N. 353 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 aprile 2005

Ordinanza  emessa  il  13  aprile  2005  dal  tribunale di Torino nel
procedimento penale a carico di Gissiek Elena

Straniero   e  apolide  -  Espulsione  amministrativa  -  Delitto  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore  - Trattamento sanzionatorio - Reclusione da uno a quattro
  anni - Irragionevolezza sotto diversi profili.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  prima  parte, come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, della legge
  12 novembre 2004, n. 271 [rectius: decreto legge 14 settembre 2004,
  n. 241,  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 12 novembre
  2004, n. 271].
- Costituzione, art. 3.
Straniero   e  apolide  -  Espulsione  amministrativa  -  Delitto  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato  in  violazione  dell'ordine  di allontanamento impartito dal
  questore  - Arresto obbligatorio - Irragionevolezza - Lesione della
  liberta' personale dell'imputato.
- Decreto    legislativo    25 luglio    1998,    n. 286,    art. 14,
  comma 5-quinquies,  seconda  parte,  come  sostituito  dall'art. 1,
  comma 6,  della  legge  12 novembre  2004, n. 271 [rectius: decreto
  legge  14 settembre  2004,  n. 241,  convertito, con modificazioni,
  nella legge 12 novembre 2004, n. 271].
- Costituzione, artt. 3 e 13.
(GU n.29 del 20-7-2005 )
                             IL GIUDICE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nella causa penale contro
Gissiek  Elena,  nata  il  23  luglio  1966  a Zubova Kiev (Ucraina),
attualmente detenuta per questa causa presso la Casa Circondariale di
Torino, difesa d'ufficio dall'avv. Roberta Canale del Foro di Torino,
detenuta  presente,  sottoposta  ad indagini per il reato di cui all'
art. 14  comma  5-ter primo periodo d.lgs. n. 286/1998 perche', quale
cittadina  straniera,  senza  giustificato  motivo  si tratteneva nel
territorio  dello  Stato in violazione dell'ordine del Questore della
provincia  di Caserta di lasciare il territorio dello Stato, ai sensi
del  comma  5-bis  della  citata disposizione normativa, entro cinque
giorni  dal  provvedimento  stesso,  notificatole  in data 18 gennaio
2005,   essendo   stata  l'espulsione  disposta  per  essere  entrata
illegalmente  nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di
frontiera  (art. 13 comma 2 lettera a) d.lgs. n. 286/1998). Accertato
in Torino l'11 aprile 2005.
    Alle  ore 16,30 dell' 11 aprile 2005 la cittadina straniera sopra
generalizzata  veniva  tratta  in  arresto  nella flagranza del reato
sopra  rubricato  perche'  sorpresa  in  territorio nazionale dopo la
scadenza  del termine di giorni cinque entro cui le era stato imposto
dal Questore di Torino, con provvedimento emesso a norma dell'art. 14
comma 5-bis del citato T.U., di lasciare l'Italia.
    La  predetta  straniera e' stata presentata a questo giudice, nei
termini  di  legge,  per  la  convalida dell'arresto ed il successivo
giudizio  direttissimo,  a  norma  del  comma  5-quinquies del citato
art. 14.
    Questo  giudice  dubita  tuttavia di poter convalidare l'arresto,
non  perche'  l'operato  della Polizia Giudiziaria presti il fianco a
censure (risultando anzi conforme alle norme attualmente vigenti), ma
perche'  il  disposto  dell'art. 14  commi 5-ter e 5-quinquies d.P.R.
286/1998  come  modificato  dalla legge 271/2004 pare confliggere con
alcune  disposizioni  costituzionali. Piu' in particolare, la recente
drastica  elevazione  dei  livelli  edittali  di pena previsti per il
reato in esame urta, ad avviso del remittente, contro il canone della
ragionevolezza  e  contro il principio di uguaglianza nel trattamento
giuridico di situazioni fattuali omologhe.
    Pare indispensabile riepilogare brevemente le vicende della norma
incriminatrice in esame.
        1) Nella sua formulazione originaria il d.lgs. 286/1998 (c.d.
legge «Turco Napolitano») non prevedeva alcuna sanzione penale per lo
straniero   che,   dopo   l'emissione   del  decreto  prefettizio  di
espulsione,   fosse   risultato   inottemperante   alla   susseguente
intimazione  del  Questore  a  lasciare  il territorio nazionale; era
semplicemente  previsto  che  si  procedesse con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica (cfr. art. 13, comma 6 e comma
4 lettera a) decr. cit.);
        2)   era  poi  intervenuta  la  legge  189/2002  (c.d.  legge
«Bossi-Fini»),  la  quale, nel quadro di un generale inasprimento del
trattamento  amministrativo  e  penale  dello  straniero clandestino,
aveva  novellato l'art. 14 del d.lgs. n. 286/1998 prevedendo al comma
5-ter  la  pena  dell'arresto da sei mesi a un anno per «lo straniero
che senza giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato
in  violazione  dell'ordine impartito dal Questore ai sensi del comma
5-bis»  (trattasi per l'appunto dell'ordine, impartito allo straniero
colpito  da decreto di espulsione, di lasciare il territorio italiano
entro  cinque  giorni);  il  comma 5-quinquies dello stesso articolo,
esso  pure  introdotto con legge n. 189/2002, prevedeva poi l'arresto
obbligatorio dell'autore del fatto;
    3) con sentenza n. 223 del 15 luglio 2004 la Corte costituzionale
dichiarava   l'illegittimita'   costituzionale   del   citato   comma
5-quinquies,  nella parte in cui prevedeva l'arresto obbligatorio del
colpevole  della  contravvenzione di cui al comma 5-ter. Osservava la
Corte  che la previsione dell'arresto obbligatorio era manifestamente
irragionevole perche', considerati i limiti edittali di pena previsti
per  il  reato  per  cui veniva eseguito l'arresto, non era possibile
l'applicazione  di  alcuna misura cautelare, onde lo straniero doveva
essere inevitabilmente rilasciato dopo il giudizio di convalida;
        4)  con  decreto  legge  14  settembre 2004 n. 241 il Governo
emanava  norme  volte  a ridefinire il tessuto normativo su cui aveva
inciso  la  sopraindicata  sentenza della Corte costituzionale, senza
tuttavia  modificare  sostanzialmente  il  trattamento penale -- come
risultante   dopo   l'intervento   della  Consulta  -dello  straniero
inottemperante all'ordine questorile di allontanamento dal territorio
nazionale;
        5)   in   sede   di   conversione  del  predetto  decreto,  e
precisamente con la legge 271 del 12 novembre 2004, il legislatore e'
intervenuto  pesantemente,  riscrivendola  completamente, sulla norma
incriminatrice  dell'art. 14 comma 5-ter, differenziando la posizione
dello  straniero  espulso - e inottemperante all'ordine questorile di
allontanamento  dal  territorio  nazionale  -  a  seconda delle cause
determinanti   l'espulsione:   e'  stata  cosi'  conservata  la  pena
originaria dell'arresto da sei mesi ad un anno soltanto per l'ipotesi
dello  straniero  espulso  per  non  aver  chiesto tempestivamente il
rinnovo  del  permesso  di soggiorno scaduto; per le restanti, e piu'
frequenti,  ipotesi  di  espulsione  (vale a dire quelle riferibili a
stranieri  che  sono  entrati  clandestinamente  in Italia, o che non
hanno richiesto il permesso nei termini di legge, o che sono titolari
di  permesso  revocato  o  annullato,  o appartengono ad alcuna delle
categorie  contemplate  dalle  leggi  sulle  misure  di  prevenzione)
l'originario  reato  contravvenzionale  e'  stato  sostituito con una
figura  delittuosa  punita  con  la  pena  della  reclusione da uno a
quattro  anni. Una volta elevati, in maniera cosi' drastica, i limiti
edittali  di  pena,  e'  stata  reintrodotta  al comma 5-quinquies la
previsione  dell'arresto  obbligatorio  dell'autore  del  fatto  (ora
connessa alla susseguente applicabilita' di una misura cautelare).
    E'  proprio  quest'ultimo  intervento del legislatore a suscitare
perplessita'  sotto  il  profilo  della compatibilita' con i principi
costituzionali,  in primo luogo con il principio di uguaglianza nella
sua   particolare  specificazione  consistente  nella  ragionevolezza
nell'esercizio del potere legislativo.
    Va  preliminarmente  approfondita la natura del reato di cui all'
art. 14  comma  5-ter  del  d.lgs.  n. 286/1998  e  succ. modd.. Cio'
consentira'  di  fare  un piu' corretto raffronto con figure di reato
affini.
    Al  riguardo  va  messo nella massima evidenza come il delitto in
esame sia un reato di mera disobbedienza: esso consiste nella formale
violazione di un ordine amministrativo, e nulla piu'.
    E'  noto  che  una  parte  dell'opinione  pubblica  - quella meno
sensibile  ai  valori  solidaristici  pur cosi' fulgidamente espressi
nell'art. 2   della   nostra  Carta  costituzionale  -  considera  la
condizione  di  clandestinita'  dello straniero una situazione di per
se'   criminosa;   secondo   questo  modo  di  pensare  lo  straniero
clandestino  in Italia dovrebbe essere trattato per cio' solo come un
delinquente (dimenticandosi cosi' che molti stranieri irregolari sono
invece  dediti,  per  esempio,  al  lavoro nero o alla prostituzione,
tutte  attivita'  in  se'  penalmente  indifferenti, e che anzi fanno
spesso dello straniero una vittima di condotte illecite altrui). Tale
«visione  del  mondo», tuttavia, non e' mai stata recepita dal d.lgs.
n. 286/1998 ne' dalle sue successive modificazioni. Il legislatore si
e'  sempre  rifiutato  di considerare la condizione di clandestinita'
come  un  illecito  penale:  se cosi' non fosse, la tecnica normativa
piu'  ovvia  e  ragionevole sarebbe stata quella di considerare reato
l'ingresso  clandestino  in  Italia  ovvero  l'omessa  richiesta  del
permesso  di  soggiorno  dopo un ingresso regolare, vale a dire tutte
quelle  condotte che ex art. 13 comma 2 decr. cit. determinano invece
soltanto l'adozione del provvedimento prefettizio di espulsione.
    Questa  premessa  e' importante perche' colloca nella giusta luce
il  delitto  di  cui  all'art. 14  comma 5-ter d.lgs. n. 286/1998 nel
testo  vigente:  lo straniero inottemperante all'ordine questorile di
allontanamento  dal  territorio nazionale viene punito in forza della
disposizione  in  esame non perche' e' un clandestino, ma per il solo
fatto  di  aver  disatteso un provvedimento amministrativo dettato da
genericissime motivazioni di ordine pubblico.
    In  maniera  coerente  con  questa  impostazione,  le  condizioni
soggettive di maggiore o minore pericolosita' sociale dell'agente non
hanno alcuna influenza:
        che  lo straniero espulso sia un onesto lavoratore «in nero»,
sfruttato  in Italia da un imprenditore senza scrupoli, ovvero sia un
pregiudicato espulso a norma dell'art. 13 comma 2 lett. c) del citato
decreto,  e'  per la legge del tutto indifferente: cio' che rileva e'
solo  ed esclusivamente l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di
allontanamento.
    Tenendo   presenti   queste   considerazioni   ricostruttive,  la
previsione  della  pena  della  reclusione  da  uno  a  quattro anni,
introdotta per la maggior parte delle ipotesi dal nuovo art. 14 comma
5-ter del d.lgs. n. 286/1998, manifesta, ad avviso di questo giudice,
un'evidente irragionevolezza.
    A)  Essa  emerge,  in primo luogo, da un raffronto per cosi' dire
«interno»  tra le varie ipotesi previste dall'attuale comma 5-ter del
citato  art. 14. Si consideri il caso dello straniero che, entrato in
Italia  con un visto turistico e dopo aver ottenuto un corrispondente
permesso  di  soggiorno  breve,  ometta di rinnovarlo alla scadenza e
venga  espulso  con intimazione a lasciare l'Italia (e' una modalita'
seguita  sovente  dalle  giovani donne dell'est europeo che intendano
praticare  il meretricio nel nostro Paese). In caso di inottemperanza
egli  verra'  sanzionato  con l'arresto da sei mesi ad un anno, senza
che  siano  possibili  provvedimenti coercitivi o cautelari di sorta.
Ove  il  medesimo  straniero  sia  entrato  in Italia sottraendosi ai
controlli  di  frontiera  (e'  il caso oggetto del presente processo)
ovvero  abbia  omesso,  dopo  un  ingresso  regolare,  di chiedere il
permesso  di  soggiorno  (e'  il caso oggetto del presente processo),
qualora  sia  espulso  e  non  ottemperi all'intimazione del questore
andra'   incontro  all'arresto,  alla  possibile  applicazione  della
custodia cautelare e alla reclusione fino a quattro anni. Posto che -
come  si  e'  cercato  di  mettere  in evidenza poco sopra - il reato
consiste in entrambi i casi nella mera inottemperanza ad un ordine di
allontanamento,  risulta  incomprensibile  la  scelta  legislativa di
divaricare cosi' drasticamente il trattamento penale e cautelare solo
in  dipendenza  delle vicende anteriori all'emissione dell'ordine del
Questore.  Non  si comprende quale elemento concreto differenzi cosi'
marcatamente  la gravita' dell'una violazione rispetto all' altra. Si
dira' che nel primo caso lo straniero aveva inizialmente osservato le
norme  disciplinanti  l'ingresso  ed  il soggiorno degli stranieri in
Italia,  e  nel  secondo  no.  Ma  cosi'  ragionando  si  finisce per
conferire  una  vistosa rilevanza penale al fatto che lo straniero si
sia  trovato  o  no  in  una  iniziale  situazione di clandestinita',
proprio quello che il legislatore ha sempre mostrato di voler evitare
(cosi',  espressamente,  anche  il  relatore  della  legge  271/2004,
sen. Boscetto:  «Non  si  e'  addivenuti alla previsione del reato di
immigrazione  clandestina  del  quale  pure,  in  commissione,  si e'
discusso»).  La  differenza  di  trattamento rimane pertanto priva di
ragionevole giustificazione.
    B)  La  medesima  valutazione si impone poi in esito al raffronto
con  fattispecie  analoghe  previste  da  norme  diverse,  e che sono
sanzionate con pene incommensurabilmente piu' lievi:
        1)  viene  in  rilievo,  in primo luogo, l'art. 650 c.p., che
sanziona  con  la  pena  alternativa  dell'arresto  fino a tre mesi o
dell'ammenda  fino  ad  euro  206,00  «chiunque  (e  dunque  anche lo
straniero)    non    osserva   un   provvedimento   legalmente   dato
dall'autorita'  per  ragione  di giustizia o di sicurezza pubblica, o
d'ordine pubblico ...»;
        2) ove si volesse far leva sulla natura meramente sussidiaria
della   previsione   incriminatrice   di   cui   all'art. 650   c.p.,
occorrerebbe comunque considerare il reato previsto dall'art. 2 legge
1423/1956,  che  punisce  con  l'arresto da uno a sei mesi le persone
raggiunte da foglio di via obbligatorio che si rendano inottemperanti
a  quanto  in  esso  disposto.  Non  si puo' non rilevare (oltre alla
notevolissima  analogia  tra le due previsioni incriminatrici) che in
questo  caso  la  lieve  pena  edittale  si  applica  a persone che -
contrariamente allo straniero colpito da decreto di espulsione - sono
comprovatamente   dedite   a   traffici   delittuosi,  ovvero  vivono
abitualmente  dei proventi di attivita' delittuose o sono dedite alla
commissione di altri reati (art. 1 legge citata).
    C)  Altri  profili  di  irragionevolezza emergono ove la norma in
esame  venga  considerata  in prospettiva diacronica: appena due anni
prima,  nell'agosto  2002, il legislatore aveva stimato che l'arresto
da  sei  mesi  ad  un  anno  fosse  pena congrua per la violazione in
disamina  (con  atteggiamento  che  era gia' di particolare rigore se
raffrontato  con  le  altre  norme incriminatirci teste' richiamate);
solo  due  anni dopo si e' ritenuto di quadruplicare la pena massima.
Occorre  allora  chiedersi se l'inasprimento della pena si ricolleghi
ad  un  mutamento  della  valutazione  data dall'opinione pubblica al
fenomeno dell'inottemperanza agli ordini questorili di allontanamento
(si  badi,  non al fenomeno dell'immigrazione clandestina, che non e'
previsto dalla legge come reato), o non si atteggi piuttosto come una
mera   «reazione»   alla   decisione  n. 223  del  2004  della  Corte
costituzionale.    Sia   consentito   dire   che   la   contemporanea
reintroduzione  dell'arresto  dell'autore  del  fatto,  caducato solo
quattro  mesi  prima  dal  ricordato intervento della Corte, induce a
ritenere  che  l'intento  del  legislatore  sia  stato esclusivamente
quello di giustificare (con la previsione di una pena non inferiore a
quattro  anni  di  reclusione,  come richiesto dall' art. 280 comma 2
c.p.p.)  il  mantenimento  della  custodia  cautelare  dopo l'arresto
(obbligatorio)  ad  iniziativa della polizia giudiziaria. Il tutto in
ossequio  ad  una  impostazione  che  vede nel carcere (e nel carcere
immediato)  l'unica  risposta  possibile dell'ordinamento al fenomeno
dell'immigrazione.
    La   lettura  dei  lavori  preparatori  della  legge  n. 271/2004
conferma appieno tale conclusione.
    Quanto  alla  discussione  al  Senato, nella seduta in aula del 6
ottobre  2004  il  relatore  sen. Boscetto  cosi'  si  espresse (cfr.
resoconto  stenografico):  «... l'altro punto importante, riguardante
un'altra  sentenza  della Corte costituzionale, si riferisce al fatto
dell'intimazione  del  questore  dopo  la  permanenza dello straniero
negli  appositi  centri  ai  fini dell'identificazione. Lo straniero,
infatti,  decorso  un  determinato  periodo  di tempo stabilito dalla
legge  in  detti  centri,  subisce  l'intimazione ad allontanarsi dal
Paese  e  qualora  questa  intimazione  non venga rispettata scattano
determinate  sanzioni.  Si pensava che il collegare a queste sanzioni
l'arresto  fosse  una  misura congrua. La Corte costituzionale ... ha
osservato  che, siccome il limite di pena previsto dalla normativa di
sistema e dalla normativa del codice di procedura penale non permette
l'imposizione di misure coercitive, l'arresto finiva per diventare un
qualcosa  di  ultroneo  e  fine  a  se  stesso  ... ....Ci sono degli
emendamenti che, invece, hanno aumentato la pena mutando l'arresto in
reclusione fino a quattro anni e quindi prevedendo la possibilita' di
imporre  da  parte  del magistrato misure coercitive. Questi sono gli
elementi fondamentali del decreto-legge».
    Come  si  vede,  manca  il  benche' minimo accenno ad una qualche
valutazione  del  legislatore  in ordine alla intrinseca gravita' del
reato  di cui all'art. 14 comma 5-ter d.lgs. 286/1998, e l'attenzione
appare  concentrata  esclusivamente  sul  metodo  per reintrodurre la
possibilita' dell'arresto in flagranza appena cancellata dalla Corte.
    Non  diverso  e' stato l'atteggiamento della Camera dei deputati.
Nella seduta della Prima Commissione del 26 ottobre 2004 la relatrice
on. Bertolini  fece presente che «E' stato complessivamente riscritto
il  quadro  delle  sanzioni previste a carico degli stranieri che non
osservino  l'intimazione  del questore di allontanarsi dal territorio
nazionale  e vi permangano illegalmente, stabilendosi un aggravamento
della pena ed una modifica della natura del reato, da contravvenzione
a  delitto,  e  consente,  quindi,  l'imposizione  di  quelle  misure
coercitive   considerate   dalla  Corte  costituzionale,  vigente  la
precedente formulazione, irragionevoli».
    Si  assiste qui al capovolgimento di quello che e' il fisiologico
rapporto  tra  norme  penali sostanziali e processuali: come e' noto,
infatti,  il  punto di partenza e' rappresentato dalla gravita' della
condotta  illecita oggetto di repressione penale. Una volta stabiliti
-  con  stretta  corrispondenza  al  grado di disvalore del fatto - i
livelli  edittali di pena per tale condotta, l'eventuale possibilita'
di  provvedimenti  coercitivi come l'arresto ad opera della P.G. e la
successiva applicazione di misure cautelari (e cioe' strumentali alla
soddisfazione  delle  esigenze di cui all'art. 274 c.p.p.) discendono
come  conseguenze  automatiche  in base alle norme processuali. Nella
presente  vicenda  normativa, invece, il legislatore si e' posto come
obiettivo  esclusivo  quello di ripristinare l'arresto ad opera della
Polizia  giudiziaria  dello straniero inottemperante al provvedimento
questorile   di   allontanamento,   appena   caducato   dalla   Corte
costituzionale,  e  in  vista  di  questo  risultato  ha  modificato,
quadruplicandola  (!),  la  pena edittale prevista per la violazione.
Non  a  caso  nello  stesso  ambito  parlamentare sono stati espressi
orientamenti  assai critici nei confronti del provvedimento di esame,
dal  momento  che la Commissione Giustizia della Camera ha licenziato
un  parere  (in Atti Parlamentari XIV legislatura, n. 5369-A) in cui,
senza  mezzi  termini,  si  afferma  che  «il provvedimento, piu' che
ottemperare  alle  esigenze  richiamate  dalla  Corte Costituzionale,
sembra volerne eludere le pronunce».
    Occorre   a   questo   punto   aggiungere   poche  considerazioni
(permettendocisi   di   rinviare,   per   il   resto,  all'  ampia  e
condivisibile  disamina  contenuta  nelle ordinanze, aventi lo stesso
oggetto  della  presente, del Tribunale di Genova in data 10 dicembre
2004  e  del  Tribunale  di  Torino in data 24 febbraio 2005) circa i
limiti  del  sindacato  che  alla  Corte costituzionale compete sulle
modalita'  di  esercizio del potere legislativo, limiti che la stessa
Corte  ha  ormai  piu'  volte  indicato, riconoscendo a se' stessa il
potere di valutare se «l'opzione normativa contrasti con il principio
di  eguaglianza, sotto il profilo dell'assoluta arbitrarieta' o della
manifesta  irragionevolezza»  (sent. n. 287 del 2001 ed altre). Ed e'
proprio  del  fondamentale  canone  della ragionevolezza che la Corte
costituzionale  ha  fatto  applicazione  quando,  con la recentissima
sentenza    n. 78    del   10-18   febbraio   2005,   ha   dichiarato
l'illegittimita'    costituzionale    dell'   art. 33   della   legge
«Bossi-Fini»  e  dell'art. 1  comma  8  lett.  c)  del decreto-legge.
n. 195/2002  in tema di immigrazione ribadendo che «A prescindere dal
rispetto  di  altri parametri, per essere in armonia con l'articolo 3
della  Costituzione  la  normativa  deve  anzitutto essere conforme a
criteri di intrinseca ragionevolezza».
    Una   volta  riconosciuta  l'irragionevolezza  dell'elevazione  a
quattro  anni  della  pena  detentiva per i reati di cui all'art. 14,
comma  5-ter,  prima  parte,  d.lgs.  n. 286/2004 nell'attuale testo,
consegue    inevitabilmente    l'illegittimita'    della   previsione
dell'arresto   obbligatorio  (contenuta  nell'attuale  art. 14  comma
5-quinquies)  per i medesimi reati. Cio' per le stesse argomentazioni
poste  dalla  Corte costituzionale a fondamento della sentenza n. 223
del  2004,  sintetizzabili nell'irragionevolezza di una previsione di
arresto  obbligatorio  per  una  condotta  che (una volta venuto meno
l'inasprimento  della sanzione penale) non consente l'applicazione di
alcuna  misura  cautelare  e  comporta  un  inutile sacrificio per la
liberta'  personale  dell'imputato  (violazione  degli  artt. 3  e 13
Cost.).
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost., 23 e segg. legge 11 marzo 1953 n. 87,
    A) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di  legittimita'  costituzionale,  per  violazione dell'art. 3 Cost.,
dell'art. 14,  comma 5-ter, prima parte, del d.lgs. n. 286/1998, come
sostituito  dall'art. 1 comma 5-bis legge n. 271/2004, nella parte in
cui  prevede  la  pena  della reclusione da uno a quattro anni per lo
straniero  che  senza giustificato motivo si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal Questore ai sensi
del  comma  5-bis,  se  l'espulsione  e'  stata disposta per ingresso
illegale  sul  territorio  nazionale  ai sensi dell'art. 13, comma 2,
lettera a);
    B) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di  legittimita'  costituzionale,  per  violazione degli artt. 3 e 13
Cost.,  dell'art. 14,  comma  5-quinquies,  seconda parte, del d.lgs.
n. 286/1998,  come  sostituito  dall'art. 1  comma  6 legge 271/2004,
nella parte in cui prevede l'arresto obbligatorio dello straniero che
senza  giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  Questore  ai sensi del comma
5-bis,  se  l'espulsione  e' stata disposta per ingresso illegale sul
territorio nazionale ai sensi dell'articolo 13, comma 2, lettera a);
    Dispone  la  trasmissione  degli atti del procedimento alla Corte
costituzionale;
    Sospende  il  giudizio  di  convalida sino all'esito del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale;
    Ordina  l'immediata  liberazione di Gissiek Elena se non detenuta
per altra causa;
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza  al  Presidente  del Consiglio dei ministri, nonche' per la
comunicazione  ai  Presidenti  della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica.
        Torino, addi' 13 aprile 2005
                          Il giudice: Gallo
05C0768