N. 23 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 1 giugno 2005

Ricorso   per   conflitto  tra  poteri  dello  Stato,  depositato  in
cancelleria 1° giugno 2005 (della Camera dei deputati)

Parlamento  -  Procedimento  penale  a carico del deputato on. Cesare
  Previti  - Richiesta di rinvio delle udienze penali per impedimenti
  parlamentari  dell'imputato  -  Diniego,  da parte del Tribunale di
  Milano, sez. IV penale, della rilevanza degli impedimenti addotti e
  affermazione della mancanza di prova o della tardivita' della prova
  degli  impedimenti  stessi,  nonostante la declaratoria di nullita'
  degli  atti  compiuti  in  tali  udienze sancita con sentenza della
  Corte  costituzionale  n. 225/2001  - Conflitto di attribuzione tra
  poteri  dello  Stato  sollevato dalla Camera dei deputati contro il
  Tribunale  di  Milano, sez. IV penale - Denunciata violazione delle
  funzioni   e   dell'autonomia   ed   indipendenza  della  Camera  -
  Interferenza  sul  potere  legislativo  -  Lesione del principio di
  liberta'  del  mandato  parlamentare  - Violazione del principio di
  immunita'  parlamentare - Lesione del principio di cooperazione tra
  poteri  dello  Stato  per  il mancato bilanciamento tra le esigenze
  processuali  e  quelle  delle  funzioni parlamentari - Elusione del
  giudicato   relativo   alla  sentenza  della  Corte  costituzionale
  n. 225/2001 - Incidenza sul diritto di difesa del deputato.
- Ordinanze  del  Tribunale  di  Milano,  sez.  IV  penale,  in  data
  14 luglio  2000,  9 ottobre  2000  e 21 novembre 2001; sentenza del
  Tribunale  di  Milano,  sez.  IV  penale,  in  data 29 aprile 2003,
  n. 4688/03.
- Costituzione, artt. 3, 24, 55, 64, 67, 68, 70, 72, 94, 134, comma 2
  e 137, comma 3.
(GU n.24 del 15-6-2005 )
    Ricorso  della  Camera  dei  deputati,  in persona del Presidente
on. Pier  Ferdinando  Casini,  come  da deliberazioni dell'Ufficio di
Presidenza  n. 199  in  data 30 settembre 2004 e dell'Assemblea della
Camera  dei  deputati in data 4 ottobre 2004, rappresentato e difeso,
in  virtu' di procura ad litem per notar Francesco Colistra, in Roma,
rep.  n. l00.637 del 28 dicembre 2004, dall'avv. prof. Roberto Nania,
ed  elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via Carlo
Poma n. 2;

    Contro  il  Tribunale  di Milano, Sezione IV penale, in ragione e
per  l'annullamento  delle ordinanze del Tribunale di Milano, Sez. IV
penale,  in  data  14 luglio 2000, 9 ottobre 2000 e 21 novembre 2001,
emesse  nell'ambito  del  procedimento  penale  R.G.  Trib. 1600/00 +
7928/2001  nei  confronti  del  deputato Cesare Previti, con le quali
sono state respinte le eccezioni avanzate dalla difesa del menzionato
deputato  di  nullita',  in  ragione  dell'impedimento parlamentare a
partecipare  alle  udienze  del 17 e 22 settembre 1999, 5 e 6 ottobre
1999,  dei relativi atti nonche' del decreto che dispone il giudizio;
della  sentenza  del  Tribunale di Milano, Sez. IV penale, in data 29
aprile   2003,   n. 4688/03,   adottata   nell'ambito   del  medesimo
procedimento  penale R.G. Trib. 1600/00 + 7928/2001 nei confronti del
deputato  Cesare  Previti,  con  la  quale,  in  sede  di esame delle
«questioni   processuali»,   sono  state  richiamate  e  ribadite  le
determinazioni  e  le  argomentazioni  di  cui  alle  ordinanze sopra
epigrafate;   per   la   statuizione  che  non  spetta  all'autorita'
giudiziaria,  e  per  essa  al  Tribunale  di Milano, Sez. IV penale,
disconoscere  nella  specie,  negandogli validita', l'impedimento del
deputato  a  partecipare alle udienze penali per concomitanti impegni
parlamentari,  cosi  come  non  le spetta affermare che l'impedimento
stesso  non  sia  stato  provato  o  lo  sia  stato tardivamente; che
pertanto  non  le spetti impedire che il contemperamento tra esigenze
del processo ed esigenze del mandato parlamentare venga realizzato in
concreto a seguito della declaratoria di nullita' degli atti compiuti
in tali udienze nonche' del decreto che dispone il giudizio.

                              F a t t o

    E'  da  rammentare  che con le ordinanze in data 17 settembre, 20
settembre,  22  settembre,  5  ottobre  e  6  ottobre 1999, adottate,
nell'ambito  di  due  diversi procedimenti penali il G.U.P. presso il
Tribunale  di  Milano  aveva respinto le rispettive istanze di rinvio
dell'udienza  -  motivate  dalla concomitanza di impegni parlamentari
(consistenti   tutti   in  votazioni  e,  per  il  17  settembre,  in
discussione  generale su disegno di legge) - avanzate dall'on. Cesare
Previti che in quei procedimenti era imputato.
    Avverso  tali  ordinanze, la Camera dei deputati - denunziando la
lesione  delle  proprie  attribuzioni  costituzionalmente garantite -
sollevava  conflitto  di  attribuzioni  tra  poteri  dello  Stato con
ricorso depositato presso la Corte costituzionale in data 19 novembre
1999.
    In  data  6  luglio  2001,  con la sentenza n. 225/2001, la Corte
costituzionale,  in  accoglimento  del ricorso proposto dalla Camera,
annullava  le  ordinanze  emesse dal G.U.P., stabilendo altresi' «che
non  spettava al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Milano,    in   funzione   di   giudice   dell'udienza   preliminare,
nell'apprezzare  i caratteri e la rilevanza degli impedimenti addotti
dalla  difesa  dell'imputato  per  chiedere  il  rinvio dell'udienza,
affermare  che l'interesse della Camera dei deputati allo svolgimento
delle    attivita'   parlamentari,   e   quindi   all'esercizio   dei
diritti-doveri  inerenti  alla  funzione parlamentare, dovesse essere
sacrificato  all'interesse  relativo alla speditezza del procedimento
giudiziario».
    Nelle   more  della  decisione,  la  quarta  sezione  penale  del
Tribunale di Milano, che nel frattempo aveva assunto la competenza in
ordine  ad uno dei procedimenti originariamente incardinati presso il
G.U.P.  (quello  contrassegnato  con  il  R.G.  Trib. n. 1600/00), si
pronunziava  sul  legittimo  impedimento  dell'on. Cesare  Previti  a
partecipare alle udienze tenutesi innanzi al G.U.P.
    Con  una  prima  ordinanza,  in  data  14 luglio 2000, il giudice
escludeva  che  l'impedimento  dedotto  potesse considerarsi provato,
adducendo  che  gli  avvisi  di  convocazione  a firma del capogruppo
parlamentare di Forza Italia, depositati nell'ambito delle udienze di
cui  si  tratta,  non  sarebbero  risultati  idonei  a  comprovare la
sussistenza  e  la  effettivita'  dell'impedimento  dell'imputato  in
relazione  alle  sedute  della  Camera  di  cui  si  tratta (cfr., in
particolare, pag. 8).
    Con  successiva  ordinanza  in  data  9 ottobre 2000, la medesima
Sezione,  pur  ammettendo  che  all'udienza  del 13 novembre 1999 era
stata depositata in giudizio la documentazione ufficiale della Camera
dei  deputati  mediante  la quale si dava atto della presenza in aula
dell'on. Previti,  confermava  nondimeno le conclusioni raggiunte nel
proprio precedente provvedimento, del quale riproduceva in definitiva
le argomentazioni appena riassunte.
    Successivamente,  a seguito della menzionata sentenza della Corte
costituzionale   n. 225/2001,   lo  stesso  tribunale  dichiarava  di
prendere   atto  dell'annullamento  delle  precedenti  ordinanze  del
G.U.P.,   ed   ammetteva   esplicitamente  che  le  stesse  dovessero
considerarsi  tamquam  non essent. Cio' nonostante, disponeva doversi
procedere  oltre  nel  dibattimento  sul  presupposto che la nullita'
delle ordinanze del G.U.P. non potesse ritenersi propagata al decreto
di  rinvio  a  giudizio ed agli altri atti del dibattimento in quanto
«legittimamente» il G.U.P. aveva «proceduto in assenza dell'imputato»
sicche'  non sarebbe stato violato il diritto di difesa dell'imputato
stesso.
    I  medesimi  postulati venivano poi richiamati e confermati anche
dalla  sentenza  in data 29 aprile 2003, conclusiva, del procedimento
penale in oggetto.
    In  tal  modo,  l'Autorita'  Giudiziaria,  e  per  essa la quarta
sezione  penale  del  Tribunale  di  Milano, ha affermato, mediante i
distinti  atti  impugnati  e  specificati in epigrafe, un convergente
indirizzo in tema di impedimento parlamentare nel procedimento penale
che,  anche  in  ragione  delle  motivazioni  addotte a suo sostegno,
risulta  lesivo  delle  attribuzioni  costituzionali della ricorrente
Camera dei deputati, per i seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    Sulla ammissibilita' del ricorso.
    1.  - Giova preliminarmente osservare che nella specie sussistono
tutti  i requisiti richiesti ai fini della ammissibilita' del ricorso
per conflitto di attribuzione.
    In  punto  di  legittimazione attiva, e' appena da precisare che,
secondo  la  consolidata giurisprudenza costituzionale, la Camera dei
deputati,  in  quanto  abilitata  ad  esprimere  in via definitiva la
volonta' del potere che essa rappresenta, e' facoltizzata a sollevare
conflitto  di  attribuzione  concernente  l'impedimento  del deputato
relativo  alla concomitanza tra lavori parlamentari ed udienze penali
(cfr. le sentenze nn. 225/2001; 263/2003; 284/2004).
    In  ordine  alla  legittimazione passiva del Tribunale di Milano,
Sez.  IV  penale, la gia' richiamata giurisprudenza costituzionale ha
riconosciuto  -  proprio  con  specifico riferimento alle fattispecie
riguardanti  l'impedimento  parlamentare  -  «la legittimazione degli
organi  giudiziari che hanno adottato i provvedimenti in relazione ai
quali  e'  promosso  il  conflitto di attribuzione a essere parti del
medesimo,  poiche',  come ripetutamente affermato da questa Corte (da
ultimo,  ordinanze  n. 84,  n. 37  e  n. 6 del 2002) i singoli organi
giurisdizionali  sono  legittimati,  nell'esercizio  della funzione a
essi   assegnata   dalla   Costituzione   ed   esercitata   in  piena
indipendenza,   a   essere  parti  nei  conflitti  costituzionali  in
questione» (cosi' l'ordinanza n. 126/02).
    Quanto  ai  requisiti  oggettivi  del  conflitto di attribuzione,
nessun  dubbio puo' esservi sulla loro sussistenza. E ampiamente noto
che  il  conflitto  risolvibile ai sensi degli articoli 134, Cost., e
37,  legge  n. 87/1953,  si  configura  quando  -  sia sotto forma di
vindicatio  potestatis, sia sotto forma di conflitto da menomazione o
da  interferenza -  si controverta in ordine alla delimitazione della
sfera  delle  attribuzioni di cui sono titolari i poteri dello Stato.
Ora,  che  nella  specie  la  controversia  presenti  siffatta natura
risulta  di  immediata  evidenza,  dovendosi  stabilire se mediante i
provvedimenti   impugnati   emessi   nell'esercizio   della  funzione
giurisdizionale  (artt. l01  e  102  ss. Cost.), tutti concernenti la
materia dell'impedimento parlamentare, si sia inciso illegittimamente
sulle  attribuzioni della Camera con particolare riguardo, come sara'
ulteriormente  dimostrato  nella parte sul merito del conflitto, alle
disposizioni   costituzionali  poste  a  tutela  della  indipendenza,
autonomia  ed integrita' della Camera, nonche' di quelle, preordinate
alla  tutela  dei medesimi valori, che presidiano il libero esercizio
del mandato rappresentativo.
    Quanto  all'interesse  specifico della Camera deputati a proporre
il  presente  ricorso  per conflitto di attribuzioni, giova sin d'ora
segnalare che nella specie detto interesse discende dal fatto che gli
atti impugnati non hanno proceduto ad alcun bilanciamento, allo scopo
di  renderle  compatibili,  tra  le  esigenze  del  processo e quelle
connesse all'attivita' parlamentare; interesse ancor piu' concreto ed
attuale  dopo  l'intervenuto  annullamento  degli  atti del G.U.P. di
Milano da parte della sentenza della Corte costituzionale n. 225/2001
che  una siffatta modalita' di bilanciamento aveva prescritto. Il che
sarebbe sufficiente, considerata la divergenza di vedute tra i poteri
interessati, a comprovare la sussistenza dell'interesse al ricorso in
ragione  della lesivita' che il contenuto decisorio dei provvedimenti
in oggetto e' di per se' suscettibile di esprimere, soprattutto sotto
l'aspetto  della  vanificazione  del  conflitto  gia'  proposto dalla
Camera  e risolto con la predetta declaratoria di nullita' degli atti
del  G.U.P.  Altrettanto  chiaro l'interesse della ricorrente a veder
stigmatizzata  l'affermazione, reiterata nei provvedimenti impugnati,
in  ordine  alla  pretesa inidoneita' della prova dell'impedimento di
cui   si   tratta   con   conseguente   negazione   della   validita'
dell'impedimento    stesso;    affermazione   che,   anche   per   le
argomentazioni  in  cui  si  articola, risulta lesiva, come meglio si
vedra'  in  seguito,  della  posizione  del  singolo deputato e della
Camera   nel   suo   complesso   nonche'   del   principio  di  leale
collaborazione  tra  poteri  dello  Stato,  anche alla luce della sua
portata palesemente elusiva del canone della coesistenza tra esigenze
del processo ed esigenze delle funzioni parlamentari.
    Violazione  sotto  diversi profili degli artt. 55, 64, 67, 68, 72
Cost.,  oltre  che  degli  artt. 70 e 94 Cost., nonche' del principio
costituzionale  che  ne  discende,  di  cui alla giurisprudenza della
Corte  costituzionale,  di  bilanciamento tra esigenze del processo e
tutela  della  integrita'  funzionale  della  Camera;  Violazione del
giudicato  costituzionale  con conseguente lesione delle attribuzioni
della   Camera   in   esso   riconosciute   e  di  cui  ai  parametri
costituzionali   appena   richiamati;  Violazione  del  principio  di
ragionevolezza  e di leale cooperazione tra poteri dello Stato, anche
in riferimento ai medesimi parametri costituzionali.
    2. - Nel merito, come gia' si e' avuto modo di rammentare, con la
sentenza  n. 225 del 2001, la Corte costituzionale - nel risolvere il
conflitto  di  attribuzioni  determinatosi anteriormente all'apertura
del  dibattimento,  nell'ambito  dello stesso procedimento penale dal
quale  trae  origine  il  presente  conflitto  -  ha statuito che non
spettava  al  G.U.P.  di  Milano, pur chiamato ad applicare le comuni
regole processuali in materia, disconoscere l'impedimento a comparire
alle udienze del 17 e 22 settembre e del 5 e 6 ottobre 1999, addotto,
in   ragione  di  concomitanti  impegni  di  carattere  parlamentare,
dall'on. Cesare Previti che nel predetto procedimento era imputato.
    La Corte ha dunque annullato le relative ordinanze emesse in pari
data  dal  medesimo  G.U.P.,  puntualizzando  che  questi, in sede di
applicazione    dell'art. 486   c.p.p.   in   tema   di   impedimento
dell'imputato  a  comparire  in  udienza, avrebbe dovuto tenere conto
«non  solo  delle  esigenze delle attivita' di propria pertinenza, ma
anche  degli interessi, costituzionalmente tutelati, di altri poteri,
che  vengano in considerazione ai fini dell'applicazione delle regole
comuni», e cio' proprio «ai fini dell'apprezzamento degli impedimenti
invocati per chiedere il rinvio dell'udienza».
    Giova   aggiungere   che   l'anzidetta  ratio  decidendi  trovava
ulteriore  e  circostanziato  svolgimento  nella  stessa sentenza, in
particolare  la'  dove  -  stante,  ben puo' dirsi, la indispensabile
convivenza   tra   il   diritto-dovere   di   partecipare  ai  lavori
parlamentari  ed  il  diritto-dovere di prendere parte alle udienze -
veniva  additata  la  possibilita'  di  «adattare  i  calendari delle
udienze,  previamente  stabiliti  e discussi con le parti, in modo da
tenere   conto   di  prospettati  impegni  parlamentari  concomitanti
dell'imputato»;  considerato  altresi' che - come il giudice potrebbe
agevolmente  accertare  «data  la pubblicita' degli atti e dei lavori
parlamentari»  - vi sono nel corso dell'anno giorni e periodi «in cui
non  vengono programmate riunioni degli organi parlamentari», sicche'
mediante  la  semplice  «consultazione  dei  calendari parlamentari»,
sarebbe  agevole  scongiurare quella «concomitanza con i lavori della
Camera»  che  si  e'  verificata  nella  specie  e che ha determinato
appunto l'annullamento dei provvedimenti giudiziari.
    Ora,  i provvedimenti oggi contestati incorrono nei medesimi vizi
ravvisati  dalla  Corte  costituzionale  ed  appena  riassunti: basti
osservare  che essi, mediante capziose ed unilaterali interpretazioni
della  normativa  processuale, negano in definitiva qualunque rilievo
all'interesse  costituzionalmente garantito della Camera dei deputati
a  veder  riconoscere  in  modo adeguato l'incidenza dell'impedimento
parlamentare   nello   svolgimento   della   attivita'   processuale,
sottraendosi  in  concreto  all'obbligo  di  bilanciare  le  esigenze
processuali  con quelle della integrita' funzionale del Parlamento in
modo  da  renderne  possibile la coesistenza e da assicurare cosi' il
sereno  esercizio  da  parte del deputato dei diritti-doveri inerenti
alla funzione.
    E'  sufficiente  leggere le due ordinanze dell'anno 2000 - che in
virtu'   del  petitum  di  cui  al  ricorso  introduttivo  andrebbero
considerate   travolte   in  via  automatica  dalla  citata  sentenza
n. 225/2001  -  per  avere  l'immediata  conferma del fatto che detto
bilanciamento  e' stato del tutto omesso o che comunque esso ha avuto
un  esito  irragionevole  ed  inadeguato,  con la conseguente lesione
delle attribuzioni della ricorrente Camera dei deputati.
    L'ordinanza  del  14  luglio e' incentrata in via esclusiva sulla
prova  del  legittimo impedimento, contestandosi - erroneamente, come
di seguito si vedra' - che l'imputato abbia fornito la documentazione
necessaria  al  riguardo,  tale  non potendosi considerare, ad avviso
dell'organo giudicante, «gli informali avvisi di convocazione a firma
del capogruppo parlamentare di Forza Italia e diretti ai parlamentari
del gruppo», e comunque non essendovi prova della «effettiva presenza
e  partecipazione  dell'imputato  alla  medesima seduta». Altrettanto
dicasi  con  riguardo  alla  ordinanza del 9 ottobre, nella quale pur
riconoscendosi  stavolta  la  presenza  in  atti della documentazione
ufficiale  della  Camera dove «si dava per inciso atto della presenza
in  aula dell'imputato Previti» in coincidenza con i giorni d'udienza
di  cui  si tratta, la si e' ritenuta comunque inidonea allo scopo in
ragione della sua pretesa «tardivita».
    Per  parte  sua,  la  ordinanza del 21 novembre 2001, pur essendo
intervenuta  successivamente alla sentenza della Corte costituzionale
sopra   citata,  si  e'  limitata  a  confermare  pedissequamente  le
ordinanze  emesse  in  epoca  anteriore  al giudicato costituzionale,
riproducendone il contenuto e ribadendo che la prova dell'impedimento
sarebbe   dovuta   consistere  nelle  modalita'  indicate  in  quelle
precedenti  ordinanze:  da  cui  la  conclusione  che  «il  G.U.P. ha
legittimamente  proceduto  in  assenza  dell'imputato,  sia  pure per
motivi  diversi  da  quelli esposti nelle annullate ordinanze, e cio'
difettando,  nel  caso  concreto, i presupposti di diritto e di fatto
dell'impedimento  dedotto  dai  difensori». Per non dire infine della
sentenza  del  29 aprile 2003 dove la questione viene sbrigativamente
risolta,  richiamando e confermando i postulati di cui alle ordinanze
sopra individuate.
    Tuttavia,  la  stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 263
del  2003,  ha  evidenziato  come,  in presenza di una allegazione di
impedimento    di    carattere    parlamentare,    risulta   comunque
indispensabile    che    il   giudice   proceda   alla   ponderazione
dell'interesse  della Camera ed al relativo confronto con l'interesse
del  processo, non essendogli consentito eludere tale ponderazione in
forza  di  pretese riserve di carattere probatorio, ossia limitandosi
«a osservare che non sarebbe stato specificato se il deputato avrebbe
effettivamente  partecipato  ai  lavori  o  se  la sua presenza fosse
indispensabile in Parlamento».
    Proposizioni  pressoche'  identiche  si  trovano  formulate anche
nella  sentenza  n. 284  del  2004,  dove  si e' argomentato, ai fini
dell'annullamento dell'atto giudiziario che aveva negato la validita'
dell'impedimento  parlamentare  addotto,  come  il  giudice  si fosse
«trincerato  dietro  un  rilievo  di  pretesa tardivita' dell'istanza
(presentata  peraltro  gia' il giorno prima dell'udienza fissata) pur
in   assenza   di  qualsiasi  termine  prescritto  per  l'allegazione
dell'impedimento».
    Ne  deriva,  in termini che piu' chiari ed univoci non potrebbero
essere,  la riprova che l'obbligo, imposto dal sistema costituzionale
delle  attribuzioni,  della  ponderazione tra esigenze processuali ed
esigenze  della funzione parlamentare, a fronte della allegazione del
relativo  impedimento,  e'  appunto  immanente  ad ogni attivita' del
giudice:  di  talche'  questi - a meno, per ipotesi, di contestare la
stessa  veridicita'  della  allegazione  -  non  vi si puo' sottrarre
accampando semplicemente ragioni di ordine probatorio.
    Sotto  un  diverso  ma  convergente profilo, non puo' non suonare
conferma  della  portata obiettivamente elusiva del modo di procedere
dell'autorita'  giudiziaria  nella vicenda in questione, il fatto che
l'idoneita'  probatoria  della  documentazione  prodotta nella specie
risultava  gia'  a  suo tempo appurata dal G.U.P.: esso infatti - pur
avendo   negato,   nei  termini  poi  stigmatizzati,  ogni  rilevanza
all'impedimento  -  aveva  dato atto che la documentazione depositata
dalla  difesa  del  deputato era idonea ad «attestare» l'«impedimento
parlamentare».
    Al   che   aggiungasi  che  il  dato  obiettivo  della  esistenza
dell'impedimento  ha  costituito il presupposto, ancorche' implicito,
della   piu'   volte  citata  pronunzia  della  Corte  costituzionale
n. 225/01,  non  fosse  altro  che  alla  luce di quanto affermato in
sentenza  in  ordine  alla  «pubblicita'  degli  atti  e  dei  lavori
parlamentari»,  e  per  conseguenza  alla praticabilita' del relativo
riscontro, se del caso, da parte del giudice procedente.
    Resta  da  sottolineare  che  l'omessa  ponderazione  appare,  se
possibile,  ancor  piu' rilevante per i provvedimenti successivi alla
sentenza  n. 225  del  2001:  cio'  in  quanto,  disattendendo  detta
sentenza,  ossia  non  osservando  gli  obblighi  applicativi  e  gli
ulteriori  adempimenti  indicati  dalla  Corte  intesi ad inverare la
regola  della  coesistenza  tra  attivita'  processuale  ed attivita'
parlamentare, si e' lasciata integra - ed anzi la si e' ulteriormente
aggravata  la  lesione  determinatasi  a carico della posizione della
Camera ed acclarata nella sentenza stessa.
    Sotto  questo aspetto, deve avanzarsi, a carico dei provvedimenti
impugnati  e  segnatamente della ordinanza in data 21 novembre 2001 e
della  sentenza  in  data 29 aprile 2003, l'ulteriore doglianza della
violazione   del  giudicato  costituzionale  (art. 134,  comma  2,  e
art. 137, comma 3, Cost.), posto che una siffatta violazione non puo'
che  ridondare in lesione delle attribuzioni della Camera che in quel
medesimo  giudicato hanno trovato il loro riconoscimento ai sensi dei
principi e delle disposizioni costituzionali menzionate in rubrica.
    Si  aggiunga che la riaffermazione della pretesa legittimita' del
modo  di procedere del G.U.P., ossia l'aver negato al parlamentare il
diritto   di   partecipare  alle  udienze  nonostante  l'impedimento,
determina  di  per  se'  la  reviviscenza  della  volonta' lesiva ivi
contenuta  e  con  essa  la  sostanziale vanificazione dell'esito del
conflitto gia' risolto dalla Corte mediante l'annullamento degli atti
in cui simile volonta' si era espressa.
    Inoltre,  gravemente  lesiva appare l'affermazione - che si trova
reiterata  negli  atti  in  parola,  ancorche'  con  toni perplessi e
comunque   in   via   del   tutto  subordinata  -  secondo  la  quale
l'impedimento  parlamentare  assumerebbe  (o avrebbe assunto) rilievo
solo  con  riferimento alla prima udienza di costituzione delle parti
(con  esclusione,  quindi,  delle  udienze  successive  a  questa,  e
successive  sarebbero  le udienze di cui si controverte). Difatti, si
tratta  di  ragionamento  che - a parte la sua ardua decifrabilita' -
conduce  davvero  al  punto estremo la logica lesiva della prevalenza
delle  esigenze  processuali  su  ogni altro valore costituzionale, a
cominciare  dal  diritto  di  difesa del deputato (art. 24 Cost.) per
arrivare  appunto ai valori connessi alla titolarita' e all'esercizio
delle   funzioni   parlamentari   di   cui  e'  portatrice  l'attuale
ricorrente.
    In conclusione, alla luce di quanto svolto non puo' che ribadirsi
che,   nel  fare  applicazione  delle  regole  processuali,  l'organo
giudicante  ha  sacrificato,  persino piu' radicalmente di quanto non
fosse   avvenuto   in   precedenza,  le  attribuzioni  della  Camera,
compromettendo  la  liberta' di espletamento del mandato parlamentare
che  e'  garantita dagli articoli 67 e 68 della Costituzione, nonche'
violando  in  particolare  gli  artt. 64,  68 e 72 Cost. sui quali si
fonda   la  posizione  di  autonomia  della  Camera  e  le  ulteriori
disposizioni  costituzionali  che vi si correlano; ne risulta inoltre
violato  l'art. 3  Cost.,  con  il canone di ragionevolezza che vi e'
racchiuso,  in  uno  col principio di leale collaborazione tra poteri
dello   Stato   come   da   tempo   codificato  nella  giurisprudenza
costituzionale  (sentenze  nn. 231/1975,  379/1992,  403/1994):  cio'
essendosi  impedito che il principio costituzionale della equilibrata
coesistenza  tra  processo  ed  attivita'  parlamentare  trovi  nella
fattispecie la sua effettiva realizzazione.
    3.  -  Ferma  restando  l'assorbente  censura di cui sopra, e' da
ravvisare  una indubbia portata lesiva delle prerogative della Camera
di   cui   ai   parametri   costituzionali  appena  richiamati  nella
affermazione  - che accomuna in definitiva, pur con lievi varianti di
ordine  meramente  lessicale,  tutti  gli atti impugnati - secondo la
quale  l'inidoneita' della prova del legittimo impedimento fornita al
G.U.P.  discenderebbe dalla circostanza che «in tale sede i difensori
dell'imputato   si   limitarono  a  depositare  informali  avvisi  di
convocazione  a  firma  del capogruppo parlamentare di Forza Italia e
diretti  ai parlamentari del suo gruppo» (cfr. ord. in data 14 luglio
2000, pag. 8; ord. in data 9 ottobre 2000, pagg. 2 e 3).
    Si  tratta  di argomentazione palesemente arbitraria ed incongrua
sotto diversi profili.
    Anzitutto  perche', almeno per quanto si attiene alla udienza del
17  settembre  1999  necessariamente  presa  in  considerazione dalla
ordinanza  del  21  novembre  2001 pur non trattandosi di impegno per
votazione,  risulta  depositata,  unitamente  alla  comunicazione del
capogruppo,  la  conforme  documentazione  della  Camera  relativa al
calendario lavori per il periodo 14 settembre-1° ottobre 1999.
    Inoltre,  perche'  non e' nemmeno immaginabile che i rapporti tra
deputato  e  gruppi, quando, come nella specie, si tratti di rapporti
aventi ad oggetto l'attivita' parlamentare cui i gruppi sono chiamati
a   concorrere,   si   possano   relegare   nella   dimensione  della
informalita',    disconoscendo    cosi'    la    loro    appartenenza
all'ordinamento parlamentare.
    Ancor  piu'  grave  e  lesiva  per  la  Camera  e  per il singolo
parlamentare appare una simile presa di posizione se si considera che
nella  specie  si  pretende di reputare come irrilevante, data la sua
pretesa  informalita',  la comunicazione del presidente del gruppo in
ordine  ai  lavori  parlamentari previsti ed alle relative incombenze
dei  singoli  appartenenti  al  gruppo.  E'  difatti improprio, avuto
riguardo  alle  competenze  dei  presidenti  di  gruppo in materia di
programma  dei  lavori  della  Assemblea (art. 23 Reg.), degradare la
comunicazione di cui si tratta a fatto meramente privato, «informale»
nella  terminologia  adoperata  dal  giudice,  perche' cio' significa
estrometterla  dalla  sfera  parlamentare in cui essa, per le ragioni
anzidette, va inscritta.
    La conferma di tutto quanto dedotto si puo' trarre dalla sentenza
della  Corte  costituzionale n. 219 del 2003. In detta occasione, nel
risolvere  un  conflitto  di  attribuzione  in  punto di applicazione
dell'art. 68,  primo  comma,  Cost.  in  cui  veniva  in questione la
valenza  da  riconoscersi  a  tal  fine  ad una lettera inviata da un
componente di una commissione parlamentare di inchiesta al presidente
della  commissione  stessa,  si  e'  escluso  che  la  missiva  fosse
riducibile  a  mera  «comunicazione  privata»;  le si e' riconosciuta
pertanto  la  natura  di  atto parlamentare in considerazione del suo
promanare  da  «una  fonte  parlamentare»  (ossia dal senatore che la
missiva  aveva  inviato)  e nell'esercizio delle attribuzioni proprie
del   componente   della   commissione  (tali  enunciati  sono  stati
puntualmente ribaditi nella sentenza n. 298 del 2004).
    Anche  alla luce di tali paradigmi decisionali, ne deriva che nel
caso di specie, ancorche' in presenza di un circuito comunicativo che
ha   come   fonte  il  presidente  del  gruppo  e  come  destinatario
l'appartenente al gruppo, alle informative di cui si parla non poteva
negarsi  tanto  radicalmente  l'idoneita'  a comprovare l'impedimento
occorso  al  deputato sottoposto a procedimento penale. Ed e' in ogni
caso ragionevole, a parte ogni altra considerazione, che il deputato,
che  e'  avvinto  da  un  rapporto  di natura anche istituzionale col
proprio  gruppo,  ritenga di avvalersi di tali informative al fine di
comprovare l'impedimento stesso.
    Si  aggiunga  infine,  come e' stato osservato dalla stessa Corte
costituzionale  nella  sentenza  n. 225/2001, che l'ordine del giorno
della   Camera  e'  pubblico  ed  agevolmente  accessibile  per  ogni
riscontro,   cosicche',   indipendentemente   dalla   sua   materiale
allegazione,  risulta implicito il rinvio ad esso e ad ogni riscontro
che si ritenga opportuno in ordine ai lavori previsti.
    4.  - Venendo ora all'assunto che il deputato avrebbe dovuto dare
prova,  al  fine  di integrare la fattispecie dell'impedimento, della
propria effettiva partecipazione ai lavori parlamentari, anch'esso e'
da  ritenersi  errato  e lesivo delle attribuzioni costituzionali dei
parlamentari  e conseguentemente della stessa Camera dei deputati cui
appartengono ai sensi degli artt. 56, 64, 67, 68, 72 Cost.
    In primo luogo, la prova richiesta dal tribuna1e - in particolare
nelle ordinanze del 14 luglio 2000 e del 21 novembre 2001 - non tiene
adeguato  conto  della  peculiare  natura  dell'impedimento di cui si
discute,   sicche'   siffatta   richiesta  finisce  in  concreto  col
precludere  la  praticabilita'  dell'istituto  e  con  essa la stessa
operativita' del criterio della coesistenza tra attivita' giudiziaria
ed    attivita'    parlamentare   prescritta   dalla   giurisprudenza
costituzionale.
    Afferma  il tribunale che la prova della effettiva partecipazione
del  deputato  allo svolgimento dei lavori parlamentari doveva essere
fornita  attraverso  la produzione «di un ordine del giorno ufficiale
della  Camera, indicante gli orari delle votazioni, e accompagnato da
una   certificazione   idonea   ad   attestare  l'effettiva  presenza
dell'imputato in aula al fine di esercitare il diritto di voto» (ord.
in  data  14 luglio 2000, pag. 9; ord. in data 21 novembre 2001, pag.
11,  nonche',  sia  pure  con  lievi varianti, ord. in data 9 ottobre
2000, pag. 4).
    Ma  e'  da  evidenziare che, fermo restando il diritto-dovere dei
deputati  di partecipare ai lavori della Camera, non sono contemplate
procedure  intese  segnatamente  a verificare la presenza in Aula dei
singoli deputati all'inizio o nel corso della seduta, e pertanto - in
caso  di  partecipazioni  a  dibattiti  o votazioni - la presenza del
deputato  puo'  essere  documentata,  di  regola,  ex  post tramite i
resoconti  stenografici  delle  sedute  stesse. Peraltro, anche detti
resoconti  non  consentono  di  documentare  la presenza dei deputati
quando  gli  stessi, pur presenziando alla seduta, non prendano parte
alle votazioni ovvero non intervengano nella discussione.
    Richiedere  quindi  che  il deputato debba fornire la prova della
partecipazione  ai  lavori parlamentari, della cui esistenza egli non
possiede  preventiva  certezza,  significa spingerlo verosimilmente -
proprio a causa dell'incertezza di cui si e' detto - ad optare per la
presenza  in  udienza,  indipendentemente  da  ogni  conseguenza  che
siffatta  abdicazione  alla propria funzione politico parlamentare e'
suscettibile di comportare.
    Sotto  altro  profilo,  la  liberta'  di esercizio della funzione
parlamentare,  insita nel mandato rappresentativo, ne viene vulnerata
perche'  si  immagina  che  essa  debba  per  forza esprimersi con le
modalita' indicate dall'organo giudiziario, vale a dire quelle che ne
consentano la documentazione (e comunque sempre a posteriori): mentre
e'   indiscutibile   che   ogni  singolo  membro  del  Parlamento  e'
facoltizzato,  in  relazione  alle  piu' diverse e non preventivabili
evenienze  politico  parlamentari,  a modulare liberamente la propria
partecipazione  alla  dinamica  dei  lavori  (si  pensi  appunto alla
presenza  fisica  non documentata, oppure alla astensione dai lavori,
come anche allo stesso abbandono dell'aula).
    Nella  specie,  peraltro,  ancora  piu' irragionevole si dimostra
detta  argomentazione,  se  appena  si  considera  che la prova della
presenza  del  deputato in questione e' stata comunque fornita ed era
presente  in  atti (si tratta del resoconto stenografico della seduta
dell'Aula n. 614 in data 29 ottobre 1999).
    Nonostante  cio'  l'autorita'  giudiziaria,  mediante una forzata
interpretazione  delle  norme  processuali in materia, ha ritenuto di
poterne  prescindere  sul  presupposto  della  pretesa tardivita' del
relativo  deposito.  Anche  sotto  tale  aspetto,  dunque,  si  e' in
presenza,  ove  mai  sia  stata fatta, di inadeguata ed irragionevole
ponderazione  del rapporto tra esigenze processuali ed esigenze della
attivita' parlamentare; e' chiaro difatti che chiedere ora per allora
adempimenti non previsti (e nemmeno mai richiesti dal G.U.P.) ai fini
della   dimostrazione   dell'impedimento,   significa   assolutizzare
l'esigenza probatoria al di la' di ogni soglia di ragionevolezza e di
compatibiita'  con i criteri al riguardo fissati nella giurisprudenza
costituzionale,  sino a renderla in concreto non assolvibile da parte
del  deputato  interessato.  D'altro  canto,  non  puo'  sfuggire  la
irragionevolezza  di  un  esito  della  vicenda, quale sarebbe quello
propiziato  dall'organo  giudiziario,  che  originata  dalla  mancata
applicazione  del  criterio di coesistenza tra impegni parlamentari e
svolgimento  del  processo,  dovrebbe  concludersi,  per  quanto  qui
interessa,  con  l'affermazione  della  inesistenza  dell'impedimento
stesso  (in  quanto non provato con le stringenti cadenze prescritte,
ed in via successiva, dal giudice). E cio' per di piu' postulando, in
aperta  contraddizione  col  canone  della  leale  collaborazione tra
poteri  dello  Stato,  che nessun onere di alcun genere sarebbe stato
configurabile  a  carico del G.U.P. che avesse inteso avere certezza,
nei  termini  descritti,  dell'effettivo assolvimento della attivita'
parlamentare  dedotta  quale  impedimento, nemmeno quello di chiedere
gli eventuali riscontri da parte della Camera.
    5.  -  Sotto  quest'ultimo  profilo,  e'  da  dire che ancor piu'
insostenibili    appaiono   le   richiamate   posizioni   dell'organo
giudicante, e l'indirizzo unitario che esso ha espresso per negare in
definitiva   la   rilevanza   dell'impedimento  parlamentare,  se  si
considera il criterio di comportamento che, a seguito della pronunzia
della  Corte  costituzionale  n. 225/2001,  proprio  il  tribunale in
questione  ha  ritenuto  di  assumere nelle circostanze posteriori in
cui,  sempre  nell'ambito  del processo di cui trattasi, e' venuta in
considerazione all'udienza la sussistenza di impedimenti di carattere
parlamentare (cfr. in particolare, l'ordinanza in data 11 maggio 2000
assunta  dal Tribunale di Milano, sez. IV penale). In tali occasioni,
invero,  la  menzionata sezione, nella persona del suo Presidente, ha
richiesto   alla   Presidenza   della   Camera   notizie   in  ordine
all'andamento  dei  lavori dell'Assemblea concomitanti con le udienze
penali,  ivi comprese quelle relative alla presenza dell'on. Previti,
ed  a  tali  richieste  la Camera dei deputati ha fornito puntuale ed
immediato riscontro.
    Altrettanto  e'  da dire con riguardo alla richiesta avanzata dal
Presidente  della  nominata  sezione  di ricevere puntuale notizia in
ordine  alla  programmazione  della attivita' della Camera in modo da
«coordinare  la  programmazione  delle udienze penali con l'attivita'
parlamentare»  (cfr. la missiva pervenuta alla Camera dei deputati in
data  26  ottobre 2001), richiesta cui ancora una volta e' stato dato
pieno  riscontro  da  parte  dei  competenti uffici su incarico della
Presidenza della Camera.
    Sicche'  la  Camera  dei deputati non puo' che dolersi, facendone
specifico  motivo  del  ricorso  anche  con  riferimento ai parametri
costituzionali  in  precedenza  invocati,  che  questa ratio di leale
cooperazione,  sia  sotto l'aspetto della verifica della effettivita'
dell'impedimento   sia   sotto  quella  del  coordinamento,  mediante
l'opportuna  collaborazione informativa, tra attivita' processuale ed
attivita'  parlamentare,  risulti contraddittoriamente smentita dagli
atti   impugnati:   quasi   che   i   criteri   fissati  dalla  Corte
costituzionale  debbano  valere soltanto pro futuro, e come se per la
lesione in precedenza prodottasi a carico delle attribuzione di rango
costituzionale  della  Camera,  e  confermata  proprio dal successivo
comportamento   della   sezione  penale  assunto  in  conformita'  ai
giudicato  della  Corte,  altre regole, opposte al canone della leale
collaborazione,   possano   sanzionare   la  irretrattabilita'  della
lesione.
                              P. Q. M.
    Si  chiede, che la Corte costituzionale voglia dichiarare che non
spetta  all'autorita' giudiziaria, e per essa al Tribunale di Milano,
sez.  Quarta penale, disconoscere nella specie, negandogli validita',
l'impedimento  del  deputato  a  partecipare  alle udienze penali per
concomitanti impegni parlamentari, cosi' come non le spetta affermare
che  l'impedimento  stesso  non  sia  stato  provato  o  lo sia stato
tardivamente;   che   pertanto   non   le   spetta  impedire  che  il
contemperamento tra esigenze del processo ed esigenze della attivita'
parlamentare   venga   realizzato   in   concreto   a  seguito  della
declaratoria  di nullita' degli atti compiuti in tali udienze nonche'
del decreto che dispone il giudizio.
    Si  chiede,  di  conseguenza, che la Corte costituzionale annulli
gli atti impugnati indicati in epigrafe.
        Roma, addi' 7 gennaio 2005
On. Pier Ferdinando Casini - Prof. avv. Roberto Nania
          Avvertenza:
              L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa
          con  ordinanza  n. 186/2005  e  pubblicata  nella  Gazzetta
          Ufficiale, 1ª s.s., n. 19 dell'11 maggio 2005.
05C0669