N. 16 ORDINANZA 11 - 20 gennaio 2006
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Difensore - Esercizio illimitato del diritto di revoca e della facolta' di rinuncia al mandato - Denunciata lesione del principio della ragionevole durata del processo, disparita' di trattamento in danno degli altri soggetti coinvolti nel processo - Questione di costituzionalita' avente un petitum generico la cui determinazione viene impropriamente rimessa alla Corte, censura di norma inconferente, questione prospettata in relazione a funzionamento patologico della disciplina - Manifesta inammissibilita' della questione. - Cod. proc. pen., art. 108. - Costituzione, artt. 111, secondo comma, secondo periodo, 3, 24 e 25.(GU n.4 del 25-1-2006 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Annibale MARINI; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 108 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 19 marzo 2004 dal Tribunale di Salerno, nel procedimento penale a carico di Z.E. ed altri, iscritta al n. 832 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1ª serie speciale, dell'anno 2004. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella Camera di consiglio del 14 dicembre 2005 il giudice relatore Giovanni Maria Flick. Ritenuto che, con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Salerno ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, secondo comma, secondo periodo, 3, 24 e 25 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 108 del codice di procedura penale, «nella parte in cui consente un esercizio illimitato del diritto di revoca e della facolta' di rinuncia al mandato difensivo»; che, a fondamento della questione dedotta, il Tribunale rimettente ha prospettato l'articolata vicenda processuale occorsa nel giudizio a quo e snodatasi nel corso di varie udienze, in occasione delle quali, a seguito di una pluralita' di nomine, revoche e rinunce difensive, si era determinata - anche per la concorrente presentazione di istanze di ricusazione - una sostanziale stasi della attivita' dibattimentale, giunta ormai all'epilogo della discussione, in ragione, pure (e da ultimo), di una richiesta di termine a difesa, formulata dal nuovo difensore di fiducia dell'imputato, a sua volta gia' designato quale difensore di ufficio del medesimo imputato, a seguito della revoca del precedente difensore fiduciario; che, avuto riguardo alle vicissitudini subite dal procedimento, ed in considerazione del fatto che la richiesta di termine a difesa da ultimo formulata non puo' essere disattesa, alla luce della disciplina dettata dall'art. 108 del codice di rito, ne deriverebbe - secondo il Tribunale rimettente - che, «in mancanza di strumenti di sbarramento previsti dalla legge, la reiterazione di siffatta iniziativa finisce con l'esporre il processo penale ad una durata non prevedibile ed obiettivamente non ragionevole»: con conseguente violazione dell'art. 111, secondo comma, secondo periodo, della Costituzione; che, di riflesso, risulterebbero vulnerati anche gli artt. 3, 24 e 25 della stessa Carta, in quanto la imprevedibile durata del processo coinvolgerebbe, nei suoi effetti negativi, sia la posizione dei due coimputati - per i quali specifiche esigenze di natura processuale impediscono l'adozione di provvedimenti di separazione - che quella delle parti civili costituite: creando, in tal modo, «situazioni di disparita' di trattamento fra soggetti che godono invece di pari dignita' costituzionale»; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Considerato che il Tribunale rimettente, dopo aver analiticamente descritto le numerosi «anomalie» che hanno contraddistinto la fase della discussione dibattimentale nel giudizio in corso di celebrazione, si e' limitato ad enunciare un petitum nel quale - anziche' additare una soluzione costituzionalmente imposta - si sollecita l'adozione di una pronuncia attraverso cui si realizzi l'obiettivo di impedire «un esercizio illimitato del diritto di revoca e della facolta' di rinuncia al mandato difensivo»: cosi' devolvendo alla Corte il compito, senza dubbio eccedente i suoi poteri, di ricercare e «costruire ex novo» uno strumento processuale che individui specifiche limitazioni alla facolta' degli imputati di revocare il difensore gia' nominato di fiducia, ed a quella di quest'ultimo di rinunciare al mandato difensivo; che, accanto agli accennati rilievi, ad ostacolare l'ammissibilita' del quesito, sta anche la circostanza che la denuncia di illegittimita' costituzionale si e' concentrata su una norma la quale, in se', non riguarda direttamente il diritto di revoca o di rinuncia al mandato difensivo, che il rimettente vorrebbe limitare; infatti, l'art. 108 del codice di rito, in cui il rimettente individua espressamente l'unico bersaglio dei propri dubbi di costituzionalita', e' esclusivamente dedicato a disciplinare - come d'altra parte univocamente depone la stessa rubrica della disposizione - l'istituto del termine a difesa, il quale presuppone (ma non regola) la revoca o la rinuncia del difensore precedentemente nominato; che, infine, e' la stessa singolare sequenza di eventi verificatisi nel giudizio a quo - ed analiticamente descritti nell'atto di rimessione - a svelare come le doglianze poste a base del quesito non si radichino su effettivi vizi derivanti dal quadro normativo, seppur impropriamente richiamato, ma sul patologico abuso che delle facolta' di legge avrebbero fatto alcuni dei soggetti del processo: abuso a prevenire e reprimere il quale altri ordinamenti conoscono specifici istituti, idealmente volti ad assicurare che le garanzie difensive vivano e si sviluppino pienamente all'interno del processo, ma nei limiti in cui non degradino a meri strumenti di paralisi o di ritardo, nell'ottica cioe' di una difesa nel processo e non dal processo; che, pertanto, pur dovendosi auspicare interventi normativi volti ad impedire ipotesi di abuso di diritti o facolta' processuali - suscettibili, in se', di perturbare l'ordinato iter del procedimento e compromettere i valori di rango costituzionale che il processo in genere e quello penale in specie ineluttabilmente coinvolgono - non puo' che ribadirsi che le situazioni prospettate come patologiche, proprio perche' non attinenti al normale funzionamento della disciplina denunciata, non possono essere poste a base di una pronuncia di illegittimita' costituzionale (v., fra le tante, la sentenza n. 40 del 1998); che di conseguenza, alla luce dei rilievi che precedono, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 108 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 111, secondo comma, secondo periodo, 3, 24 e 25 della Costituzione, dal Tribunale di Salerno con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 2006. Il Presidente: Marini Il redattore: Flick Il cancelliere:Di Paola Depositata in cancelleria il 20 gennaio 2006. Il direttore della cancelleria: Di Paola 06C0038