N. 283 SENTENZA 7 - 15 luglio 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Lavoro  (Rapporto  di)  -  Contratto  di  lavoro  a  tempo parziale -
  Requisito  della  forma  scritta previsto ad substantiam - Nullita'
  assoluta  ed  insanabile  del  contratto di lavoro a tempo parziale
  stipulato  verbalmente  - Esclusione, secondo il «diritto vivente»,
  della conversione del rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo
  pieno  -  Conseguente sottrazione dell'estromissione del lavoratore
  dal  posto  di  lavoro  a  qualsiasi  verifica  di legittimita' del
  licenziamento  - Asserita violazione del principio di uguaglianza e
  lesione   del   principio   della   retribuzione   sufficiente  per
  un'esistenza     libera     e     dignitosa    -    Interpretazione
  costituzionalmente  orientata  della  disposizione - Qualificazione
  del   rapporto   come   normale  rapporto  di  lavoro,  in  ragione
  dell'inefficacia  della  pattuizione  relativa alla scelta del tipo
  contrattuale  speciale  -  Conseguente  applicazione dell'ordinaria
  disciplina  del  licenziamento  individuale  - Non fondatezza della
  questione.
- D.L.  30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, nella
  legge 19 dicembre 1984, n. 863, art. 5, comma secondo.
- Costituzione, artt. 3 e 36.
(GU n.29 del 20-7-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
  Giudici:  Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA, Franco GALLO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 5, secondo
comma,  del  decreto-legge  30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a
sostegno  e  ad incremento di livelli occupazionali), convertito, con
modificazioni,  nella  legge  19 dicembre  1984, n. 863, promosso con
ordinanza  del  24 agosto  2004 dalla Corte di cassazione sul ricorso
proposto  da Giuseppe Iannizzi contro Marco Motta, iscritta al n. 921
del  registro  ordinanze  2004  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 47, 1ª serie speciale, dell'anno 2004.
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 giugno 2005 il giudice
relatore Franco Bile.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La  Corte di cassazione, sezione lavoro, con ordinanza del
24 agosto  2004  ha  sollevato,  in relazione agli artt. 3 e 36 della
Costituzione,  questione  incidentale  di legittimita' costituzionale
dell'art. 5, secondo comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726
(Misure urgenti a sostegno e ad incremento di livelli occupazionali),
convertito,  con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1984, n. 863,
secondo  cui  il contratto di lavoro a tempo parziale deve stipularsi
per  iscritto  con  l'indicazione  delle  mansioni e la distribuzione
dell'orario  con  riferimento  al  giorno,  alla settimana, al mese e
all'anno.
    L'ordinanza   e'  stata  resa  in  un  giudizio  promosso  da  un
lavoratore,  assunto  oralmente  a  tempo  parziale,  per ottenere la
dichiarazione  di  inefficacia  del  licenziamento  che  il datore di
lavoro  gli  aveva  intimato  verbalmente,  in violazione dell'art. 2
della legge 15 luglio 1966, n. 604, con le pronunce conseguenziali.
    L'adito  Tribunale  di  Genova,  riconosciuta  l'esistenza  di un
rapporto  di  lavoro  subordinato  a  tempo  parziale,  accoglieva il
ricorso  e  tale  decisione  era  confermata dalla Corte d'appello di
Genova,  che  riteneva  applicabile  la  disciplina dei licenziamenti
individuali  giacche'  il rapporto a tempo parziale, difettando della
forma scritta ad substantiam, doveva ritenersi convertito in rapporto
a  tempo pieno con conseguente applicabilita' del citato art. 2 della
legge n. 604 del 1966.
    Contro  tale  sentenza  il datore di lavoro proponeva ricorso per
cassazione,  deducendo  la violazione dell'art. 5, secondo comma, del
decreto-legge  n. 726  del 1984, attualmente censurato, ed affermando
in  particolare  che  la sentenza impugnata si era posta in contrasto
con  il  consolidato  indirizzo della giurisprudenza di legittimita',
secondo  cui  nei  casi  come  quello  in  esame doveva escludersi la
conversione del rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno e
quindi  anche  l'applicabilita'  della regola sulla forma scritta del
licenziamento.
    2.  -  In  diritto la Corte rimettente osserva che l'orientamento
della  giurisprudenza di legittimita', qualificato «diritto vivente»,
da  una  parte  ritiene  la  nullita' del contratto di lavoro a tempo
parziale   stipulato   verbalmente,  giacche'  la  forma  scritta  e'
requisito  stabilito  ad  substantiam; e d'altra parte precisa che la
mancanza di forma scritta non consente l'applicazione analogica della
normativa  sul  contratto  di  lavoro a tempo determinato e quindi la
conversione del rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno.
    La  Corte  osserva  ancora  che in riferimento al requisito della
forma scritta ad substantiam la Corte costituzionale, con la sentenza
n. 210 del 1992, ha sottolineato come sarebbe palesemente irrazionale
che  dalla violazione di una norma imperativa, regolante il contenuto
del  contratto di lavoro a tempo parziale e posta al fine di tutelare
il  lavoratore  contro  la  pattuizione di clausole vessatorie, possa
derivare  la  liberazione  del  datore  di  lavoro  da  ogni  vincolo
contrattuale.   Ed   ha  parimenti  ritenuto  che  un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  potrebbe  consentire  di  evitare tale
effetto paradossale, ipotizzando in particolare la possibilita' della
conversione del rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno.
    3.  -  Peraltro,  osserva  la Corte rimettente, la giurisprudenza
della  Corte  di  cassazione - pur dopo la ricordata pronuncia n. 210
del  1992  -  ha ribadito che il contratto di lavoro a tempo parziale
stipulato  verbalmente  e'  affetto  da nullita' assoluta, essendo la
forma  scritta  stabilita  ad  substantiam,  senza  che  possa  farsi
applicazione  analogica  della  normativa  sul  contratto di lavoro a
tempo  determinato e quindi senza che tale rapporto possa convertirsi
in  rapporto  a tempo pieno. Nel caso di specie, ove si seguisse tale
indirizzo  e  si  escludesse  la  possibilita'  della conversione del
rapporto,  indicata  dalla sentenza citata, si verificherebbe proprio
quella  «situazione  paradossale»  evidenziata dalla sentenza stessa,
per  cui  la  violazione  di  una norma imperativa posta a tutela del
lavoratore  nuocerebbe  allo  stesso  anziche'  giovargli. Infatti la
tutela  del  lavoratore si ridurrebbe al riconoscimento in suo favore
delle   retribuzioni   proporzionate  alle  prestazioni  in  concreto
eseguite (ex art. 2126 del codice civile), ma non sarebbe applicabile
la   disciplina   limitativa  del  licenziamento  individuale  ed  in
particolare  la  regola per cui il licenziamento deve essere intimato
in forma scritta a pena di inefficacia.
    Ne  conseguirebbe  la  violazione  delle norme costituzionali che
sanciscono  il principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) e
garantiscono   al   lavoratore   una   retribuzione  sufficiente  per
un'esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.).
    4.  - Ne' le parti in causa si sono costituite, ne' il Presidente
del Consiglio dei ministri e' intervenuto nel giudizio incidentale di
legittimita' costituzionale.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte  di  cassazione  ha sollevato, in relazione agli
artt. 3  e  36  della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art. 5,   secondo   comma,   del  decreto-legge
30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento di
livelli  occupazionali),  convertito,  con modificazioni, nella legge
19 dicembre  1984, n. 863, nella parte in cui - nel regime precedente
all'entrata in vigore del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61
-  prescriveva  che  il  contratto di lavoro a tempo parziale dovesse
stipularsi  per  iscritto, onde il mancato rispetto di tale requisito
di   forma,  previsto  ad  substatiam,  comportava  la  nullita'  del
contratto  ed  escludeva  la sua conversione in contratto di lavoro a
tempo pieno.
    La  norma impugnata, secondo la Corte rimettente, frustrerebbe la
funzione  di  tutela  della  disciplina  del lavoro a tempo parziale,
giacche'  il  lavoratore,  il  cui  contratto  sia nullo per vizio di
forma,  si  troverebbe «in una posizione di netta inferiorita' e alla
merce'  del  datore  di  lavoro sia nel corso del rapporto per quanto
attiene  al  profilo  retributivo  sia  nella fase delicata [...] del
licenziamento,   dove   l'esigenza   di   tutela  e'  particolarmente
necessaria».
    In  particolare,  con  riferimento  al  caso  di specie, la Corte
rileva  come  dalla mancanza della forma scritta - una volta esclusa,
secondo  il  «diritto  vivente»,  la conversione del rapporto a tempo
parziale  in  rapporto  a  tempo  pieno  - deriverebbe la sottrazione
dell'estromissione  del  lavoratore  dal  posto di lavoro a qualsiasi
verifica  di  legittimita' del licenziamento, essendo il rapporto del
tutto  inefficace, pur salvi gli effetti per il periodo precedente di
svolgimento dell'attivita' lavorativa (ex art. 2126 cod. civ.).
    2.   -   L'abrogazione  della  disposizione  censurata  ad  opera
dell'art. 11  del  d.lgs.  25 febbraio  2000, n. 61 (Attuazione della
direttiva  97/1981/CE  relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo
parziale  concluso dall'Unice, dal Ceep e dalla Ces), che attualmente
regola la materia, non comporta l'inammissibilita' della questione di
costituzionalita'    la    cui    perdurante    rilevanza    consegue
all'applicabilita', ritenuta dalla Corte rimettente, della precedente
disciplina, vigente all'epoca dei fatti di causa.
    3. - Nel merito la questione non e' fondata.
    Nel  regime  precedente  al  citato  d.lgs.  n. 61  del 2000 (che
contiene tra l'altro una piu' puntuale disciplina del requisito della
forma scritta del contratto di lavoro a tempo parziale, ora richiesta
ad  probationem) l'impugnato art. 5, secondo comma, del decreto-legge
n. 726  del  1984  prevedeva, tra l'altro, la forma scritta di questo
sottotipo contrattuale, derogatorio del normale rapporto di lavoro ad
orario  pieno,  cui  si  riferisce  nella  sua  totalita'  il  canone
costituzionale   della   retribuzione   proporzionata  e  sufficiente
(art. 36 Cost.).
    La   forma   scritta  -  richiesta  ad  substantiam,  secondo  la
giurisprudenza   -   perseguiva   una   funzione  di  protezione  del
lavoratore,  come  risultava anche dall'analogo requisito della forma
scritta previsto - unitamente alla convalida dell'Ufficio provinciale
del lavoro, sentito il lavoratore interessato - per la trasformazione
del  rapporto  di  lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo
parziale (comma 10 del citato art. 5).
    Questa Corte (sentenza n. 210 del 1992) ha gia' rilevato che tale
ormai  abrogata  regola  in  tema  di forma scritta della clausola in
esame  e'  «norma  imperativa regolante il contenuto del contratto di
lavoro  a  tempo  parziale  e  posta  proprio  al fine di tutelare il
lavoratore contro la pattuizione di clausole vessatorie», in puntuale
riferimento  ai  dati  dell'esperienza,  secondo  cui abitualmente la
clausola  del  tempo parziale e' voluta dal datore di lavoro e subita
dal lavoratore, che invece aspira di massima al lavoro a tempo pieno.
In  conseguenza  - secondo la citata pronuncia - «sarebbe palesemente
irrazionale»  che  dalla  violazione  di  una norma siffatta «potesse
derivare  la  liberazione  del  datore  di  lavoro  da  ogni  vincolo
contrattuale».
    Quindi  -  a parte (per il periodo anteriore all'accertamento del
vizio  di  forma)  la  disciplina  degli effetti del rapporto a tempo
parziale  comunque  intercorso  tra le parti, ai sensi dell'art. 2126
cod.  civ.  - la mancanza della forma scritta ad substantiam non puo'
comportare  di  norma  la  radicale  dissoluzione  del rapporto senza
contraddire  irrimediabilmente tale finalita' di protezione (cfr., in
altra materia, sentenza n. 7 del 2005).
    4.  -  E'  pero'  possibile un'interpretazione costituzionalmente
orientata  che  questa Corte nella citata sentenza n. 210 del 1992 ha
gia'  indicato,  precisando  che la nullita' per vizio di forma della
clausola  sulla  riduzione  dell'orario  di  lavoro  «non e' comunque
idonea  a  travolgere  integralmente il contratto, ma ne determina la
c.d.  conversione in un «normale» contratto di lavoro»; o meglio - ha
aggiunto  -  determina  «la  qualificazione del rapporto come normale
rapporto  di  lavoro,  in  ragione dell'inefficacia della pattuizione
relativa alla scelta del tipo contrattuale speciale».
    La  prima  di queste ipotesi ermeneutiche - come segnala la Corte
rimettente  - non ha trovato riscontro nel «diritto vivente», secondo
il  quale la conversione del contratto a termine in contratto a tempo
indeterminato,  prevista  espressamente  dalla particolare disciplina
del  settore  per l'ipotesi di nullita' della clausola di durata, non
e' - in quanto speciale - estensibile in via analogica al contratto a
tempo parziale.
    Cio'  non  significa  tuttavia  che  non  possa pervenirsi in via
interpretativa  al  risultato,  chiaramente  indicato da questa Corte
nella richiamata sentenza, di ammettere ugualmente «la qualificazione
del   rapporto   come   normale   rapporto   di  lavoro,  in  ragione
dell'inefficacia  della  pattuizione  relativa  alla  scelta del tipo
contrattuale speciale».
    Soccorre  al  riguardo  la  disciplina  ordinaria  della nullita'
parziale  (art. 1419, primo comma, cod. civ.) che esprime un'esigenza
di  carattere generale di tendenziale conservazione del contratto ove
il vizio di nullita' sia circoscrivibile ad una o piu' clausole (come
quella  che  prevede  l'orario  di  lavoro  ridotto)  e sempre che la
clausola nulla non risulti avere carattere essenziale per entrambe le
parti   del  rapporto,  nel  senso  che,  in  particolare,  anche  il
lavoratore,  il  quale  di regola aspira ad un impiego a tempo pieno,
non  avrebbe  stipulato  il  contratto  se  non con la clausola della
riduzione di orario.
    Del  resto  la  giurisprudenza di legittimita' ha gia' affermato,
sulla  scia  di  un intervento delle Sezioni unite (sentenza n. 12269
del   2004),   che   dalla  mancanza  della  forma  scritta  consegue
l'inapplicabilita'  della disciplina speciale dettata per il rapporto
a  tempo parziale dalla disposizione censurata e quindi «si deve aver
riguardo esclusivamente alla disciplina per cosi' dire ordinaria». Ed
aveva in precedenza ritenuto che la nullita' della clausola sul tempo
parziale,  per  difetto  di  forma  scritta,  non  implica,  ai sensi
dell'art. 1419  cod.  civ.,  «l'invalidita'  dell'intero contratto (a
meno che non risulti che i contraenti non lo avrebbero concluso senza
quella  parte  che  e' colpita da nullita)»; e invece - come e' stato
ulteriormente  precisato  -  «comporta che il rapporto di lavoro deve
considerarsi a tempo pieno».
    Risulta quindi chiaramente tracciata - anche nel non piu' vigente
regime della disposizione censurata - un'interpretazione di essa che,
pur non affermando (ed anzi escludendo) la conversione automatica del
rapporto  a  tempo  parziale  in  rapporto a tempo pieno, e' comunque
idonea  a  scongiurare,  di  massima,  una volta accertato il difetto
della  forma  scritta  della  clausola  di  tempo parziale, la totale
nullita'  del rapporto di lavoro. Tale interpretazione quindi vale ad
escludere   l'effetto,   paventato   dalla  Corte  rimettente,  della
possibile estromissione del lavoratore dal posto di lavoro senza che,
ricorrendone  i  presupposti,  possa trovare applicazione l'ordinaria
disciplina del licenziamento individuale.
    La   disposizione   censurata,  cosi'  interpretata,  si  sottrae
pertanto   alle   censure  mosse  dall'ordinanza  di  rimessione,  in
riferimento agli invocati parametri.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 5, secondo comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726
(Misure urgenti a sostegno e ad incremento di livelli occupazionali),
convertito,  con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1984, n. 863,
sollevata,  in  riferimento  agli articoli 3 e 36 della Costituzione,
dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.
                      Il Presidente: Capotosti
                         Il redattore: Bile
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 15 luglio 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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