N. 232 SENTENZA 8 - 16 giugno 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Regione  Veneto - Piano di assetto del territorio (PAT) riguardante i
  centri  storici  -  Determinazione  delle  categorie  in cui devono
  essere  raggruppati  i  manufatti e gli spazi liberi esistenti, dei
  valori di tutela in funzione dei contesti da salvaguardare nonche',
  per   ogni   categoria,   individuazione  degli  interventi,  delle
  destinazioni  d'uso  ammissibili  e  dei  margini  di flessibilita'
  consentiti  dal  piano  degli interventi (PI) - Asserita violazione
  della  potesta'  legislativa esclusiva statale in materia di tutela
  dei  beni  culturali - Esclusione - Disciplina regionale diversa ed
  aggiuntiva   rispetto   a   quella  statale  per  assicurare  nella
  predisposizione della normativa di governo del territorio la tutela
  dei  beni  coinvolti  nei  centri  storici  -  Non fondatezza della
  questione.
- Legge della Regione Veneto 23 aprile 2004, n. 11, art. 40.
- Costituzione,  artt. 117,  secondo  comma,  lett.  s)  e 118, terzo
  comma.
Giudizio   di   legittimita'   costituzionale  in  via  principale  -
  Intervento  di  soggetto  privo  delle  attribuzioni legislative in
  contestazione - Inammissibilita'.
- Costituzione,  art. 127;  legge  11 marzo  1953,  n. 87, artt. 31 e
  segg.
Regione   Veneto   -  Edilizia  e  urbanistica  -  Centri  storici  -
  Possibilita'  per  i Piani regolatori di stabilire distanze tra gli
  edifici  minori di quelle previste nell'art. 9 del D.M. n. 1444/68,
  nelle  zone  territoriali omogenee B e C1, nel caso che gli edifici
  esistenti  antistanti  a quelli da costruire siano stati realizzati
  legittimamente   ad  una  distanza  inferiore  ai  cinque  metri  -
  Contrasto  con  principi fondamentali della legislazione statale in
  materia  di  «governo  del territorio» - Esorbitanza dalla potesta'
  legislativa  concorrente  spettante  in tale materia alle Regioni -
  Interferenza   nella  materia  «ordinamento  civile»  di  esclusiva
  spettanza statale - Illegittimita' costituzionale.
- Legge della Regione Veneto 23 aprile 2004, n. 11, art. 50, comma 8,
  lett. c).
- Costituzione, artt. 3, 117, commi secondo, lett. l), terzo e sesto.
(GU n.25 del 22-6-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici: Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 40 e 50,
comma 8,  lettera c) della legge della Regione Veneto 23 aprile 2004,
n. 11 (Norme per il governo del territorio), promosso con ricorso del
Presidente  del Consiglio dei ministri, notificato il 24 giugno 2004,
depositato  in  cancelleria il 2 luglio 2004 ed iscritto al n. 63 del
registro ricorsi 2004.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto, nonche' l'atto
di intervento di A. C.;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  19 aprile  2005  il  giudice
relatore Francesco Amirante;
    Uditi  l'avvocato  dello  Stato Giorgio D'Amato per il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri e l'avvocato Bruno Barel per la Regione
Veneto.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato il 24 giugno 2004 e depositato il
2 luglio  2004, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato
questioni   di   legittimita'  costituzionale  degli  artt. 40  -  in
relazione  all'art. 117,  secondo  comma, lettera s), e all'art. 118,
terzo  comma,  della  Costituzione  -  e 50, comma 8, lettera c) - in
relazione  all'art. 117,  commi  secondo,  lettera l), terzo e sesto,
nonche'  all'art. 3  della  Costituzione  - della legge della Regione
Veneto  23 aprile  2004, n. 11 (Norme per il governo del territorio).
Tale  legge,  rileva  il  ricorrente,  detta norme per il governo del
territorio,  definendo,  in  particolare,  le  competenze  degli enti
territoriali,  le  regole  per  l'uso  dei suoli, i diversi livelli e
strumenti di pianificazione, le forme di coordinamento e integrazione
delle informazioni, i procedimenti.
    In  particolare  l'art. 40  prevede  che  il Piano di assetto del
territorio  (PAT),  previa analisi dei manufatti e degli spazi liberi
esistenti  nei  centri  storici, determini - anche relativamente alle
ville   venete  di  cui  alla  pubblicazione  dell'apposito  Istituto
regionale  «Ville Venete-Catalogo e Atlante del Veneto», nonche' agli
edifici  e  complessi  di  valore  monumentale  e  testimoniale  - le
categorie  in  cui  gli stessi debbono essere raggruppati per le loro
caratteristiche tipologiche, attribuendo in tal modo specifici valori
di   tutela  e,  quindi,  individuando  per  ciascuna  categoria  gli
interventi  e  le  destinazioni  d'uso ammissibili. La norma prevede,
inoltre,  che  il  Piano  degli interventi (PI) attribuisca a ciascun
manufatto  le  caratteristiche  tipologiche di riferimento tra quelle
determinate   dal   PAT,   nonche'  la  corrispondente  categoria  di
intervento edilizio.
    Tale   disposizione,   ad   avviso   del  ricorrente,  e'  lesiva
dell'art. 117,  secondo  comma, lettera s), e sesto comma, Cost., che
rispettivamente  riservano  alla potesta' legislativa esclusiva dello
Stato e alla sua potesta' regolamentare la tutela dei beni culturali.
    Essa,  infatti,  prefigura  misure di limitazione e conformazione
della  proprieta'  privata,  in  funzione  esclusiva  di un interesse
storico  e  culturale,  la  cui  individuazione rappresenta una delle
attivita'   fondamentali  in  cui  si  esplica  la  tutela  dei  beni
culturali.  Tutti  gli  interventi  diretti  alla  conservazione e al
recupero  di  tali  beni  e, prima ancora, allo stesso riconoscimento
della  loro  valenza  culturale, sono, come affermato da questa Corte
nella  sentenza n. 9 del 2004, da ricomprendere in tale materia e non
in  quella  della  valorizzazione  (di  competenza  concorrente delle
Regioni). Ne consegue che alle Regioni non e' consentito stabilire il
regime  dominicale  in  relazione  a  categorie  di  beni  di valenza
culturale  e  la  disciplina  di  ogni attivita' di tutela nonche' di
definizione delle relative modalita'.
    Quanto  all'art. 50,  comma 8,  della  legge  regionale di cui si
tratta,  il  ricorrente rileva che l'art. 23 della legge regionale 27
giugno 1985, n. 61 (Norme per l'assetto e l'uso del territorio), dopo
aver  stabilito al sesto comma che «le distanze minime tra fabbricati
sono  quelle  di  cui  all'art. 9  del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 del
Ministro  dei  lavori  pubblici»,  prevedeva,  all'ultimo  comma,  in
corrispondenza  con  lo  stesso  ultimo  comma  dell'art. 9  del d.m.
citato,  che  minori distanze tra fabbricati potessero essere ammesse
nei  casi di gruppi di edifici oggetto di piani urbanistici attuativi
planivolumetrici  o  per  interventi  puntuali disciplinati dal Piano
regolatore   generale.   Tale   ultimo   comma  e'  stato  sostituito
dall'art. 50,  comma 8,  dell'impugnata  legge  regionale  che,  alla
lettera c),  prevede  anche  la  possibilita'  che i Piani regolatori
generali  definiscano distanze minori di quelle stabilite nell'art. 9
del  menzionato  d.m.  n. 1444  del  1968,  «nelle  zone territoriali
omogenee  B e C1, qualora, fermo restando per le nuove costruzioni il
rispetto  delle  distanze  dal  confine previste dal piano regolatore
generale  che  comunque  non possono essere inferiori a cinque metri,
gli  edifici  esistenti  antistanti a quelli da costruire siano stati
realizzati  legittimamente  ad  una  distanza dal confine inferiore».
Secondo  quanto  si desume dall'art. 24, primo e secondo comma, della
legge  regionale  n. 61  del  1985,  in relazione all'art. 7 del d.m.
n. 1444  del  1968,  la  zona B  concerne  le  parti  del  territorio
totalmente  o parzialmente edificate diverse dagli agglomerati urbani
che  rivestono  carattere  storico, artistico o di particolare pregio
ambientale (e si considerano parzialmente edificate le zone in cui la
superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5%
della  superficie  fondiaria  della  zona  e  nelle quali la densita'
territoriale  sia superiore ad 1,5 mc/mq), mentre la zona C1 riguarda
le  parti  del  territorio  destinate a nuovi complessi insediativi e
nelle   quali  il  limite  della  superficie  coperta  dagli  edifici
esistenti   non  deve  essere  inferiore  al  7,5%  della  superficie
fondiaria  della  zona  e  la  densita'  territoriale non deve essere
inferiore  a  0,50  mc/mq.  Il d.m. prevede per tali zone la distanza
minima  assoluta  di  dieci metri, nonche', per la zona C, tra pareti
finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza
del fabbricato piu' alto.
    Com'e'  noto,  in  coerenza con l'art. 42 Cost., per garantire la
coesistenza  dei  diritti  dei  singoli  proprietari  fondiari,  alle
facolta'   di  ciascuno  sono  imposti  dalla  legge  limiti  atti  a
conciliare il godimento del diritto sul proprio bene con quello degli
altri  sui  loro  beni.  Un  limite legale specifico a protezione del
diritto  del  vicino  e'  posto  dalle  norme  che impongono, ad ogni
proprietario, di rispettare determinate distanze minime nell'eseguire
costruzioni,  la  cui violazione e' suscettibile anche della drastica
forma  di risarcimento in forma specifica, attraverso la riduzione in
pristino (v. art. 872, secondo comma, cod. civ.).
    Le  norme degli strumenti urbanistici che prescrivono le distanze
tra  le  costruzioni  - o come spazio tra le medesime o come distacco
dal  confine - in forza del rinvio contenuto nell'art. 873 del codice
civile,  hanno carattere integrativo delle norme dello stesso codice,
in  quanto  concorrono  alla  stessa  configurazione  del  diritto di
proprieta',   disciplinando   i  rapporti  di  vicinato,  assicurando
un'equita'   nell'utilizzazione   edilizia   dei   suoli  privati  ed
attribuendo il diritto reciproco al loro rispetto.
    Ne  discende  che  le anzidette particolari norme degli strumenti
urbanistici   incidono   nella   materia   dell'ordinamento   civile,
attribuita  alla  competenza  legislativa  esclusiva dello Stato, cui
spetta altresi' la relativa potesta' regolamentare (art. 117, secondo
comma,  lettera l),  e  sesto comma, Cost.), e devono pertanto essere
rispettose della normativa statale anche di livello regolamentare che
pone,  al  riguardo, limiti precisi e inderogabili nella formazione o
revisione di detti strumenti.
    Osserva   il   ricorrente  che,  anche  a  voler  considerare  la
disposizione  censurata  sotto  il  profilo dell'assetto urbanistico,
sarebbe  comunque  palese il suo contrasto con i canoni di coerenza e
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Essa, infatti, consente che la
valutazione  pubblicistica in sede locale dell'efficienza ambientale,
che   porta   a  stabilire  nel  PRG  una  determinata  distanza  tra
costruzioni  nel  rispetto di quelle minime indicate nel d.m. n. 1444
del  1968,  possa  essere  contraddetta  da  una  diversa valutazione
normativa  nello  stesso  PRG,  in  senso  riduttivo di tale distanza
complessiva  e  violativo  delle  prescrizioni  del d.m., in funzione
esclusivamente di un interesse di natura privata di uno dei frontisti
(il proprietario prevenuto, altrimenti obbligato ad arretramenti).
    Cio' anche in contrasto, sul piano pubblicistico dei rapporti tra
costruttore e pubblica amministrazione, con il principio fondamentale
ricavabile     in     materia     di     governo    del    territorio
dall'art. 41-quinquies  della  legge  17 agosto  1942, n. 1150, circa
l'inderogabilita'  dei  limiti di distanza tra i fabbricati stabiliti
nell'interesse   pubblico,   con  conseguente  configurabilita',  con
riguardo a tale interferente materia, della violazione dell'art. 117,
terzo  comma,  della  Costituzione. Ne' puo' trascurarsi che dovrebbe
tenersi  conto,  a  tal fine, dell'intero complesso normativo statale
consolidatosi  ben  prima delle modifiche costituzionali attinenti ai
rapporti  Stato-Regioni, in base al quale costituisce ius receptum il
principio  affermato  dalla  giurisprudenza  circa l'inserzione delle
disposizioni  dell'art. 9  del  d.m.  nello strumento urbanistico che
rechi previsioni difformi.
    2.-  Si  e'  costituita la Regione Veneto chiedendo, anche in una
memoria  depositata  in  prossimita' dell'udienza, la declaratoria di
infondatezza delle questioni.
    Quanto  alla questione relativa all'art. 40 della legge regionale
n. 11  del  2004,  la  Regione  sostiene  la  palese  erroneita'  del
presupposto  da cui muove, rappresentato dalla pretesa invasivita' da
parte della disposizione censurata dell'ambito normativo della tutela
dei  beni  culturali,  riservato allo Stato, mentre essa - al pari di
altre  analoghe  disposizioni  contenute  nella previgente disciplina
urbanistica  regionale  veneta, di cui alla legge n. 61 del 1985 - e'
espressione  della  potesta'  legislativa  regionale  concorrente  in
materia  di  governo del territorio, nel cui ambito rientrano pure le
misure   volte   alla   salvaguardia   e  tutela,  sotto  il  profilo
urbanistico,  degli  immobili che rivestono anche un valore storico e
culturale,  secondo  i  principi  fondamentali  dettati  dalla  legge
17 agosto  1942,  n. 1150.  L'art. 40  di  cui si tratta, infatti, si
limita  a  prevedere  l'adozione  di  misure tipiche di questo quadro
normativo  che  sono  perfettamente  compatibili  con  gli  strumenti
eventualmente  adottati dallo Stato nell'ambito della tutela dei beni
culturali,  essendo  pacifico  che,  in  caso di conflitto, la tutela
statale prevale sulle previsioni urbanistiche locali.
    Quanto  alla questione relativa all'art. 50, comma 8, lettera c),
della  legge  regionale  n. 11 del 2004, la Regione osserva, per quel
che  si  riferisce al primo profilo di censura riguardante la pretesa
violazione   della   competenza   statale  esclusiva  in  materia  di
ordinamento   civile,   che  la  disciplina  delle  distanze  fra  le
costruzioni  e'  sempre  stata  ascritta  al  diritto  urbanistico e,
quindi,  alla  materia del governo del territorio, come e' dimostrato
anche  dalla  circostanza che di essa si e' costantemente occupata la
legislazione  urbanistica  regionale,  senza  per  questo  violare la
competenza statale in materia di ordinamento civile.
    Per  quel  che  si  riferisce  al profilo di censura secondo cui,
anche  volendo  ascrivere  la disposizione impugnata alla materia del
governo  del  territorio,  essa  sarebbe comunque in contrasto con il
principio  fondamentale  ricavabile in materia dall'art. 41-quinquies
della  legge  n. 1150  del 1942 circa l'inderogabilita' dei limiti di
distanza  stabiliti  nell'interesse pubblico, la Regione osserva che,
dalla  lettura  complessiva  del  ricorso,  si  desume  che  il  vero
principio  che  si  considera violato e' quello della inderogabilita'
dei  limiti  di  distanza fissati dall'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968,
n. 1444.  Ora, a parte che la disposizione impugnata ha avuto effetto
solo transitorio - in quanto l'art. 23 della legge n. 61 del 1985, da
essa  modificato,  e'  stato abrogato a decorrere dal 23 ottobre 2004
dall'art. 49  della  medesima  legge  regionale  n. 11  del 2004 - la
Regione  rileva  che il principio, di cui al citato art. 41-quinquies
della legge n. 1150 del 1942, e' stato rispettato, mentre i limiti di
distanza  fissati  dall'art. 9  del  d.m.  n. 1444  del 1968 non sono
vincolanti   per   le   Regioni   in  quanto  contenuti  in  un  atto
regolamentare e non in una legge statale. Peraltro, la Regione Veneto
anche   nella   legge   n. 11   del  2004  ha  scelto  di  conformare
sostanzialmente la propria legislazione urbanistica all'intero corpus
normativo  statale previgente, ivi comprese le disposizioni di cui al
citato d.m., prevedendo solo limitati e specifici casi in cui possono
ammettersi distanze inferiori a quelle indicate dal suddetto decreto.
Tra  questi  casi rientra anche quello contemplato nella disposizione
censurata che presuppone una variante urbanistica e la sussistenza di
precise condizioni restrittive.
    3.  -  E'  intervenuto,  con atto depositato il 5 agosto 2004, il
signor  A. C., specificando di intervenire nel «ricorso per conflitto
di   attribuzioni»   con  riferimento  all'impugnativa  dell'art. 50,
comma 8,   della  legge  della  Regione  Veneto  n. 11  del  2004,  e
concludendo  per  la  declaratoria  d'illegittimita'  della  norma in
argomento  «siccome  inconferente  con  le  disposizione  approvate e
comunque esulante dalla competenza legislativa regionale».

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale di alcune disposizioni della
legge  della  Regione  Veneto  23 aprile  2004,  n. 11  (Norme per il
governo  del  territorio),  in particolare ha impugnato l'art. 40, in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), ed all'art. 118,
terzo  comma,  Cost.,  nonche'  l'art. 50,  comma 8,  lettera c),  in
riferimento  agli articoli 3, 117, commi secondo, lettera l), terzo e
sesto della Costituzione.
    Dell'art.  40 il ricorrente censura specificamente i commi 3, 4 e
5  i  quali attribuiscono al piano di assetto territoriale (PAT), con
riguardo  ai centri storici, la determinazione sia delle categorie in
cui  devono  essere  raggruppati  i  manufatti  e  gli  spazi  liberi
esistenti,  sia  dei  valori  di  tutela  in funzione degli specifici
contesti    da    salvaguardare    nonche',   per   ogni   categoria,
l'individuazione   degli   interventi,   delle   destinazioni   d'uso
ammissibili e dei margini di flessibilita' consentiti dal piano degli
interventi (PI).
    Le  attribuzioni  al  PAT  concernono  anche le ville venete, gli
edifici  e i complessi di valore monumentale e testimoniale e le loro
pertinenze.
    Secondo  il  ricorrente  siffatte  disposizioni sono lesive delle
attribuzioni  statali  in  materia  di  tutela dei beni culturali, le
quali,    essendo    esclusive,   comprendono   anche   la   potesta'
regolamentare.  Il  ricorrente  rileva  che  nella  tutela  dei  beni
culturali rientra anzitutto il potere di riconoscere i beni culturali
come tali.
    Per   quanto  concerne  la  disposizione  dell'art. 50,  comma 8,
lettera c),  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, premesso che
essa regola le distanze tra le costruzioni, sostiene che tale materia
rientra  nell'ordinamento civile, anch'essa di competenza legislativa
esclusiva  dello  Stato. Denuncia, inoltre, la violazione dell'art. 3
Cost.  sotto  il  profilo  della irragionevolezza, in quanto la norma
distorce  a  favore  dell'interesse  privato dei proprietari soggetti
alla  regola della prevenzione la disciplina statale dettata a tutela
dell'interesse pubblico.
    2.  -  Le  due questioni devono essere distintamente esaminate in
quanto attengono a differenti materie e comportano uno scrutinio alla
luce di parametri in parte diversi.
    La  questione  concernente  l'art. 40  citato  non e' fondata nei
termini di seguito indicati.
    La   tutela   dei  beni  culturali,  inclusa  nel  secondo  comma
dell'art. 117  Cost.  sotto  la  lettera s)  tra quelle di competenze
legislativa esclusiva dello Stato, e' materia che condivide con altre
alcune  peculiarita'.  Essa  ha  un  proprio ambito materiale, ma nel
contempo  contiene  l'indicazione  di  una finalita' da perseguire in
ogni  campo  in  cui  possano  venire in rilievo beni culturali. Essa
costituisce  anche una materia-attivita', come questa Corte l'ha gia'
definita   (v.   sentenza   n. 26   del  2004),  condividendo  alcune
caratteristiche  con  la  tutela dell'ambiente, non a caso ricompresa
sotto  la  stessa  lettera s)  del  secondo comma dell'art. 117 della
Costituzione. In entrambe assume rilievo il profilo teleologico della
disciplina.
    In  tale ordine di idee questa Corte ha affermato che «"la tutela
dell'ambiente",  piu' che una "materia" in senso stretto, rappresenta
un  compito  nell'esercizio  del quale lo Stato conserva il potere di
dettare  standard di protezione uniformi validi in tutte le Regioni e
non  derogabili  da  queste;  e  che  cio'  non  esclude  affatto  la
possibilita'   che  leggi  regionali,  emanate  nell'esercizio  della
potesta'   concorrente   di  cui  all'art. 117,  terzo  comma,  della
Costituzione  o  di  quella  "residuale"  di cui all'art. 117, quarto
comma,  possano assumere tra i propri scopi anche finalita' di tutela
ambientale» (v. sentenza n. 307 del 2003, paragrafo 5 del Considerato
in diritto, nonche' sentenze n. 407 del 2002, n. 222 del 2003 e n. 62
del  2005).  D'altra  parte,  mentre  non  e'  discutibile che i beni
immobili  di valore culturale caratterizzano e qualificano l'ambiente
-  specie dei centri storici cui la norma impugnata si riferisce - ha
rilievo  l'attribuzione  della valorizzazione dei beni culturali alla
competenza concorrente di Stato e Regioni.
    Ai  fini  del  discrimine  delle  competenze,  ma  anche del loro
intreccio   nella   disciplina   dei   beni  culturali,  elementi  di
valutazione   si   traggono   dalle  norme  del  decreto  legislativo
22 gennaio  2004,  n. 42 (Codice dei beni culturali e paesaggistici).
Tale  testo  legislativo ribadisce l'esigenza dell'esercizio unitario
delle  funzioni di tutela dei beni culturali (art. 4, comma 1) e, nel
contempo,  stabilisce,  pero',  che  siano  non soltanto lo Stato, ma
anche  le Regioni, le citta' metropolitane, le province e i comuni ad
assicurare  e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e a
favorirne   la   pubblica  fruizione  e  la  valorizzazione  (art. 1,
comma 3).  Inoltre,  a rendere evidente la connessione della tutela e
valorizzazione  dei  beni culturali con la tutela dell'ambiente, sono
le lettere f) e g) del comma 4 dell'art. 10 del suindicato codice, le
quali elencano, tra i beni culturali, le ville, i parchi, i giardini,
le  vie,  le  piazze e in genere gli spazi aperti urbani di interesse
artistico o storico.
    Con  riguardo  a  tale  ultimo rilievo e' anche sotto altro, piu'
specifico, aspetto che viene in evidenza la competenza regionale.
    La    materia    del    governo   del   territorio,   comprensiva
dell'urbanistica  e  dell'edilizia  (v.  sentenze  n. 362  del 2003 e
n. 196  del  2004),  rientra  tra  quelle  di  competenza legislativa
concorrente.  Spetta  percio'  alle Regioni, nell'ambito dei principi
fondamentali  determinati  dallo Stato, stabilire la disciplina degli
strumenti  urbanistici. Ora, non v'e' dubbio che tra i valori che gli
strumenti   urbanistici   devono   tutelare   abbiano  rilevanza  non
secondaria   quelli   artistici,   storici,  documentari  e  comunque
attinenti alla cultura nella polivalenza di sensi del termine.
    Non  si  puo'  dubitare, ad esempio, che disposizioni le quali, a
qualsiasi  livello,  limitino  l'inquinamento atmosferico o riducano,
disciplinando  la  circolazione  stradale,  le  vibrazioni,  tutelino
l'ambiente  e  insieme,  se  esistenti,  gli  immobili  o i complessi
immobiliari di valore culturale.
    Nelle  materie  in cui ha primario rilievo il profilo finalistico
della  disciplina, la coesistenza di competenze normative rappresenta
la  generalita'  dei  casi.  Ed  e'  significativo  che,  proprio con
riguardo  a  cio'  cui  si  e'  fatto  cenno,  la  Costituzione abbia
stabilito  che  nella  materia  dei  beni  culturali la legge statale
preveda   forme  di  intesa  e  coordinamento  tra  Stato  e  Regioni
(art. 118, terzo comma).
    Alla   luce  delle  considerazioni  svolte,  la  norma  regionale
impugnata non e' invasiva della sfera di competenza statale.
    Stabilire  che, previa analisi dei manufatti e degli spazi liberi
e  individuazione  delle  loro pertinenze, sia il PAT a determinare i
livelli  di tutela e le modalita' di utilizzazione dei beni culturali
esistenti  nei  centri  storici,  non  comporta  contraddizione della
normativa  statale in tema di tutela dei beni culturali, in quanto la
disciplina  regionale e' in funzione di una tutela non sostitutiva di
quella  statale,  bensi'  diversa  ed aggiuntiva, da assicurare nella
predisposizione  della  normativa  di  governo  del territorio, nella
quale necessariamente sono coinvolti i detti beni.
    La    legge   regionale   non   stabilisce   nuovi   criteri   di
identificazione  dei  beni  culturali  ai  fini del regime proprio di
questi nell'ambito dell'ordinamento statale, bensi' prevede che nella
disciplina  del governo del territorio - e quindi per quanto concerne
le  peculiarita'  di  questa  -  si tenga conto non soltanto dei beni
culturali identificati secondo la normativa statale, ma eventualmente
anche  di  altri,  purche'  pero'  essi  si trovino a far parte di un
territorio  avente una propria conformazione e una propria storia (v.
sentenza n. 94 del 2003).
    E,  per concludere, si osserva, da un lato, che il ricorrente non
si  duole  che  la  Regione  abbia travalicato i limiti della propria
competenza  in  materia  di  governo  del territorio invadendo quella
statale   avente   ad   oggetto   la   determinazione   dei  principi
fondamentali,  dall'altro  che  allo  Stato  non  mancherebbero altri
rimedi  qualora  singoli  provvedimenti della Regione o di altri enti
locali dovessero ledere le sue attribuzioni.
    3.   -   Riguardo  all'altra  questione,  concernente  l'art. 50,
comma 8,  lettera c),  della  stessa legge della Regione Veneto n. 11
del    2004,    va    rilevata   preliminarmente   l'inammissibilita'
dell'intervento   spiegato,   limitatamente   ad   essa   e  peraltro
tardivamente,  dal  signor  A.C.  E',  infatti, principio consolidato
nella giurisprudenza di questa Corte che, nei giudizi di legittimita'
costituzionale  delle  leggi  promossi  in  via  di  azione  ai sensi
dell'art. 127  Cost. e degli artt. 31 e seguenti della legge 11 marzo
1953,  n. 87,  non  e'  ammesso  l'intervento di soggetti privi delle
attribuzioni  legislative  in  contestazione (v., da ultimo, sentenze
n. 338  del  2003, n. 166 del 2004, n. 378 del 2004 nonche' ordinanza
n. 20 del 2005 e ordinanza allegata alla sentenza n. 150 del 2005).
    4. - Nel merito, la questione e' fondata.
    La   disciplina   delle   distanze  fra  costruzioni  ha  la  sua
collocazione anzitutto nella sezione VI del Capo II del Titolo II del
Libro III del codice civile, intitolata appunto «Delle distanze nelle
costruzioni,   piantagioni  e  scavi,  e  dei  muri,  fossi  e  siepi
interposti  tra  fondi».  Tale  disciplina,  ed in particolare quella
degli  articoli 873  e  875  che viene qui in piu' specifico rilievo,
attiene  in  via  primaria  e  diretta ai rapporti tra proprietari di
fondi  finitimi.  In caso di sua violazione, la tutela dei diritti su
di essa fondati, assicurata davanti al giudice ordinario, puo' essere
suscettibile  di  esecuzione in forma specifica. Non si puo' pertanto
dubitare  che  la  disciplina  delle  distanze, per quanto concerne i
rapporti  suindicati,  rientri nella materia dell'ordinamento civile,
di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
    Tuttavia,  poiche' i fabbricati insistono su di un territorio che
puo'  avere  rispetto  ad  altri  - per ragioni naturali e storiche -
specifiche  caratteristiche,  la  disciplina  che li riguarda - ed in
particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso - esorbita
dai  limiti  propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi
pubblici.  Ed  e'  per  l'influenza  che  le peculiarita' dei diversi
insediamenti  possono  avere che lo stesso codice civile, ancor prima
della  Costituzione,  ha attribuito rilievo ai regolamenti locali, in
un'epoca in cui unica fonte di normativa primaria era lo Stato.
    Una  volta  assegnate alle Regioni competenze normative primarie,
il  rilievo  della  connessione  e  delle  interferenze tra interessi
privati e interessi pubblici e della importanza delle caratteristiche
locali  in tema di distanze tra costruzioni ha trovato attuazione nel
riparto  di  competenze legislative e nell'attribuzione alle Regioni,
in  sede  di  competenza  concorrente,  della materia del governo del
territorio,   comprensiva,  come  si  e'  detto,  dell'urbanistica  e
dell'edilizia.
    Ma  in  quanto titolari di competenza concorrente e non residuale
riguardo  ad  una  materia  che,  relativamente alla disciplina delle
distanze,  interferisce con altra di spettanza esclusiva dello Stato,
le  Regioni  devono  esercitare  le  loro  funzioni  nel rispetto dei
principi della legislazione statale.
    Ora,  in  materia  di  distanze  tra fabbricati, primo principio,
fissato  in  epoca risalente ma ancora di recente ribadito, e' che la
distanza  minima  sia  determinata  con legge statale, mentre in sede
locale,  sempre  ovviamente  nei limiti della ragionevolezza, possono
essere fissati limiti maggiori.
    In  secondo  luogo,  l'ordinamento  statale consente deroghe alle
distanze  minime con normative locali, purche' pero' siffatte deroghe
siano  previste  in  strumenti  urbanistici  funzionali ad un assetto
complessivo  ed  unitario  di  determinate  zone del territorio. Tali
principi  si  ricavano  dall'art. 873  cod.  civ. e dall'ultimo comma
dell'art. 9   del  d.m.  2 aprile  1968,  n. 1444,  emesso  ai  sensi
dell'art. 41-quinquies    della   legge   17 agosto   1942,   n. 1150
(introdotto  dall'art. 17  della legge 6 agosto 1967, n. 765), avente
efficacia   precettiva   e   inderogabile,   secondo   un   principio
giurisprudenziale consolidato.
    I   suindicati  limiti  alla  possibilita'  di  fissare  distanze
inferiori  a  quelle previste dalla normativa statale trovano la loro
ragione  nel  rilievo  che  le  deroghe, per essere legittime, devono
attenere  agli assetti urbanistici e quindi al governo del territorio
e  non  ai  rapporti  tra vicini isolatamente considerati in funzione
degli interessi privati dei proprietari dei fondi finitimi.
    La norma regionale censurata non risponde ai menzionati requisiti
di legittimita'.
    Essa,  con  riguardo  ad una situazione particolare costituita da
una costruzione gia' esistente posta a distanza dal confine inferiore
a quella prescritta dalla normativa attualmente vigente, ma legittima
secondo  la  disciplina  dell'epoca  della  costruzione, autorizza il
proprietario  del  fondo  confinante  a  costruire  o  a mantenere il
proprio  fabbricato ad una distanza dall'altro manufatto preesistente
inferiore  a  quella  ordinariamente  stabilita, con il solo rispetto
della prescritta distanza dal confine.
    Tale norma non attiene quindi all'assetto urbanistico complessivo
delle zone territoriali in cui la suddetta deroga e' consentita.
    Ne',  d'altra  parte,  come  gia'  affermato  da questa Corte (v.
sentenza  n. 62  del  2005) la transitorieta' della disposizione puo'
valere  a  giustificarla  sul  piano  costituzionale,  poiche', anzi,
l'attribuzione  di tale natura alla norma, anche per le modalita' con
le  quali  e'  stata realizzata, porta ulteriormente ad escluderne la
finalizzazione   alla   disciplina   dell'assetto   urbanistico   del
territorio   e   rappresenta,  quindi,  un  ulteriore  sintomo  della
violazione  dei  limiti  imposti  dalla  Costituzione alla competenza
della Regione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 50, comma 8,
lettera c),  della  legge  della Regione Veneto 23 aprile 2004, n. 11
(Norme per il governo del territorio);
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 40  della  legge  della  Regione  Veneto  n. 11  del  2004,
sollevata,  in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s),
e  118, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio
dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                       Il redattore: Amirante
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 16 giugno 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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