N. 319 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 aprile 2005
Ordinanza emessa il 19 aprile 2005 dal tribunale amministrativo regionale della Lombardia sezione distaccata Brescia sul ricorso proposto da Kaso Bledar contro Questore di Mantova Straniero e apolide - Straniero in posizione irregolare - Espulsione amministrativa - Possibilita' di regolarizzazione in base a circostanze obiettive attestanti l'avvenuto inserimento sociale - Mancata previsione - Ingiustificato eguale trattamento dello straniero lavoratore espulso in quanto in posizione irregolare rispetto allo straniero espulso per motivi di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato - Violazione del diritto di difesa e dei principi del giusto processo. - D.L. 9 settembre 2002, n. 195, art. 1, comma 8, lett. a), conv. in legge 9 ottobre 2002, n. 222. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111.(GU n.26 del 29-6-2005 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella Camera di consiglio dell'8 aprile 2005. Visto il ricorso n. 381/2005 proposto da: Kaso Bledar rappresentato e difeso da: Tarchini Cristina con domicilio eletto presso la segreteria della sezione in Brescia via Malta, 12; Contro Questore di Mantova rappresentato e difeso da: Avvocatura dello Stato con domicilio ope legis in Brescia, via S. Caterina, 6 presso la sua sede, per l'annullamento del provvedimento del Questore di Mantova del 10 novembre 2004, con il quale e' stata respinta l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno n. SMN398313; Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso; Visto l'atto di costituzione in giudizio di: Questore di Mantova; Udito il relatore e ref. Mauro Pedron e uditi, altresi', i difensori delle parti; C o n s i d e r a t o 1. - Il Questore di Mantova con decreto del 10 novembre 2004 ha respinto l'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno n. SMN398313, che era stato rilasciato al ricorrente il 1° agosto 2003 in base alla procedura di legalizzazione di cui al decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195 (convertito con modifiche dalla legge 9 ottobre 2002 n. 222). In occasione dell'esame dell'istanza di rinnovo e' infatti emerso attraverso rilievi dattiloscopici che il ricorrente era stato colpito, sotto falso nome, da un provvedimento di espulsione emesso dal Prefetto di Vicenza il 16 agosto 2001 ed eseguito lo stesso giorno mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (imbarco su una motonave in partenza da Ancona con destinazione Durazzo). 2. - In questo modo e' stato accertato l'impedimento alla legalizzazione previsto dall'art. 1, comma 8, lettera a), del d.l. n. 195/2002 (espulsione con accompagnamento coattivo). Poiche' la legalizzione e' il presupposto del rilascio del permesso di soggiorno (art. 1, commi 4 e 5 del d.l. n. 195/2002) il Questore di Mantova ha ritenuto che il ricorrente non fosse in possesso dei requisiti per il soggiorno. Nel decreto impugnato e' richiamato genericamente l'art. 13, comma 13, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, che vieta al cittadino straniero espulso di rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno. Nella nota di controdeduzioni del 25 marzo 2005 l'Ufficio immigrazione della Questura di Mantova ha chiarito che la causa del denegato rinnovo del permesso di soggiorno e' stata individuata nella presenza di un ostacolo alla legalizzazione, ossia nel decreto di espulsione con accompagnamento coattivo del 16 agosto 2001 («pertanto, in ottemperanza alla previsione normativa di cui all'art. 1, comma 8, del citato decreto-legge n. 195/2002 convertito in legge n. 222/2002, che sancisce ed esclude dal beneficio della legalizzazione coloro che erano stati colpiti da pregressi provvedimenti di accompagnamento coattivo alla frontiera, gli veniva rifiutato il rinnovo del titolo ottenuto e rilasciato sulla base dell'identita' certa, ritenendo che tale provvedimento andasse ad inficiare la validita' del permesso di soggiorno gia' ottenuto.»). La questura ha quindi deciso di non dare ulteriore validita' al permesso di soggiorno ritenendo vietata nel caso in esame la legalizzazione. 3. - Il decreto di espulsione del 16 agosto 2001 e' stato adottato in quanto il ricorrente e' entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e violando quindi l'art. 4, comma 1, e l'art. 11, comma 2, lettera a) della legge 6 marzo 1998, n. 40 (art. 4, comma 1 e art. 13, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 286/1998). L'accompagnamento coattivo e' stato disposto per il pericolo di fuga («poiche' e' stato accertato che non sussistono elementi obiettivi circa il suo inserimento sociale e non sono stati documentati rapporti familiari o lavorativi ne' di altra natura in Italia, e pertanto deve ritenersi del tutto probabile che lo straniero non rispetti l'ordine di lasciare il territorio nazionale a seguito di semplice intimazione»). Ricorre dunque l'ipotesi di accompagnamento coattivo di cui all'art. 11, comma 5, della legge n. 40/1998 (art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998 nella versione originaria). 4. - La circostanza che il cittadino straniero abbia dichiarato false generalita' al momento dell'espulsione, rendendo piu' difficile l'accertamento di questa causa ostativa nella procedura di legalizzazione, non consente di riconoscere una particolare tutela all'affidamento per il tempo trascorso dal rilascio del primo permesso di soggiorno (1° agosto 2003). 5. - Il ricorso in esame richiama l'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale di Lecce n. 251 del 31 marzo 2003, che aveva sollevato la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 8, lett. a) del decreto-legge n. 195/2002 evidenziando la violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza. Poiche' la Corte costituzionale con ordinanza n. 126 del 25 marzo 2005 ha dichiarato manifestamente inammissibile tale questione, e tutte quelle sollevate da altri giudici amministrativi con argomentazioni analoghe, affrontando unicamente il profilo della rilevanza della norma nei giudizi a quibus, e' necessario ritornare sul punto della legittimita' costituzionale della norma. I parametri costituzionali di riferimento sono i principi di ragionevolezza e parita' di trattamento rinvenibili nell'art. 3 della Costituzione. E' inoltre ravvisabile la violazione del diritto di difesa tutelato dagli art. 24 e 111 della Costituzione. 6. - Un primo profilo di irragionevolezza dell'art. 1, comma 8, lett. a) del d.l. n. 195/2002 riguarda l'inidoneita' dell'accompagnamento coattivo a distinguere la posizione dei cittadini stranieri colpiti da un decreto di espulsione. E' vero che nel testo originario dell'art. 13, commi 4 e 5 del d.lgs. n. 286/l998 l'accompagnamento coattivo era previsto soltanto in alcuni casi mentre dopo la modifica introdotta dall'art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 l'espulsione e' sempre eseguita dal questore con questa procedura (l'intimazione e' prevista soltanto per i cittadini stranieri che si trattengano per piu' di sessanta giorni nel territorio dello Stato senza chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto). Tuttavia i casi di espulsione con accompagnamento coattivo previsti dalla disciplina previgente non appartenevano a una categoria omogenea. Vi rientravano situazioni con elevato indice di pericolosita' sociale (soggetti espulsi dal Ministro dell'interno per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi, soggetti indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso) ma anche situazioni meno gravi, nelle quali la preoccupazione del legislatore non era focalizzata sulla sicurezza interna ma sull'effettivita' del provvedimento di espulsione. In questo secondo gruppo ricadevano i cittadini stranieri entrati nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, qualora (tenuto conto dell'inserimento sociale, familiare e lavorativo) vi fosse il rischio di sottrazione alla misura espulsiva, e i cittadini stranieri rimasti indebitamente nel territorio dello Stato oltre il termine fissato con l'intimazione. Se l'esigenza di garantire l'esecuzione dell'espulsione poteva giustificare l'applicazione dell'accompagnamento coattivo in tutti questi casi, ai fini della legalizzazione dei rapporti di lavoro irregolare prevista dal d.l. n. 195/2002 la presenza di un'espulsione con accompagnamento coattivo non e' un parametro di valutazione affidabile. Si tratta in effetti di un elemento che non individua con certezza i soggetti piu' pericolosi, e quindi immeritevoli del beneficio della sanatoria, in quanto in alcuni casi e' collegato al comportamento tenuto prima dell'espulsione, in altri al comportamento tenuto dopo e in altri ancora al comportamento che i cittadini stranieri avrebbero potuto (ipoteticamente) tenere dopo l'intimazione dell'espulsione. Inoltre tali comportamenti sono osservati dalla norma secondo una prospettiva che ne distorce il significato. Una condotta caratterizzata da elementi di pericolosita' sociale potrebbe essere rilevante nella decisione sulla legalizzazione, che apre la strada al permesso di soggiorno e quindi potrebbe esporre la collettivita' al contatto con soggetti non affidabili (fermo restando che la valutazione di pericolosita' dovrebbe essere attuale e non riferita al passato, come si precisa al punto 8). Ma questo argomento e' inidoneo a giustificare l'identico provvedimento di diniego della legalizzazione (e del relativo permesso di soggiorno) quando la condotta presa in considerazione non puo' provocare un analogo allarme sociale. La circostanza che il cittadino straniero non sia uscito dal territorio nazionale nel termine intimato o il timore (valutato al momento dell'espulsione) che vi possa essere un tentativo di rimanere illegittimamente nel tenitorio nazionale sono presupposti del tutto sproporzionati rispetto alla perdita del beneficio della legalizzazione. In questi casi, mancando dei termini di riferimento, non vi sono elementi per presumere che i cittadini stranieri faranno un cattivo uso del permesso di soggiorno. L'inidoneita' dell'accompagnamento coattivo a operare come elemento distintivo della condotta e' resa ancora piu' evidente dalla modifica normativa introdotta dalla legge n. 189/2002, che lo ha trasformato nella procedura normale di esecuzione dell'espulsione. E' emerso in questo modo il carattere pratico dell'accompagnamento coattivo, quale strumento finalizzato a rendere rapida e certa l'espulsione, mentre e' caduto il significato secondario di certificazione della condotta dei cittadini stranieri. Non e' ragionvole che proprio in contemporanea con questa modifica l'art. 1, comma 8, lett a) del d.l. n. 195/2002 (che costituisce un tassello della riforma complessiva della disciplina sull'immigrazione) enfatizzi ai fini della legalizzazione un elemento poco chiaro (e poco attinente ai problemi della sanatoria) come l'accompagnamento coattivo adottato in passato. 7. - Alla generalizzazione della procedura di accompagnamento coattivo fa da contrappeso il sistema di garanzie previsto dall'art. 13, comma 5-bis, d.lgs. n. 286/1998 (convalida del giudice di pace entro quarantotto ore dalla comunicazione, sospensione dell'efficacia dell'accompagnamento fino alla decisione sulla convalida, proponibilita' del ricorso per cassazione). Questo equilibrio non e' stato fissato direttamente dal legislatore ma e' il risultato dell'intervento della Corte costituzionale con le sentenze n. 105 del 10 aprile 2001 e n. 222 del 15 luglio 2004. In effetti il testo iniziale dell'art. 13, del d.lgs. n. 286/1998 (commi 8, 9, 10), in combinato con il successivo art. 14, disciplinava il ricorso al giudice ordinario contro il decreto di espulsione prevedendo la convalida dell'accompagnamento coattivo unicamente in connessione con la convalida del trattenimento presso centri di accoglienza temporanei. Un'autonoma tutela giurisdizionale contro l'accompagnamento coattivo svincolato dal trattenimento temporaneo e' stata introdotta solo dall'art. 2, del d.l. 4 aprile 2002, n 51 (convertito con modifiche dalla legge 7 giugno 2002, n. 106), che ha aggiunto il comma 5-bis all'art. 13, del d.lgs. n. 286/1998. Sulla versione originaria del comma 5-bis si e' pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n. 222 del 15 luglio 2004 chiarendo che nella norma mancavano sufficienti garanzie per i cittadini stranieri espulsi, in quanto l'accompagnamento coattivo era eseguito prima della convalida da parte dell'autorita' giudiziaria. Successivamente e' intervenuto il d.l. 14 settembre 2004, n. 241 (convertito con la legge 12 novembre 2004, n. 271), che ha introdotto la disciplina attualmente in vigore. Collocato in questo quadro l'art. 1, comma 8, lett. a) del d.l. n. 195/2002 risulta irragionevole e lesivo del diritto di difesa. Occorre sottolineare che tutte le espulsioni con accompagnamento coattivo rilevanti ai fini della legalizzazione hanno carattere «storico», in quanto sono collocate entro un periodo temporale che arriva fino al 10 settembre 2002 (termine finale del periodo di permanenza in Italia rilevante ai sensi dell'art. 1, comma 1, del d.l. n. 195/2002). Di conseguenza l'individuazione dell'espulsione con accompagnamento coattivo quale ostacolo insuperabile alla legalizzazione e' censurabile sotto due profili. Da un lato considera ostativi provvedimenti rispetto ai quali i destinatari non avevano all'epoca alcuna possibilita' di difendersi efficacemente, dall'altro estende retroattivamente gli effetti negativi di questi stessi provvedimenti rendendo palese solo a posteriori un ulteriore (e piu' consistente) interesse all'impugnazione. Trasformando l'espulsione con accompagnamento coattivo da provvedimento restrittivo della liberta' personale in ostacolo alla legalizzazione la norma ha cristallizzato una situazione doppiamente sfavorevole per i cittadini stranieri senza prevedere il naturale bilanciamento della revocabilita' dell'espulsione, ammessa invece (in presenza di inserimento sociale) nei casi in cui e' mancato l'accompagnamento coattivo. 8. - L'impossibilita' di valutare la sopravvenienza delle condizioni per revocare l'espulsione con accompagnamento coattivo e' irragionevole anche perche' separa artificialmente la decisione sulla legalizzazione dall'esame dei presupposti. Mentre per l'espulsione senza accompagnamento coattivo e' correttamente previsto che vi sia una valutazione circa la persistente utilita' del provvedimento (con la possibilita' di far prevalere gli elementi sopravvenuti favorevoli al cittadino straniero, secondo il principio generale dell'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998), nel caso di accompagnamento coattivo le valutazioni effettuate in passato rimangono immutabili. Questa scelta non e' giustificabile neppure quando l'accompagnamento coattivo e' stato disposto in presenza di elementi di pericolosita' sociale. Si tratta infatti di valutazioni svolte in sede amministrativa, che possono avere differenti livelli di approfondimento a seconda delle situazioni e non danno garanzie di stabilita' nel tempo, essendo finalizzate alla sola scelta della procedura piu' idonea per l'espulsione. D'altra parte l'esame della pericolosita' sociale non coincide con l'accertamento di fatti passati (operazione che dovrebbe essere svolta con le garanzie giurisdizionali) ma nella (ragionevole) previsione di futuri pericoli o disagi per la collettivita'. Questa proiezione in avanti impone che l'analisi dei singoli casi sia aggiornata ed estesa a tutti gli elementi (condotta personale, ambiente familiare, inserimento lavorativo, relazioni sociali) che possono far prevedere gli sviluppi del rapporto tra il cittadino straniero e la collettivita'. Poiche' l'esito di questa analisi puo' essere ugualmente favorevole nel caso di cittadini stranieri espulsi con o senza accompagnamento coattivo la norma introduce una discriminazione ingiustificata. L'irragionevolezza e la disparita' di trattamento sono poi evidenti nel caso in cui l'accompagnamento coattivo sia stato adottato solo per non dare al cittadino straniero l'occasione di eludere il decreto di espulsione. Con riguardo a questa fattispecie emerge anche un profilo di contraddittorieta'. Se infatti l'accompagnamento coattivo e' stato motivato dal timore che la precaria sistemazione del cittadino straniero potesse incentivare la sottrazione al provvedimento di espulsione questa circostanza non puo' valere come ostacolo alla legalizzazione, che e' finalizzata proprio a rimediare alla precarieta' tipica dei lavori irregolari. Sulla base di queste considerazioni sussistono i presupposti indicati dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87 per la proposizione della questione di legittimita' costituzionale;
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 8, lettera a) del d.l. 9 settembre 2002, n. 195 (convertito con modifiche dalla legge 9 ottobre 2002, n. 222), come precisato in motivazione. Ordina la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone inoltre la notifica della presente ordinanza alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, e la comunicazione della medesima ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Brescia, addi' 8 aprile 2005 Il Presidente: Mariuzzo Il relatore: Pedron 05C0696