazione all'udienza la sussistenza di impedimenti di carattere
parlamentare. In tali occasioni, invero, la menzionata sezione, nella
persona del suo Presidente ha richiesto alla Camera notizie in ordine
all'andamento  dei  lavori dell'Assemblea concomitanti con le udienze
penali,  ivi comprese quelle relative alla presenza dell'on. Previti,
ed  a  tali  richieste  la Camera dei deputati ha fornito puntuale ed
immediato riscontro.
    Sicche'  la  Camera  dei deputati non puo' che dolersi, facendone
specifico  motivo  del  ricorso  anche  con  riferimento ai parametri
costituzionali   in   precedenza   invocati,   che  questa  ratio  di
cooperazione,  sia  sotto l'aspetto della verifica della effettivita'
dell'impedimento   sia   sotto  quello  del  coordinamento,  mediante
l'opportuna  collaborazione informativa, tra attivita' processuale ed
attivita'  parlamentare,  risulti contraddittoriamente smentita dagli
atti   impugnati:   quasi   che   i   criteri   fissati  dalla  Corte
costituzionale  debbano  valere soltanto pro futuro, e come se per la
lesione in precedenza prodottasi a carico delle attribuzioni di rango
costituzionale  della  Camera,  e  confermata  proprio dal successivo
comportamento   della   sezione  penale  assunto  in  conformita'  al
giudicato  della  Corte,  altre regole, opposte al canone della leale
collaborazione,   possano   sanzionare   la  irretrattabilita'  della
lesione.
                              P. Q. M.
    Si  chiede  che la Corte costituzionale voglia dichiarare che non
spetta  all'autorita' giudiziaria, e per essa al Tribunale di Milano,
Sez.  Prima  penale, disconoscere nella specie, negandogli validita',
l'impedimento  del  deputato  a  partecipare  all'udienza  penale per
concomitanti impegni parlamentari, cosi' come non le spetta affermare
che  l'impedimento non opera non consistendo i lavori parlamentari di
cui si tratta in votazioni, o che l'impedimento non sia stato provato
o che comunque il suo mancato riconoscimento sia rimasto «innocuo»; e
che  pertanto  non  le  spetta  impedire  che  il contemperamento tra
esigenze  del  processo  ed  esigenze  del mandato parlamentare venga
realizzato in concreto a seguito della declaratoria di nullita' degli
atti compiuti in udienza nonche' del decreto che dispone il giudizio.
    Si  chiede,  di  conseguenza, che la Corte costituzionale annulli
gli atti impugnati indicati in epigrafe.
        Roma, addi' 7 gennaio 2005
        On. Pier Ferdinando Casini - Prof. avv. Roberto Nania
          Avvertenza:
              L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa
          con  ordinanza  n. 185/2005  e  pubblicata  nella  Gazzetta
          Ufficiale, 1ª s.s., n. 19 dell'11 maggio 2005.
05C0668