N. 23 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 1 giugno 2005
Ricorso per conflitto tra poteri dello Stato, depositato in cancelleria 1° giugno 2005 (della Camera dei deputati) Parlamento - Procedimento penale a carico del deputato on. Cesare Previti - Richiesta di rinvio delle udienze penali per impedimenti parlamentari dell'imputato - Diniego, da parte del Tribunale di Milano, sez. IV penale, della rilevanza degli impedimenti addotti e affermazione della mancanza di prova o della tardivita' della prova degli impedimenti stessi, nonostante la declaratoria di nullita' degli atti compiuti in tali udienze sancita con sentenza della Corte costituzionale n. 225/2001 - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dalla Camera dei deputati contro il Tribunale di Milano, sez. IV penale - Denunciata violazione delle funzioni e dell'autonomia ed indipendenza della Camera - Interferenza sul potere legislativo - Lesione del principio di liberta' del mandato parlamentare - Violazione del principio di immunita' parlamentare - Lesione del principio di cooperazione tra poteri dello Stato per il mancato bilanciamento tra le esigenze processuali e quelle delle funzioni parlamentari - Elusione del giudicato relativo alla sentenza della Corte costituzionale n. 225/2001 - Incidenza sul diritto di difesa del deputato. - Ordinanze del Tribunale di Milano, sez. IV penale, in data 14 luglio 2000, 9 ottobre 2000 e 21 novembre 2001; sentenza del Tribunale di Milano, sez. IV penale, in data 29 aprile 2003, n. 4688/03. - Costituzione, artt. 3, 24, 55, 64, 67, 68, 70, 72, 94, 134, comma 2 e 137, comma 3.(GU n.24 del 15-6-2005 )
Ricorso della Camera dei deputati, in persona del Presidente on. Pier Ferdinando Casini, come da deliberazioni dell'Ufficio di Presidenza n. 199 in data 30 settembre 2004 e dell'Assemblea della Camera dei deputati in data 4 ottobre 2004, rappresentato e difeso, in virtu' di procura ad litem per notar Francesco Colistra, in Roma, rep. n. l00.637 del 28 dicembre 2004, dall'avv. prof. Roberto Nania, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via Carlo Poma n. 2; Contro il Tribunale di Milano, Sezione IV penale, in ragione e per l'annullamento delle ordinanze del Tribunale di Milano, Sez. IV penale, in data 14 luglio 2000, 9 ottobre 2000 e 21 novembre 2001, emesse nell'ambito del procedimento penale R.G. Trib. 1600/00 + 7928/2001 nei confronti del deputato Cesare Previti, con le quali sono state respinte le eccezioni avanzate dalla difesa del menzionato deputato di nullita', in ragione dell'impedimento parlamentare a partecipare alle udienze del 17 e 22 settembre 1999, 5 e 6 ottobre 1999, dei relativi atti nonche' del decreto che dispone il giudizio; della sentenza del Tribunale di Milano, Sez. IV penale, in data 29 aprile 2003, n. 4688/03, adottata nell'ambito del medesimo procedimento penale R.G. Trib. 1600/00 + 7928/2001 nei confronti del deputato Cesare Previti, con la quale, in sede di esame delle «questioni processuali», sono state richiamate e ribadite le determinazioni e le argomentazioni di cui alle ordinanze sopra epigrafate; per la statuizione che non spetta all'autorita' giudiziaria, e per essa al Tribunale di Milano, Sez. IV penale, disconoscere nella specie, negandogli validita', l'impedimento del deputato a partecipare alle udienze penali per concomitanti impegni parlamentari, cosi come non le spetta affermare che l'impedimento stesso non sia stato provato o lo sia stato tardivamente; che pertanto non le spetti impedire che il contemperamento tra esigenze del processo ed esigenze del mandato parlamentare venga realizzato in concreto a seguito della declaratoria di nullita' degli atti compiuti in tali udienze nonche' del decreto che dispone il giudizio. F a t t o E' da rammentare che con le ordinanze in data 17 settembre, 20 settembre, 22 settembre, 5 ottobre e 6 ottobre 1999, adottate, nell'ambito di due diversi procedimenti penali il G.U.P. presso il Tribunale di Milano aveva respinto le rispettive istanze di rinvio dell'udienza - motivate dalla concomitanza di impegni parlamentari (consistenti tutti in votazioni e, per il 17 settembre, in discussione generale su disegno di legge) - avanzate dall'on. Cesare Previti che in quei procedimenti era imputato. Avverso tali ordinanze, la Camera dei deputati - denunziando la lesione delle proprie attribuzioni costituzionalmente garantite - sollevava conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato con ricorso depositato presso la Corte costituzionale in data 19 novembre 1999. In data 6 luglio 2001, con la sentenza n. 225/2001, la Corte costituzionale, in accoglimento del ricorso proposto dalla Camera, annullava le ordinanze emesse dal G.U.P., stabilendo altresi' «che non spettava al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell'udienza preliminare, nell'apprezzare i caratteri e la rilevanza degli impedimenti addotti dalla difesa dell'imputato per chiedere il rinvio dell'udienza, affermare che l'interesse della Camera dei deputati allo svolgimento delle attivita' parlamentari, e quindi all'esercizio dei diritti-doveri inerenti alla funzione parlamentare, dovesse essere sacrificato all'interesse relativo alla speditezza del procedimento giudiziario». Nelle more della decisione, la quarta sezione penale del Tribunale di Milano, che nel frattempo aveva assunto la competenza in ordine ad uno dei procedimenti originariamente incardinati presso il G.U.P. (quello contrassegnato con il R.G. Trib. n. 1600/00), si pronunziava sul legittimo impedimento dell'on. Cesare Previti a partecipare alle udienze tenutesi innanzi al G.U.P. Con una prima ordinanza, in data 14 luglio 2000, il giudice escludeva che l'impedimento dedotto potesse considerarsi provato, adducendo che gli avvisi di convocazione a firma del capogruppo parlamentare di Forza Italia, depositati nell'ambito delle udienze di cui si tratta, non sarebbero risultati idonei a comprovare la sussistenza e la effettivita' dell'impedimento dell'imputato in relazione alle sedute della Camera di cui si tratta (cfr., in particolare, pag. 8). Con successiva ordinanza in data 9 ottobre 2000, la medesima Sezione, pur ammettendo che all'udienza del 13 novembre 1999 era stata depositata in giudizio la documentazione ufficiale della Camera dei deputati mediante la quale si dava atto della presenza in aula dell'on. Previti, confermava nondimeno le conclusioni raggiunte nel proprio precedente provvedimento, del quale riproduceva in definitiva le argomentazioni appena riassunte. Successivamente, a seguito della menzionata sentenza della Corte costituzionale n. 225/2001, lo stesso tribunale dichiarava di prendere atto dell'annullamento delle precedenti ordinanze del G.U.P., ed ammetteva esplicitamente che le stesse dovessero considerarsi tamquam non essent. Cio' nonostante, disponeva doversi procedere oltre nel dibattimento sul presupposto che la nullita' delle ordinanze del G.U.P. non potesse ritenersi propagata al decreto di rinvio a giudizio ed agli altri atti del dibattimento in quanto «legittimamente» il G.U.P. aveva «proceduto in assenza dell'imputato» sicche' non sarebbe stato violato il diritto di difesa dell'imputato stesso. I medesimi postulati venivano poi richiamati e confermati anche dalla sentenza in data 29 aprile 2003, conclusiva, del procedimento penale in oggetto. In tal modo, l'Autorita' Giudiziaria, e per essa la quarta sezione penale del Tribunale di Milano, ha affermato, mediante i distinti atti impugnati e specificati in epigrafe, un convergente indirizzo in tema di impedimento parlamentare nel procedimento penale che, anche in ragione delle motivazioni addotte a suo sostegno, risulta lesivo delle attribuzioni costituzionali della ricorrente Camera dei deputati, per i seguenti motivi di D i r i t t o Sulla ammissibilita' del ricorso. 1. - Giova preliminarmente osservare che nella specie sussistono tutti i requisiti richiesti ai fini della ammissibilita' del ricorso per conflitto di attribuzione. In punto di legittimazione attiva, e' appena da precisare che, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, la Camera dei deputati, in quanto abilitata ad esprimere in via definitiva la volonta' del potere che essa rappresenta, e' facoltizzata a sollevare conflitto di attribuzione concernente l'impedimento del deputato relativo alla concomitanza tra lavori parlamentari ed udienze penali (cfr. le sentenze nn. 225/2001; 263/2003; 284/2004). In ordine alla legittimazione passiva del Tribunale di Milano, Sez. IV penale, la gia' richiamata giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto - proprio con specifico riferimento alle fattispecie riguardanti l'impedimento parlamentare - «la legittimazione degli organi giudiziari che hanno adottato i provvedimenti in relazione ai quali e' promosso il conflitto di attribuzione a essere parti del medesimo, poiche', come ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo, ordinanze n. 84, n. 37 e n. 6 del 2002) i singoli organi giurisdizionali sono legittimati, nell'esercizio della funzione a essi assegnata dalla Costituzione ed esercitata in piena indipendenza, a essere parti nei conflitti costituzionali in questione» (cosi' l'ordinanza n. 126/02). Quanto ai requisiti oggettivi del conflitto di attribuzione, nessun dubbio puo' esservi sulla loro sussistenza. E ampiamente noto che il conflitto risolvibile ai sensi degli articoli 134, Cost., e 37, legge n. 87/1953, si configura quando - sia sotto forma di vindicatio potestatis, sia sotto forma di conflitto da menomazione o da interferenza - si controverta in ordine alla delimitazione della sfera delle attribuzioni di cui sono titolari i poteri dello Stato. Ora, che nella specie la controversia presenti siffatta natura risulta di immediata evidenza, dovendosi stabilire se mediante i provvedimenti impugnati emessi nell'esercizio della funzione giurisdizionale (artt. l01 e 102 ss. Cost.), tutti concernenti la materia dell'impedimento parlamentare, si sia inciso illegittimamente sulle attribuzioni della Camera con particolare riguardo, come sara' ulteriormente dimostrato nella parte sul merito del conflitto, alle disposizioni costituzionali poste a tutela della indipendenza, autonomia ed integrita' della Camera, nonche' di quelle, preordinate alla tutela dei medesimi valori, che presidiano il libero esercizio del mandato rappresentativo. Quanto all'interesse specifico della Camera deputati a proporre il presente ricorso per conflitto di attribuzioni, giova sin d'ora segnalare che nella specie detto interesse discende dal fatto che gli atti impugnati non hanno proceduto ad alcun bilanciamento, allo scopo di renderle compatibili, tra le esigenze del processo e quelle connesse all'attivita' parlamentare; interesse ancor piu' concreto ed attuale dopo l'intervenuto annullamento degli atti del G.U.P. di Milano da parte della sentenza della Corte costituzionale n. 225/2001 che una siffatta modalita' di bilanciamento aveva prescritto. Il che sarebbe sufficiente, considerata la divergenza di vedute tra i poteri interessati, a comprovare la sussistenza dell'interesse al ricorso in ragione della lesivita' che il contenuto decisorio dei provvedimenti in oggetto e' di per se' suscettibile di esprimere, soprattutto sotto l'aspetto della vanificazione del conflitto gia' proposto dalla Camera e risolto con la predetta declaratoria di nullita' degli atti del G.U.P. Altrettanto chiaro l'interesse della ricorrente a veder stigmatizzata l'affermazione, reiterata nei provvedimenti impugnati, in ordine alla pretesa inidoneita' della prova dell'impedimento di cui si tratta con conseguente negazione della validita' dell'impedimento stesso; affermazione che, anche per le argomentazioni in cui si articola, risulta lesiva, come meglio si vedra' in seguito, della posizione del singolo deputato e della Camera nel suo complesso nonche' del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato, anche alla luce della sua portata palesemente elusiva del canone della coesistenza tra esigenze del processo ed esigenze delle funzioni parlamentari. Violazione sotto diversi profili degli artt. 55, 64, 67, 68, 72 Cost., oltre che degli artt. 70 e 94 Cost., nonche' del principio costituzionale che ne discende, di cui alla giurisprudenza della Corte costituzionale, di bilanciamento tra esigenze del processo e tutela della integrita' funzionale della Camera; Violazione del giudicato costituzionale con conseguente lesione delle attribuzioni della Camera in esso riconosciute e di cui ai parametri costituzionali appena richiamati; Violazione del principio di ragionevolezza e di leale cooperazione tra poteri dello Stato, anche in riferimento ai medesimi parametri costituzionali. 2. - Nel merito, come gia' si e' avuto modo di rammentare, con la sentenza n. 225 del 2001, la Corte costituzionale - nel risolvere il conflitto di attribuzioni determinatosi anteriormente all'apertura del dibattimento, nell'ambito dello stesso procedimento penale dal quale trae origine il presente conflitto - ha statuito che non spettava al G.U.P. di Milano, pur chiamato ad applicare le comuni regole processuali in materia, disconoscere l'impedimento a comparire alle udienze del 17 e 22 settembre e del 5 e 6 ottobre 1999, addotto, in ragione di concomitanti impegni di carattere parlamentare, dall'on. Cesare Previti che nel predetto procedimento era imputato. La Corte ha dunque annullato le relative ordinanze emesse in pari data dal medesimo G.U.P., puntualizzando che questi, in sede di applicazione dell'art. 486 c.p.p. in tema di impedimento dell'imputato a comparire in udienza, avrebbe dovuto tenere conto «non solo delle esigenze delle attivita' di propria pertinenza, ma anche degli interessi, costituzionalmente tutelati, di altri poteri, che vengano in considerazione ai fini dell'applicazione delle regole comuni», e cio' proprio «ai fini dell'apprezzamento degli impedimenti invocati per chiedere il rinvio dell'udienza». Giova aggiungere che l'anzidetta ratio decidendi trovava ulteriore e circostanziato svolgimento nella stessa sentenza, in particolare la' dove - stante, ben puo' dirsi, la indispensabile convivenza tra il diritto-dovere di partecipare ai lavori parlamentari ed il diritto-dovere di prendere parte alle udienze - veniva additata la possibilita' di «adattare i calendari delle udienze, previamente stabiliti e discussi con le parti, in modo da tenere conto di prospettati impegni parlamentari concomitanti dell'imputato»; considerato altresi' che - come il giudice potrebbe agevolmente accertare «data la pubblicita' degli atti e dei lavori parlamentari» - vi sono nel corso dell'anno giorni e periodi «in cui non vengono programmate riunioni degli organi parlamentari», sicche' mediante la semplice «consultazione dei calendari parlamentari», sarebbe agevole scongiurare quella «concomitanza con i lavori della Camera» che si e' verificata nella specie e che ha determinato appunto l'annullamento dei provvedimenti giudiziari. Ora, i provvedimenti oggi contestati incorrono nei medesimi vizi ravvisati dalla Corte costituzionale ed appena riassunti: basti osservare che essi, mediante capziose ed unilaterali interpretazioni della normativa processuale, negano in definitiva qualunque rilievo all'interesse costituzionalmente garantito della Camera dei deputati a veder riconoscere in modo adeguato l'incidenza dell'impedimento parlamentare nello svolgimento della attivita' processuale, sottraendosi in concreto all'obbligo di bilanciare le esigenze processuali con quelle della integrita' funzionale del Parlamento in modo da renderne possibile la coesistenza e da assicurare cosi' il sereno esercizio da parte del deputato dei diritti-doveri inerenti alla funzione. E' sufficiente leggere le due ordinanze dell'anno 2000 - che in virtu' del petitum di cui al ricorso introduttivo andrebbero considerate travolte in via automatica dalla citata sentenza n. 225/2001 - per avere l'immediata conferma del fatto che detto bilanciamento e' stato del tutto omesso o che comunque esso ha avuto un esito irragionevole ed inadeguato, con la conseguente lesione delle attribuzioni della ricorrente Camera dei deputati. L'ordinanza del 14 luglio e' incentrata in via esclusiva sulla prova del legittimo impedimento, contestandosi - erroneamente, come di seguito si vedra' - che l'imputato abbia fornito la documentazione necessaria al riguardo, tale non potendosi considerare, ad avviso dell'organo giudicante, «gli informali avvisi di convocazione a firma del capogruppo parlamentare di Forza Italia e diretti ai parlamentari del gruppo», e comunque non essendovi prova della «effettiva presenza e partecipazione dell'imputato alla medesima seduta». Altrettanto dicasi con riguardo alla ordinanza del 9 ottobre, nella quale pur riconoscendosi stavolta la presenza in atti della documentazione ufficiale della Camera dove «si dava per inciso atto della presenza in aula dell'imputato Previti» in coincidenza con i giorni d'udienza di cui si tratta, la si e' ritenuta comunque inidonea allo scopo in ragione della sua pretesa «tardivita». Per parte sua, la ordinanza del 21 novembre 2001, pur essendo intervenuta successivamente alla sentenza della Corte costituzionale sopra citata, si e' limitata a confermare pedissequamente le ordinanze emesse in epoca anteriore al giudicato costituzionale, riproducendone il contenuto e ribadendo che la prova dell'impedimento sarebbe dovuta consistere nelle modalita' indicate in quelle precedenti ordinanze: da cui la conclusione che «il G.U.P. ha legittimamente proceduto in assenza dell'imputato, sia pure per motivi diversi da quelli esposti nelle annullate ordinanze, e cio' difettando, nel caso concreto, i presupposti di diritto e di fatto dell'impedimento dedotto dai difensori». Per non dire infine della sentenza del 29 aprile 2003 dove la questione viene sbrigativamente risolta, richiamando e confermando i postulati di cui alle ordinanze sopra individuate. Tuttavia, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 263 del 2003, ha evidenziato come, in presenza di una allegazione di impedimento di carattere parlamentare, risulta comunque indispensabile che il giudice proceda alla ponderazione dell'interesse della Camera ed al relativo confronto con l'interesse del processo, non essendogli consentito eludere tale ponderazione in forza di pretese riserve di carattere probatorio, ossia limitandosi «a osservare che non sarebbe stato specificato se il deputato avrebbe effettivamente partecipato ai lavori o se la sua presenza fosse indispensabile in Parlamento». Proposizioni pressoche' identiche si trovano formulate anche nella sentenza n. 284 del 2004, dove si e' argomentato, ai fini dell'annullamento dell'atto giudiziario che aveva negato la validita' dell'impedimento parlamentare addotto, come il giudice si fosse «trincerato dietro un rilievo di pretesa tardivita' dell'istanza (presentata peraltro gia' il giorno prima dell'udienza fissata) pur in assenza di qualsiasi termine prescritto per l'allegazione dell'impedimento». Ne deriva, in termini che piu' chiari ed univoci non potrebbero essere, la riprova che l'obbligo, imposto dal sistema costituzionale delle attribuzioni, della ponderazione tra esigenze processuali ed esigenze della funzione parlamentare, a fronte della allegazione del relativo impedimento, e' appunto immanente ad ogni attivita' del giudice: di talche' questi - a meno, per ipotesi, di contestare la stessa veridicita' della allegazione - non vi si puo' sottrarre accampando semplicemente ragioni di ordine probatorio. Sotto un diverso ma convergente profilo, non puo' non suonare conferma della portata obiettivamente elusiva del modo di procedere dell'autorita' giudiziaria nella vicenda in questione, il fatto che l'idoneita' probatoria della documentazione prodotta nella specie risultava gia' a suo tempo appurata dal G.U.P.: esso infatti - pur avendo negato, nei termini poi stigmatizzati, ogni rilevanza all'impedimento - aveva dato atto che la documentazione depositata dalla difesa del deputato era idonea ad «attestare» l'«impedimento parlamentare». Al che aggiungasi che il dato obiettivo della esistenza dell'impedimento ha costituito il presupposto, ancorche' implicito, della piu' volte citata pronunzia della Corte costituzionale n. 225/01, non fosse altro che alla luce di quanto affermato in sentenza in ordine alla «pubblicita' degli atti e dei lavori parlamentari», e per conseguenza alla praticabilita' del relativo riscontro, se del caso, da parte del giudice procedente. Resta da sottolineare che l'omessa ponderazione appare, se possibile, ancor piu' rilevante per i provvedimenti successivi alla sentenza n. 225 del 2001: cio' in quanto, disattendendo detta sentenza, ossia non osservando gli obblighi applicativi e gli ulteriori adempimenti indicati dalla Corte intesi ad inverare la regola della coesistenza tra attivita' processuale ed attivita' parlamentare, si e' lasciata integra - ed anzi la si e' ulteriormente aggravata la lesione determinatasi a carico della posizione della Camera ed acclarata nella sentenza stessa. Sotto questo aspetto, deve avanzarsi, a carico dei provvedimenti impugnati e segnatamente della ordinanza in data 21 novembre 2001 e della sentenza in data 29 aprile 2003, l'ulteriore doglianza della violazione del giudicato costituzionale (art. 134, comma 2, e art. 137, comma 3, Cost.), posto che una siffatta violazione non puo' che ridondare in lesione delle attribuzioni della Camera che in quel medesimo giudicato hanno trovato il loro riconoscimento ai sensi dei principi e delle disposizioni costituzionali menzionate in rubrica. Si aggiunga che la riaffermazione della pretesa legittimita' del modo di procedere del G.U.P., ossia l'aver negato al parlamentare il diritto di partecipare alle udienze nonostante l'impedimento, determina di per se' la reviviscenza della volonta' lesiva ivi contenuta e con essa la sostanziale vanificazione dell'esito del conflitto gia' risolto dalla Corte mediante l'annullamento degli atti in cui simile volonta' si era espressa. Inoltre, gravemente lesiva appare l'affermazione - che si trova reiterata negli atti in parola, ancorche' con toni perplessi e comunque in via del tutto subordinata - secondo la quale l'impedimento parlamentare assumerebbe (o avrebbe assunto) rilievo solo con riferimento alla prima udienza di costituzione delle parti (con esclusione, quindi, delle udienze successive a questa, e successive sarebbero le udienze di cui si controverte). Difatti, si tratta di ragionamento che - a parte la sua ardua decifrabilita' - conduce davvero al punto estremo la logica lesiva della prevalenza delle esigenze processuali su ogni altro valore costituzionale, a cominciare dal diritto di difesa del deputato (art. 24 Cost.) per arrivare appunto ai valori connessi alla titolarita' e all'esercizio delle funzioni parlamentari di cui e' portatrice l'attuale ricorrente. In conclusione, alla luce di quanto svolto non puo' che ribadirsi che, nel fare applicazione delle regole processuali, l'organo giudicante ha sacrificato, persino piu' radicalmente di quanto non fosse avvenuto in precedenza, le attribuzioni della Camera, compromettendo la liberta' di espletamento del mandato parlamentare che e' garantita dagli articoli 67 e 68 della Costituzione, nonche' violando in particolare gli artt. 64, 68 e 72 Cost. sui quali si fonda la posizione di autonomia della Camera e le ulteriori disposizioni costituzionali che vi si correlano; ne risulta inoltre violato l'art. 3 Cost., con il canone di ragionevolezza che vi e' racchiuso, in uno col principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato come da tempo codificato nella giurisprudenza costituzionale (sentenze nn. 231/1975, 379/1992, 403/1994): cio' essendosi impedito che il principio costituzionale della equilibrata coesistenza tra processo ed attivita' parlamentare trovi nella fattispecie la sua effettiva realizzazione. 3. - Ferma restando l'assorbente censura di cui sopra, e' da ravvisare una indubbia portata lesiva delle prerogative della Camera di cui ai parametri costituzionali appena richiamati nella affermazione - che accomuna in definitiva, pur con lievi varianti di ordine meramente lessicale, tutti gli atti impugnati - secondo la quale l'inidoneita' della prova del legittimo impedimento fornita al G.U.P. discenderebbe dalla circostanza che «in tale sede i difensori dell'imputato si limitarono a depositare informali avvisi di convocazione a firma del capogruppo parlamentare di Forza Italia e diretti ai parlamentari del suo gruppo» (cfr. ord. in data 14 luglio 2000, pag. 8; ord. in data 9 ottobre 2000, pagg. 2 e 3). Si tratta di argomentazione palesemente arbitraria ed incongrua sotto diversi profili. Anzitutto perche', almeno per quanto si attiene alla udienza del 17 settembre 1999 necessariamente presa in considerazione dalla ordinanza del 21 novembre 2001 pur non trattandosi di impegno per votazione, risulta depositata, unitamente alla comunicazione del capogruppo, la conforme documentazione della Camera relativa al calendario lavori per il periodo 14 settembre-1° ottobre 1999. Inoltre, perche' non e' nemmeno immaginabile che i rapporti tra deputato e gruppi, quando, come nella specie, si tratti di rapporti aventi ad oggetto l'attivita' parlamentare cui i gruppi sono chiamati a concorrere, si possano relegare nella dimensione della informalita', disconoscendo cosi' la loro appartenenza all'ordinamento parlamentare. Ancor piu' grave e lesiva per la Camera e per il singolo parlamentare appare una simile presa di posizione se si considera che nella specie si pretende di reputare come irrilevante, data la sua pretesa informalita', la comunicazione del presidente del gruppo in ordine ai lavori parlamentari previsti ed alle relative incombenze dei singoli appartenenti al gruppo. E' difatti improprio, avuto riguardo alle competenze dei presidenti di gruppo in materia di programma dei lavori della Assemblea (art. 23 Reg.), degradare la comunicazione di cui si tratta a fatto meramente privato, «informale» nella terminologia adoperata dal giudice, perche' cio' significa estrometterla dalla sfera parlamentare in cui essa, per le ragioni anzidette, va inscritta. La conferma di tutto quanto dedotto si puo' trarre dalla sentenza della Corte costituzionale n. 219 del 2003. In detta occasione, nel risolvere un conflitto di attribuzione in punto di applicazione dell'art. 68, primo comma, Cost. in cui veniva in questione la valenza da riconoscersi a tal fine ad una lettera inviata da un componente di una commissione parlamentare di inchiesta al presidente della commissione stessa, si e' escluso che la missiva fosse riducibile a mera «comunicazione privata»; le si e' riconosciuta pertanto la natura di atto parlamentare in considerazione del suo promanare da «una fonte parlamentare» (ossia dal senatore che la missiva aveva inviato) e nell'esercizio delle attribuzioni proprie del componente della commissione (tali enunciati sono stati puntualmente ribaditi nella sentenza n. 298 del 2004). Anche alla luce di tali paradigmi decisionali, ne deriva che nel caso di specie, ancorche' in presenza di un circuito comunicativo che ha come fonte il presidente del gruppo e come destinatario l'appartenente al gruppo, alle informative di cui si parla non poteva negarsi tanto radicalmente l'idoneita' a comprovare l'impedimento occorso al deputato sottoposto a procedimento penale. Ed e' in ogni caso ragionevole, a parte ogni altra considerazione, che il deputato, che e' avvinto da un rapporto di natura anche istituzionale col proprio gruppo, ritenga di avvalersi di tali informative al fine di comprovare l'impedimento stesso. Si aggiunga infine, come e' stato osservato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 225/2001, che l'ordine del giorno della Camera e' pubblico ed agevolmente accessibile per ogni riscontro, cosicche', indipendentemente dalla sua materiale allegazione, risulta implicito il rinvio ad esso e ad ogni riscontro che si ritenga opportuno in ordine ai lavori previsti. 4. - Venendo ora all'assunto che il deputato avrebbe dovuto dare prova, al fine di integrare la fattispecie dell'impedimento, della propria effettiva partecipazione ai lavori parlamentari, anch'esso e' da ritenersi errato e lesivo delle attribuzioni costituzionali dei parlamentari e conseguentemente della stessa Camera dei deputati cui appartengono ai sensi degli artt. 56, 64, 67, 68, 72 Cost. In primo luogo, la prova richiesta dal tribuna1e - in particolare nelle ordinanze del 14 luglio 2000 e del 21 novembre 2001 - non tiene adeguato conto della peculiare natura dell'impedimento di cui si discute, sicche' siffatta richiesta finisce in concreto col precludere la praticabilita' dell'istituto e con essa la stessa operativita' del criterio della coesistenza tra attivita' giudiziaria ed attivita' parlamentare prescritta dalla giurisprudenza costituzionale. Afferma il tribunale che la prova della effettiva partecipazione del deputato allo svolgimento dei lavori parlamentari doveva essere fornita attraverso la produzione «di un ordine del giorno ufficiale della Camera, indicante gli orari delle votazioni, e accompagnato da una certificazione idonea ad attestare l'effettiva presenza dell'imputato in aula al fine di esercitare il diritto di voto» (ord. in data 14 luglio 2000, pag. 9; ord. in data 21 novembre 2001, pag. 11, nonche', sia pure con lievi varianti, ord. in data 9 ottobre 2000, pag. 4). Ma e' da evidenziare che, fermo restando il diritto-dovere dei deputati di partecipare ai lavori della Camera, non sono contemplate procedure intese segnatamente a verificare la presenza in Aula dei singoli deputati all'inizio o nel corso della seduta, e pertanto - in caso di partecipazioni a dibattiti o votazioni - la presenza del deputato puo' essere documentata, di regola, ex post tramite i resoconti stenografici delle sedute stesse. Peraltro, anche detti resoconti non consentono di documentare la presenza dei deputati quando gli stessi, pur presenziando alla seduta, non prendano parte alle votazioni ovvero non intervengano nella discussione. Richiedere quindi che il deputato debba fornire la prova della partecipazione ai lavori parlamentari, della cui esistenza egli non possiede preventiva certezza, significa spingerlo verosimilmente - proprio a causa dell'incertezza di cui si e' detto - ad optare per la presenza in udienza, indipendentemente da ogni conseguenza che siffatta abdicazione alla propria funzione politico parlamentare e' suscettibile di comportare. Sotto altro profilo, la liberta' di esercizio della funzione parlamentare, insita nel mandato rappresentativo, ne viene vulnerata perche' si immagina che essa debba per forza esprimersi con le modalita' indicate dall'organo giudiziario, vale a dire quelle che ne consentano la documentazione (e comunque sempre a posteriori): mentre e' indiscutibile che ogni singolo membro del Parlamento e' facoltizzato, in relazione alle piu' diverse e non preventivabili evenienze politico parlamentari, a modulare liberamente la propria partecipazione alla dinamica dei lavori (si pensi appunto alla presenza fisica non documentata, oppure alla astensione dai lavori, come anche allo stesso abbandono dell'aula). Nella specie, peraltro, ancora piu' irragionevole si dimostra detta argomentazione, se appena si considera che la prova della presenza del deputato in questione e' stata comunque fornita ed era presente in atti (si tratta del resoconto stenografico della seduta dell'Aula n. 614 in data 29 ottobre 1999). Nonostante cio' l'autorita' giudiziaria, mediante una forzata interpretazione delle norme processuali in materia, ha ritenuto di poterne prescindere sul presupposto della pretesa tardivita' del relativo deposito. Anche sotto tale aspetto, dunque, si e' in presenza, ove mai sia stata fatta, di inadeguata ed irragionevole ponderazione del rapporto tra esigenze processuali ed esigenze della attivita' parlamentare; e' chiaro difatti che chiedere ora per allora adempimenti non previsti (e nemmeno mai richiesti dal G.U.P.) ai fini della dimostrazione dell'impedimento, significa assolutizzare l'esigenza probatoria al di la' di ogni soglia di ragionevolezza e di compatibiita' con i criteri al riguardo fissati nella giurisprudenza costituzionale, sino a renderla in concreto non assolvibile da parte del deputato interessato. D'altro canto, non puo' sfuggire la irragionevolezza di un esito della vicenda, quale sarebbe quello propiziato dall'organo giudiziario, che originata dalla mancata applicazione del criterio di coesistenza tra impegni parlamentari e svolgimento del processo, dovrebbe concludersi, per quanto qui interessa, con l'affermazione della inesistenza dell'impedimento stesso (in quanto non provato con le stringenti cadenze prescritte, ed in via successiva, dal giudice). E cio' per di piu' postulando, in aperta contraddizione col canone della leale collaborazione tra poteri dello Stato, che nessun onere di alcun genere sarebbe stato configurabile a carico del G.U.P. che avesse inteso avere certezza, nei termini descritti, dell'effettivo assolvimento della attivita' parlamentare dedotta quale impedimento, nemmeno quello di chiedere gli eventuali riscontri da parte della Camera. 5. - Sotto quest'ultimo profilo, e' da dire che ancor piu' insostenibili appaiono le richiamate posizioni dell'organo giudicante, e l'indirizzo unitario che esso ha espresso per negare in definitiva la rilevanza dell'impedimento parlamentare, se si considera il criterio di comportamento che, a seguito della pronunzia della Corte costituzionale n. 225/2001, proprio il tribunale in questione ha ritenuto di assumere nelle circostanze posteriori in cui, sempre nell'ambito del processo di cui trattasi, e' venuta in considerazione all'udienza la sussistenza di impedimenti di carattere parlamentare (cfr. in particolare, l'ordinanza in data 11 maggio 2000 assunta dal Tribunale di Milano, sez. IV penale). In tali occasioni, invero, la menzionata sezione, nella persona del suo Presidente, ha richiesto alla Presidenza della Camera notizie in ordine all'andamento dei lavori dell'Assemblea concomitanti con le udienze penali, ivi comprese quelle relative alla presenza dell'on. Previti, ed a tali richieste la Camera dei deputati ha fornito puntuale ed immediato riscontro. Altrettanto e' da dire con riguardo alla richiesta avanzata dal Presidente della nominata sezione di ricevere puntuale notizia in ordine alla programmazione della attivita' della Camera in modo da «coordinare la programmazione delle udienze penali con l'attivita' parlamentare» (cfr. la missiva pervenuta alla Camera dei deputati in data 26 ottobre 2001), richiesta cui ancora una volta e' stato dato pieno riscontro da parte dei competenti uffici su incarico della Presidenza della Camera. Sicche' la Camera dei deputati non puo' che dolersi, facendone specifico motivo del ricorso anche con riferimento ai parametri costituzionali in precedenza invocati, che questa ratio di leale cooperazione, sia sotto l'aspetto della verifica della effettivita' dell'impedimento sia sotto quella del coordinamento, mediante l'opportuna collaborazione informativa, tra attivita' processuale ed attivita' parlamentare, risulti contraddittoriamente smentita dagli atti impugnati: quasi che i criteri fissati dalla Corte costituzionale debbano valere soltanto pro futuro, e come se per la lesione in precedenza prodottasi a carico delle attribuzione di rango costituzionale della Camera, e confermata proprio dal successivo comportamento della sezione penale assunto in conformita' ai giudicato della Corte, altre regole, opposte al canone della leale collaborazione, possano sanzionare la irretrattabilita' della lesione.
P. Q. M. Si chiede, che la Corte costituzionale voglia dichiarare che non spetta all'autorita' giudiziaria, e per essa al Tribunale di Milano, sez. Quarta penale, disconoscere nella specie, negandogli validita', l'impedimento del deputato a partecipare alle udienze penali per concomitanti impegni parlamentari, cosi' come non le spetta affermare che l'impedimento stesso non sia stato provato o lo sia stato tardivamente; che pertanto non le spetta impedire che il contemperamento tra esigenze del processo ed esigenze della attivita' parlamentare venga realizzato in concreto a seguito della declaratoria di nullita' degli atti compiuti in tali udienze nonche' del decreto che dispone il giudizio. Si chiede, di conseguenza, che la Corte costituzionale annulli gli atti impugnati indicati in epigrafe. Roma, addi' 7 gennaio 2005 On. Pier Ferdinando Casini - Prof. avv. Roberto Nania Avvertenza: L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con ordinanza n. 186/2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s., n. 19 dell'11 maggio 2005. 05C0669