N. 321 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2005

Ordinanza  emessa  il  6  aprile  2005  dalla Corte di cassazione sui
ricorsi riuniti proposti da Buzzanca Giuseppe ed altri contro Ansaldo
Patti Rosario ed altri

Decreto-legge  - Presupposti e condizioni ostative alla candidatura a
  sindaco  ed  al  mantenimento  della carica - Esclusione dal novero
  delle  cause ostative dell'ipotesi di condanna per peculato d'uso -
  Previsione adottata mediante decreto-legge - Denunciata carenza dei
  requisiti  di  necessita'  ed urgenza - Riproposizione di questione
  gia'   oggetto  della  ordinanza  della  Corte  n. 2  del  2005  di
  restituzione atti per ius superveniens.
- D.L.  29 marzo  2004, n. 80, art. 7, comma 1, lett. a), convertito,
  con  modificazioni,  dalla  legge  28 maggio  2004, n. 140, recante
  modifiche all'art. 58, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 267/2000.
- Costituzione, art. 77, comma 2.
(GU n.26 del 29-6-2005 )
                       LA CORTE DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la  seguene  ordinanza  sul  ricorso iscritto al
n. 30654/2003   proposto   da:   Buzzanca   Giuseppe,   elettivamente
domiciliato in Roma, viale Parioli n. 180 presso l'avv. Mario Sanino,
che  lo  rappresenta  e  difende  giusta  delega  in calce al ricorso
unitamente  agli  avv.  Andrea  Lo Castro, Nino Gazzarra, Laura Autru
Ryolo del Foro di Messina, ricorrente;
    Contro   Ansaldo  Patti  Rosario,  Ugdulena  Francesca,  de  Vero
Giancarlo,   Risicato   Lucia,   Modica   Letteria,   Turiaco  Paolo,
Interdonato  Pietro,  elettivamente domiciliati in Roma, via di Villa
Pepoli  n. 4,  presso  l'avv.  Alessandro  Coluzzi, con l'avv. Fulvio
Cintioli  del  Foro  di  Messina  che li rappresenta e difende giusta
delega  in  atti;  e Notarianni Aurora, Impallomeni Antonella, Romano
Patrizia,  Minasi  Maria,  Caruso Francesco, Gazzano Nicola, La Torre
Giuseppa,   Mazziotta   Rosa,   Intersimone  Santina  Rosaria,  Greco
Mariapia,  Di  Bella  Saverio,  Carcione  Antonia,  Pigneri  Camillo,
Moscheo  Rosalba, La Maestra Giovanna, Poguish Gaetana, Sorbello Anna
Lisa,  Amico  Salvatore,  elettivamente  domiciliati  in  Roma via Q.
Maiorana  n. 9  presso  l'avv. Fazzari con gli avv. Carmelo Matafu' e
Marcello Scurria del Foro di Messina che li rappresentano e difendono
per   procure  in  calce  al  controricorso  nonche'  Rodi  Giuseppe,
elettivamente  domiciliato  in Roma, via Vespasiano n. 12, presso gli
avv.  Valentina  Urso e Carmelo Marra e rappresentato e difeso da se'
medesimo  e  Bertuccelli Antonino, elettivamente domiciliato in Roma,
via  dei  Due  Macelli  n. 60, presso gli avv. Graziella Colaiacomo e
Silvio  Crapolicchio  che  lo  rappresentano  e difendono per procura
speciale  in  atti nonche' Ministero dell'interno ed Assessorato enti
locali    della    Regione    Siciliana,   rappresentati   e   difesi
dall'Avvocatura generale dello Stato e domiciliati nei suoi uffici in
Roma   via   dei   Portoghesi  n. 12,  e  Trischitta  avv.  Giuseppe,
domiciliato  in  Roma presso la Corte di cassazione e rappresentato e
difeso  da  se' medesimo controricorrenti; e contro Cardile Francesco
M.  Salvatore  -  Mangiapane  Giuseppe  -  Raffa  Elisabetta  - Crupi
Mariagabriella - Buongiorno Rosalva - Testagrossa Oriana - Siracusano
Giuseppe  - Visigoti Alejandro - David Pietro - Messina Clery - Russo
Michele  Maria - Giacobbe Pietro - Barbaro Salvatore - Cafeo Biagio -
Di  Cesare  Simone  -  Botto  Pierino - Casciano Epifanio - Lo Presti
Antonina  -  Urso  Antonino  -  Procuratore  generale presso la Corte
d'appello   di   Messina,  Procuratore  della  Repubblica  presso  il
Tribunale  di  Messina,  comune  di Messina - Prefettura di Messina -
Ufficio  elettorale  centrale di Messina - Commissione elettorale del
comune  di  Messina  -  Comitato regionale di controllo della regione
siciliana  -  Bonanno  Umberto  n. q.  di  presidente  del  consiglio
comunale di Messina - presidenti delle circoscrizioni I, II, III, IV,
V,  VI,  VII,  VIII,  IX, X, XI, XII, XIII, XIV intimati; nonche' sul
ricorso   iscritto  al  n. 2036/2004  proposto  da:  Trischitta  avv.
Giuseppe,  domiciliato, rappresentato e difeso come sopra, ricorrente
incidentale  adesivo  ed  autonomo nei confronti di Buzzanca Giuseppe
intimato;   e   con   l'intervento   di  Rodi  Giuseppe,  domiciliato
rappresentato  e  difeso  come sopra controricorrente e di Notarianni
Aurora   -   La   Torre   Giuseppa  -  Mazziotta  Rosa,  domiciliate,
rappresentate  e  difese  come  sopra  controricorrenti;  avverso  la
sentenza della Corte d'appello di Messina n. 478 del 3 dicembre 2003.
    Udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
31 marzo 2005 dal relatore cons. Luigi Macioce.
    Uditi  gli  avv. Falzea (per delega di Sanino), Lo Castro e Autru
Ryolo   per   il   ricorrente   Buzzanca,   che  hanno  concluso  per
l'accoglimento   del  ricorso.  Colaiacono  per  il  controricorrente
Bertuccelli  - Cintioli per i controricorrenti Ansaldo Patti ed altri
-  Scurria  per  i  controricorrenti  Notarianni  ed altri, che hanno
concluso per il rigetto del ricorso.
    Udito il p.m. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Pietro Abbritti che ha concluso, in via principale, per la rimessione
alla  Corte  costituzionale  e,  in subordine, per l'accoglimento del
secondo motivo del ricorso con l'assorbimento dei residui motivi.

                             R i l e v a

    Con  sentenza  13  dicembre  2002  la Corte di appello di Messina
condannava  Buzzanca  Giuseppe  -  ritenuto  responsabile dei delitti
ascrittigli  e  di  cui  agli artt. 81, 314 comma 2 e 323 c.p. - alla
pena  di  mesi  sei di reclusione ed alla temporanea interdizione dai
p.u., concessi i benefici di legge.
    Proposto  ricorso  per  cassazione, il Buzzanca si candidava alle
elezioni  del  25/26  maggio  2003  ed il successivo 29 maggio veniva
proclamato Sindaco del Comune di Messina.
    Avendo  la  adita  Corte di cassazione con sentenza 5 giugno 2003
rigettato  il  ricorso  proposto  dal Buzzanca avverso la sentenza di
condanna  della Corte territoriale, venivano pertanto proposte azioni
popolari,  ai  sensi dell'art. 70 d.lgs. n. 267/2000, per ottenere la
declaratoria  di  decadenza  dell'eletto dalla carica di sindaco: due
azioni  erano  proposte  in data 24 giugno 2003 da Rodi Giuseppe; una
terza  azione  era proposta il 26 giugno 2003 da Notarianni Aurora ed
altri  trentaquattro  elettori;  un quarto ricorso del 28 giugno 2003
era  presentato  da  Bertuccelli  Antonino;  una  quinta  azione  era
proposta  il  1°  luglio  2003 da Patti Rosario Ansaldo ed altri otto
elettori.   Si  costituiva  in  tutti  i  procedimenti  il  Buzzanca,
resistendo  alle  pretese  ivi  articolate  ed  in  quattro  di  essi
interveniva  ad adiuvandum l'avv. Giuseppe Trischitta. Si costituiva,
nel  procedimento  instaurato  sul ricorso di Patti Rosario ed altri,
l'assessorato  enti  locali della regione, deducendo la carenza della
propria legittimazione.
    Riuniti  i  procedimenti, il tribunale di Messina con sentenza 21
luglio 2003, dichiarati inammissibili i ricorsi del Rodi e la carenza
di  legittimazione dell'Assessorato, rigettava i ricorsi sull'assunto
che  le  norme  di cui agli artt. 58, 59, 68 e 70 d.lgs. n. 267/2000,
rettamente  interpretate  in  via  restrittiva,  non consentissero di
affermare  che la condanna definitiva - con irrevocabilita' acquisita
dopo  la  nomina a sindaco del candidato - per il delitto di peculato
d'uso, costituisse causa di decadenza dell'eletto e che, di converso,
detta  decadenza  non  potesse  conseguire alla interdizione dai p.u.
comminata  con  sospensione  della  pena.  La  sentenza era impugnata
separatamente  da Patti Rosario e suoi consorti, da Rodi Giuseppe, da
Bertuccelli  Antonino,  da  Notarianni Aurora e consorti in lite, dal
p.m. presso il Tribunale di Messina.
    Appello incidentale veniva proposto dall'avv. Trischitta.
    La  Corte  di appello di Messina con sentenza 3 dicembre 2003, in
riforma  della sentenza impugnata, dichiarato inammissibile l'appello
incidentale,  in  riforma  della  prima decisione dichiarava Buzzanca
Giuseppe  decaduto  dalla  carica  di Sindaco del Comune di Messina e
condannava  il  medesimo,  e  con  lo  stesso  in solido l'appellante
incidentale,  alla  refusione alle parti private di ø delle spese del
giudizio.
    Affermava la Corte territoriale (per quanto in questa sede ancora
rileva) che:
        con  riguardo  alla  eccezione  di  preclusione  delle azioni
popolari   per   non   essere   stato  tempestivamente  impugnato  il
provvedimento  6  giugno  2003  con  il  quale  l'ufficio  elettorale
centrale  aveva  respinto l'istanza di revoca della proclamazione del
Buzzanca  a  sindaco,  nessuna  preclusione  si  era maturata essendo
l'azione  di cui all'art. 70 d.lgs. n. 267/2000 del tutto autonoma da
qualsivoglia determinazione amministrativa;
        con  riferimento all'appello incidentale dell'avv. Trischitta
-  interventore adesivo in primo grado - e diretto alla dichiarazione
di  inammissibilita'  dei  ricorsi  per  tardivita'  ed assenza della
necessaria  produzione  documentale  della  sentenza della cassazione
penale  - esso era inammissibile ed infondato: inammissibile, perche'
impedito   dall'essere   mero  interventore  adesivo  dipendente  del
Buzzanca  e perche', essendo parte vittoriosa in primo grado, avrebbe
dovuto  non  impugnare  ma  solo  riproporre le eccezioni ex art. 346
c.p.c.;  infondato,  perche'  l'azione popolare non soffriva di alcun
termine  nel  suo  dispiegamento e perche' la produzione era avvenuta
solo  al fine di documentare la definitivita' della condanna e si era
risolta  nella  mera  attestazione  di acquisita irrevocabilita' (per
rigetto del ricorso per cassazione) della sentenza di condanna;
        venendo   al   merito,   doveva   esprimersi  dissenso  dalla
argomentazione spesa dal tribunale per affermare, in base ad errata e
limitativa   lettura   delle   norme,   che   la  prevista  causa  di
incandidabilita'  non  poteva  costituire  di per se' sola ragione di
decadenza dalla carica, ove sopravvenuta alla elezione;
        in primo luogo, nella previsione dell'art. 58, comma 1, lett.
b)  del  testo  unico  si  evidenziava come il rinvio alla figura del
peculato  di  cui  all'art. 314  c.p. comprendesse anche la men grave
ipotesi  -  autonoma  ma pur sempre afferente peculato - del peculato
d'uso  di  cui  al  comma  2 con la conseguenza per la quale anche il
condannato  per  tal  delitto,  a seguito di sentenza definitiva, non
poteva  ne' essere candidato ne' ricoprire la carica di sindaco (come
fatto  palese  dal  significativo  termine comunque collegante le due
espressioni), intendendosi pertanto erigere la condanna anche per tal
reato,  in qualunque momento intervenuta, a sbarramento all'esercizio
delle  funzioni di sindaco, sia in termini di preclusione all'accesso
alla carica sia in termini di nullita' di una elezione effettuata pur
in  presenza  di  condanna  sia  e  comunque  in termini di decadenza
dell'eletto  da  essa  ove  la  causa  ostativa  fosse  alla elezione
irrevocabilmente sopravvenuta;
        quanto alla questione originata dal fatto che nel primo comma
dell'art. 59  del  t.u.  era prevista come causa di sospensione dalla
carica  la condanna non definitiva per il solo delitto di peculato di
cui  al comma 1, dell'art. 314, c.p. nel mentre al sesto comma, dello
stesso  art. 59, si statuiva la decadenza di diritto dalla carica per
il  passaggio  in  giudicato  della  sentenza di condanna, e, quindi,
quanto  al  quesito  relativo  al  riferirsi di siffatta decadenza da
sopravvenuto  giudicato a tutte le ipotesi di cause ostative (art. 58
comma  1) od a quelle soltanto cagionanti sospensione interinale, tra
le  quali  non  era  la  condanna  per il peculato d'uso, essa doveva
risolversi  nel  primo  senso, in particolare ove fosse ben inteso il
senso  e  la  portata  rivestiti  del t.u. delle nel succedersi delle
norme elettorali;
        sulla   base   dell'art. 15   della   legge  n. 55/1990  come
modificato  dall'art. 1 della legge n. 16/1992, infatti, era evidente
la   volonta'   legislativa   di  istituire  un  totale  parallelismo
(attestato  dalla  inerenza  delle  previsioni ad un solo articolo di
legge)  tra  causa ostativa alla candidatura, causa di nullita' della
elezione  (entrambe  per condanne preesistenti), causa di sospensione
(per  condanna non definitiva sopravvenuta) e causa di decadenza (per
condanna definitiva sopravvenuta): la successiva sentenza n. 141/1996
della  Corte  costituzionaie  afferente la illegittimita' delle norme
sulla  incandidabilita'  per  sentenza  non  definitiva,  impose  poi
l'intervento  del  legislatore  che,  con la legge n. 475/1999, da un
canto  subordino'  l'incandidabilita'  al  requisito  della  sentenza
definitiva ed escluse dal novero della sospensione interinale ipotesi
men  gravi  (quale  quella  del  peculato  d'uso) e dall'altro canto,
pero',  non tocco' l'ipotesi di decadenza di cui al comma 4-quinquies
dell'art. 15,  della legge n. 55/1990 (introdotto nel 1992), di guisa
che',  per  la  condanna per il peculato d'uso, anche nel 1999 doveva
ritenersi   operante   la  piena  equiparazione  tra  causa  ostativa
preesistente  e  causa  di  decadenza sopravvenuta; e tale situazione
normativa venne interamente recepita dal t.u. del 2000 che, soltanto,
ebbe  a  ripartire  in  due  articoli  (artt. 58 e 59) la congerie di
ipotesi  che,  dal  1990  al 1999, si erano affastellate nella stessa
disposizione;
        il  valore  del  d.lgs.  n. 267/2000  era pertanto palese nel
senso  di  veder  riproposte - sotto diversa collocazione (l'art. 59,
comma     6)    -    quelle    soluzioni    di    parallelismo    tra
ostativita-nullita-decadenza   gia'   delineate   con  i  vari  commi
dell'art. 15 della legge n. 55/1990, in tal guisa trovandosi conferma
del  fatto  (gia'  segnalato nel parere dato dall'A.D. del C.d.S. l'8
giugno  2000)  che  il  testo  unico  aveva solo - come dalla precisa
delega  legislativa - riunito e coordinato le norme vigenti, senza in
alcun  modo  innovare in punti decisivi quale quello esaminato (ed in
caso negativo incorrendo in ipotesi di incostituzionalita);
        del  resto,  la  interpretazione  condivisa era perfettamente
conforme  al  costante  insegnamento della Corte costituzionale sulla
identita'    di    ratio    giustificativa   delle   fattispecie   di
incandidabilita'  e di decadenza, non valendo, a diversamente opinare
in  termini  di interessi costituzionalmente rilevanti, l'esigenza di
assicurare  la  stabilita' del risultato elettorale (tal esigenza non
potendo far premio su quella, primaria, di reagire alla carenza di un
fondamentale requisito per l'eleggibilita);
        con riguardo alla questione della applicazione delle norme in
discorso alla regione siciliana, tale applicazione poteva ipotizzarsi
solo  affermandone  -  come dovevasi - il carattere ricognitivo della
normativa  preesistente  rivestito  dagli  artt. 58 e 59 del t.u.: ed
infatti,  alla  stregua dello Statuto regionale le norme nazionali in
materia    elettorale   potevano   trovare   applicazione   solo   se
espressamente  richiamate  dalla  legge  regionale, avente in materia
potesta'  esclusiva, con la conseguenza per la quale il rinvio che le
leggi  regionali  n. 7/1992  e  n. 26/1993  operavano in materia alla
legge  n. 16/1992  (e  quindi  all'art.  15,  della legge n. 55/1990)
doveva   ritenersi  rinvio  materiale  o  ricettizio.  E  di  qui  la
conseguenza  ulteriore per la quale, non avendo il t.u., con riguardo
alla  questione  dibattuta,  alcuna  funzione  innovativa ma soltanto
capacita'  ricognitiva,  solo  in  tal  ruolo di conferma delle norme
preesistenti  ed  abrogate, le relative disposizioni potevano trovare
ingresso in Sicilia, si' che anche alla loro stregua doveva ritenersi
avverata la decadenza del Buzzanca dalla carica di sindaco.
    Per  la  cassazione  di  tale  sentenza  il  Buzzanca ha proposto
ricorso,  affidato  a  sei motivi, notificando l'atto in diverse date
correnti  tra  il  20  ed il 29 dicembre 2003 ai soggetti indicati in
intestazione.  Degli  intimati  si  sono costituiti con controricorsi
distinti:  Ansaldo  Patti Rosario ed altri sei - Notarianni Aurora ed
altri  diciassette  -  Rodi  Giuseppe  -  Bertuccelli  Antonino  - il
Ministero dell'interno e l'Assessorato siciliano agli enti locali.
    L'avv.  Trischitta,  dal  canto  suo,  nel controricorso ha anche
proposto  ricorso  incidentale  adesivo  (con due motivi) ed autonomo
(con  cinque  motivi)  al  quale  hanno  resistito, con controricorso
separato, il Rodi da un canto e Notarianni Aurora - La Torre Giuseppa
- Mazziotta Rosa dall'altro canto.
    Su  istanza  di sollecita trattazione dei difensori di Notarianni
Aurora  +  17  era  fissata  udienza di discussione dei ricorsi al 10
maggio  2004. Su nuova istanza dei medesimi difensori e di quella dei
difensori   di  Ansaldo  Patti  Rosario  ed  altri  -  rappresentanti
l'urgenza derivante dalla necessita' di pervenire ad una decisione in
tempo  utile  per  l'eventuale  convocazione  delle  elezioni  per il
rinnovo  della carica in coincidenza con l'imminente turno elettorale
del  12/13  giugno 2004 - il presidente della sezione in data 9 marzo
2004 fissava nuova, anticipata, udienza al 14 aprile 2004.
    In  data  30  marzo  2004 era pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica  il d.l. 29 marzo 2004, n. 80 (disposizioni urgenti
in  materia  di enti locali) nel quale, all'art. 7 (modfiche al testo
unico   delle   leggi  sull'ordinamento  degli  enti  locali),  erano
apportate  modifiche  all'art. 58,  comma  1,  lett.  b)  del  d.lgs.
n. 267/2000  (nel  senso  che  dopo il numero «314» erano inserite le
parole «primo comma») ed all'art. 59 comma 6 dello stesso d.lgs. (nel
senso  che  dopo  le  parole «sentenza di condanna» erano inserite le
parole «per uno dei reati previsti dal medesimo comma»). Hanno quindi
depositato  memorie  i difensori del ricorrente Buzzanca e di Ansaldo
Patti  Rosario ed altri nonche' Rodi Giuseppe, memorie nelle quali si
e'  dato  atto  e  trattato della sopravvenienza dell'art. 7, d.l. 29
marzo  2004,  n. 80  recante  le teste' rammentate modifiche al testo
degli  artt.  58  e  59,  d.lgs. n. 267/2000. Nella discussione orale
hanno   illustrato   le   loro   opinioni  i  difensori  indicati  in
intestazione  ed  il  Rodi nel mentre l'avv. Trischitta ha depositato
atto  di rinunzia (non recante accettazioni od adesioni) alle proprie
impugnazioni incidentali adesive ed autonome.
    Riservata   la  decisione,  la  Corte,  riuniti  i  ricorsi,  con
ordinanza  n. 7327/2004  depositata  il  17 aprile 2004 ha dichiarato
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale   dell'art.  7,  d.l.  n. 80/2004,  recante  modifiche
all'art. 58,  comma  1,  lett.  B) e all'art. 59, comma 6, del d.lgs.
n. 267/2000 per evidente carenza del requisito del caso straordinario
di  necessita'  ed  urgenza,  quindi  disponendo  la  sospensione del
procedimento,  la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e
le comunicazioni di rito.
    La  Corte  costituzionale,  con  ordinanza  n. 2/2005  in data 11
maggio  2005,  sul rilievo che dopo l'ordinanza di rimessione il d.l.
del  quale  era  stata  denunziata  l'incostituzionalita'  era  stato
convertito  con  la  legge 28 maggio 2004, n. 140, con la quale erano
state  apportate  modifiche  al decreto ed enunziate le ragioni della
emanazione  della  norma censurata, ha disposto la restituzione degli
atti a questa Corte per nuovo esame della rilevanza.
    E'  stata  quindi  fissata  nuova  udienza per la discussione del
ricorso.   I   difensori   del   Buzzanca,   da   un   canto,  e  dei
controricorrenti  Bertucceili,  Ansaldo  Patti  ed  altri, Notarianni
Aurora ed altri hanno depositato memorie. Rodi Giuseppe ha depositato
motivate  istanze 21 marzo 2005 dirette al differimento della udienza
per  asserita nullita' dell'avviso. Alla udienza del 31 marzo 2005 il
Collegio  ha con ordinanza rigettato l'istanza Rodi di differimento e
quindi, uditi i difensori ed il p.g., ha riservato la decisione.

                            O s s e r v a

    Ritiene  il  Collegio  di  dover - nuovamente - sollevare innanzi
alla  Corte delle leggi questione di legittimita' costituzionale, con
riguardo  all'art.  7,  del 29 marzo 2004, n. 80 nel testo risultante
dalla  conversione, con modificazioni, ad opera della legge 28 maggio
2004,   n. 140   (nella   Gazzetta  Ufficiale  n. 125/2004),  recante
modificazioni  all'art.  58, comma 1, lettera b) del t.u. delle leggi
sull'ordinamento  degli  enti locali di cui al d.lgs. n. 267/2000, in
relazione  all'art.  77  comma  2  della  Costituzione per evidente e
manifesta carenza - nella decretazione di urgenza - del requisito del
caso  straordinario  di  necessita'  ed  urgenza e per la conseguente
comunicazione  di  tale  vizio  procedimentale alla legge che, pur in
manifesto difetto di tal requisito, ha provveduto alla conversione.
    Il  teste'  indicato  sospetto  di  illegittimita' costituzionale
viene   da   questa   Corte  formulato  dopo  la  reiterazione  della
valutazione  di rilevanza della questione con specifico riguardo alla
legge  di conversione del d.l. n. 80/2004, come richiesto dalla Corte
costituzionale con l'ordinanza n. 2/2005.
    Con  tale  pronunzia  processuale  di restituzione degli atti, la
Corte  ha  declinato  di  decidere  sulla  questione sottopostale sul
rilievo  che  la  legge  di  conversione  imponesse  a  questa  Corte
remittente  un nuovo esame della rilevanza della questione stessa. Ed
a tanto si provvede.
                       L a  r i l e v a n z a
    Le  norme,  introdotte dalla decretazione d'urgenza nel corso del
presente  giudizio  di  legittimita',  e  riprodotte  nella  legge di
conversione,  devono  trovare diretta applicazione all'atto in cui si
pervenga  alla  decisione  dei motivi II, III e IV che, ad avviso del
Collegio, hanno carattere assorbente nella disamina dell'impugnazione
principale.
    Al  proposito  devesi  richiamare  interamente  quanto  e'  stato
esposto nell'ordinanza n. 7327/2004 di questa Corte con riguardo agli
effetti sulla cognizione del ricorso determinati dalla sopravvenienza
dell'art. 7, del d.l. n. 80/2004. In tale ordinanza se' e' affermato:
    «Ed  infatti,  la non decisivita' delle questioni poste dal primo
motivo  (denunziante  violazione  degli  artt. 58  e  70  del  d.lgs.
n. 267/2000  e  vizio di motivazione, per avere la impugnata sentenza
mancato  di  dichiarare inammissibili le azioni popolari, non essendo
stata impugnata - come si sarebbe dovuto - la decisione 6 giugno 2003
dell'ufficio elettorale) scaturisce dalla persuasivita' evidente - ed
in   questa   sede   delibativa  non  superabile  -  delle  contrarie
argomentazioni   gia'   esposte   da   questa  Corte  nella  sentenza
n. 18128/2002.  Quanto  alle  questioni  poste  nel quinto motivo (il
sesto  non  venendo  in  rilievo, in quanto attinente al regime delle
spese)  - denunziante violazione del d.lgs. n. 267/2000 e delle leggi
regionali  siciliane  nn.  7/1992 e n. 26/1993, per avere la Corte di
merito  scorrettamente affermato che esse avrebbero operato un rinvio
recettizio  o  materiale  alla  legge  statale  n. 16/1992  e  che le
disposizioni   del   suo   art. 1   sarebbero  state  sostanzialmente
riprodotte, con diversa articolazione, dal d.lgs. n. 267/2000, in tal
guisa,   e   solo  per  tal  natura  meramente  ripetitiva,  trovando
applicazione  in  Sicilia i relativi artt. 58 e 59 - esse appaiono in
questa  sede  non  decisive,  non  gia'  perche'  prive  di  fumus di
fondatezza  ma  per la contraria ragione per la quale esse non paiono
condurre  ad alcun risultato demolitorio della pronunzia impugnata ma
soltanto alla correzione della sua motivazione in diritto.
    Ed  infatti,  e  con  la  sintesi dovuta in coerenza con il ruolo
delibativo  della presente cognizione, pare al Collegio che i ridetti
artt. 58,  comma  1, lett. b)e 59 comma 6 del t.u. approvato nel 2000
costituiscano  la  fonte delle norme «inabilitanti» o «disabilitanti»
del  candidato o dell'eletto alla carica di sindaco in Sicilia stante
il  carattere  aperto,  o  «ricettizio»  della  normativa  statale in
materia,  proprio  del rinvio contenuto nell'art. 36, legge regionale
Si.  n. 26/1993  (carattere  sul quale il ricorso ha speso motivate e
persuasive  considerazioni  in  termini di lettura costituzionalmente
corretta  del  rinvio  e del quale non ha avuto dubbi di sorta questa
Corte  nella recente sentenza n. 2896/2004, che dell'art. 58, comma 1
lett.  c)  del  t.u. ha fatto indiscussa applicazione in controversia
afferente  la  decadenza  di  sindaco di altro comune siciliano). Se,
dunque,  non  pare  dubitabile che la vicenda di decadenza sottoposta
debba   essere  governata  proprio  dagli  artt. 58  e  59  del  t.u.
n. 267/2000,  sui  quali si e' appuntata la novellazione d'urgenza ex
art. 7  d.l.  n. 80/2004, emerge come indiscutibile la inerenza della
questione  di  costituzionalita'  di  tal  novella  alla disamina dei
motivi (II, III e IV) del ricorso Buzzanca che, sulla interpretazione
delle  norme  novellate,  muovono  articolate  censure alla impugnata
decisione.  Con  il  secondo motivo, infatti, si attinge il cuore del
problema  (urgentemente  risolto dal d.l. sopravvenuto), quello della
latitudine della previsione inabilitante dell'art. 314 c.p. contenuta
nell'art. 58,  comma  1),  lett. b), sostenendosi, in antitesi con la
decisione  della  Corte territoriale, che il peculato d'uso - delitto
autonomo e diverso, sotto piu' profili, dal peculato - non sarebbe da
comprendere,  a  pena  di  confliggere  contro  primarie  esigenze di
ragionevolezza,  nella  previsione  inabilitante del peculato. Con il
terzo  e  quarto  motivo,  di  converso,  dato  per  ammesso  che  la
previsione  inabilitante  includa  l'ipotesi  del  peculato d'uso, si
censura  l'opzione interpretativa adottata dalla Corte di Messina per
la  quale,  dalla  lettura storico-sistematica delle leggi statali in
materia,   risulterebbe   perfetta   corrispondenza   tra  previsioni
inabilitanti  (in  termini  di  ostativita' alla carica e di nullita'
della  elezione  avvenuta)  e previsioni disabilitanti (in termini di
decadenza  dell'eletto per la sopravvenienza del giudicato ostativo):
ad  avviso del ricorrente, come fatto palese dalla collocazione degli
artt. 58  e  59  comma  6,  si  sarebbe  realizzata una rottura della
originaria  corrispondenza,  si'  da  riservare  l'operativita' della
causa  di  decadenza  al solo ambito dell'operativita' della causa di
sospensione interinale, con la consegnenza che non potrebbe decadere,
per  giudicato sopravvenuto su causa ostativa, il sindaco che per tal
causa  non  fosse  stato  soggetto  alla sospensione per condanna non
definitiva (si' che' non costituirebbe causa di decadenza ex art. 59,
comma  6 il giudicato afferente la commissione di peculato d'uso, tal
delitto  non  essendo  previsto, all'art. 59, comma 1, lett. A), come
causa  di  sospensione  interinale ma soltanto contemplato come causa
ostativa  alla  candidatura nella piu' ampia previsione dell'art. 58,
comma  1, lett. b). Ebbene, in tali termini chiarita la res litigiosa
sottoposta  dal ricorso ed individuata la inerenza della novella alle
sole  questioni  decisive  in causa, vi e' da sottoporre a lettura la
novella  stessa  per  poi  sottolineare  i  piu'  evidenti profili di
rilevanza  della  questione  di sua illegittimita' costituzionale, in
termini  di  necessaria  ed  ineludibile  sua  applicazione  come jus
superveniens.
    L'art. 7,  del  d.l.  n. 80/2004 al punto a) modifica la norma di
cui  all'art.  58,  comma  1,  lett.  b)  aggiungendo alla previsione
inabilitante  (causa ostativa alla candidatura costituita da condanna
definitiva  per  delitto) afferente il peculato sub. art. 314 c.p. le
parole  «primo  comma»,  con  la  conseguenza di escludere dal novero
delle  cause  ostative il delitto di peculato d'uso (sull'assunto che
la   minor   offensivita'  giuridica  del  delitto  in  questione  ne
giustifichi  la  sottrazione  dall'ambito  delle  cause  ostative per
delitti  rubricati)  e  di  includerlo  tra  le stesse cause ostative
soltanto  se  la  pena  irrogata superi i sei mesi (art. 58, comma 1,
lett. c). Lo stesso art. 7, al punto b), modifica poi la disposizione
di  cui  all'art. 59,  comma  6  del  t.u.  nel  senso  di  prevedere
esplicitamente  che  la  decadenza dalle cariche elencate al comma 1,
dell'art. 58,  per  effetto di sentenza di condanna definitiva, operi
ove  la  condanna  sia  intervenuta  per  uno  dei reati previsti dal
medesimo  comma,  con  la  conseguenza  per la quale, in un'ottica di
ripristinata   (o   ribadita)   perfetta   corrispondenza  tra  cause
inabilitanti  e  cause  disabilitanti,  si  esclude  che  la condanna
definitiva  a  pena  fino a sei mesi per il delitto di peculato d'uso
possa  operare tanto come causa ostativa alla candidatura quanto come
causa di decadenza dalla stessa. In tal guisa identificata la portata
di  modifica  normativa  della novella, e rammentato che la decadenza
del Buzzanca dalla carica di Sindaco di Messina era stata pronunziata
per la sua irrevocabile condanna alla pena di mesi sei per il delitto
di  peculato  d'uso di cui al comma 2, dell'art. 314, c.p. (oltre che
per  quello  di  cui all'art. 323 c.p.), resta da chiarire le ragioni
per  le  quali  nel  processo pendente in questa sede di legittimita'
debbano essere applicate non solo le norme modificate (gli artt. 58 e
59  t.u., per le ragioni dinanzi rammentate) ma anche - ed ovviamente
in  via  esclusiva - le norme modificanti contenute nell'art. 7, d.l.
n. 80/2004.
    Che   le   norme   sopravvenute   non   abbiano   alcuna  portata
interpretativa  e'  dato,  al  contempo, evidente ed inconferente sul
piano  della  rilevanza  e  sintomatico sul piano della non manifesta
infondatezza  della  questione  che  si  solleva. Riservata alla sede
propria  la trattazione di tal ultimo profilo, deve quindi escludersi
-  come  dato  di  tutta evidenza - che le nuove norme abbiano alcuna
portata  di  interpretazione autentica delle norme che sostituiscono:
se,  infatti, come da questa Corte piu' volte affermato, il carattere
in  discorso  dipende  dal  solo  contenuto  del  precetto posto - in
termini  di  apprezzamento  ermeneutico di un precetto antecedente al
quale la nuova norma si ricolleghi nella lettera e nella ratio, a tal
valutazione  sovrapponendo  l'imperativa  nuova  interpretazione  (da
ultimo   Cass.   9895/2003)  -  e  se  certo  non  fa  ostacolo  alla
legittimita'  di  siffatta  opzione  ermeneutica l'inesistenza di una
diffusa  situazione  di  incertezza  o di contrasti giurisprudenziali
(come  rammentato  in svariati arresti della Corte costituzionale: ex
multis  sentt.  nn. 374/2002 - 29/2002 - 525/2000 - 229/1999), non e'
chi  non  veda come nelle disposizioni di cui all'art. 7, in disamina
non  e'  dato  rinvenire  ne'  riferimenti  a  pregresse  alternative
ermeneutiche  ne' la imperativa opzione per una di esse ma, soltanto,
la  volonta',  esplicitata  in  rubrica e nel testo, di modificare le
norme  previgenti,  il  che  e'  quanto dire di compiere l'operazione
opposta  a  quella  di  recare  interpretazione autentica delle norme
(imporre come corretta una delle sue possibili letture) e consistente
nella sostituzione di testo a testo (sull'assunto che nel primo testo
non vi fosse spazio alcuno per la soluzione auspicata).
    Ma  il carattere non interpretativo di quello che, pertanto, deve
definirsi  jus  superveniens, e' del tutto indifferente ai fini della
sua   applicazione   alla  controversia  in  disamina,  dovendo  tale
immediata applicazione ravvisarsi non gia' per effetto dell'incidenza
della  novella  sugli  effetti  penali  della sentenza (come pur, con
dovizia  di  argomentazioni,  sostenuto  dal ricorrente nella memoria
7 aprile  2004)  bensi'  per  l'assorbente  rilievo  dell'avere detta
novella  incidenza  sul  regime  dei requisiti legali di mantenimento
della carica pubblica elettiva e quindi sulla sua idoneita' a mutarlo
con  immediata efficacia tanto in malam quanto, come nella specie, in
bonam  partem.  Questa  Corte  ha  infatti  piu' volte affermato, con
riguardo  alla sopravvenienza di condizioni «disabilitanti» (sentenze
irrevocabili   di  condanna)  alla  elezione  o  nomina  alla  carica
elettiva,  e  con  specifico  riguardo  alle disposizioni dell'art. 1
commi  quattro-bis  e  quinquies della legge n. 16/1992, che le nuove
disposizioni   debbono  essere  applicate  anche  ove  le  situazioni
sanzionate  si  siano  verificate  ben  prima della entrata in vigore
della  legge  sopravvenuta  non  venendo  in  gioco  alcun profilo di
retroattivita'  della  disposizione  (posto  che  essa produce i suoi
effetti solo per il periodo successivo alla sua entrata in vigore) ma
trattandosi  di  un  nuovo  parametro  cui  il  legislatore ancora il
giudizio  di  indegnita'  rispetto  alla  conservazione  della carica
(Cass. 9087/1993 - 10700/1993 - 10741/1993 - 10744/1993 - 9953/1994).
    E  posto  che  il  principio  formulato  da tali pronunzie appare
assolutamente  condivisibile,  la'  dove  evidenzia la ragionevolezza
della  immediata applicazione della nuova norma perche' attingente le
condizioni  di  mantenimento  della  carica,  ne  discende che di tal
principio  debba  farsi  applicazione  anche le volte in cui la norma
sopravvenuta  rimuova un pregresso giudizio di indegnita', confinando
nell'ambito  dell'irrilevanza  giuridica  una  condanna penale che in
base alle norme preesistenti aveva valore di condizione inabilitante.
Di  qui  la  conseguenza che la sopravvenienza normativa in esame non
potrebbe  non trovare immediata applicazione a beneficio del Buzzanca
e  nel  processo in corso, a tal applicazione non ostando preclusioni
di  sorta  (ed  anzi  essendo  la  questione  della  comprensione del
peculato  d'uso  nella  norma  disabilitante  dedotta  ad oggetto del
richiamato secondo motivo del ricorso)».
    Quanto  sin  qui  affermato,  con riguardo alla norma portata dal
d.l.,  non  viene  in  alcun  modo  revocato  in  dubbio  dalla norma
risultante  dalla  legge  di  conversione:  se  e' infatti compito di
questa  Corte remittente sottoporre a scrutinio di rilevanza il testo
della  norma, gia' sospettata, quale portato dalla sopravvenuta legge
di  conversione, non occorre diffusione di argomenti per sostenere il
rilievo della assoluta estensibilita' anche al testo definitivo della
sopra  riportata  valutazione  di  rilevanza. In quel testo, e per la
parte  che  rileva  in  causa,  l'inciso «primo comma» (che l'art. 7,
comma 1,  lett.  A)  intese  inserire  dopo  il  numero  314  di  cui
all'art. 58,  comma  1,  lett.  B)del  d.lgs.  n. 267/2000)  e' stato
semplicemente  riprodotto al seguito di una virgola («, primo comma»)
e la soppressione della modifica all'art. 59, comma 6 di cui al comma
1,  lett. B) dell'art. 7, del d.l. e' scelta di evidente indifferenza
rispetto alla questione dedotta in causa.
    Giova,  da  ultimo,  prendere in esame - per disattenderle con la
sintesi propria della odierna cognizione - le obiezioni che la difesa
dei  controricorrenti  ha  inteso  muovere  al  rilievo  di immediata
applicazione   dello   jus   superveniens   formulato  nell'ordinanza
n. 7327/2004,  obiezioni  che,  facendo  leva  sul  canone del «fatto
compiuto» o della «cristallizzazione» (elaborato dalla giurisprudenza
di  legittimita'  in  materia elettorale), indicano come eversiva dei
principi  la scelta di applicare la norma sopravvenuta che rimuova ex
nunc   (ed   appunto  in  bonam  partem)  un  pregresso  giudizio  di
indegnita'.  Dette  obiezioni  in  primo  luogo ignorano che nel caso
sottoposto  nessuna decadenza si era avverata posto che proprio sulla
applicabilita'  alla  specie della norma che la comminava (l'art. 58,
comma 1,  lett. B) ante novella) erano insorte controversie decise in
modo  difforme  dai  giudici  del  merito  sulla  base  di divergenti
interpretazioni del diritto vigente e, in secondo luogo, non mostrano
consapevolezza    della   assoluta   doverosita'   (in   termini   di
interpretazione  secundum  constitutionem)  della  applicazione della
norma  sopravvenuta  che rimuova un pregresso giudizio di indegnita',
confinando nell'ambito dell'irrilevanza giuridica una condanna penale
che  venga  privata  del  valore di condizione inabilitante. Ma dette
obiezioni,   in  terzo  luogo,  richiamano  in  modo  non  pertinente
precedenti  statuizioni  di  questa  Corte  che,  facendo  leva sulla
«cristallizzazione»  determinata  dalla domanda ex art. 9-bis, d.P.R.
n. 570/1960,   hanno   escluso   alcuna   applicabilita'   dello  jus
superveniens, posto che tali pronunziati (per tutti si rammenta Cass.
n. 12862/2001)  afferivano  la  materia delle incompatibilita' per le
quali e' prevista la sua rimozione nel termine di legge ed e' esclusa
alcuna   rimozione  tardiva  e  non  riguardavano  certo  i  casi  di
incandidabilita' o decadenza per indegnita' da condanna penale di cui
alle norme via via introdotte (leggi nn. 55/1990 - 16/1992 - 475/1999
-  d.lgs.  n. 267/2000),  per  i  quali  non si scorge alcun ruolo da
assegnare alla scelta di rimozione.
    Vanno  dunque  pienamente confermate, anche con riguardo al testo
dell'art. 58, comma 1, lett. B) risultante dalla legge di conversione
n. 140/2004,  le  considerazioni  di  rilevanza  gia' formulate nella
precedente ordinanza di rimessione n. 7327/2004 di questa Corte.

                    La non manifesta infondatezza

    Ad   avviso  del  Collegio  la  norma  in  disamina  difetta  del
necessario  requisito  per  la  sua  adozione  con decreto legge - la
sussistenza di caso straordinario di necessita' ed urgenza - di guisa
che  il vizio di violazione del disposto dell'art. 77, comma 2 Cost.,
attingente   il   provvedimento  29 marzo  2004,  n. 80,  ben  dovra'
coinvolgere  -  come  vizio  in  procedendo  -  la  stessa  legge  di
conversione  che abbia provveduto in difetto del necessario requisito
(come statuito da Corte cost. nella decisione n. 29/1995).
    A  criterio  del Collegio il difetto del requisito costituzionale
raggiunge,  nella specie, la soglia della evidenza che la Corte delle
leggi  ha sempre ribadito essere condizione per la sua sindacabilita'
quale  vizio  comunicato  alla  legge  di conversione (come affermato
negli  arresti  nn. 29/1995  -  161/1995 - 330/1996 - 432/1996 ord. -
90/1997  ord.  -  398/1998  -  16/2002 - 341/2003), evidenza che deve
essere apprezzata - nella dimensione delibativa e prognostica che gli
compete - anche dal giudice che solleva la questione.
    Giova  riportare  in  questa  sede  i  dati  che  l'ordinanza  di
rimessione  n. 7327/2004 ha inteso evidenziare come sintomatici della
carenza  del requisito costituzionale per provvedere con decretazione
d'urgenza  sulla  materia de qua: tale ordinanza, con argomentare che
il Collegio interamente condivide, ebbe ad affermare:
    1.  -  La  decretazione  d'urgenza e' stata adottata non gia' per
regolare   -   con  lo  strumento  imposto  dall'approssimarsi  delle
consultazioni  elettorali  del  12-13 giugno  2004 - la materia delle
condizioni ostative alle candidature, in un'ottica (insindacabile) di
adeguamento  delle previsioni normative al mutamento delle condizioni
politiche,  ma soltanto per escludere dal novero delle cause ostative
sub.  art. 58,  comma  1, lett. a) l'ipotesi di condanna per peculato
d'uso, senza che dal testo del provvedimento (o dal generale contesto
della giurisprudenza in materia, nel quale questa Corte riveste ruolo
essenziale)  sia  desumibile  la  ragione  per la quale l'urgenza del
provvedere  si  sia  appuntata solo sulla prescelta ipotesi ed in tal
guisa  facendo  sorgere il dubbio (trovante riscontro nella scansione
degli  eventi  sintetizzati  nelle premesse in fatto) di una indebita
intenzione  di incidere sulla concreta fattispecie sub judice (di cui
e'   cenno  nella  sent.  n. 525/2000  della  Corte  costituzionale),
intenzione    che,   ove   sussistente,   attesterebbe,   ben   oltre
l'insussistenza   del   requisito   in  disamina,  la  sua  impropria
invocazione.
    2.  -  La  evidente carenza dei requisiti in esame e' resa palese
dalla  assenza  della  loro  stessa  dichiarazione  nel preambolo del
decreto  n. 80/2004:  se,  infatti, si e' ritenuto di ivi esplicitare
che  l'adozione  delle disposizioni urgenti in materia di enti locali
trovava   ragione  nel  fine  di  assicurarne  la  funzionalita'  con
particolare riferimento alle procedure di approvazione dei bilanci di
previsione,  alle  difficolta'  finanziarie  dei  comuni  di  ridotta
dimensione demografica ed al risanamento di particolari situazioni di
dissesto  finanziario,  nulla  si e' ritenuto - sintomaticamente - di
dichiarare  con  riguardo alla straordinaria necessita' ed urgenza di
modificare  i  soli  artt. 58, comma 1, lett. b) e 59, comma 6 d.lgs.
n. 267/2000  nel  senso di escludere l'ipotesi sub. art. 314, comma 2
c.p. dal novero dei delitti ex se ostativi alla candidatura.
    3. - Altrettanto sintomatico e' poi il silenzio del provvedimento
con riguardo alla deroga che l'art. 7, del d.l. in esame ha apportato
all'art. 15,  comma 2,  lett.  b) della legge n. 400/1988 la' dove fa
divieto  al  Governo  di  adottare decreto-legge per provvedere nelle
materie indicate nell'art. 72, comma 4 Cost. (tra le quali la materia
elettorale, nella quale sussiste la riserva di delibera assembleare):
se  nella  legge  fondamentale  che  regola, al capo III, la potesta'
normativa  del  Governo,  e' fatto generale divieto di ricorrere alla
decretazione  d'urgenza  in  materia  elettorale, la deroga che a tal
divieto  un  decreto-legge  apporta non puo' non trovare ostensione -
nel   preambolo  (art. 15,  comma 1  legge  cit.)  -  in  termini  di
eccezionale  necessita'  ed  urgenza. E se il Governo ha nella specie
ritenuto   di  far  doveroso  omaggio  all'obbligo  di  indicare  nel
preambolo  del  decreto le circostanze straordinarie di necessita' ed
urgenza che ne giustificavano l'adozione (art. 15, comma 1) ma poi ha
taciuto  del  tutto sulle circostanze che ne imponevano l'adozione in
materia  nella  quale quella stessa legge fa divieto di adottarlo, si
avvalora  in  modo  evidente il dubbio che le ridette circostanze non
potevano  essere portate ad emersione essendo esse del tutto estranee
dall'ambito  di  legittimo  esercizio  della  potesta'  normativa del
Governo.».
    Ebbene,  dal  sommario  esame  del testo e dei lavori preparatori
della  legge di conversione emerge con nettezza la consapevolezza, da
parte   del   Parlamento,  della  originaria  carenza  del  requisito
costituzionale  a  sostegno della adottata decretazione d'urgenza. Ed
infatti:
        per quel che riguarda la «latitudine» dell'intervento operato
sulla  «materia»  delle  condizioni  ostative alle candidature con la
legge  di  conversione non si scorge alcuna coerenza della disciplina
definitiva  con  quella,  singolarmente ed urgentemente, adottata con
l'art. 7, del d.l. n. 80/2004: nessuna delle modifiche apportate agli
artt. 59,  comma 3,  61,  64,  254,  256  del  t.u.  di cui al d.lgs.
n. 267/2000  attiene  infatti  alle  regole sulle cause ostative alla
candidatura  determinate  da  condanna penale si' da far ritenere che
l'originario  intervento  urgente  sull'ipotesi  di  condanna  per il
delitto  di  cui  all'art. 314  c.p.  si  iscrivesse  comunque  in un
disegno, provvisoriamente perseguito ma poi coerentemente sviluppato,
di   regolamentazione   della  materia  in  una  ottica  coerente  di
rimodulazione  del  rapporto  tra  diritto  di  elettorato e sanzione
penale;
        per   quanto   riguarda   la  carenza  di  alcuna  originaria
«ostensione» delle ragioni di urgenza, l'inconsueto inserimento nella
legge  di  conversione  di ragioni giustificatrici afferenti la ratio
dell'intervento  (operato  ...per chiarire e definire i presupposti e
le  condizioni  rilevanti per il mantenimento delle cariche pubbliche
ai  fini dell'ordine e della sicurezza pubblica), attesta non gia' la
consapevolezza  di gravi ed indifferibili ragioni di urgenza, rimaste
inespresse  in  sede  di  decretazione  e  da  esplicitare in sede di
conversione,  bensi'  la  scelta di sottrarre quella decretazione dal
divieto  di  cui  agli  artt. 15,  comma  2,  lett.  b)  della  legge
n. 400/1988  e 72, comma 4 Cost., con la conseguenza per la quale, se
e'  chiaro l'intento del legislatore di riposizionare la decretazione
su  materia costituzionalmente autorizzata resta ancora una volta, ed
ancor piu', inespressa la ragione di urgenza per tutelare con il d.l.
n. 80/2004  ragioni  di  ordine e sicurezza pubblica. In tal senso e'
significativo  che  nell'esame  in sede referente da parte del Senato
dell'atto  n. 2869 si sia affermato (22 aprile 2004 - seduta n. 396 -
senatore   Falcier)   apparire   evidente   che   «...  l'art. 7  del
decreto-legge  n. 80 attiene alla materia ordine pubblico e sicurezza
pubblica  e  non  a  quella  strettamente elettorale e che era quindi
possibile   e  anzi  opportuno  intervenire  in  tale  senso  con  un
provvedimento di urgenza.»;
        se  poi  ci  si  interroghi,  come  appare  doveroso a questo
giudice  rimettente,  sulla  esistenza  di  un  elemento decisivo per
affermare o negare la permanenza del vizio in disamina a carico della
legge  di  conversione, non potra' che farsi capo alla piu' esplicita
delle recenti pronunzie della Corte costituzionale sulla questione in
esame,  la  sentenza  n. 341/2003:  in  tale  pronunzia si e' infatti
affermato  che  la  evidente  mancanza  dei  presupposti coinvolge il
momento della conversione nel solo caso in cui palesemente difetti un
consenso  parlamentare  sulla  sussistenza  del  requisito  di contro
dovendosi  ritenere  sanato l'originario vizio ove emerga la opinione
della  necessita'  dell'intervento  urgente  (pur nella diversita' di
valutazioni  sulla  opportunita'  politica  della  norma).  Il che e'
quanto  dire,ad  opinione  del  Collegio,  che  la  sola  opinione di
maggioranza  sulla originaria necessita' della decretazione d'urgenza
non  parrebbe  essere idonea a sanare il vizio in discorso. E se poi,
come  emerge  dalla  doverosa  verifica  dei lavori preparatori, alla
opinione    di    maggioranza    (sostanzialmente    limitata    alla
identificazione  dell'urgenza  con  la  appartenenza del decreto alla
«materia»  dell'ordine  e  sicurezza  pubblica)  si  contrapponga una
continua   ed  insistita  denunzia  -  da  parte  della  minoranza  -
dell'assenza  di  alcuna ragione d'urgenza a sostegno della norma, la
mancanza  di  effetto  sanante ad opera della legge di conversione si
imporra' - come si impone - in modo del tutto evidente;
        al  proposito  gia' dal resoconto sommario della prima seduta
d'esame  al  Senato dell'atto n. 2869 (31 marzo 2004 - seduta n. 391)
alla  opinione  espressa  dal  sottosegretario  D'Ali',  per la quale
l'art. 7,  presentava  i  requisiti  della  necessita'  ed urgenza in
quanto  volto  «...a  eliminare  una  discrasia  determinatasi  nella
regolazione delle cause ostative alla candidatura rispetto ai casi di
sospensione  e  decadenza  di  diritto  dei  candidati  alle elezioni
amministrative...»  si contrappose l'opinione del sen. Villone per la
quale  la  norma,  definita  «...norma  fotografia...», delineava una
discrasia in atto sin dal 2001 e che non aveva consigliato, in quegli
anni, alcun intervento correttivo.
    Analoga  contrapposizione  si registra nelle dichiarazioni di cui
alle  sedute  n. 395 del 21 aprile 2004 e n. 396 del 22 aprile 2004 e
di  cui  alle sedute pubbliche dell'Assemblea del Senato del 6 aprile
2004   e   del  22 aprile  2004.  Ampio  risalto  alla  questione  di
costituzionalita'  dell'art. 7,  del d.l. in via di conversione viene
poi data in sede di discussione della pregiudiziale «Montecchi», alla
Camera  dei deputati (seduta n. 466 del 12 maggio 2004 - a.c. 4962) e
riproposta  anche  in  sede  di  dichiarazione  di  voto finale sugli
emendamenti  soppressivi  (seduta  n. 473  del  25 maggio 2004 - a.c.
4962).  E,  da  ultimo,  anche in sede di discussione ed approvazione
finale  del  d.d.l.  (n. 2869-B,  in Senato, seconda lettura - seduta
n. 613,  pubblica)  venne  dichiarato  da  senatori  della  minoranza
(sen. Battisti)   che   l'art. 7,  doveva  ritenersi  «...chiaramente
incostituzionale  per la mancanza assoluta dei necessari presupposti;
rimaniamo   nella   convinzione   che,   in  realta',  si  tratta  di
decretazione d'urgenza elettorale».
    Nella sui qui esposta sussistenza dei requisiti per la rimessione
alla  Corte  costituzionale  della  formulata  questione, si provvede
quindi alla sospensione del processo, alla trasmissione degli atti ed
agli adempimenti di legge.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, lettera A) del d.l.
29 marzo  2004, n. 80 come convertito, con modificazioni, dalla legge
28 maggio  2004 n. 140, recante modifiche all'art. 58, comma 1, lett.
B)  del  d.lgs. n. 267/2000, in relazione all'art. 77, comma 2, della
Costituzione   per   evidente   carenza   del   requisito   del  caso
straordinario di necessita' ed urgenza;
    Dispone, la sospensione del procedimento n. 30654/2003;
    Ordina   la   immediata   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
costituzionale;
    Ordina  alla cancelleria che la presente ordinanza sia notificata
alle  parti  del  giudizio  di  legittimita'  ed  al  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  e che essa sia comunicata al Presidente del
Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.
    Cosi' deciso nella Camera di consiglio della prima sezione civile
il 31 marzo 2005.
                       Il Presidente: Losavio
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