N. 453 ORDINANZA 12 - 15 dicembre 2005

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Imposta sulle successioni - Cumulo dell'imposta sull'asse globale con
  l'imposta dovuta sulle singole quote per gli eredi «indiretti», non
  legati  da rapporto di coniugio ne' di parentela in linea retta con
  il defunto - Asserita violazione del principio di uguaglianza e del
  principio  di capacita' contributiva - Incompleta descrizione della
  fattispecie oggetto del giudizio a quo, non superabile in base agli
  scritti  difensivi  delle parti costituite - Difetto di motivazione
  sulla rilevanza della questione - Manifesta inammissibilita'.
- D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 7, comma 2.
- Costituzione, artt. 3 e 53.
Imposta  sulle  successioni - Determinazione - Criteri - Applicazione
  di   aliquote   progressive  sul  valore  globale  netto  dell'asse
  ereditario  anziche'  sulle  singole  quote  ereditarie - Lamentata
  violazione  del  principio  di uguaglianza - Denunciata lesione del
  principio di capacita' contributiva del singolo erede o legatario -
  Omessa  motivazione  in  ordine  alla  applicabilita'  della  norma
  censurata  (comma 2 dell'art. 7 d.lgs. n. 346 del 1990) nei giudizi
  a   quibus,  aventi  ad  oggetto  l'impugnazione  degli  avvisi  di
  liquidazione  della sola imposta sul valore netto globale dell'asse
  ereditario,  emessi nei confronti degli eredi «diretti» del defunto
  - Manifesta inammissibilita' della questione.
- D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 7, comma 2.
- Costituzione, artt. 3 e 53.
Imposta  sulle  successioni - Determinazione - Criteri - Applicazione
  di   aliquote   progressive  sul  valore  globale  netto  dell'asse
  ereditario  anziche'  sulle  singole  quote  ereditarie - Lamentata
  violazione  del  principio  di uguaglianza - Denunciata lesione del
  principio di capacita' contributiva del singolo erede o legatario -
  Questione analoga ad altre gia' decise - Manifesta infondatezza.
- D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 7, comma 1.
- Costituzione, artt. 3 e 53.
(GU n.51 del 21-12-2005 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Annibale MARINI;
  Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo
DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA, Alfonso QUARANTA,
Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 1 e 2,
del  decreto  legislativo  31 ottobre  1990, n. 346 (Approvazione del
testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   l'imposta  sulle
successioni  e  donazioni),  promossi  con  ordinanze  depositate  il
2 luglio  2003  ed  il  22 aprile  2004  dalla Commissione tributaria
provinciale  di  Milano,  nelle  controversie  vertenti  tra Niccolo'
Branca  ed altri nei confronti dell'Agenzia delle entrate, Ufficio di
Milano 1,  rispettivamente  iscritte al n. 700 del registro ordinanze
2004  e  al  n. 16  del  registro  ordinanze  2005 e pubblicate nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 35,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2004 e n. 6, 1ª serie speciale, dell'anno 2005;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Niccolo' Branca ed altri,
nonche'  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  25 ottobre  2005  il  giudice
relatore Franco Gallo;
    Uditi gli avvocati Massimo Luciani e Gianni Marongiu per Niccolo'
Branca  ed  altri  e  l'avvocato  dello  Stato Chiarina Aiello per il
Presidente  del Consiglio dei ministri. Ritenuto che, nel corso di un
giudizio promosso da Niccolo' Branca avverso l'avviso di liquidazione
dell'imposta  principale  relativa  alla successione di Carlo Ranieri
Branca, la Commissione tributaria provinciale di Milano ha sollevato,
con  ordinanza  del  6 maggio 2003, depositata il 2 luglio 2003 (r.o.
n. 700   del   2004),   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 7, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346
(Approvazione   del   testo   unico  delle  disposizioni  concernenti
l'imposta sulle successioni e donazioni);
        che, secondo il giudice rimettente, la norma denunciata - nel
testo   anteriore  alla  modifica  apportata  dall'art. 69,  comma 1,
lettera c),  della  legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia
fiscale)   -   prevedendo   per   gli  eredi  o  legatari  cosiddetti
«indiretti»,  cioe' non legati da rapporto di coniugio o di parentela
in  linea  retta  con  il  defunto,  il cumulo dell'imposta sull'asse
globale  (riferita  all'intero patrimonio del de cuius) con l'imposta
dovuta  sulle  singole  quote (riferita al trasferimento di ricchezza
conseguito  dagli  eredi  o legatari), violerebbe: a) il principio di
eguaglianza  di  cui  all'art. 3 Cost., perche' la compresenza di due
imposte  successorie  -  soggette  a distinte discipline, con diverse
scale  di  aliquote  progressive  e  reciprocamente  indeducibili - a
carico  del  medesimo successore cosiddetto «indiretto» «concreta una
sperequazione  priva  di alcuna giustificazione», in quanto l'imposta
sul   valore   globale  dell'asse  ereditario  «tassa  una  ricchezza
fittizia,  avulsa  cioe'  dall'effettivo  arricchimento  provocato in
capo all'erede  dalla  successione  dal de cuius»; b) il principio di
capacita'   contributiva   di   cui  all'art. 53  Cost.,  perche'  il
presupposto   dell'imposta  sul  valore  globale  della  successione,
costituito  dall'arricchimento («sia pure fittizio») che si determina
a  vantaggio  del  chiamato  all'eredita',  «quando diviene effettivo
accrescimento del patrimonio del chiamato a seguito dell'accettazione
dell'eredita'  [...]  finisce  con  il  costituire ragione impositiva
della  tassa  sulle  quote  ereditarie,  con  la  conseguenza  che un
medesimo  cespite  e'  alla  base  di  due  tassazioni  distinte  nei
confronti dello stesso soggetto»;
        che, in punto di rilevanza, il giudice a quo afferma che, nel
caso  di  accoglimento  della  sollevata questione, il ricorrente nel
giudizio  principale vedrebbe accolta l'impugnazione proposta avverso
l'avviso di liquidazione;
        che,  nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  si e'
costituito  il  contribuente  Niccolo'  Branca,  il quale - dopo aver
premesso  di non essere coniuge o parente in linea retta del de cuius
e   di   avere   accettato   con  beneficio  d'inventario  l'eredita'
devolutagli  per  testamento,  a  seguito  di successione apertasi il
3 marzo  1998  -  conclude  per  la  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale della norma denunciata dal giudice rimettente;
        che   la  parte  privata,  dopo  un  ampio  excursus  storico
sull'evoluzione  normativa  dell'imposta  sul  valore  netto  globale
dell'asse  ereditario, afferma che sono inconferenti alla risoluzione
della  sollevata  questione  -  e  comunque  errate  nel  merito - le
sentenze della Corte costituzionale n. 147 del 1975 e n. 68 del 1985,
le quali hanno entrambe dichiarato non fondate le prospettate censure
di   illegittimita'  costituzionale  dell'imposta  sul  valore  netto
globale  dell'asse  ereditario,  ma  in relazione a norme anteriori a
quella  denunciata,  mentre  quest'ultima  si porrebbe in evidente ed
insanabile  contrasto con la capacita' contributiva del singolo erede
o  legatario,  colpendo non gia' l'arricchimento di questo, bensi' la
ricchezza del morto;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  adducendo  la  manifesta inammissibilita' o, in subordine, la
manifesta infondatezza della questione;
        che,  in  relazione alla eccepita inammissibilita', la difesa
erariale  afferma  che  la  previsione  cumulativa delle due indicate
modalita'  di  imposizione  successoria  - in difetto della prova che
tale  cumulo  comporti  la  lesione  della capacita' contributiva dei
successori  mortis  causa  -  costituisce  una  insindacabile  scelta
discrezionale del legislatore, il quale avrebbe potuto adottare anche
modalita'   impositive   diverse,   ma   di   effetto  economicamente
equivalente;
        che,  in  relazione  alla  dedotta infondatezza, l'Avvocatura
generale  dello  Stato in primo luogo nega che la normativa censurata
si risolva in una duplicazione di tributi, come avrebbero chiarito la
sentenza  n. 147  del  1975 e l'ordinanza n. 236 del 1997 della Corte
costituzionale  (sia  pure  con riguardo alla disciplina anteriore al
d.lgs.  n. 346  del  1990),  ed  in  secondo  luogo  osserva  che  il
rimettente   pone   a  raffronto  situazioni  non  omogenee,  perche'
l'esclusione dall'imposizione sulle quote ereditarie per i coniugi ed
i  parenti in linea retta trova giustificazione nel vincolo familiare
particolarmente  stretto  che  li  unisce  al  de  cuius e, comunque,
costituisce disposizione eccezionale la cui mancata estensione a casi
diversi non costituisce violazione del principio di eguaglianza;
        che  nel  corso  di due giudizi riuniti, promossi da Niccolo'
Branca,  Ilaria  Branca e Gloria Cavaciocchi avverso alcuni avvisi di
liquidazione  dell'imposta  principale  relativa  alla successione di
Pierluigi  Branca,  deceduto  il  30 novembre  1999,  la  Commissione
tributaria   provinciale   di  Milano  ha  sollevato,  con  ordinanza
dell'11 marzo  2004,  depositata  il  22 aprile  2004 (r.o. n. 16 del
2005),  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 1
e  2,  del  citato  decreto  legislativo n. 346 del 1990, ritenendola
rilevante e non manifestamente infondata;
        che, secondo il giudice rimettente, il d.lgs. n. 346 del 1990
innoverebbe  il  precedente  regime fiscale perche' la tassazione del
patrimonio  del de cuius non sarebbe piu' posta a carico del chiamato
all'eredita',   ma   a   carico   di   ciascun  «beneficiario  attivo
dell'eredita»,  a  seguito  dell'accettazione  dell'eredita',  con la
conseguenza   che   la   capacita'   contributiva   dovrebbe   essere
specificamente  riferita a chi effettivamente si arricchisca dei beni
ereditari;
        che su tali premesse interpretative, il giudice a quo afferma
che   le   norme   censurate   -  modificate  dall'art. 69,  comma 1,
lettera c),  della  legge  n. 342  del  2000,  ma applicabili ratione
temporis  alla  fattispecie  nel  loro  testo  originario  -  sono in
contrasto con i principi di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di capacita'
contributiva  (art. 53  Cost.),  perche',  senza  alcuna «motivazione
logica  convincente»,  prevedono,  a causa della progressivita' delle
aliquote,  un  carico  fiscale  differente,  a  seconda  che dei beni
ereditari  beneficino  «uno  o  piu' soggetti», pur in presenza di un
identico valore dei beni ricevuti mortis causa;
        che,  nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale, si sono
costituiti  i  contribuenti  Niccolo'  Branca, Ilaria Branca e Gloria
Cavaciocchi,    chiedendo    la    declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale delle norme denunciate dal giudice rimettente;
        che  le  parti  private precisano di essere, rispettivamente,
figlio,  figlia  e  coniuge  del  de  cuius;  di  avere accettato con
beneficio  d'inventario l'eredita', a seguito di successione apertasi
il  30 novembre  1999;  di avere impugnato gli avvisi di liquidazione
dell'imposta  di  successione,  relativi  sia  alla prima denuncia di
successione per lire 40.059.672.000, sia alla denuncia integrativa di
successione   per   lire   9.260.490.093;   di   aver  specificamente
contestato,  nei  giudizi  principali,  la  debenza  dell'imposta sul
valore globale della successione;
        che  le  stesse  parti  private  -  dopo  aver  illustrato  i
precedenti  e  le  successive  modificazioni  dell'imposta sul valore
netto  globale  dell'asse  ereditario  -  deducono il contrasto della
norma   censurata  con  il  principio  della  capacita'  contributiva
dell'erede  e  ripropongono,  nella  sostanza,  le  osservazioni gia'
svolte  dal  contribuente  nella  memoria  di costituzione nell'altro
giudizio  di  legittimita'  costituzionale  sia  sul  punto della non
pertinenza  delle sentenze della Corte costituzionale n. 147 del 1975
e  n. 68  del  1985 per la risoluzione della questione; sia sul punto
dell'accento,  che il d.lgs. n. 346 del 1990 avrebbe posto, sul nesso
tra  l'unitaria  imposizione  successoria e la capacita' contributiva
del   singolo   erede   o  legatario;  sia  sul  punto  dell'asserita
incongruenza  tra  il  presupposto  e  la base imponibile del tributo
successorio  (entrambi  afferenti all'arricchimento effettivo ed alla
capacita'   contributiva   dell'erede  o  legatario),  rispetto  alla
tassazione   del  valore  globale  dell'asse  ereditario  (afferente,
invece,  alla  capacita' contributiva solo del defunto); sia, infine,
sul   punto   delle   inique   ed   irragionevoli  sperequazioni  che
comporterebbe  l'applicazione di aliquote progressive nel tributo, di
carattere reale, sul valore netto globale dell'asse ereditario;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  adducendo  la  manifesta inammissibilita' o, in subordine, la
manifesta infondatezza della questione;
        che,   quanto   all'inammissibilita',   la   difesa  erariale
eccepisce  il  difetto  di  motivazione sulla rilevanza, perche', non
essendo stati riportati nell'ordinanza di rimessione ne' i motivi dei
ricorsi    dei   contribuenti   ne'   le   argomentazioni   difensive
dell'Amministrazione   finanziaria,  non  risulterebbe  se  le  parti
controvertano sull'aliquota applicabile all'asse ereditario;
        che,  quanto  all'infondatezza,  l'Avvocatura  generale dello
Stato  osserva: a) che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 68
del 1985 e con le ordinanze n. 170 del 1988, n. 222 del 1989 e n. 179
del  1992,  ha chiarito che l'imposta di successione di cui al d.P.R.
26 ottobre  1972, n. 637 (Disciplina dell'imposta sulle successioni e
donazioni)  e'  in  diretto collegamento con il patrimonio ereditario
unitariamente    considerato,    colpendo   l'eredita'   come   tale,
indipendentemente   dal   trasferimento   di   ricchezza;   b)   che,
contrariamente  all'assunto del rimettente, il d.lgs. n. 346 del 1990
- disponendo, all'art. 7, comma 4, che, «fino a quando l'eredita' non
e'  stata  accettata  da  tutti  i chiamati, l'imposta e' determinata
considerando come eredi i chiamati che non vi hanno rinunciato» - non
innova   affatto   la  previgente  disciplina  sui  soggetti  passivi
d'imposta, mantenendo all'imposta sulle successioni la configurazione
di imposta progressiva sul complesso del patrimonio ereditario, senza
trasformarla  in  imposta  sulla  trasmissione  di tale patrimonio ai
singoli  eredi;  c)  che rientra nella insindacabile discrezionalita'
del  legislatore individuare il presupposto oggettivo di imposta, con
il  solo  limite  (nella specie non superato) che non vengano colpiti
elementi del tutto inidonei a manifestare ricchezza; d) che l'imposta
sull'asse ereditario, la' dove assoggetta le singole quote ereditarie
(pur  se  di  pari  valore)  ad aliquote di imposta diverse a seconda
dell'entita'  globale dell'asse, prevede un trattamento differenziato
per  situazioni tra loro diverse e, quindi, non viola il principio di
eguaglianza;   e)   che  la  legge  prevede  specifiche  disposizioni
antielusive  della  censurata disciplina dell'imposta di successione,
proprio   al   fine  di  prevenire  artificiose  riduzioni  dell'asse
ereditario  e  di garantire che ogni patrimonio caduto in successione
sconti l'aliquota pertinente alla sua effettiva consistenza;
    Considerato che le ordinanze di rimessione, entrambe emesse dalla
Commissione  tributaria provinciale di Milano, sollevano questioni in
gran  parte analoghe e comunque connesse e che, pertanto, deve essere
disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che  la  questione  sollevata  con  l'ordinanza registrata al
n. 700  del  2004  e'  manifestamente  inammissibile,  mentre  quella
sollevata  con  l'ordinanza  registrata al n. 16 del 2005 e' in parte
manifestamente inammissibile ed in parte manifestamente infondata;
        che,  con  la  prima  ordinanza,  la  Commissione  tributaria
provinciale   di  Milano  dubita  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 7, comma 2, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346
(Approvazione   del   testo   unico  delle  disposizioni  concernenti
l'imposta  sulle  successioni e donazioni) - nel testo anteriore alle
modifiche  apportate  dall'art. 69,  comma 1, lettera c), della legge
21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale) - nella parte in
cui  prevede  per  gli eredi o legatari cosiddetti «indiretti», cioe'
non  legati da rapporto di coniugio o di parentela in linea retta con
il  defunto,  il  cumulo dell'imposta sull'asse globale con l'imposta
dovuta sulle singole quote trasferite ai successori mortis causa;
        che,  secondo  il  giudice  rimettente,  la  norma denunciata
violerebbe  gli  artt. 3 e 53 della Costituzione, sia perche', «senza
alcuna  giustificazione»,  l'erede o legatario cosiddetto «indiretto»
viene  contemporaneamente  gravato  non solo dall'imposta successoria
collegata   all'effettivo   arricchimento   derivante   dal   lascito
ereditario  in  suo  favore, ma anche dall'imposta sul valore globale
dell'asse, collegata ad una ricchezza sussistente in capo al de cuius
e  non necessariamente in capo all'erede od al legatario; sia perche'
l'arricchimento «fittizio» del chiamato all'eredita' - costituente il
presupposto   dell'imposta   sul   valore   netto  globale  dell'asse
ereditario - diverrebbe «effettivo» solo a seguito dell'«accettazione
dell'eredita»,  con la conseguenza che, in contrasto con il principio
di  capacita'  contributiva, un medesimo cespite sarebbe alla base di
due distinte imposizioni nei confronti dello stesso soggetto;
        che,  tuttavia,  il  giudice  a  quo  non precisa ne' la data
dell'apertura  della  successione  ne'  se  il contribuente sia erede
cosiddetto  «diretto»  o  «indiretto»  del  defunto,  limitandosi  ad
affermare  che l'accoglimento della sollevata questione comporterebbe
che  «il ricorrente Branca si vedrebbe esonerato dal pagamento di una
somma [...] pretesa con l'avviso di liquidazione impugnato»;
        che  tale  incompleta descrizione della fattispecie impedisce
il  controllo  di questa Corte circa l'applicabilita', nel giudizio a
quo, della norma censurata, sia ratione temporis (in quanto, ai sensi
dell'art. 69,  comma 15, della legge n. 342 del 2000, la disposizione
denunciata  si  applica solo alle successioni per le quali il termine
di   presentazione  delle  relative  dichiarazioni  ha  scadenza  non
successiva  al  31 dicembre  2000),  sia  in  riferimento  al  cumulo
dell'imposta   sull'asse  globale  con  quella  sulla  singola  quota
ereditaria  o  sul  legato (in quanto il denunciato cumulo si applica
solo nei confronti dell'erede, coerede o legatario che non e' coniuge
ne' parente in linea retta del defunto);
        che,   in   applicazione   del   consolidato   principio   di
autosufficienza   dell'ordinanza  di  rimessione  (v.,  ex  plurimis,
sentenza  n. 329 del 2001; ordinanze n. 166, n. 125 e n. 22 del 2005;
n. 119   del  2002;  n. 279  del  2000),  le  indicate  lacune  nella
descrizione della fattispecie non sono colmabili in base agli scritti
difensivi  delle  parti  e  si  traducono,  pertanto,  in  difetto di
motivazione   sulla   rilevanza   della  questione,  con  conseguente
manifesta inammissibilita' di questa;
        che  la  stessa  Commissione  tributaria  provinciale, con la
seconda  ordinanza  (registrata al n. 16 del 2005), dubita, sempre in
riferimento   agli   artt. 3   e   53   Cost.,   della   legittimita'
costituzionale   dell'art. 7,   commi 1   e  2,  del  citato  decreto
legislativo  n. 346  del  1990  -  nel testo anteriore alle modifiche
apportate  dall'art. 69,  comma 1, lettera c), della legge n. 342 del
2000   -   perche'   tali  disposizioni  non  solo  irragionevolmente
comporterebbero,  a  causa  della  progressivita'  delle  aliquote di
imposizione   sull'asse   globale   ereditario,   un  carico  fiscale
differente, a parita' di valore del lascito ereditario, a seconda che
dei beni ereditari beneficino «uno o piu' soggetti», ma si porrebbero
altresi'  in  contrasto  con la disciplina del suddetto d.lgs. n. 346
del 1990, che, prevedendo quale soggetto passivo del tributo non piu'
il  mero  chiamato  all'eredita'  (come  nella previgente normativa),
bensi'  l'erede od il legatario, postulerebbe l'esclusivo riferimento
alla  specifica  capacita' contributiva di questi ultimi e non del de
cuius;
        che  il  rimettente  genericamente afferma la rilevanza della
questione  nei  giudizi  principali  e  precisa,  al  riguardo, che i
ricorrenti  sono  i  figli  e  la  vedova  del  de cuius, deceduto il
30 novembre 1999 e, quindi, sono i suoi eredi cosiddetti «diretti»;
        che   tuttavia,   in   riferimento   al   denunciato  comma 2
dell'art. 7  del  d.lgs.  n. 346  del  1990,  il rimettente omette di
fornire   una   specifica  motivazione  sull'applicabilita'  di  tale
disposizione  nei giudizi a quibus; motivazione tanto piu' necessaria
in  quanto  la  stessa  ordinanza di rimessione afferma che i giudizi
principali  non  riguardano l'imposta sulle singole quote ereditarie,
prevista  dal  citato  comma 2 a carico esclusivamente dei cosiddetti
eredi  o  legatari  «indiretti»,  ma  hanno ad oggetto l'impugnazione
degli  avvisi  di  liquidazione  della  sola imposta sul valore netto
globale  dell'asse  ereditario,  prevista  dal  comma 1 dell'indicato
art. 7,  ed appunto emessi - nella specie - nei confronti degli eredi
cosiddetti «diretti» del defunto;
        che,  pertanto,  la  motivazione dell'ordinanza e' carente in
ordine  alla  rilevanza,  per  quanto  attiene  al  censurato comma 2
dell'art. 7  del  d.lgs.  n. 346  del  1990,  e comporta la manifesta
inammissibilita' della relativa questione;
        che,  invece,  in  riferimento  al  denunciato  comma 1 dello
stesso  art. 7,  la questione e' ammissibile, perche' il rimettente -
contrariamente a quanto eccepito dalla difesa erariale - ha precisato
sia  le  ragioni  di  impugnazione  prospettate  dai contribuenti nei
giudizi  principali  (cioe'  la dedotta illegittimita' costituzionale
dell'imposta  sul  valore  netto  globale  dell'asse ereditario), sia
l'applicabilita'  nella  specie di aliquote superiori a quella minima
sul  valore  netto  globale  dell'asse  ereditario  (tenuto conto che
l'attivo   dichiarato   del  patrimonio  ereditario  supera  lire  40
miliardi)  ed ha quindi fornito adeguata motivazione della rilevanza,
in ragione della dimostrata applicabilita' della denunciata normativa
nei  giudizi  riuniti  a  quibus, con riguardo al tempo dell'apertura
della  successione e con riguardo ad un'aliquota di imposta superiore
a quella minima;
        che, nel merito, la questione e' manifestamente infondata;
        che  in proposito va osservato che le censure prospettate dal
giudice  a  quo  si incentrano sostanzialmente nel rilievo che, se il
presupposto  dell'imposta  di  successione,  quale  disciplinata  dal
d.lgs.   n. 346   del   1990,   e'  il  trasferimento  (o,  comunque,
l'incremento)  di  ricchezza in favore di ciascun successore e se, di
conseguenza,  il  soggetto  passivo  e'  il  beneficiario del singolo
lascito  ereditario,  allora  il  prelievo  tributario, che prescinda
dall'entita'  di  tale  lascito  e  si  rapporti  -  con  un'aliquota
progressiva  a  scaglioni  -  al valore dell'asse ereditario globale,
dovra'  essere  ritenuto  in  contrasto con i principi di uguaglianza
(art. 3 Cost.) e di capacita' contributiva (art. 53 Cost.);
        che,  in  particolare,  il  contrasto  con  il  principio  di
uguaglianza  conseguirebbe  al  fatto  che,  a  parita' di valore dei
singoli  lasciti  ereditari, la progressivita' dell'aliquota comporta
una maggiore incidenza fiscale per ciascun successore nel caso in cui
il  lascito  provenga da un asse ereditario di maggior valore globale
netto;  ed  il  contrasto  con  la  capacita' contributiva di ciascun
successore  deriverebbe  dalla  circostanza  che l'imposta sul valore
netto   globale  dell'asse  ereditario  si  rapporta  alla  capacita'
contributiva del de cuius (configurandosi come una «tassa sul morto»,
cioe' sull'intero asse relitto) o dell'eredita' giacente (come tale),
i quali sono privi di soggettivita' tributaria;
        che,  tuttavia, la giurisprudenza costituzionale ha gia' piu'
volte  esaminato  simili censure e ne ha sempre negato il fondamento,
avendo  precisato,  in  numerose  pronunce,  che l'imposta sul valore
netto  globale  dell'asse  ereditario  colpisce l'eredita' come tale,
indipendentemente  dal  trasferimento  di ricchezza agli aventi causa
uti  singuli,  in  quanto  si  collega direttamente con il patrimonio
ereditario   unitariamente  considerato  (sentenza  n. 68  del  1985;
ordinanze n. 170 e n. 172 del 1988, n. 222 del 1989, n. 211 del 1990,
n. 179   del   1992   e   n. 353   del   1993;  nello  stesso  senso,
sostanzialmente, gia' la sentenza n. 147 del 1975);
        che  da tale premessa la menzionata giurisprudenza ha infatti
tratto  il  corollario,  per quanto concerne l'evocato art. 53 Cost.,
che  non  puo'  ravvisarsi  violazione  del  principio  di  capacita'
contributiva  nell'applicazione dell'imposta sul valore netto globale
dell'asse  ereditario,  perche'  questa ha carattere reale ed in tale
tipo  di  imposta  «la  capacita' contributiva e' data dal valore del
bene  tassato  e  non  dal  patrimonio del soggetto o dei soggetti ai
quali  il  bene  appartiene» (cosi', testualmente, la citata sentenza
n. 147 del 1975);
        che,  per  la  medesima giurisprudenza, non e' contrario agli
artt. 3   e   53   Cost.   che,   per  effetto  della  progressivita'
dell'indicato  tributo,  «a seconda del valore dell'asse, [...] quote
ereditarie  di  eguale  valore  siano gravate da imposte di ammontare
differente»,  e cio' perche' «non e' irrazionale [...] avere ritenuto
diverse,  agli  effetti  tributari,  successioni ereditarie per quote
dello   stesso   valore   da  assi  di  valore  diverso»  (cosi',  in
particolare, la suddetta sentenza n. 147 del 1975);
        che  il  giudice a quo e le parti private, pur non criticando
tale  giurisprudenza,  tuttavia  la  ritengono  inconferente, perche'
riguarderebbe  solo  la  normativa  previgente  a quella denunciata e
presupporrebbe,  percio',  un soggetto passivo d'imposta (il chiamato
all'eredita) ed una nozione di capacita' contributiva (commisurata al
valore  globale  dell'asse  ereditario)  non  piu' compatibili con la
normativa dell'imposta di successione introdotta con il d.lgs. n. 346
del  1990,  il quale - sempre per il giudice a quo - avrebbe innovato
il  quadro normativo, stabilendo che il soggetto passivo d'imposta si
identifica  con  il  successore  mortis  causa  e  che  la  capacita'
contributiva di questo va commisurata esclusivamente al trasferimento
(od all'incremento, secondo una variante interpretativa) di ricchezza
in suo favore;
        che l'affermazione del rimettente e delle parti private circa
il   mancato  esame,  da  parte  di  questa  Corte,  della  normativa
denunciata e' inesatta, perche' tale normativa e' stata gia' valutata
dalla  sentenza  n. 111 del 1997, la quale ha ritenuto non lesivo dei
principi  di  uguaglianza e di capacita' contributiva il fatto che il
legislatore  individui,  di volta in volta, quali indici di capacita'
contributiva,  le  varie specie di beni patrimoniali, come accade nel
caso,  appunto,  dell'«imposta  sul  valore  globale  netto dell'asse
ereditario (d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346)»;
        che  anche  l'altra  affermazione circa le innovazioni che il
legislatore  del  1990 avrebbe apportato alla disciplina dell'imposta
sulle  successioni  e'  inesatta,  perche', se e' vero che l'art. 42,
comma 1,  lettera e),  del  d.lgs.  n. 346  del 1990 - consentendo di
richiedere   agli   uffici  tributari  il  rimborso  dell'imposta  di
successione  «pagata  o  pagata  in  piu'  a  seguito di sopravvenuto
mutamento  della  devoluzione  ereditaria», anziche' solo il rimborso
dell'imposta  «percetta in piu' per la mutata devoluzione ereditaria»
previsto  dall' art. 47, primo comma, numero 3, del d.P.R. 26 ottobre
1972,  n. 637 (Disciplina dell'imposta sulle successioni e donazioni)
- ha definitivamente chiarito che il soggetto passivo dell'imposta e'
l'erede  od  il legatario e non il chiamato (gravato solo di obblighi
strumentali  e comunque provvisori, come si desume anche dal disposto
dell'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 346 del 1990, per il quale, «fino
a  quando l'eredita' non e' stata accettata, o non e' stata accettata
da tutti i chiamati, l'imposta e' determinata considerando come eredi
i  chiamati  che  non  vi hanno rinunziato»), e' altrettanto vero che
tale   interpretazione   era  ben  possibile  gia'  nella  precedente
normativa,  come  del  resto  rilevato  da questa stessa Corte con la
sentenza n. 147 del 1975, secondo cui l'imposta grava «in definitiva»
sull'erede,  e  come  sostenuto  da  autorevole dottrina, secondo cui
l'imposizione  posta  a  carico  del  chiamato  all'eredita'  era  da
considerarsi  provvisoria  perche'  suscettibile  di  essere  rimossa
mediante restituzione in caso di mancata accettazione dell'eredita';
        che,  comunque,  la  citata  giurisprudenza  di questa Corte,
riguardante  esclusivamente  fattispecie relative a successori mortis
causa  e  che ha costantemente dichiarato non fondate le questioni di
legittimita'   costituzionale   dell'imposta   sull'asse   ereditario
all'epoca  sollevate, ha sempre evidenziato, quale propria essenziale
ratio  decidendi, l'argomento tratto dal fatto oggettivo del «diretto
collegamento    dell'imposizione   con   il   patrimonio   ereditario
unitariamente  considerato,  indipendentemente  dal  trasferimento di
ricchezza»,  con  la  conseguenza che, in questa prospettiva, importa
solo   tale   «diretto   collegamento»,   mentre  appare  irrilevante
identificare   il   soggetto  passivo  nel  chiamato  all'eredita'  o
nell'effettivo successore mortis causa;
        che,  una  volta  esclusi  significativi  elementi di novita'
nella normativa censurata rispetto alla precedente disciplina e negli
argomenti prospettati dal rimettente rispetto a quelli gia' esaminati
da    questa   Corte,   va   confermata   l'indicata   giurisprudenza
costituzionale  in tema di imposta sul valore netto globale dell'asse
ereditario;
        che,  pertanto,  deve  essere  qui  ribadito  e chiarito, con
particolare  riferimento  alla  normativa  denunciata,  che l'imposta
sulle  successioni  -  pur  se formalmente unica, dopo l'unificazione
dell'imposta  sul  valore  netto  globale  dell'asse  ereditario  con
l'imposta  sulle  singole  quote ereditarie e sui legati, operata dal
d.P.R.  n. 637  del  1972  e  confermata dal d.lgs. n. 346 del 1990 -
continua  ad  articolarsi  (con  diversita'  di presupposto e di base
imponibile)   in   una   imposizione   di  carattere  prevalentemente
patrimoniale  e  reale,  gravante  su tutti i successori ed incidente
sull'asse  ereditario  globale,  ed  in  una  imposizione delle quote
ereditarie  e dei legati, gravante soltanto sui successori cosiddetti
«indiretti» ed incidente sul singolo trasferimento (od incremento) di
ricchezza in favore di ciascun beneficiario;
        che,  quanto  alla denunciata imposizione incidente sull'asse
ereditario, il legislatore - con scelta non isolata nell'ambito della
legislazione fiscale dei paesi occidentali - ha non irragionevolmente
assunto,   nella  sua  discrezionalita',  il  complessivo  patrimonio
ereditario  quale  base di commisurazione dell'imposta progressiva da
ripartire  fra  i  beneficiari, avendo come fine il perseguimento, in
occasione   delle  vicende  traslative  mortis  causa,  di  politiche
redistributive  non  sindacabili  da  questa Corte, se non nei limiti
della  manifesta  arbitrarieta'  o  irrazionalita'  (nella specie non
sussistente);
        che   questa   non  censurabile  scelta  del  legislatore  di
attribuire   carattere   reale   all'imposta   sull'asse   ereditario
giustifica  l'imposizione  per il solo fatto oggettivo dell'esistenza
del   patrimonio   ereditario   unitariamente   considerato   e,   di
conseguenza,  l'identificazione  del soggetto passivo in colui che ha
un   collegamento   effettivo  con  detto  patrimonio,  e  cioe'  nel
successore mortis causa;
        che,  date  tali  premesse,  l'imposta  denunciata  non viola
l'evocato   art. 53,   primo  comma,  Cost.,  perche',  gravando  sul
patrimonio  ereditario,  ha  riguardo  ad  una capacita' contributiva
manifestata  dal  medesimo  patrimonio nel suo complesso e non - come
avviene  nel  caso dell'imposta sulle quote ereditarie e sui legati -
dal  singolo trasferimento (od incremento) di ricchezza in favore dei
successori;
        che,  diversamente da quanto asserito dalle parti private, va
rilevato  che  nessuna  pronuncia  di  questa  Corte  afferma  che la
progressivita'  e'  incompatibile  con  la  natura reale di qualsiasi
imposta (tanto meno la richiamata sentenza n. 128 del 1966, la quale,
con  riferimento  all'imposta di bollo vigente all'epoca, si limita a
rilevare  che  «non  tutti  i tributi si prestano, dal punto di vista
tecnico,  all'adattamento  al  principio  della  progressivita» e che
detto principio e' «applicabile alle imposte personali ma non a tutte
le altre diverse imposte»);
        che,  anzi,  non  e'  contrario  al principio generale di cui
all'art. 53,  secondo  comma, Cost. che un'imposta reale possa essere
anche progressiva (come la soppressa imposta di ricchezza mobile, per
la parte relativa ai redditi di impresa e di lavoro, disciplinata dal
d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, recante «Approvazione del testo unico
delle  leggi sulle imposte dirette», soprattutto nel testo modificato
dall'art. 1 della legge 3 novembre 1964, n. 1190, recante «Variazioni
delle  aliquote  dell'imposta  di  ricchezza mobile»; nonche' come la
parimenti soppressa imposta sull'incremento di valore degli immobili,
di  cui  al  d.P.R.  26 ottobre  1972,  n. 643,  recante «Istituzione
dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili»);
        che  la natura reale del denunciato tributo non osta, dunque,
a  che  la  progressivita' del prelievo sia costruita in funzione del
solo  valore dell'asse globale, con la conseguenza che, nella specie,
va  esclusa  la  lamentata  ingiustificata  disparita' di trattamento
fiscale   di   lasciti  ereditari  di  identico  valore,  perche'  la
tassazione   di   tali   lasciti   avviene   commisurando  l'aliquota
progressiva   ad  assi  di  diversa  entita'  e,  pertanto,  riguarda
situazioni non omogenee e tra loro non comparabili.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi;
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 7,   comma 2,  del  decreto
legislativo  31 ottobre  1990,  n. 346  (Approvazione del testo unico
delle   disposizioni   concernenti   l'imposta  sulle  successioni  e
donazioni),  sollevate,  in  riferimento  agli  artt. 3  e  53  della
Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, con
entrambe le ordinanze indicate in epigrafe;
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 7,  comma 1,  dello  stesso
decreto  legislativo  n. 346 del 1990, sollevata, in riferimento agli
artt. 3   e   53   della  Costituzione,  dalla  medesima  Commissione
tributaria  provinciale  di  Milano,  con l'ordinanza datata 11 marzo
2004, indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2005.
                        Il Presidente: Marini
                         Il redattore: Gallo
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 15 dicembre 2005.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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