N. 321 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2005
Ordinanza emessa il 6 aprile 2005 dalla Corte di cassazione sui ricorsi riuniti proposti da Buzzanca Giuseppe ed altri contro Ansaldo Patti Rosario ed altri Decreto-legge - Presupposti e condizioni ostative alla candidatura a sindaco ed al mantenimento della carica - Esclusione dal novero delle cause ostative dell'ipotesi di condanna per peculato d'uso - Previsione adottata mediante decreto-legge - Denunciata carenza dei requisiti di necessita' ed urgenza - Riproposizione di questione gia' oggetto della ordinanza della Corte n. 2 del 2005 di restituzione atti per ius superveniens. - D.L. 29 marzo 2004, n. 80, art. 7, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2004, n. 140, recante modifiche all'art. 58, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 267/2000. - Costituzione, art. 77, comma 2.(GU n.26 del 29-6-2005 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguene ordinanza sul ricorso iscritto al n. 30654/2003 proposto da: Buzzanca Giuseppe, elettivamente domiciliato in Roma, viale Parioli n. 180 presso l'avv. Mario Sanino, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso unitamente agli avv. Andrea Lo Castro, Nino Gazzarra, Laura Autru Ryolo del Foro di Messina, ricorrente; Contro Ansaldo Patti Rosario, Ugdulena Francesca, de Vero Giancarlo, Risicato Lucia, Modica Letteria, Turiaco Paolo, Interdonato Pietro, elettivamente domiciliati in Roma, via di Villa Pepoli n. 4, presso l'avv. Alessandro Coluzzi, con l'avv. Fulvio Cintioli del Foro di Messina che li rappresenta e difende giusta delega in atti; e Notarianni Aurora, Impallomeni Antonella, Romano Patrizia, Minasi Maria, Caruso Francesco, Gazzano Nicola, La Torre Giuseppa, Mazziotta Rosa, Intersimone Santina Rosaria, Greco Mariapia, Di Bella Saverio, Carcione Antonia, Pigneri Camillo, Moscheo Rosalba, La Maestra Giovanna, Poguish Gaetana, Sorbello Anna Lisa, Amico Salvatore, elettivamente domiciliati in Roma via Q. Maiorana n. 9 presso l'avv. Fazzari con gli avv. Carmelo Matafu' e Marcello Scurria del Foro di Messina che li rappresentano e difendono per procure in calce al controricorso nonche' Rodi Giuseppe, elettivamente domiciliato in Roma, via Vespasiano n. 12, presso gli avv. Valentina Urso e Carmelo Marra e rappresentato e difeso da se' medesimo e Bertuccelli Antonino, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Due Macelli n. 60, presso gli avv. Graziella Colaiacomo e Silvio Crapolicchio che lo rappresentano e difendono per procura speciale in atti nonche' Ministero dell'interno ed Assessorato enti locali della Regione Siciliana, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato e domiciliati nei suoi uffici in Roma via dei Portoghesi n. 12, e Trischitta avv. Giuseppe, domiciliato in Roma presso la Corte di cassazione e rappresentato e difeso da se' medesimo controricorrenti; e contro Cardile Francesco M. Salvatore - Mangiapane Giuseppe - Raffa Elisabetta - Crupi Mariagabriella - Buongiorno Rosalva - Testagrossa Oriana - Siracusano Giuseppe - Visigoti Alejandro - David Pietro - Messina Clery - Russo Michele Maria - Giacobbe Pietro - Barbaro Salvatore - Cafeo Biagio - Di Cesare Simone - Botto Pierino - Casciano Epifanio - Lo Presti Antonina - Urso Antonino - Procuratore generale presso la Corte d'appello di Messina, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina, comune di Messina - Prefettura di Messina - Ufficio elettorale centrale di Messina - Commissione elettorale del comune di Messina - Comitato regionale di controllo della regione siciliana - Bonanno Umberto n. q. di presidente del consiglio comunale di Messina - presidenti delle circoscrizioni I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII, XIII, XIV intimati; nonche' sul ricorso iscritto al n. 2036/2004 proposto da: Trischitta avv. Giuseppe, domiciliato, rappresentato e difeso come sopra, ricorrente incidentale adesivo ed autonomo nei confronti di Buzzanca Giuseppe intimato; e con l'intervento di Rodi Giuseppe, domiciliato rappresentato e difeso come sopra controricorrente e di Notarianni Aurora - La Torre Giuseppa - Mazziotta Rosa, domiciliate, rappresentate e difese come sopra controricorrenti; avverso la sentenza della Corte d'appello di Messina n. 478 del 3 dicembre 2003. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31 marzo 2005 dal relatore cons. Luigi Macioce. Uditi gli avv. Falzea (per delega di Sanino), Lo Castro e Autru Ryolo per il ricorrente Buzzanca, che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso. Colaiacono per il controricorrente Bertuccelli - Cintioli per i controricorrenti Ansaldo Patti ed altri - Scurria per i controricorrenti Notarianni ed altri, che hanno concluso per il rigetto del ricorso. Udito il p.m. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Pietro Abbritti che ha concluso, in via principale, per la rimessione alla Corte costituzionale e, in subordine, per l'accoglimento del secondo motivo del ricorso con l'assorbimento dei residui motivi. R i l e v a Con sentenza 13 dicembre 2002 la Corte di appello di Messina condannava Buzzanca Giuseppe - ritenuto responsabile dei delitti ascrittigli e di cui agli artt. 81, 314 comma 2 e 323 c.p. - alla pena di mesi sei di reclusione ed alla temporanea interdizione dai p.u., concessi i benefici di legge. Proposto ricorso per cassazione, il Buzzanca si candidava alle elezioni del 25/26 maggio 2003 ed il successivo 29 maggio veniva proclamato Sindaco del Comune di Messina. Avendo la adita Corte di cassazione con sentenza 5 giugno 2003 rigettato il ricorso proposto dal Buzzanca avverso la sentenza di condanna della Corte territoriale, venivano pertanto proposte azioni popolari, ai sensi dell'art. 70 d.lgs. n. 267/2000, per ottenere la declaratoria di decadenza dell'eletto dalla carica di sindaco: due azioni erano proposte in data 24 giugno 2003 da Rodi Giuseppe; una terza azione era proposta il 26 giugno 2003 da Notarianni Aurora ed altri trentaquattro elettori; un quarto ricorso del 28 giugno 2003 era presentato da Bertuccelli Antonino; una quinta azione era proposta il 1° luglio 2003 da Patti Rosario Ansaldo ed altri otto elettori. Si costituiva in tutti i procedimenti il Buzzanca, resistendo alle pretese ivi articolate ed in quattro di essi interveniva ad adiuvandum l'avv. Giuseppe Trischitta. Si costituiva, nel procedimento instaurato sul ricorso di Patti Rosario ed altri, l'assessorato enti locali della regione, deducendo la carenza della propria legittimazione. Riuniti i procedimenti, il tribunale di Messina con sentenza 21 luglio 2003, dichiarati inammissibili i ricorsi del Rodi e la carenza di legittimazione dell'Assessorato, rigettava i ricorsi sull'assunto che le norme di cui agli artt. 58, 59, 68 e 70 d.lgs. n. 267/2000, rettamente interpretate in via restrittiva, non consentissero di affermare che la condanna definitiva - con irrevocabilita' acquisita dopo la nomina a sindaco del candidato - per il delitto di peculato d'uso, costituisse causa di decadenza dell'eletto e che, di converso, detta decadenza non potesse conseguire alla interdizione dai p.u. comminata con sospensione della pena. La sentenza era impugnata separatamente da Patti Rosario e suoi consorti, da Rodi Giuseppe, da Bertuccelli Antonino, da Notarianni Aurora e consorti in lite, dal p.m. presso il Tribunale di Messina. Appello incidentale veniva proposto dall'avv. Trischitta. La Corte di appello di Messina con sentenza 3 dicembre 2003, in riforma della sentenza impugnata, dichiarato inammissibile l'appello incidentale, in riforma della prima decisione dichiarava Buzzanca Giuseppe decaduto dalla carica di Sindaco del Comune di Messina e condannava il medesimo, e con lo stesso in solido l'appellante incidentale, alla refusione alle parti private di ø delle spese del giudizio. Affermava la Corte territoriale (per quanto in questa sede ancora rileva) che: con riguardo alla eccezione di preclusione delle azioni popolari per non essere stato tempestivamente impugnato il provvedimento 6 giugno 2003 con il quale l'ufficio elettorale centrale aveva respinto l'istanza di revoca della proclamazione del Buzzanca a sindaco, nessuna preclusione si era maturata essendo l'azione di cui all'art. 70 d.lgs. n. 267/2000 del tutto autonoma da qualsivoglia determinazione amministrativa; con riferimento all'appello incidentale dell'avv. Trischitta - interventore adesivo in primo grado - e diretto alla dichiarazione di inammissibilita' dei ricorsi per tardivita' ed assenza della necessaria produzione documentale della sentenza della cassazione penale - esso era inammissibile ed infondato: inammissibile, perche' impedito dall'essere mero interventore adesivo dipendente del Buzzanca e perche', essendo parte vittoriosa in primo grado, avrebbe dovuto non impugnare ma solo riproporre le eccezioni ex art. 346 c.p.c.; infondato, perche' l'azione popolare non soffriva di alcun termine nel suo dispiegamento e perche' la produzione era avvenuta solo al fine di documentare la definitivita' della condanna e si era risolta nella mera attestazione di acquisita irrevocabilita' (per rigetto del ricorso per cassazione) della sentenza di condanna; venendo al merito, doveva esprimersi dissenso dalla argomentazione spesa dal tribunale per affermare, in base ad errata e limitativa lettura delle norme, che la prevista causa di incandidabilita' non poteva costituire di per se' sola ragione di decadenza dalla carica, ove sopravvenuta alla elezione; in primo luogo, nella previsione dell'art. 58, comma 1, lett. b) del testo unico si evidenziava come il rinvio alla figura del peculato di cui all'art. 314 c.p. comprendesse anche la men grave ipotesi - autonoma ma pur sempre afferente peculato - del peculato d'uso di cui al comma 2 con la conseguenza per la quale anche il condannato per tal delitto, a seguito di sentenza definitiva, non poteva ne' essere candidato ne' ricoprire la carica di sindaco (come fatto palese dal significativo termine comunque collegante le due espressioni), intendendosi pertanto erigere la condanna anche per tal reato, in qualunque momento intervenuta, a sbarramento all'esercizio delle funzioni di sindaco, sia in termini di preclusione all'accesso alla carica sia in termini di nullita' di una elezione effettuata pur in presenza di condanna sia e comunque in termini di decadenza dell'eletto da essa ove la causa ostativa fosse alla elezione irrevocabilmente sopravvenuta; quanto alla questione originata dal fatto che nel primo comma dell'art. 59 del t.u. era prevista come causa di sospensione dalla carica la condanna non definitiva per il solo delitto di peculato di cui al comma 1, dell'art. 314, c.p. nel mentre al sesto comma, dello stesso art. 59, si statuiva la decadenza di diritto dalla carica per il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, e, quindi, quanto al quesito relativo al riferirsi di siffatta decadenza da sopravvenuto giudicato a tutte le ipotesi di cause ostative (art. 58 comma 1) od a quelle soltanto cagionanti sospensione interinale, tra le quali non era la condanna per il peculato d'uso, essa doveva risolversi nel primo senso, in particolare ove fosse ben inteso il senso e la portata rivestiti del t.u. delle nel succedersi delle norme elettorali; sulla base dell'art. 15 della legge n. 55/1990 come modificato dall'art. 1 della legge n. 16/1992, infatti, era evidente la volonta' legislativa di istituire un totale parallelismo (attestato dalla inerenza delle previsioni ad un solo articolo di legge) tra causa ostativa alla candidatura, causa di nullita' della elezione (entrambe per condanne preesistenti), causa di sospensione (per condanna non definitiva sopravvenuta) e causa di decadenza (per condanna definitiva sopravvenuta): la successiva sentenza n. 141/1996 della Corte costituzionaie afferente la illegittimita' delle norme sulla incandidabilita' per sentenza non definitiva, impose poi l'intervento del legislatore che, con la legge n. 475/1999, da un canto subordino' l'incandidabilita' al requisito della sentenza definitiva ed escluse dal novero della sospensione interinale ipotesi men gravi (quale quella del peculato d'uso) e dall'altro canto, pero', non tocco' l'ipotesi di decadenza di cui al comma 4-quinquies dell'art. 15, della legge n. 55/1990 (introdotto nel 1992), di guisa che', per la condanna per il peculato d'uso, anche nel 1999 doveva ritenersi operante la piena equiparazione tra causa ostativa preesistente e causa di decadenza sopravvenuta; e tale situazione normativa venne interamente recepita dal t.u. del 2000 che, soltanto, ebbe a ripartire in due articoli (artt. 58 e 59) la congerie di ipotesi che, dal 1990 al 1999, si erano affastellate nella stessa disposizione; il valore del d.lgs. n. 267/2000 era pertanto palese nel senso di veder riproposte - sotto diversa collocazione (l'art. 59, comma 6) - quelle soluzioni di parallelismo tra ostativita-nullita-decadenza gia' delineate con i vari commi dell'art. 15 della legge n. 55/1990, in tal guisa trovandosi conferma del fatto (gia' segnalato nel parere dato dall'A.D. del C.d.S. l'8 giugno 2000) che il testo unico aveva solo - come dalla precisa delega legislativa - riunito e coordinato le norme vigenti, senza in alcun modo innovare in punti decisivi quale quello esaminato (ed in caso negativo incorrendo in ipotesi di incostituzionalita); del resto, la interpretazione condivisa era perfettamente conforme al costante insegnamento della Corte costituzionale sulla identita' di ratio giustificativa delle fattispecie di incandidabilita' e di decadenza, non valendo, a diversamente opinare in termini di interessi costituzionalmente rilevanti, l'esigenza di assicurare la stabilita' del risultato elettorale (tal esigenza non potendo far premio su quella, primaria, di reagire alla carenza di un fondamentale requisito per l'eleggibilita); con riguardo alla questione della applicazione delle norme in discorso alla regione siciliana, tale applicazione poteva ipotizzarsi solo affermandone - come dovevasi - il carattere ricognitivo della normativa preesistente rivestito dagli artt. 58 e 59 del t.u.: ed infatti, alla stregua dello Statuto regionale le norme nazionali in materia elettorale potevano trovare applicazione solo se espressamente richiamate dalla legge regionale, avente in materia potesta' esclusiva, con la conseguenza per la quale il rinvio che le leggi regionali n. 7/1992 e n. 26/1993 operavano in materia alla legge n. 16/1992 (e quindi all'art. 15, della legge n. 55/1990) doveva ritenersi rinvio materiale o ricettizio. E di qui la conseguenza ulteriore per la quale, non avendo il t.u., con riguardo alla questione dibattuta, alcuna funzione innovativa ma soltanto capacita' ricognitiva, solo in tal ruolo di conferma delle norme preesistenti ed abrogate, le relative disposizioni potevano trovare ingresso in Sicilia, si' che anche alla loro stregua doveva ritenersi avverata la decadenza del Buzzanca dalla carica di sindaco. Per la cassazione di tale sentenza il Buzzanca ha proposto ricorso, affidato a sei motivi, notificando l'atto in diverse date correnti tra il 20 ed il 29 dicembre 2003 ai soggetti indicati in intestazione. Degli intimati si sono costituiti con controricorsi distinti: Ansaldo Patti Rosario ed altri sei - Notarianni Aurora ed altri diciassette - Rodi Giuseppe - Bertuccelli Antonino - il Ministero dell'interno e l'Assessorato siciliano agli enti locali. L'avv. Trischitta, dal canto suo, nel controricorso ha anche proposto ricorso incidentale adesivo (con due motivi) ed autonomo (con cinque motivi) al quale hanno resistito, con controricorso separato, il Rodi da un canto e Notarianni Aurora - La Torre Giuseppa - Mazziotta Rosa dall'altro canto. Su istanza di sollecita trattazione dei difensori di Notarianni Aurora + 17 era fissata udienza di discussione dei ricorsi al 10 maggio 2004. Su nuova istanza dei medesimi difensori e di quella dei difensori di Ansaldo Patti Rosario ed altri - rappresentanti l'urgenza derivante dalla necessita' di pervenire ad una decisione in tempo utile per l'eventuale convocazione delle elezioni per il rinnovo della carica in coincidenza con l'imminente turno elettorale del 12/13 giugno 2004 - il presidente della sezione in data 9 marzo 2004 fissava nuova, anticipata, udienza al 14 aprile 2004. In data 30 marzo 2004 era pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica il d.l. 29 marzo 2004, n. 80 (disposizioni urgenti in materia di enti locali) nel quale, all'art. 7 (modfiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), erano apportate modifiche all'art. 58, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 267/2000 (nel senso che dopo il numero «314» erano inserite le parole «primo comma») ed all'art. 59 comma 6 dello stesso d.lgs. (nel senso che dopo le parole «sentenza di condanna» erano inserite le parole «per uno dei reati previsti dal medesimo comma»). Hanno quindi depositato memorie i difensori del ricorrente Buzzanca e di Ansaldo Patti Rosario ed altri nonche' Rodi Giuseppe, memorie nelle quali si e' dato atto e trattato della sopravvenienza dell'art. 7, d.l. 29 marzo 2004, n. 80 recante le teste' rammentate modifiche al testo degli artt. 58 e 59, d.lgs. n. 267/2000. Nella discussione orale hanno illustrato le loro opinioni i difensori indicati in intestazione ed il Rodi nel mentre l'avv. Trischitta ha depositato atto di rinunzia (non recante accettazioni od adesioni) alle proprie impugnazioni incidentali adesive ed autonome. Riservata la decisione, la Corte, riuniti i ricorsi, con ordinanza n. 7327/2004 depositata il 17 aprile 2004 ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, d.l. n. 80/2004, recante modifiche all'art. 58, comma 1, lett. B) e all'art. 59, comma 6, del d.lgs. n. 267/2000 per evidente carenza del requisito del caso straordinario di necessita' ed urgenza, quindi disponendo la sospensione del procedimento, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e le comunicazioni di rito. La Corte costituzionale, con ordinanza n. 2/2005 in data 11 maggio 2005, sul rilievo che dopo l'ordinanza di rimessione il d.l. del quale era stata denunziata l'incostituzionalita' era stato convertito con la legge 28 maggio 2004, n. 140, con la quale erano state apportate modifiche al decreto ed enunziate le ragioni della emanazione della norma censurata, ha disposto la restituzione degli atti a questa Corte per nuovo esame della rilevanza. E' stata quindi fissata nuova udienza per la discussione del ricorso. I difensori del Buzzanca, da un canto, e dei controricorrenti Bertucceili, Ansaldo Patti ed altri, Notarianni Aurora ed altri hanno depositato memorie. Rodi Giuseppe ha depositato motivate istanze 21 marzo 2005 dirette al differimento della udienza per asserita nullita' dell'avviso. Alla udienza del 31 marzo 2005 il Collegio ha con ordinanza rigettato l'istanza Rodi di differimento e quindi, uditi i difensori ed il p.g., ha riservato la decisione. O s s e r v a Ritiene il Collegio di dover - nuovamente - sollevare innanzi alla Corte delle leggi questione di legittimita' costituzionale, con riguardo all'art. 7, del 29 marzo 2004, n. 80 nel testo risultante dalla conversione, con modificazioni, ad opera della legge 28 maggio 2004, n. 140 (nella Gazzetta Ufficiale n. 125/2004), recante modificazioni all'art. 58, comma 1, lettera b) del t.u. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al d.lgs. n. 267/2000, in relazione all'art. 77 comma 2 della Costituzione per evidente e manifesta carenza - nella decretazione di urgenza - del requisito del caso straordinario di necessita' ed urgenza e per la conseguente comunicazione di tale vizio procedimentale alla legge che, pur in manifesto difetto di tal requisito, ha provveduto alla conversione. Il teste' indicato sospetto di illegittimita' costituzionale viene da questa Corte formulato dopo la reiterazione della valutazione di rilevanza della questione con specifico riguardo alla legge di conversione del d.l. n. 80/2004, come richiesto dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 2/2005. Con tale pronunzia processuale di restituzione degli atti, la Corte ha declinato di decidere sulla questione sottopostale sul rilievo che la legge di conversione imponesse a questa Corte remittente un nuovo esame della rilevanza della questione stessa. Ed a tanto si provvede. L a r i l e v a n z a Le norme, introdotte dalla decretazione d'urgenza nel corso del presente giudizio di legittimita', e riprodotte nella legge di conversione, devono trovare diretta applicazione all'atto in cui si pervenga alla decisione dei motivi II, III e IV che, ad avviso del Collegio, hanno carattere assorbente nella disamina dell'impugnazione principale. Al proposito devesi richiamare interamente quanto e' stato esposto nell'ordinanza n. 7327/2004 di questa Corte con riguardo agli effetti sulla cognizione del ricorso determinati dalla sopravvenienza dell'art. 7, del d.l. n. 80/2004. In tale ordinanza se' e' affermato: «Ed infatti, la non decisivita' delle questioni poste dal primo motivo (denunziante violazione degli artt. 58 e 70 del d.lgs. n. 267/2000 e vizio di motivazione, per avere la impugnata sentenza mancato di dichiarare inammissibili le azioni popolari, non essendo stata impugnata - come si sarebbe dovuto - la decisione 6 giugno 2003 dell'ufficio elettorale) scaturisce dalla persuasivita' evidente - ed in questa sede delibativa non superabile - delle contrarie argomentazioni gia' esposte da questa Corte nella sentenza n. 18128/2002. Quanto alle questioni poste nel quinto motivo (il sesto non venendo in rilievo, in quanto attinente al regime delle spese) - denunziante violazione del d.lgs. n. 267/2000 e delle leggi regionali siciliane nn. 7/1992 e n. 26/1993, per avere la Corte di merito scorrettamente affermato che esse avrebbero operato un rinvio recettizio o materiale alla legge statale n. 16/1992 e che le disposizioni del suo art. 1 sarebbero state sostanzialmente riprodotte, con diversa articolazione, dal d.lgs. n. 267/2000, in tal guisa, e solo per tal natura meramente ripetitiva, trovando applicazione in Sicilia i relativi artt. 58 e 59 - esse appaiono in questa sede non decisive, non gia' perche' prive di fumus di fondatezza ma per la contraria ragione per la quale esse non paiono condurre ad alcun risultato demolitorio della pronunzia impugnata ma soltanto alla correzione della sua motivazione in diritto. Ed infatti, e con la sintesi dovuta in coerenza con il ruolo delibativo della presente cognizione, pare al Collegio che i ridetti artt. 58, comma 1, lett. b)e 59 comma 6 del t.u. approvato nel 2000 costituiscano la fonte delle norme «inabilitanti» o «disabilitanti» del candidato o dell'eletto alla carica di sindaco in Sicilia stante il carattere aperto, o «ricettizio» della normativa statale in materia, proprio del rinvio contenuto nell'art. 36, legge regionale Si. n. 26/1993 (carattere sul quale il ricorso ha speso motivate e persuasive considerazioni in termini di lettura costituzionalmente corretta del rinvio e del quale non ha avuto dubbi di sorta questa Corte nella recente sentenza n. 2896/2004, che dell'art. 58, comma 1 lett. c) del t.u. ha fatto indiscussa applicazione in controversia afferente la decadenza di sindaco di altro comune siciliano). Se, dunque, non pare dubitabile che la vicenda di decadenza sottoposta debba essere governata proprio dagli artt. 58 e 59 del t.u. n. 267/2000, sui quali si e' appuntata la novellazione d'urgenza ex art. 7 d.l. n. 80/2004, emerge come indiscutibile la inerenza della questione di costituzionalita' di tal novella alla disamina dei motivi (II, III e IV) del ricorso Buzzanca che, sulla interpretazione delle norme novellate, muovono articolate censure alla impugnata decisione. Con il secondo motivo, infatti, si attinge il cuore del problema (urgentemente risolto dal d.l. sopravvenuto), quello della latitudine della previsione inabilitante dell'art. 314 c.p. contenuta nell'art. 58, comma 1), lett. b), sostenendosi, in antitesi con la decisione della Corte territoriale, che il peculato d'uso - delitto autonomo e diverso, sotto piu' profili, dal peculato - non sarebbe da comprendere, a pena di confliggere contro primarie esigenze di ragionevolezza, nella previsione inabilitante del peculato. Con il terzo e quarto motivo, di converso, dato per ammesso che la previsione inabilitante includa l'ipotesi del peculato d'uso, si censura l'opzione interpretativa adottata dalla Corte di Messina per la quale, dalla lettura storico-sistematica delle leggi statali in materia, risulterebbe perfetta corrispondenza tra previsioni inabilitanti (in termini di ostativita' alla carica e di nullita' della elezione avvenuta) e previsioni disabilitanti (in termini di decadenza dell'eletto per la sopravvenienza del giudicato ostativo): ad avviso del ricorrente, come fatto palese dalla collocazione degli artt. 58 e 59 comma 6, si sarebbe realizzata una rottura della originaria corrispondenza, si' da riservare l'operativita' della causa di decadenza al solo ambito dell'operativita' della causa di sospensione interinale, con la consegnenza che non potrebbe decadere, per giudicato sopravvenuto su causa ostativa, il sindaco che per tal causa non fosse stato soggetto alla sospensione per condanna non definitiva (si' che' non costituirebbe causa di decadenza ex art. 59, comma 6 il giudicato afferente la commissione di peculato d'uso, tal delitto non essendo previsto, all'art. 59, comma 1, lett. A), come causa di sospensione interinale ma soltanto contemplato come causa ostativa alla candidatura nella piu' ampia previsione dell'art. 58, comma 1, lett. b). Ebbene, in tali termini chiarita la res litigiosa sottoposta dal ricorso ed individuata la inerenza della novella alle sole questioni decisive in causa, vi e' da sottoporre a lettura la novella stessa per poi sottolineare i piu' evidenti profili di rilevanza della questione di sua illegittimita' costituzionale, in termini di necessaria ed ineludibile sua applicazione come jus superveniens. L'art. 7, del d.l. n. 80/2004 al punto a) modifica la norma di cui all'art. 58, comma 1, lett. b) aggiungendo alla previsione inabilitante (causa ostativa alla candidatura costituita da condanna definitiva per delitto) afferente il peculato sub. art. 314 c.p. le parole «primo comma», con la conseguenza di escludere dal novero delle cause ostative il delitto di peculato d'uso (sull'assunto che la minor offensivita' giuridica del delitto in questione ne giustifichi la sottrazione dall'ambito delle cause ostative per delitti rubricati) e di includerlo tra le stesse cause ostative soltanto se la pena irrogata superi i sei mesi (art. 58, comma 1, lett. c). Lo stesso art. 7, al punto b), modifica poi la disposizione di cui all'art. 59, comma 6 del t.u. nel senso di prevedere esplicitamente che la decadenza dalle cariche elencate al comma 1, dell'art. 58, per effetto di sentenza di condanna definitiva, operi ove la condanna sia intervenuta per uno dei reati previsti dal medesimo comma, con la conseguenza per la quale, in un'ottica di ripristinata (o ribadita) perfetta corrispondenza tra cause inabilitanti e cause disabilitanti, si esclude che la condanna definitiva a pena fino a sei mesi per il delitto di peculato d'uso possa operare tanto come causa ostativa alla candidatura quanto come causa di decadenza dalla stessa. In tal guisa identificata la portata di modifica normativa della novella, e rammentato che la decadenza del Buzzanca dalla carica di Sindaco di Messina era stata pronunziata per la sua irrevocabile condanna alla pena di mesi sei per il delitto di peculato d'uso di cui al comma 2, dell'art. 314, c.p. (oltre che per quello di cui all'art. 323 c.p.), resta da chiarire le ragioni per le quali nel processo pendente in questa sede di legittimita' debbano essere applicate non solo le norme modificate (gli artt. 58 e 59 t.u., per le ragioni dinanzi rammentate) ma anche - ed ovviamente in via esclusiva - le norme modificanti contenute nell'art. 7, d.l. n. 80/2004. Che le norme sopravvenute non abbiano alcuna portata interpretativa e' dato, al contempo, evidente ed inconferente sul piano della rilevanza e sintomatico sul piano della non manifesta infondatezza della questione che si solleva. Riservata alla sede propria la trattazione di tal ultimo profilo, deve quindi escludersi - come dato di tutta evidenza - che le nuove norme abbiano alcuna portata di interpretazione autentica delle norme che sostituiscono: se, infatti, come da questa Corte piu' volte affermato, il carattere in discorso dipende dal solo contenuto del precetto posto - in termini di apprezzamento ermeneutico di un precetto antecedente al quale la nuova norma si ricolleghi nella lettera e nella ratio, a tal valutazione sovrapponendo l'imperativa nuova interpretazione (da ultimo Cass. 9895/2003) - e se certo non fa ostacolo alla legittimita' di siffatta opzione ermeneutica l'inesistenza di una diffusa situazione di incertezza o di contrasti giurisprudenziali (come rammentato in svariati arresti della Corte costituzionale: ex multis sentt. nn. 374/2002 - 29/2002 - 525/2000 - 229/1999), non e' chi non veda come nelle disposizioni di cui all'art. 7, in disamina non e' dato rinvenire ne' riferimenti a pregresse alternative ermeneutiche ne' la imperativa opzione per una di esse ma, soltanto, la volonta', esplicitata in rubrica e nel testo, di modificare le norme previgenti, il che e' quanto dire di compiere l'operazione opposta a quella di recare interpretazione autentica delle norme (imporre come corretta una delle sue possibili letture) e consistente nella sostituzione di testo a testo (sull'assunto che nel primo testo non vi fosse spazio alcuno per la soluzione auspicata). Ma il carattere non interpretativo di quello che, pertanto, deve definirsi jus superveniens, e' del tutto indifferente ai fini della sua applicazione alla controversia in disamina, dovendo tale immediata applicazione ravvisarsi non gia' per effetto dell'incidenza della novella sugli effetti penali della sentenza (come pur, con dovizia di argomentazioni, sostenuto dal ricorrente nella memoria 7 aprile 2004) bensi' per l'assorbente rilievo dell'avere detta novella incidenza sul regime dei requisiti legali di mantenimento della carica pubblica elettiva e quindi sulla sua idoneita' a mutarlo con immediata efficacia tanto in malam quanto, come nella specie, in bonam partem. Questa Corte ha infatti piu' volte affermato, con riguardo alla sopravvenienza di condizioni «disabilitanti» (sentenze irrevocabili di condanna) alla elezione o nomina alla carica elettiva, e con specifico riguardo alle disposizioni dell'art. 1 commi quattro-bis e quinquies della legge n. 16/1992, che le nuove disposizioni debbono essere applicate anche ove le situazioni sanzionate si siano verificate ben prima della entrata in vigore della legge sopravvenuta non venendo in gioco alcun profilo di retroattivita' della disposizione (posto che essa produce i suoi effetti solo per il periodo successivo alla sua entrata in vigore) ma trattandosi di un nuovo parametro cui il legislatore ancora il giudizio di indegnita' rispetto alla conservazione della carica (Cass. 9087/1993 - 10700/1993 - 10741/1993 - 10744/1993 - 9953/1994). E posto che il principio formulato da tali pronunzie appare assolutamente condivisibile, la' dove evidenzia la ragionevolezza della immediata applicazione della nuova norma perche' attingente le condizioni di mantenimento della carica, ne discende che di tal principio debba farsi applicazione anche le volte in cui la norma sopravvenuta rimuova un pregresso giudizio di indegnita', confinando nell'ambito dell'irrilevanza giuridica una condanna penale che in base alle norme preesistenti aveva valore di condizione inabilitante. Di qui la conseguenza che la sopravvenienza normativa in esame non potrebbe non trovare immediata applicazione a beneficio del Buzzanca e nel processo in corso, a tal applicazione non ostando preclusioni di sorta (ed anzi essendo la questione della comprensione del peculato d'uso nella norma disabilitante dedotta ad oggetto del richiamato secondo motivo del ricorso)». Quanto sin qui affermato, con riguardo alla norma portata dal d.l., non viene in alcun modo revocato in dubbio dalla norma risultante dalla legge di conversione: se e' infatti compito di questa Corte remittente sottoporre a scrutinio di rilevanza il testo della norma, gia' sospettata, quale portato dalla sopravvenuta legge di conversione, non occorre diffusione di argomenti per sostenere il rilievo della assoluta estensibilita' anche al testo definitivo della sopra riportata valutazione di rilevanza. In quel testo, e per la parte che rileva in causa, l'inciso «primo comma» (che l'art. 7, comma 1, lett. A) intese inserire dopo il numero 314 di cui all'art. 58, comma 1, lett. B)del d.lgs. n. 267/2000) e' stato semplicemente riprodotto al seguito di una virgola («, primo comma») e la soppressione della modifica all'art. 59, comma 6 di cui al comma 1, lett. B) dell'art. 7, del d.l. e' scelta di evidente indifferenza rispetto alla questione dedotta in causa. Giova, da ultimo, prendere in esame - per disattenderle con la sintesi propria della odierna cognizione - le obiezioni che la difesa dei controricorrenti ha inteso muovere al rilievo di immediata applicazione dello jus superveniens formulato nell'ordinanza n. 7327/2004, obiezioni che, facendo leva sul canone del «fatto compiuto» o della «cristallizzazione» (elaborato dalla giurisprudenza di legittimita' in materia elettorale), indicano come eversiva dei principi la scelta di applicare la norma sopravvenuta che rimuova ex nunc (ed appunto in bonam partem) un pregresso giudizio di indegnita'. Dette obiezioni in primo luogo ignorano che nel caso sottoposto nessuna decadenza si era avverata posto che proprio sulla applicabilita' alla specie della norma che la comminava (l'art. 58, comma 1, lett. B) ante novella) erano insorte controversie decise in modo difforme dai giudici del merito sulla base di divergenti interpretazioni del diritto vigente e, in secondo luogo, non mostrano consapevolezza della assoluta doverosita' (in termini di interpretazione secundum constitutionem) della applicazione della norma sopravvenuta che rimuova un pregresso giudizio di indegnita', confinando nell'ambito dell'irrilevanza giuridica una condanna penale che venga privata del valore di condizione inabilitante. Ma dette obiezioni, in terzo luogo, richiamano in modo non pertinente precedenti statuizioni di questa Corte che, facendo leva sulla «cristallizzazione» determinata dalla domanda ex art. 9-bis, d.P.R. n. 570/1960, hanno escluso alcuna applicabilita' dello jus superveniens, posto che tali pronunziati (per tutti si rammenta Cass. n. 12862/2001) afferivano la materia delle incompatibilita' per le quali e' prevista la sua rimozione nel termine di legge ed e' esclusa alcuna rimozione tardiva e non riguardavano certo i casi di incandidabilita' o decadenza per indegnita' da condanna penale di cui alle norme via via introdotte (leggi nn. 55/1990 - 16/1992 - 475/1999 - d.lgs. n. 267/2000), per i quali non si scorge alcun ruolo da assegnare alla scelta di rimozione. Vanno dunque pienamente confermate, anche con riguardo al testo dell'art. 58, comma 1, lett. B) risultante dalla legge di conversione n. 140/2004, le considerazioni di rilevanza gia' formulate nella precedente ordinanza di rimessione n. 7327/2004 di questa Corte. La non manifesta infondatezza Ad avviso del Collegio la norma in disamina difetta del necessario requisito per la sua adozione con decreto legge - la sussistenza di caso straordinario di necessita' ed urgenza - di guisa che il vizio di violazione del disposto dell'art. 77, comma 2 Cost., attingente il provvedimento 29 marzo 2004, n. 80, ben dovra' coinvolgere - come vizio in procedendo - la stessa legge di conversione che abbia provveduto in difetto del necessario requisito (come statuito da Corte cost. nella decisione n. 29/1995). A criterio del Collegio il difetto del requisito costituzionale raggiunge, nella specie, la soglia della evidenza che la Corte delle leggi ha sempre ribadito essere condizione per la sua sindacabilita' quale vizio comunicato alla legge di conversione (come affermato negli arresti nn. 29/1995 - 161/1995 - 330/1996 - 432/1996 ord. - 90/1997 ord. - 398/1998 - 16/2002 - 341/2003), evidenza che deve essere apprezzata - nella dimensione delibativa e prognostica che gli compete - anche dal giudice che solleva la questione. Giova riportare in questa sede i dati che l'ordinanza di rimessione n. 7327/2004 ha inteso evidenziare come sintomatici della carenza del requisito costituzionale per provvedere con decretazione d'urgenza sulla materia de qua: tale ordinanza, con argomentare che il Collegio interamente condivide, ebbe ad affermare: 1. - La decretazione d'urgenza e' stata adottata non gia' per regolare - con lo strumento imposto dall'approssimarsi delle consultazioni elettorali del 12-13 giugno 2004 - la materia delle condizioni ostative alle candidature, in un'ottica (insindacabile) di adeguamento delle previsioni normative al mutamento delle condizioni politiche, ma soltanto per escludere dal novero delle cause ostative sub. art. 58, comma 1, lett. a) l'ipotesi di condanna per peculato d'uso, senza che dal testo del provvedimento (o dal generale contesto della giurisprudenza in materia, nel quale questa Corte riveste ruolo essenziale) sia desumibile la ragione per la quale l'urgenza del provvedere si sia appuntata solo sulla prescelta ipotesi ed in tal guisa facendo sorgere il dubbio (trovante riscontro nella scansione degli eventi sintetizzati nelle premesse in fatto) di una indebita intenzione di incidere sulla concreta fattispecie sub judice (di cui e' cenno nella sent. n. 525/2000 della Corte costituzionale), intenzione che, ove sussistente, attesterebbe, ben oltre l'insussistenza del requisito in disamina, la sua impropria invocazione. 2. - La evidente carenza dei requisiti in esame e' resa palese dalla assenza della loro stessa dichiarazione nel preambolo del decreto n. 80/2004: se, infatti, si e' ritenuto di ivi esplicitare che l'adozione delle disposizioni urgenti in materia di enti locali trovava ragione nel fine di assicurarne la funzionalita' con particolare riferimento alle procedure di approvazione dei bilanci di previsione, alle difficolta' finanziarie dei comuni di ridotta dimensione demografica ed al risanamento di particolari situazioni di dissesto finanziario, nulla si e' ritenuto - sintomaticamente - di dichiarare con riguardo alla straordinaria necessita' ed urgenza di modificare i soli artt. 58, comma 1, lett. b) e 59, comma 6 d.lgs. n. 267/2000 nel senso di escludere l'ipotesi sub. art. 314, comma 2 c.p. dal novero dei delitti ex se ostativi alla candidatura. 3. - Altrettanto sintomatico e' poi il silenzio del provvedimento con riguardo alla deroga che l'art. 7, del d.l. in esame ha apportato all'art. 15, comma 2, lett. b) della legge n. 400/1988 la' dove fa divieto al Governo di adottare decreto-legge per provvedere nelle materie indicate nell'art. 72, comma 4 Cost. (tra le quali la materia elettorale, nella quale sussiste la riserva di delibera assembleare): se nella legge fondamentale che regola, al capo III, la potesta' normativa del Governo, e' fatto generale divieto di ricorrere alla decretazione d'urgenza in materia elettorale, la deroga che a tal divieto un decreto-legge apporta non puo' non trovare ostensione - nel preambolo (art. 15, comma 1 legge cit.) - in termini di eccezionale necessita' ed urgenza. E se il Governo ha nella specie ritenuto di far doveroso omaggio all'obbligo di indicare nel preambolo del decreto le circostanze straordinarie di necessita' ed urgenza che ne giustificavano l'adozione (art. 15, comma 1) ma poi ha taciuto del tutto sulle circostanze che ne imponevano l'adozione in materia nella quale quella stessa legge fa divieto di adottarlo, si avvalora in modo evidente il dubbio che le ridette circostanze non potevano essere portate ad emersione essendo esse del tutto estranee dall'ambito di legittimo esercizio della potesta' normativa del Governo.». Ebbene, dal sommario esame del testo e dei lavori preparatori della legge di conversione emerge con nettezza la consapevolezza, da parte del Parlamento, della originaria carenza del requisito costituzionale a sostegno della adottata decretazione d'urgenza. Ed infatti: per quel che riguarda la «latitudine» dell'intervento operato sulla «materia» delle condizioni ostative alle candidature con la legge di conversione non si scorge alcuna coerenza della disciplina definitiva con quella, singolarmente ed urgentemente, adottata con l'art. 7, del d.l. n. 80/2004: nessuna delle modifiche apportate agli artt. 59, comma 3, 61, 64, 254, 256 del t.u. di cui al d.lgs. n. 267/2000 attiene infatti alle regole sulle cause ostative alla candidatura determinate da condanna penale si' da far ritenere che l'originario intervento urgente sull'ipotesi di condanna per il delitto di cui all'art. 314 c.p. si iscrivesse comunque in un disegno, provvisoriamente perseguito ma poi coerentemente sviluppato, di regolamentazione della materia in una ottica coerente di rimodulazione del rapporto tra diritto di elettorato e sanzione penale; per quanto riguarda la carenza di alcuna originaria «ostensione» delle ragioni di urgenza, l'inconsueto inserimento nella legge di conversione di ragioni giustificatrici afferenti la ratio dell'intervento (operato ...per chiarire e definire i presupposti e le condizioni rilevanti per il mantenimento delle cariche pubbliche ai fini dell'ordine e della sicurezza pubblica), attesta non gia' la consapevolezza di gravi ed indifferibili ragioni di urgenza, rimaste inespresse in sede di decretazione e da esplicitare in sede di conversione, bensi' la scelta di sottrarre quella decretazione dal divieto di cui agli artt. 15, comma 2, lett. b) della legge n. 400/1988 e 72, comma 4 Cost., con la conseguenza per la quale, se e' chiaro l'intento del legislatore di riposizionare la decretazione su materia costituzionalmente autorizzata resta ancora una volta, ed ancor piu', inespressa la ragione di urgenza per tutelare con il d.l. n. 80/2004 ragioni di ordine e sicurezza pubblica. In tal senso e' significativo che nell'esame in sede referente da parte del Senato dell'atto n. 2869 si sia affermato (22 aprile 2004 - seduta n. 396 - senatore Falcier) apparire evidente che «... l'art. 7 del decreto-legge n. 80 attiene alla materia ordine pubblico e sicurezza pubblica e non a quella strettamente elettorale e che era quindi possibile e anzi opportuno intervenire in tale senso con un provvedimento di urgenza.»; se poi ci si interroghi, come appare doveroso a questo giudice rimettente, sulla esistenza di un elemento decisivo per affermare o negare la permanenza del vizio in disamina a carico della legge di conversione, non potra' che farsi capo alla piu' esplicita delle recenti pronunzie della Corte costituzionale sulla questione in esame, la sentenza n. 341/2003: in tale pronunzia si e' infatti affermato che la evidente mancanza dei presupposti coinvolge il momento della conversione nel solo caso in cui palesemente difetti un consenso parlamentare sulla sussistenza del requisito di contro dovendosi ritenere sanato l'originario vizio ove emerga la opinione della necessita' dell'intervento urgente (pur nella diversita' di valutazioni sulla opportunita' politica della norma). Il che e' quanto dire,ad opinione del Collegio, che la sola opinione di maggioranza sulla originaria necessita' della decretazione d'urgenza non parrebbe essere idonea a sanare il vizio in discorso. E se poi, come emerge dalla doverosa verifica dei lavori preparatori, alla opinione di maggioranza (sostanzialmente limitata alla identificazione dell'urgenza con la appartenenza del decreto alla «materia» dell'ordine e sicurezza pubblica) si contrapponga una continua ed insistita denunzia - da parte della minoranza - dell'assenza di alcuna ragione d'urgenza a sostegno della norma, la mancanza di effetto sanante ad opera della legge di conversione si imporra' - come si impone - in modo del tutto evidente; al proposito gia' dal resoconto sommario della prima seduta d'esame al Senato dell'atto n. 2869 (31 marzo 2004 - seduta n. 391) alla opinione espressa dal sottosegretario D'Ali', per la quale l'art. 7, presentava i requisiti della necessita' ed urgenza in quanto volto «...a eliminare una discrasia determinatasi nella regolazione delle cause ostative alla candidatura rispetto ai casi di sospensione e decadenza di diritto dei candidati alle elezioni amministrative...» si contrappose l'opinione del sen. Villone per la quale la norma, definita «...norma fotografia...», delineava una discrasia in atto sin dal 2001 e che non aveva consigliato, in quegli anni, alcun intervento correttivo. Analoga contrapposizione si registra nelle dichiarazioni di cui alle sedute n. 395 del 21 aprile 2004 e n. 396 del 22 aprile 2004 e di cui alle sedute pubbliche dell'Assemblea del Senato del 6 aprile 2004 e del 22 aprile 2004. Ampio risalto alla questione di costituzionalita' dell'art. 7, del d.l. in via di conversione viene poi data in sede di discussione della pregiudiziale «Montecchi», alla Camera dei deputati (seduta n. 466 del 12 maggio 2004 - a.c. 4962) e riproposta anche in sede di dichiarazione di voto finale sugli emendamenti soppressivi (seduta n. 473 del 25 maggio 2004 - a.c. 4962). E, da ultimo, anche in sede di discussione ed approvazione finale del d.d.l. (n. 2869-B, in Senato, seconda lettura - seduta n. 613, pubblica) venne dichiarato da senatori della minoranza (sen. Battisti) che l'art. 7, doveva ritenersi «...chiaramente incostituzionale per la mancanza assoluta dei necessari presupposti; rimaniamo nella convinzione che, in realta', si tratta di decretazione d'urgenza elettorale». Nella sui qui esposta sussistenza dei requisiti per la rimessione alla Corte costituzionale della formulata questione, si provvede quindi alla sospensione del processo, alla trasmissione degli atti ed agli adempimenti di legge.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, lettera A) del d.l. 29 marzo 2004, n. 80 come convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2004 n. 140, recante modifiche all'art. 58, comma 1, lett. B) del d.lgs. n. 267/2000, in relazione all'art. 77, comma 2, della Costituzione per evidente carenza del requisito del caso straordinario di necessita' ed urgenza; Dispone, la sospensione del procedimento n. 30654/2003; Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina alla cancelleria che la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di legittimita' ed al Presidente del Consiglio dei ministri e che essa sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso nella Camera di consiglio della prima sezione civile il 31 marzo 2005. Il Presidente: Losavio 05C0698