N. 326 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 gennaio 2005

Ordinanza  del  27  gennaio  2005 emessa dalla Commissione tributaria
provinciale  di  Como  nel  procedimento  tributario vertente tra San
Lorenzo  S.a.s.  di Porta Roberto & c. contro Agenzia delle entrate -
Uffico di Menaggio
Sanzioni  amministrative - Inosservanza di disposizioni in materia di
  lavoro  sommerso  e  previdenza sociale - Sanzione pecuniaria nella
  misura  dal 200 al 400 per cento dell'importo del costo del lavoro,
  relativo  a  ciascun  lavoratore,  calcolato sulla base dei vigenti
  contratti collettivi nazionali per il periodo compreso tra l'inizio
  dell'anno  e la data di constatazione della violazione - Violazione
  del  principio  di uguaglianza per irrazionalita' ed ingiustificato
  eguale trattamento di situazioni diverse - Incidenza sul diritto di
  difesa.
- D.L.  22 febbraio  2002,  n. 12,  art. 3, comma 3, convertito dalla
  legge 23 aprile 2002, n. 73.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.26 del 29-6-2005 )
                LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

    Ha  emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 622/03 depositato
il    3    ottobre   2003   avverso   avviso   irrogazione   sanzioni
n. ROXLS0100035/03   sanzione  amministrativa  2002,  contro  Agenzia
entrate,  Ufficio  di  Menaggio, proposto dal ricorrente: San Lorenzo
S.a.s. di Porta Roberto e C. via San Lorenzo n. 13, 22014 Dongo (CO),
difeso  da: dott. Colli Paolo e/o dott. Calato Paolo, via IV Novembre
n. 1, 23014 Delebio (SO).
    In  conseguenza  di processo verbale di constatazione, redatto in
data  3  ottobre 2002 dal Comando Compagnia di Dongo della Guardia di
Finanza,  l'Agenzia  delle  entrate  - Ufficio di Menaggio emetteva a
carico  di  Porta  Roberto,  socio  accomandatario  della San Lorenzo
S.a.s.,  di  Porta Roberto Rita e C. - Insegna «GRIFONE», con sede in
Dongo,   l'avviso   di   irrogazione  sanzioni  n. ROXLSO100035/2003,
notioficato  il  21  maggio  2003,  per violazione del d.l. n. 12 del
2002,  convertito  nel legge n. 73 del 2002, consistente nell'impiego
di  due  lavoratori  dipendenti  (Minatta  Luigi  e  Chottian Annuay,
addetti  alla  cucina),  non risultanti da scritture o documentazione
obbligatoria,  e  irrogava  la  relativa  sanzione amministrativa, ai
sensi  dell'art.  3,  comma  3, del citato d.l., in euro 43.495,65 in
rapporto  al costo del lavoro calcolato il complessivi euro 21.747,84
in  corrispondenza  del  periodo  dal 1° gennaio 2002 al 28 settembre
2002.  Con  ricorso,  ritualmente  proposto dopo la presentanzione di
domanda  di  accertamento  con  adesione (art. 6, comma 2, del d.lgs.
n. 218   del   1997),   il   nominato   Porta  Roberto,  regolarmente
rappresentato  e  difeso, si opponeva all'indicato avviso chiedendone
l'annullamento.
    A  tal  fine,  accennate  in  fatto  le risultanze dal p.v.c., le
dichiarazioni rese dalle persone interrogate e l'avvenuta conseguente
emissione   dell'avviso   impugnato,  sintetizzandone  il  contenuto,
sostiene l'iniquita'  della  norma  sanzionatoria  in esame allorche'
viene  applicata pure in una situazione, da cui e' presumibile che la
prestazione    lavorativa   delle   persone   presenti   nella   sede
dell'attivita'  e'  svolta  solo  da poche ore. Aggiunge che nel caso
l'iniquita' della norma sanzionatoria e' evidente soprattutto perche'
prevede  nel  costo del lavoro, calcolato secondo i vigenti Contratti
collettivi  nazionali, l'elemento base per commisurare la sanzione da
irrogare.
    Invero  e'  da tenere presente che in ambito fiscale il costo del
lavoro  e' assunto per il calcolo del reddito imponibile a condizione
che sia effettivo, certo, attuale e inerente.
    Ora  a  nessuno  di  tali  requisiti sembra essere presente nella
interpretazione   che   ne   da'  l'Amministrazione  Finanziaria  con
riferimento al la norma in esame.
    Infatti  in tal modo il costo del lavoro viene ad essere una voce
meramente  contabile,  soltanto  immaginata  e  del tutto occasionale
poiche'  dipendente  dalla  data  dell'accertamento e non attuale ne'
inerente   poiche'   l'attivita'   sociale  si  e'  svolta  senza  la
collaborazione per il periodo congetturato dalla Guardia di Finanza.
    Aggiunge  che l'interpretazione corretta sarebbe quella che porta
a  stabilire il costo del lavoro - da cnsiderare per il calcolo della
sanzione  - nell'importo necessario per rimunerare, secondo legge, la
prestazione del lavoro irregolare fruita.
    Invero  il  periodo  temporale, di cui alla norma in esame, e' da
considerare    soltanto    il   riferimento   per   determinare,   in
corrispondenza,  il  costo medio del lavoro ed in rapporto a questo -
quale  retribuzione  media  - quantificare la sanzione per il periodo
intercorrente  tra  l'inizio  dell'accertata  irregolarita' e la data
della  constatazione,  che  nel  caso  e' da fissare in due ore prima
dell'accesso della Guardia di Finanza.
    Eccepisce  inoltre  il  diritto  la  violazione  del principio di
uguaglianza  previsto  nell'art.  3  della  Costituzione in quanto la
misura   della   sanzione   non  e'  correlata  alla  gravita'  della
violazione, ma e' dipendente dalla casualita' della verifica, per cui
ne  deriva  evidentemente che un'identica situazione viene sanzionata
in misura diversa ai sensi della stessa norma.
    In  ultimo,  nel  ribadire  l'illegitimita'  dell'atto impugnato,
richiama  e allega una lettera, trasmessa dal Consiglio nazionale dei
consulenti  del  lavoro  ai  competenti  Ministeri,  in  merito  allo
spropositato   regime   sanzionatorio,   di  che  trattasi,  tale  da
giustificare un intervento del legislatore.
    Il   ricorrente   concludeva   chiedendo  pronuncia  di  nullita'
dell'atto inpugnato con vittoria delle spese di giudizio.
    L'Agenzia  delle  entrate  - Ufficio di Menaggio, costituitasi in
giudizio,   ex   art.   23   del   d.lgs.   n. 546  del  1992,  nelle
controdeduzioni,  depositate il 29 ottobre 2003, esponeva in fatto di
aver  emesso  l'indicato avviso in conseguenza del menzionato p.v.c.,
facendo  presente  che  in  definitiva  la  domanda del ricorrente e'
basata  sulla  pretesa che la sanzione da applicare e' da commisurare
al costo medio del lavoro e per il periodo di lavoro dichiarato dagli
interessati.
    Argomentava  in  diritto sulle finalita' e contenuto della citata
normativa  richiamando  anche la legge n. 383 del 2001 e la relazione
accompagnatoria   nonche'   la   C.M.   n. 56/E  del  20  giugno 2002
(allegata),  sostenendo  in conseguenza che le lagnanze del rcorrente
non hanno pregio.
    Infatti  l'esistenza  nella  sede  della  societa'  di  personale
irregolare,   ammessa   dallo   stesso   ricorrente,   e'   un  fatto
incontestabile.
    Ne  deriva  che,  restando  comunque confermato il fatto illecito
contestato,  la  sanzione da irrogare e' quella prevista dall'art. 3,
comma 3,  del d.l. n. 12 del 2002, la cui interpretazione, secondo la
regola generale dell'art. 12 delle disposizioni preliminari al Codice
civile, stante l'espressione che contiene, non puo' che essere quella
che  ha portato a determinare la sanzione nella misura applicata, non
esistendo, peraltro, alcun cenno di un costo medio del lavoro.
    Con  riferimento  al  richiamato  articolo  3  della Costituzione
rileva  che  la correlazione tra la misura della sanzione e la durata
dell'attivita' lavorativa, come prevista dalla norma, e' giustificata
dalla considerazione che il lavoratore dipendente, trovato irregolare
verso  la  fine  dell'anno,  ha  indubbiamente  contribuito in misura
maggiore  alla produzione del reddito del datore di lavoro rispetto a
quello trovato irregolare all'inizio dell'anno.
    Ne  consegue  che  la  sanzione, irrogata nella misura minima, e'
adeguata alla gravita' della violazione commessa, che non e' una cosa
da nulla.
    Del  resto  le  rimostranze  di  cui  alla  lettera  prodotta dal
ricorrente hanno piu' valore politico che giuridico.
    L'Ufficio  concludeva  chiedendo  la conferma del proprio operato
con  vittoria  delle  spese  di  giudizio,  di  cui all'apposita nota
depositata il 16 luglio 2004.
    Ufficio  con  istanza,  depositata il 18 agosto 2004, chiedeva la
discussione  in  pubblica  udienza della controversia, ai sensi dell'
art. 33 del d.lgs. n. 546 del 1992.
    All'udienza  del  12  novembre  2004 con ordinanza n. 74/0//04 la
trattazione  della  controversia veniva rinviata a quella odierna per
giustificati   motivi  di  salute  del  rappresentante/difensore  del
ricorrente.

                            O s s e r v a

    All'esito   dell'udienza  odierna,  esaminata  innanzi  tutto  la
questione  in merito al possibile contrasto, rilevato dal ricorrente,
della gia' citata norma sanzionatoria con l'art. 3 della Costituzione
(uguaglianza  di tutti i cittadini davanti alla la legge) nonche' con
l'art. 24  (diritto  di  difesa)  della  stessa,  come  reputa questa
Commissione,  essa e' stata ritenuta rilevante e non manifestatamente
infondata  e che, pertanto, e' da rimettere alla Corte costituzionale
per la risoluzione.
    Infatti  l'art. 3, del comma 3, del d.l. 22 febbraio 2002, n. 12,
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 23 aprile 2002, n. 73,
prevede  la possibilita' di applicare «la sanzione amministrativa dal
200  al 400 per cento dell'importo, per ciasun lavoratore irregolare,
del  costo  di  lavoro  calcolato  sulla  base  dei vigenti Contratti
collettivi  nazionali, per il periodo compreso tra l'inizio dell'anno
e la data di constatazone della violazione».
    Orbene,  non pare dubitabile che con tale disposizione si finisca
per  equiparare  in modo irragionevole situazioni, che possono essere
diverse  tra loro, posto che il cittadino, che subisca l'accertamento
nel mese di novembre (ed abbia assunto in nero, ma da pochi giorni il
lavoratore),   sara'  soggetto  ad  una  sanzione ingiustificatamente
maggiore  rispetto  a  quel  cittadino  che - per sua fortuna - abbia
subito  identico accertamento nel mese di gennaio ed abbia assunto in
nero  il  lavoratore,  ma  da  molti  mesi  prima,  seppure nell'anno
precedente.
    Pare evidente, quindi, in tal caso la violazione del principio di
uguaglianza di cui al citato art. 3 della Costituzione, stante che la
norma  in  esame,  facendo  dipendere  dalla casualita' della data di
accertamento   e   dunque   dalla   mera   volonta'  dell'accertatore
l'ammontare   in  concreto  della  sanzione,  di  fatto  ne  consente
l'irrogazione  anche  in  misura di molto diversa pure in presenza di
violazioni  di  pari  gravita'.  La  norma  in  esame sembra peraltro
stabilire  una  presunzione  assoluta  ed  invincibile in merito alla
durata  del  lavoro irregolare accertato in quanto rapporta la misura
della  sanzione  all'ammontare  del costo del lavoro, calcolato per i
giorni   intercorrenti   tra   «l'inizio   dell'anno  e  la  data  di
constatazione della violazione».
    Cio' appare costituire violazione del diritto di difesa di cui al
citato art. 24 della Costituzione.
    Invero  in  tal  modo  viene impedito di fatto all'interessato di
dimostrare,  anche  in  modo  documentale,  che il rapporto di lavoro
irregolare accertato puo' aver avuto durata molto piu' breve rispetto
al  periodo  stabilito  dalla norma in questione come puo' avvenire -
per  esempio  -  nel caso che il lavoratore assunto in nero sia stato
addirittura  fino  al giorno prima un dipendente (pubblico o privato)
in  piena  regola  a tutti gli effetti , circostanza che non puo' non
indurre  a ritenere fondatamente - in mancanza di verificati elementi
in  contrario  -  l'impossibilita'  dello svolgimento di un qualsiasi
altro  lavoro  irregolare  dipendente e soprattutto per un periodo da
stabilire  obligatoriamente in corrispondenza a quello previsto dalla
norma.
    Nel   caso   di  che  trattasi  le  questioni  di  illegittimita'
costituzionale   riscontrate   appaiono  anche  rilevanti  posto  che
1'accertamento  della  violazione,  da cui e' scaturita l'irrogazione
della  sanzione  amministrativa  contestata, e' avvenuto il giorno 28
settembre   2002  e  cioe'  nello  stesso  giorno  in  cui,  come  da
dichiarazioni,  risultanti  dal  «processo verbale di contestazione»,
redatti alle ore 20,45 ed alle ore 21, rispettivamente, nei confronti
di  Minatta  Luigi  e  di  Chotthian  Annuy,  il  primo  ha negato lo
svolgimento  di  un qualsiasi lavoro anche se presente dalle ore 20 e
la  seconda  ha precisato l'inizio del lavoro alle 19,30 circa e solo
da  quel giorno, senza essere stati smentiti da ulteriori elementi di
prova.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 23 e segg. della legge n. 87 del 1953, dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di leqittimita'
costituzionale  dell'art.  3, comma terzo, del d.l. 22 febbraio 2002,
n. 12  convertito nella legge 22 aprile 2002, n. 73 in relazione agli
artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale e sospende il giudizio.
    Manda   alla   segreteria  di  notificare  copia  della  presente
ordinanza  alle  parti  ed  al  Presidente  del  Consiglio nonche' di
comunicare la stessa ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Cosi' deciso in Como, addi' 13 gennaio 2005.
                        Il Presidente: Chiaro
Il relatore: Betti
05C0703