N. 236 ORDINANZA 8 - 16 giugno 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  - Nuove contestazioni - Modifica dell'imputazione -
  Facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il
  giudizio  abbreviato  relativamente  al fatto diverso contestato in
  udienza,  quando  la  novita'  della  contestazione  deriva  da una
  sopravvenuta  modifica  normativa  -  Mancata previsione - Asserita
  violazione  del diritto di difesa e del principio di ragionevolezza
  -   Difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza  della  questione  -
  Manifesta inammissibilita'.
- Cod. proc. pen., art. 516.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
Processo  penale  - Nuove contestazioni - Modifica dell'imputazione -
  Facolta' dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il
  giudizio  abbreviato  relativamente  al fatto diverso contestato in
  udienza,  quando  la  nuova  contestazione  concerne  un fatto gia'
  risultante   dagli  atti  di  indagine  al  momento  dell'esercizio
  dell'azione  penale  - Mancata previsione - Asserita violazione del
  diritto  di  difesa  e del principio di ragionevolezza - Difetto di
  rilevanza della questione - Manifesta inammissibilita'.
- Cod. proc. pen., art. 516.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
Processo  penale  -  Dibattimento - Modifica dell'imputazione o della
  contestazione  di  un  reato  concorrente in relazione a fatti gia'
  risultanti  dagli  atti  di  indagine  - Trasmissione degli atti al
  pubblico  ministero  quando  il reato e' attribuito alla cognizione
  del  tribunale  in  composizione  collegiale anziche' monocratica -
  Mancata  previsione  -  Asserita violazione del diritto di difesa e
  del  principio di ragionevolezza - Manifesta inammissibilita' della
  questione.
- Cod proc. pen., art. 521-bis, comma 1.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.25 del 22-6-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici: Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni
Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 516 e 521-bis,
comma 1,  del  codice  di  procedura penale, promossi, nell'ambito di
diversi procedimenti penali, dal Tribunale di Monza con ordinanza del
10 ottobre   2002,   dal  Tribunale  di  Salerno  con  ordinanza  del
27 febbraio  2004  e  dal  Tribunale  di  Pistoia  con  ordinanza del
19 dicembre  2003,  rispettivamente  iscritte  al n. 881 del registro
ordinanze  2003  e  ai numeri 582 e 444 del registro ordinanze 2004 e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1ª serie
speciale,  dell'anno 2003, n. 26, 1ª serie speciale, dell'anno 2004 e
nella edizione straordinaria del 3 giugno 2004.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nelle  camere  di  consiglio del 6 e del 20 aprile 2005 il
giudice relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Monza (r.o. n. 881 del 2003) ha
sollevato  su  eccezione  della difesa degli imputati, in riferimento
agli  artt. 3  e  24  della  Costituzione,  questione di legittimita'
costituzionale  dall'art. 516  del  codice di procedura penale, nella
parte  in cui «non prevede la facolta' dell'imputato di richiedere al
giudice  del  dibattimento  la  definizione del procedimento ai sensi
degli  artt. 438  e  seguenti  cod. proc. pen. relativamente al fatto
diverso  contestato in udienza, quando la novita' della contestazione
discende  da  modifica  legislativa  che  innova  la  struttura della
fattispecie  astratta  originariamente  contestata, sulla cui base il
pubblico ministero abbia proceduto a nuova contestazione in udienza»;
        che  il Tribunale premette che nel corso del dibattimento per
il  reato  di  bancarotta  fraudolenta  di  cui all'art. 223, secondo
comma, della legge fallimentare (regio decreto 16 marzo 1942, n. 267)
l'originaria   imputazione   era   stata  modificata  in  conseguenza
dell'entrata in vigore del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61,
che ha sostituito il secondo comma, numero 1, del medesimo articolo;
        che  gli  imputati  avevano  formulato  richiesta di giudizio
abbreviato,  sostenendo  che  l'eventuale  rigetto  di  tale istanza,
benche'  conforme all'attuale disposto dell'art. 516 cod. proc. pen.,
si sarebbe posto in contrasto con l'art. 24 Cost;
        che  il  rimettente richiama la sentenza n. 265 del 1994, con
la   quale   questa   Corte  ha  affermato  che  «qualora  non  possa
rimproverarsi    alcuna    inerzia    all'imputato,   ossia   nessuna
addebitabilita'   al   medesimo   delle   conseguenze  della  mancata
instaurazione  dei  riti  alternativi  al dibattimento, sarebbe molto
difficile  negare  che  la  impossibilita'  di  ottenere  i  relativi
benefici  concretizzi  un'ingiustificata  compressione del diritto di
difesa»,  e  rileva  che  la  Corte,  con  la  citata  decisione,  ha
introdotto  una  «sostanziale  rimessione  in termini» per consentire
l'accesso  ai  riti  alternativi, in quanto «la libera determinazione
dell'imputato  verso  tali  riti»  era  stata  «sviata  da aspetti di
anomalia   caratterizzanti   la  condotta  processuale  del  pubblico
ministero»,   quali  l'incompletezza  dell'imputazione  a  fronte  di
elementi gia' emergenti dagli atti di indagine preliminare;
        che  il  Tribunale  soggiunge  che nel caso in esame la norma
censurata,  pur  risultando  l'originaria  imputazione  correttamente
formulata  in base alla fattispecie incriminatrice all'epoca vigente,
si  pone  comunque in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto
priva  irragionevolmente l'imputato della possibilita' di accedere al
giudizio  abbreviato  a  fronte  della  contestazione  «di  un  fatto
radicalmente   diverso   da   quello  originariamente  descritto  nel
capo d'imputazione», non prevedibile nell'udienza preliminare;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata in quanto,
contrariamente  alla  situazione  presa in considerazione dalla Corte
con  la  sentenza  n. 265  del  1994,  nel caso di specie la modifica
dell'imputazione   trae   origine   da   una   sopravvenuta  modifica
legislativa  e  cioe'  da  un  «accadimento  esterno  al  processo ed
estraneo al comportamento delle parti»;
        che  ad  avviso  dell'Avvocatura  in  tali casi l'ordinamento
dispone,  sul piano del diritto sostanziale, di specifiche regole per
la  successione delle leggi penali, «mentre sul piano processuale non
sembra  irragionevole  che  venga  lasciato  un  margine di scelta in
ordine   alla   creazione   di  una  eventuale  specifica  disciplina
transitoria»;
        che  il  Tribunale  di  Salerno  (r.o.  n. 582  del  2004) ha
sollevato    analoga   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 516  cod.  proc.  pen.,  «nella parte in cui non prevede la
facolta'  dell'imputato  di richiedere al giudice del dibattimento la
definizione del procedimento ai sensi degli artt. 438 e seguenti cod.
proc.  pen. relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento
quando  la  nuova  contestazione concerne un fatto che gia' risultava
dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale»;
        che  il  rimettente  premette  che  in  dibattimento, dopo la
richiesta  delle  prove,  il  pubblico  ministero aveva modificato il
capo di   imputazione,   contestando  all'imputato,  «sulla  base  di
emergenze  processuali  che  erano  gia'  in  suo  possesso  all'atto
dell'esercizio  dell'azione  penale»,  che  l'autovettura oggetto del
reato  di  ricettazione  proveniva  non gia' dal reato di furto, come
risultava nell'originaria contestazione, bensi' dal reato di rapina;
        che  il  difensore dell'imputato, munito di procura speciale,
aveva  chiesto  che  il procedimento a carico del suo assistito fosse
definito con il giudizio abbreviato;
        che  in  base  all'attuale  disciplina normativa la richiesta
dovrebbe  essere  dichiarata  inammissibile perche' formulata dopo la
dichiarazione di apertura del dibattimento, oltre il limite temporale
fissato dall'art. 555, comma 2, cod. proc. pen;
        che  cio'  premesso,  il giudice a quo ritiene che l'art. 516
cod.  proc.  pen.  viola  gli artt. 3 e 24 Cost., traducendosi in una
lesione  del  diritto di difesa, particolarmente evidente nel caso in
cui  -  come  nella  specie  - il pubblico ministero abbia operato la
modifica  dell'originaria  contestazione  sulla  base di elementi che
erano gia' in suo possesso nella fase delle indagini;
        che, infatti, in tale ipotesi non potrebbe neppure sostenersi
che  l'imputato,  optando per il rito ordinario, abbia implicitamente
accettato  il  rischio  di  una  modifica  dell'imputazione a seguito
dell'emergere   di   nuovi   elementi   nel   corso  dell'istruttoria
dibattimentale;
        che  il  giudice  a  quo  non  ignora  che  questa Corte, nel
dichiarare   con   la   sentenza  n. 265  del  1994  l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 516 cod. proc. pen., nella parte in cui non
prevedeva  la facolta' dell'imputato di chiedere l'applicazione della
pena  in relazione al fatto diverso o al reato concorrente contestato
in dibattimento, ha ritenuto inammissibile analoga questione relativa
alla   richiesta   di   giudizio   abbreviato,   ma   rileva  che  le
considerazioni  allora  svolte  circa  l'inconciliabilita'  tra  rito
ordinario e giudizio abbreviato debbano ritenersi superate, in quanto
da  un lato l'ordinamento ormai conosce casi in cui lo stesso giudice
del  dibattimento  e'  abilitato  a celebrare il giudizio abbreviato,
dall'altro  il  principio  della  ragionevole  durata  del  processo,
enunciato  dall'art. 111,  secondo comma, Cost., sembra precludere la
via  della regressione del procedimento, che pure era stata adombrata
dalla Corte quale possibile alternativa alla trasformazione del rito;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata infondata, sulla
base   delle  argomentazioni  gia'  svolte  nell'atto  di  intervento
depositato   con  riferimento  ad  analoga  questione  sollevata  dal
Tribunale  di  Monza  con  ordinanza  iscritta al n. 881 del registro
ordinanze del 2003;
        che  il  Tribunale  di  Pistoia in composizione collegiale ha
sollevato  (r.o.  n. 444  del 2004), in riferimento agli artt. 3 e 24
Cost.,  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 521-bis,
comma 1,  cod.  proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non  prevede  la
trasmissione  degli atti al pubblico ministero in tutte le ipotesi in
cui,  a  seguito  della contestazione del fatto diverso e di un reato
concorrente  in  relazione a fatti che gia' risultavano dagli atti di
indagine,  il  reato  e'  attribuito alla cognizione del tribunale in
composizione collegiale anziche' monocratica;
        che lo stesso rimettente aveva gia' sollevato nell'ambito del
medesimo    procedimento    identica    questione   di   legittimita'
costituzionale, dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza
n. 129  del 2003 in quanto ipotetica, non avendo l'imputato formulato
alcuna richiesta di giudizio abbreviato;
        che  nel riproporre la questione il rimettente precisa che il
difensore  dell'imputato,  munito  di  procura  speciale,  ha chiesto
l'ammissione   al   giudizio   abbreviato  in  relazione  alla  nuova
imputazione,  eccependo,  ove  la  richiesta  fosse  stata dichiarata
inammissibile, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 521-bis cod.
proc. pen;
        che  il rimettente premette in fatto che in esito all'udienza
preliminare  era  stato  disposto il giudizio davanti al tribunale in
composizione  monocratica  in  ordine al reato di bancarotta semplice
(art. 217  del  regio  decreto 16 marzo 1942, n. 267) e che nel corso
del dibattimento il pubblico ministero aveva modificato l'imputazione
in  quella  di  bancarotta  fraudolenta  documentale (art. 216, primo
comma,  n. 2)  e  aveva contestato, a titolo di reato concorrente, la
bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216, primo comma, n. 1), in
relazione  ad  un  fatto  -  distrazione  di  somme  di denaro - gia'
risultante dagli atti di indagine;
        che,  a norma dell'art. 33-septies cod. proc. pen., era stata
disposta  la  trasmissione  degli  atti  al tribunale in composizione
collegiale,  e cioe' all'attuale rimettente, che, invece, individuava
nell'art. 521-bis  cod.  proc.  pen.  la disposizione applicabile nel
caso  di  specie,  concernente  la  modifica  della  composizione del
giudice  a seguito di nuove contestazioni e non gia' a seguito di una
originaria, erronea individuazione del giudice;
        che  ad avviso del giudice a quo tale disposizione, limitando
i  casi  di  trasmissione  degli  atti  al pubblico ministero ai soli
giudizi    con   citazione   diretta,   sacrifica   la   possibilita'
dell'imputato  di  accedere  ai  riti alternativi e, segnatamente, al
giudizio  abbreviato  «nella sede appropriata (udienza preliminare) e
in  relazione  a  tutte  le  imputazioni,  quella modificata e quella
suppletiva»;
        che,  al  riguardo,  il  giudice  a  quo richiama la sentenza
n. 265  del 1994, con la quale la Corte ha dichiarato, in riferimento
agli  artt. 3  e  24  Cost.,  l'illegittimita'  costituzionale  degli
artt. 516  e 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono la
facolta'  dell'imputato  di  chiedere  al  giudice  del  dibattimento
l'applicazione  della  pena  ai  sensi  dell'art. 444 cod. proc. pen.
relativamente  al  fatto diverso o al reato concorrente contestato in
dibattimento quando la nuova contestazione concerne un fatto che gia'
risultava   dagli   atti   di   indagine  al  momento  dell'esercizio
dell'azione penale;
        che il rimettente da' inoltre atto che con la stessa sentenza
la Corte ha dichiarato inammissibile questione analoga concernente il
giudizio   abbreviato,   in   base   al  rilievo  che  tale  rito  e'
inconciliabile  con  la  struttura del dibattimento e comunque che la
trasformazione   del   rito  non  sarebbe  scelta  costituzionalmente
obbligata;
        che, ad avviso del giudice a quo, alla luce del mutato quadro
normativo  «tale  decisione e la relativa motivazione puo' essere ora
riesaminata»,  sicche'  in tutti i casi in cui le nuove contestazioni
trovino  fondamento  in  elementi  di  prova raccolti nel corso delle
indagini preliminari la restituzione degli atti al pubblico ministero
consentirebbe   all'imputato  di  presentare  richiesta  di  giudizio
abbreviato nell'udienza preliminare.
    Considerato   che  in  tutte  le  ordinanze  viene  censurata  la
disciplina   che,   nell'ipotesi  di  modifica  dell'imputazione  per
diversita'  del  fatto  o  di  contestazione di un reato concorrente,
preclude  all'imputato  di  accedere  al rito abbreviato in relazione
alla nuova imputazione;
        che,  stante  la  sostanziale  affinita'  delle questioni, va
disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che,  in  particolare, il Tribunale di Monza (r.o. n. 881 del
2003)  e  il  Tribunale  di  Salerno  (r.o.  n. 582  del  2004) hanno
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 516 cod.
proc.  pen., nella parte in cui non prevede la facolta' dell'imputato
di   richiedere  al  giudice  del  dibattimento  la  definizione  del
procedimento   con  il  rito  abbreviato  «quando  la  novita'  della
contestazione   discende   da  modifica  legislativa  che  innova  la
struttura  della  fattispecie  astratta  originariamente  contestata»
(r.o. n. 881 del 2003) ovvero «quando la nuova contestazione concerne
un  fatto  che  gia'  risultava  dagli  atti  di  indagine al momento
dell'esercizio dell'azione penale» (r.o. n. 582 del 2004);
        che  nel  giudizio  pendente davanti al Tribunale di Monza la
modifica   dell'imputazione   era   stata   determinata  dalla  nuova
formulazione del reato di bancarotta fraudolenta di cui all'art. 223,
secondo comma, numero 1, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, per
effetto del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61;
        che  il  rimettente,  pur rilevando che la modifica normativa
«innova  la  struttura  della  fattispecie  astratta  originariamente
contestata»,   omette  di  fornire  qualsiasi  indicazione  circa  la
condotta   e   gli   altri  elementi  costitutivi  della  fattispecie
sottoposta  al  suo  esame,  nonche' di precisare se, in relazione al
fenomeno  di successione di leggi penali nel tempo, interessante tale
fattispecie,  i  fatti  gia'  contestati prima dell'entrata in vigore
della  riforma  legislativa  potevano  o  meno  integrare  la «nuova»
fattispecie criminosa;
        che  l'ordinanza  di  rimessione  non contiene infatti alcuna
motivazione  sulle  ragioni  per cui, nel caso di ius superveniens in
esame,  avrebbe  dovuto  trovare  applicazione la disciplina prevista
dall'art. 516 cod. proc. pen;
        che   pertanto   la   questione   si   palesa  manifestamente
inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza;
        che,   quanto  alla  questione  sollevata  dal  Tribunale  di
Salerno,  il  rimettente  -  premesso che il pubblico ministero aveva
contestato  in  dibattimento  che  l'autovettura oggetto del reato di
ricettazione  proveniva  non da furto, bensi' da rapina - ritiene che
tale  modifica  dell'imputazione  integri  gli  estremi  di una nuova
contestazione  ai sensi dell'art. 516, comma 1, cod. proc. pen., tale
da  giustificare la richiesta dell'imputato di essere ammesso al rito
abbreviato;
        che  il giudice a quo trascura di considerare che, secondo la
giurisprudenza  di legittimita', ai fini della responsabilita' per il
delitto  di  ricettazione  non  e'  necessario  individuare  l'esatta
tipologia del delitto presupposto;
        che  nel  caso in esame si deve quindi escludere di essere in
presenza  della  contestazione  di un fatto diverso ai fini e per gli
effetti dell'art. 516 cod. proc. pen.;
        che,  pertanto,  la questione e' manifestamente inammissibile
per difetto di rilevanza;
        che  il  Tribunale  di  Pistoia  (r.o.  n. 444  del  2004) ha
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  24 Cost., questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 521-bis,  comma 1, cod. proc.
pen.,  nella  parte  in cui non prevede la trasmissione degli atti al
pubblico  ministero quando, a seguito della contestazione di un fatto
diverso  o  di  un  reato  concorrente  in relazione a fatti che gia'
risultavano  dagli  atti  di  indagine,  il  reato e' attribuito alla
cognizione   del   tribunale   in  composizione  collegiale  anziche'
monocratica;
        che   il   rimettente   precisa   che  in  esito  all'udienza
preliminare  era  stato  disposto  il rinvio a giudizio dell'imputato
davanti  al  tribunale  in  composizione  monocratica per il reato di
bancarotta  semplice  e  che  nel  corso del dibattimento il pubblico
ministero  aveva  modificato  l'imputazione  in  quella di bancarotta
fraudolenta  documentale  e  aveva  contestato,  a  titolo  di  reato
concorrente,  il  reato  di  bancarotta  fraudolenta patrimoniale, in
relazione  ad  un  fatto  - distrazione di somme di denaro - che gia'
risultava dagli atti delle indagini preliminari;
        che  il  giudice  a  quo  vorrebbe  estendere  il  meccanismo
dell'art. 521-bis cod. proc. pen. - che prevede la trasmissione degli
atti al pubblico ministero per le sole ipotesi in cui a seguito delle
nuove  contestazioni  il  reato risulta tra quelli per cui si procede
con udienza preliminare e questa non si e' tenuta - a tutti i casi in
cui   per   effetto  della  modifica  dell'imputazione  il  reato  e'
attribuito  alla  cognizione del tribunale in composizione collegiale
anziche'  monocratica, al fine di consentire all'imputato di accedere
nell'udienza  preliminare  al  giudizio  abbreviato in relazione alla
nuova imputazione;
        che    nell'esaminare    una    questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 521-bis  cod.  proc.  pen.  questa Corte ha
avuto occasione di affermare che la soluzione, allora prospettata dal
rimettente,   di   far   regredire  il  procedimento  per  consentire
all'imputato  di  presentare  richiesta  di  applicazione  della pena
nell'udienza   preliminare   e'   «eccentrica  e  incongrua  rispetto
all'attuale  sistema»,  in  cui  «la  ripartizione della competenza a
celebrare  i  riti alternativi tra giudice dell'udienza preliminare e
giudice  del  dibattimento risponde essenzialmente [...] a ragioni di
speditezza   processuale»;  ragioni  oggi  assistite  «dal  principio
costituzionale  della  ragionevole  durata  del  processo» (ordinanza
n. 486 del 2002);
        che  in tale ordinanza la Corte ha altresi' affermato che non
possono  ritenersi  «superate  la  ratio e la portata» delle sentenze
n. 265  del  1994  e  n. 530  del 1995, che avevano individuato nella
restituzione   nel   termine   per  la  richiesta  di  patteggiamento
l'istituto  piu'  idoneo  a  eliminare  la  violazione del diritto di
difesa dell'imputato;
        che  nella  sentenza  n. 265  del  1994  la  Corte  ha  anche
dichiarato   inammissibile   una   questione   volta   a   consentire
all'imputato l'accesso al giudizio abbreviato in dibattimento in caso
di modifica dell'imputazione, sul presupposto che, trattandosi di una
«procedura    inconciliabile    con    quella   dibattimentale»,   la
trasformazione    del    rito    non    poteva    ritenersi   «scelta
costituzionalmente    obbligata,    allo    stato    dell'ordinamento
processuale»;
        che,  a  prescindere  dall'attualita'  di tale soluzione alla
luce delle profonde modifiche normative e di alcune recenti decisioni
di  questa  Corte  in tema di giudizio abbreviato (v. sentenze n. 169
del  2003  e  n. 54 del 2002), e' certo che la richiesta dell'attuale
rimettente  di  trasmissione  degli  atti  al  pubblico  ministero e'
comunque  incongrua  rispetto  ad  un  sistema  ora  complessivamente
improntato,  per  esigenze  di  speditezza e di economia, all'opposto
principio di non regressione del procedimento;
        che  anche  la  questione  sollevata dal Tribunale di Pistoia
deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 516  del  codice di procedura
penale   sollevate,   in   riferimento   agli   artt. 3  e  24  della
Costituzione,  dal  Tribunale di Monza e dal Tribunale di Salerno con
le ordinanze in epigrafe;
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 521-bis, comma 1, del codice di
procedura  penale  sollevata,  in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, dal Tribunale di Pistoia con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                     Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 16 giugno 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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