N. 25 ORDINANZA 23 - 27 gennaio 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Eccezione  di  inammissibilita'  -  Questione  sollevata  da  giudice
  amministrativo  in  sede  cautelare  -  Asserito  esaurimento della
  potestas iudicandi del rimettente - Reiezione.
Radiotelevisione   -  Emittenti  radiotelevisive  locali  -  Marchio,
  denominazione o testata identificativa che richiamino in tutto o in
  parte  quelli  di  una  emittente nazionale - Divieto di utilizzo e
  diffusione  - Denunciato contrasto con il canone di ragionevolezza,
  compressione   della  liberta'  di  iniziativa  economica  privata,
  lesione   della  proprieta'  privata,  nonche'  della  liberta'  di
  informare  - Ambiguita' del quesito, nonche' descrizione incompleta
  della   fattispecie   a  quo  -  Manifesta  inammissibilita'  della
  questione.
- Decreto    legge    30 gennaio   1999,   n. 15   (convertito,   con
  modificazioni,   nella   legge   29 marzo   1999,  n. 78),  art. 2,
  comma 2-bis.
- Costituzione, artt. 3, 41, 42 e 21.
(GU n.5 del 1-2-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino
CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis,
del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo  equilibrato  dell'emittenza  televisiva  e  per  evitare la
costituzione  o  il  mantenimento  di posizioni dominanti nel settore
radiotelevisivo), convertito, con modificazioni, nella legge 29 marzo
1999,   n. 78   (Conversione   in   legge,   con  modificazioni,  del
decreto-legge  30 gennaio  1999,  n. 15, recante disposizioni urgenti
per  lo  sviluppo equilibrato dell'emittenza televisiva e per evitare
la  costituzione o il mantenimento di posizioni dominanti nel settore
radiotelevisivo),  promosso  con  ordinanza  del 12 dicembre 2002 dal
Consiglio di Stato, sul ricorso proposto da Pubblikappa s.r.l. contro
l'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni ed altra, iscritta al
n. 55  del  registro  ordinanze  2003  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 9, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti  di  costituzione di Pubblikappa s.r.l., nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  13 dicembre  2005  il giudice
relatore Romano Vaccarella;
    Uditi  gli  avvocati  Claudio  Chiola e Patrizio Gagliotti per la
Pubblikappa s.r.l. e l'avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  il  Consiglio  di  Stato,  investito  dell'appello
proposto dalla societa' Pubblikappa s.n.c. avverso l'ordinanza emessa
dal  Tribunale  amministrativo regionale del Lazio il 29 maggio 2002,
con  la  quale  era  stata  respinta  l'istanza  di sospensione della
delibera   dell'Autorita'   per   le   garanzie  nelle  comunicazioni
n. 63/02/CONS  del  27 febbraio 2002, ha sospeso tale delibera e, con
separata  ordinanza  del  12 dicembre 2002, ha sollevato questione di
legittimita'    costituzionale    dell'art. 2,    comma 2-bis,    del
decreto-legge  30 gennaio  1999,  n. 15  (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo  equilibrato  dell'emittenza  televisiva  e  per  evitare la
costituzione  o  il  mantenimento  di posizioni dominanti nel settore
radiotelevisivo), convertito, con modificazioni, nella legge 29 marzo
1999,  n. 78,  in  riferimento  agli  articoli 3,  41,  42 e 21 della
Costituzione;
        che,  in  punto di fatto, il giudice rimettente riferisce che
la  societa' Pubblikappa s.n.c., avendo acquistato il diritto all'uso
del  marchio  «Kiss  Kiss»,  per  licenza  del titolare, gestisce una
emittente   radiofonica   locale,   che  trasmette  limitatamente  al
territorio  della  Campania  e  del Lazio con la denominazione «Radio
Kiss  Kiss  Italia»,  in  virtu' di concessione per l'esercizio della
radiodiffusione sonora rilasciata in data 4 marzo 1994;
        che  l'Autorita'  per  le  garanzie  nelle comunicazioni, con
l'indicata   delibera,   ai   sensi  dell'art. 2,  comma  2-bis,  del
decreto-legge  n. 15  del  1999,  ha diffidato la medesima societa' a
cessare  l'utilizzo  della  denominazione  «Radio  Kiss Kiss Italia»,
essendo  questa  denominazione  idonea  a  richiamare in parte quella
dell'emittente   nazionale   «Radio  Kiss  Kiss  Network»,  anch'essa
licenziataria del marchio «Kiss Kiss»;
        che la Pubblikappa s.n.c. ha impugnato la delibera dinanzi al
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio  e  ne ha chiesto la
sospensione;
        che   avverso   l'ordinanza   di   rigetto   dell'istanza  di
sospensione,  la  ricorrente  ha  proposto  appello,  deducendo,  fra
l'altro,  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 2, comma 2-bis,
del  decreto-legge  n. 15 del 1999, per violazione degli artt. 3, 41,
42 e 77 Cost;
        che  il  giudice a quo rileva che l'Autorita' per le garanzie
nelle  comunicazioni,  con  l'impugnato provvedimento, ha ritenuto di
fare  applicazione  dell'art. 2, comma 2-bis, del decreto-legge n. 15
del  1999  (disposizione  introdotta  dalla legge di conversione), il
quale  stabilisce:  «Le  emittenti  radiotelevisive  locali, comprese
quelle  che  diffondono programmi in contemporanea o programmi comuni
non possono utilizzare, ne' diffondere, un marchio, una denominazione
o  una  testata  identificativi  che  richiamino  in tutto o in parte
quelli  di  una emittente nazionale. Per le emittenti locali che alla
data  del 30 novembre 1993 hanno presentato domanda e successivamente
hanno  ottenuto  il  rilascio  della  concessione con un marchio, una
denominazione  o una testata identificativi che richiamino in tutto o
in  parte  quelli  di  una  emittente nazionale, il divieto di cui al
presente  comma  si  applica  dopo  un  anno dalla data di entrata in
vigore  della  legge di conversione del presente decreto. L'Autorita'
per  le garanzie nelle comunicazioni vigila sul rispetto del predetto
divieto  e provvede ai sensi del comma 31 dell'articolo 1 della legge
31 luglio 1997, n. 249»;
        che  tale norma - ad avviso del rimettente - non si presta ad
essere  interpretata  (come,  invece, sostenuto dalla ricorrente) nel
senso  che  la  sua sfera di applicazione e' limitata al solo settore
televisivo  e  non  si  estende  a quello radiofonico, dato il chiaro
riferimento testuale alle emittenti «radiotelevisive»;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
il  giudice a quo osserva che la norma denunciata, nella parte in cui
impone  alle emittenti radiotelevisive locali di non fare piu' uso di
un  marchio, di una denominazione o di una testata, di cui erano gia'
titolari  prima  dell'entrata in vigore della norma stessa, a seguito
dell'ingresso  nel  mercato di un'emittente nazionale avente marchio,
denominazione  o testata identificativi analoghi, appare in contrasto
con  i  parametri  costituzionali  a) della ragionevolezza, in quanto
deroga  ai  principi  della  disciplina  generale  in  tema di marchi
d'impresa,  sacrificando  le  posizioni  delle preesistenti emittenti
locali, col costringerle a dismettere il proprio segno identificativo
in   base   alla   sola   considerazione   della   loro  specificita'
territoriale,  indipendentemente  dalla priorita' temporale dell'uso;
b) della liberta' di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), in
quanto  la  tutela del marchio risponde ad un'esigenza insopprimibile
per  lo  svolgimento  dell'attivita'  economica, posto che il diritto
all'uso esclusivo del segno identificativo contribuisce a determinare
la   capacita'   concorrenziale  dell'impresa,  traducendosi  in  una
componente  dell'avviamento  commerciale,  tanto  piu' importante nel
settore   radiofonico,   in   cui  solo  attraverso  il  marchio  gli
ascoltatori  sono  in  grado  di  identificare  le numerose emittenti
operanti  sul  mercato;  c) della proprieta' privata (art. 42 Cost.),
poiche'   il   marchio   concorre   alla   consistenza   patrimoniale
dell'impresa;  d) della liberta' di manifestazione del pensiero e del
pluralismo  informativo  (art. 21  Cost.), in quanto, incidendo sulla
possibilita'  dell'emittente locale di utilizzare un segno distintivo
«in  ipotesi  essenziale  per conservare la posizione imprenditoriale
dalla  stessa  ritagliata  sul  mercato  dell'informazione», potrebbe
sacrificare  l'effettivo  esercizio  della  liberta'  di informare e,
indirettamente,  il pieno dispiegarsi del principio pluralistico, che
difficilmente  si  accorda  con  soluzioni  rivolte a privilegiare il
carattere nazionale, anziche' locale, dell'emittente;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  il quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilita',
sul  rilievo  che  il  giudice  rimettente, avendo accolto in sede di
gravame  la  domanda  di  sospensione del provvedimento impugnato, ha
esaurito  la  propria potesta' giurisdizionale in relazione alla fase
del giudizio svoltasi davanti a se';
        che,  ancora  in via preliminare, l'Avvocatura osserva che il
Consiglio  di  Stato  non  ha  formulato  un  adeguato giudizio sulla
rilevanza  della  questione,  essendosi limitato - come risulta dalla
stessa  ordinanza  di  rimessione  - ad una «prima delibazione» della
vertenza, omettendo di valutare: se sussiste l'asserito contrasto tra
la  norma  denunciata  e le direttive comunitarie in materia, dedotto
dalla  ricorrente  quale  motivo  di impugnativa; se la ricorrente ha
acquisito   una  priorita'  nell'uso  del  marchio  in  contestazione
rispetto  alla  controinteressata emittente nazionale, si' da potersi
concretamente     giovare     di     un'eventuale     pronuncia    di
incostituzionalita';   se  e'  possibile  equiparare,  riguardo  alle
garanzie  costituzionali,  la posizione di chi ha acquistato a titolo
originario, col pre-uso, il diritto su un marchio non registrato e la
posizione  di  chi,  come  la  ricorrente,  ha  acquistato  a  titolo
derivativo,  mediante  licenza  del  titolare, il diritto all'uso non
esclusivo di un marchio registrato;
        che,  comunque,  la  questione  e' infondata, perche', quanto
alla  censura  ex  art. 3  Cost., le situazioni poste a confronto non
sono  comparabili,  atteso  che  la  vigente  legislazione in materia
radiotelevisiva  -  al fine di evitare distorsioni della concorrenza,
assicurare  la  suddivisione  delle risorse pubblicitarie a tutela di
ciascun  settore  e realizzare un bilanciamento volto a preservare il
pluralismo  dell'informazione  -  vuole  impedire l'uso contemporaneo
dello  stesso  marchio  o  di  marchi  similari da parte di operatori
dell'uno  e  dell'altro  ambito,  onde  evitare  ogni  confusione fra
trasmissioni  che  vengono a coesistere e sovrapporsi in una medesima
zona,  e cosi' rispondere, all'esigenza pubblicistica di disciplinare
la  concorrenza,  tutelando non solo le posizioni delle emittenti, ma
anche  e  soprattutto  quelle  degli  utenti  e  degli  inserzionisti
pubblicitari;
        che   la   scelta   del  legislatore  non  e'  manifestamente
irrazionale,   in   quanto   la  maggiore  dimensione  dell'emittente
nazionale  ben  puo' giustificare una tutela privilegiata del marchio
della   stessa  e  il  pre-uso  del  marchio  in  ambito  locale  non
costituisce  l'unico possibile criterio di risoluzione del conflitto,
ne'  impedisce di attribuire importanza prevalente ad altri elementi,
quale l'ambito di diffusione dell'emittenza;
        che   la  norma  denunciata  non  contrasta  con  i  principi
costituzionali  di  liberta'  dell'iniziativa  economica privata e di
tutela  della  proprieta',  in  quanto,  se e' vero che, in base alla
disciplina   vigente,  l'uso  anteriore  del  marchio  conferisce  al
pre-utente  il  diritto di utilizzare il segno distintivo nell'ambito
territoriale  e  nel settore merceologico in cui se ne e' avvalso, e'
anche   vero   che   dalla   sentenza  n. 42  del  1986  della  Corte
costituzionale   si  desume  che  deve  ritenersi  costituzionalmente
legittima  «una norma che risolva il conflitto in base ad un criterio
diverso  da  quello  della  priorita',  se esso - come nella specie -
risulta conforme ai principi di logica e razionalita»;
        che    e'    manifestamente    infondato    il   profilo   di
incostituzionalita'  prospettato  in  riferimento  all'art. 21 Cost.,
giacche' l'obbligo di modificare il marchio che possa confondersi con
quello  di  altra  emittente  non incide in alcun modo sul diritto di
manifestare   liberamente   il  pensiero  mediante  lo  strumento  di
diffusione utilizzato;
        che  si  e'  ritualmente  costituita  la societa' Pubblikappa
s.r.l.  (gia'  Pubblikappa s.n.c.), ricorrente nel giudizio a quo, la
quale  ha concluso per l'accoglimento della questione di legittimita'
costituzionale;
        che,  secondo  la deducente, la norma denunciata ha carattere
provvedimentale,    indirizzandosi    a    destinatari    agevolmente
identificabili,   sicche'   pare  evidente  che  il  legislatore  «e'
intervenuto  allo  scopo di promuovere determinati interessi, facenti
capo a ben determinate emittenti nazionali, a scapito delle posizioni
legittimamente acquisite ed esercitate da altre emittenti»;
        che  la  stessa  norma  e',  inoltre, del tutto irragionevole
riguardo al criterio adottato per risolvere la pretesa «interferenza»
fra  marchi o denominazioni, in quanto, anziche' utilizzare il canone
prior  in tempore potior in iure, che ha valore di principio generale
in  materia (come gia' avrebbe ritenuto la Corte costituzionale nella
sentenza  n. 42  del  1986),  stabilisce  che  in  ogni  caso  sia la
emittente locale a dover cessare l'uso del proprio marchio;
        che,  sotto  altro  profilo,  la norma in questione porta una
deroga ingiustificata al principio dell'autonomia privata, demandando
all'Autorita'  per  le garanzie nelle comunicazioni di identificare i
casi di marchi reciprocamente interferenti e di imporre all'emittente
locale  di  dismettere  il proprio, comprimendo l'autonomia negoziale
delle imprese di radiodiffusione;
        che il marchio o la denominazione costituiscono il principale
strumento  di  identificazione  degli  operatori  commerciali  e tale
funzione  identificatrice  assume  il  massimo  rilievo  proprio  nel
settore  radiofonico,  perche'  e'  solo  attraverso  il marchio o la
denominazione  che  gli  ascoltatori  sono in grado di distinguere le
diverse emittenti; sicche' la dismissione forzosa del marchio o della
denominazione   pone   in   pericolo   la   sopravvivenza   economica
dell'emittente   radiofonica,  violando  la  liberta'  di  iniziativa
economica,  colpita  nel  presupposto  stesso  del  suo esercizio (la
identificazione  dell'imprenditore),  e  la  proprieta' privata, lesa
dalla  perdita  di  cespiti che sono parte costitutiva del patrimonio
aziendale  (traducendosi,  in  particolare, nel valore del cosiddetto
«avviamento commerciale»);
        che   l'impossibilita'  di  individuare  una  giustificazione
ragionevole  comporta, altresi', la impossibilita' di ritenere che la
misura  legislativa  sia  frutto  del  bilanciamento  con  ragioni di
utilita'    sociale,   dal   momento   che   anche   queste   restano
imperscrutabili;
        che  lo  scopo  di  evitare  confusioni identificative, senza
menomare  gli  interessi  delle emittenti e degli ascoltatori, poteva
essere   realizzato   solo  adottando  il  criterio  della  priorita'
temporale  nell'uso del nomen, criterio accolto anche dalla Comunita'
europea  per  tutti  i  prodotti commerciali, pur meno «sensibili» di
quelli notiziali (artt. 1 e 5 della direttiva 104/89/CEE);
        che, nella memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la
parte   privata  oppone  all'eccezione  di  inammissibilita'  fondata
sull'esaurimento del potere decisorio del giudice a quo il precedente
di questa Corte (sentenza n. 4 del 2000) circa l'idoneita' della sede
cautelare a sollevare questioni di legittimita' costituzionale;
        che,  quanto  al  difetto  di  motivazione  dell'ordinanza di
rimessione,  per  aver  omesso  di  verificare se, nel caso concreto,
sussiste   o   meno   la   priorita'  nell'uso  del  nomen  da  parte
dell'emittente locale, la societa' deducente osserva che, anche se la
norma  in  questione «avesse un significato confermativo del criterio
del  pre-uso,  la  sua incriminazione non sarebbe inutile giacche' il
criterio   di   priorita'  sarebbe  comunque  dalla  stessa  tutelato
unicamente  nei  confronti  dell'emittente  nazionale  e  non anche a
favore delle emittenti locali»;
        che,  quanto all'esigenza di evitare confusione fra i servizi
offerti  dalle  diverse  emittenti,  la  deducente  osserva  che tale
esigenza  puo'  costituire  soltanto  l'occasio  dell'intervento  del
legislatore,  ma  non  puo' certo servire a giustificare la soluzione
adottata,  non  essendo  il  criterio  della  maggiore dimensione ne'
logico  ne'  razionale, giacche' contrasta con lo stesso principio di
uguaglianza;
        che  non  e'  conferente  il  richiamo al regime generale dei
marchi  d'impresa,  ove  si  consideri  che  tale regime e' dettato a
tutela   delle   imprese   concorrenti,   cui   e'   riconosciuta  la
disponibilita'  dell'azione a difesa dei rispettivi segni distintivi,
mentre   la  norma  denunciata  configura  un  potere  di  intervento
d'ufficio  dell'Autorita' garante a difesa del marchio dell'emittente
piu' «grande»;
        che,  in  tale  regime,  vige  la regola della prevalenza del
pre-uso  o  uso  di  fatto del marchio, in base al principio prior in
tempore  potior  in iure, principio che e' stato ritenuto dalla Corte
costituzionale  conforme ai valori dell'iniziativa e della proprieta'
privata  (sentenza  n. 42  del  1986),  con  la  conseguenza che, per
portare  ad  esso  una  legittima  deroga,  occorrerebbe una adeguata
giustificazione,  che  non  puo'  certo  ravvisarsi nella esigenza di
evitare  la  confondibilita'  dei  prodotti o servizi, posto che tale
obiettivo  e'  gia' raggiunto con l'ordinario regime dei marchi e con
il relativo criterio cronologico;
        che,  comunque,  attesi  «i  particolari valori che l'art. 21
Cost.  vuole siano garantiti da qualsiasi disciplina in tema di mezzi
radiotelevisivi, all'esigenza di conservare l'identita' delle singole
voci notiziali va riconosciuta una posizione di assoluta preminenza a
causa  della  stretta  correlazione tra la liberta' di manifestazione
del  pensiero  riconosciuta al singolo mezzo e il nomen attraverso il
quale   lo   stesso   viene   riconosciuto   dalla   comunita'  degli
ascoltatori».
    Considerato  che  il Consiglio di Stato dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, del decreto-legge 30 gennaio
1999,   n. 15  (Disposizioni  urgenti  per  lo  sviluppo  equilibrato
dell'emittenza   televisiva  e  per  evitare  la  costituzione  o  il
mantenimento  di  posizioni  dominanti  nel settore radiotelevisivo),
convertito,  con  modificazioni, nella legge 29 marzo 1999, n. 78, in
quanto, disponendo che «le emittenti radiotelevisive locali, comprese
quelle  che  diffondono programmi in contemporanea o programmi comuni
non possono utilizzare, ne' diffondere, un marchio, una denominazione
o  una  testata  identificativi  che  richiamino  in tutto o in parte
quelli di una emittente nazionale», contrasterebbe:
        a) con   il   canone  della  ragionevolezza  (art. 3  Cost.),
perche',  derogando  ai principi della disciplina generale in tema di
marchi d'impresa, sacrifica le posizioni delle preesistenti emittenti
locali, senza tener conto della priorita' temporale dell'uso;
        b) con  l'art. 41  Cost.,  perche',  sopprimendo  il  diritto
all'uso  esclusivo  del  marchio,  menoma la capacita' concorrenziale
delle  imprese  emittenti  locali,  cosi'  comprimendo la liberta' di
iniziativa economica privata;
        c) con  l'art. 42 Cost., perche', inibendo l'uso del marchio,
che  concorre alla consistenza patrimoniale dell'impresa, senza tener
conto  della  priorita'  temporale, comporta lesione della proprieta'
privata;
        d) con l'art. 21 Cost., perche', incidendo sulla possibilita'
dell'emittente  locale  di utilizzare un segno distintivo «in ipotesi
essenziale  per  conservare la posizione imprenditoriale dalla stessa
ritagliata   sul  mercato  dell'informazione»,  potrebbe  sacrificare
l'effettivo  esercizio della liberta' di informare e, indirettamente,
il pieno dispiegarsi del principio pluralistico;
        che,   preliminarmente,   deve   respingersi  l'eccezione  di
inammissibilita'  della  questione sollevata dall'Avvocatura generale
dello  Stato  sul  presupposto  che,  avendo  emesso il provvedimento
cautelare  richiestogli con l'appello proposto avverso l'ordinanza di
diniego del Tribunale amministrativo regionale, il Consiglio di Stato
avrebbe  esaurito  la potestas judicandi, quale ad esso compete nella
sede cautelare;
        che  questa  Corte  ha  piu'  volte  statuito  che il giudice
amministrativo   ben   puo'   sollevare   questione  di  legittimita'
costituzionale  in  sede  cautelare,  sia  quando  non provveda sulla
domanda  cautelare,  sia  quando  conceda la relativa misura, purche'
tale  concessione  non  si  risolva,  per  le  ragioni  addotte a suo
fondamento, nel definitivo esaurimento del potere cautelare del quale
in  quella sede il giudice amministrativo fruisce: con la conseguenza
che  la  questione  di legittimita' costituzionale e' inammissibile -
oltre   che,   ovviamente,  se  la  misura  e'  espressamente  negata
(ordinanza  n. 82  del 2005) - quando essa sia concessa sulla base di
ragioni,  quanto  al  fumus  boni  juris,  che  prescindono dalla non
manifesta  infondatezza  della  questione stessa (sentenza n. 451 del
1993);
        che  la potestas judicandi non puo' ritenersi esaurita quando
la  concessione  della  misura  cautelare e' fondata, quanto al fumus
boni  juris,  sulla  non  manifesta  infondatezza  della questione di
legittimita'  costituzionale,  dovendosi  in  tal caso la sospensione
dell'efficacia  del  provvedimento  impugnato  ritenere  di carattere
provvisorio  e  temporaneo  fino  alla ripresa del giudizio cautelare
dopo   l'incidente   di  legittimita'  costituzionale  (ex  plurimis,
sentenze  n. 444  del  1990; n. 367 del 1991; numeri 24, 30 e 359 del
1995; n. 183 del 1997; n. 4 del 2000);
        che  la  sospensione  ex  art. 23  della legge 11 marzo 1953,
n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul  funzionamento della Corte
costituzionale),  investe,  conseguentemente,  la  fase cautelare del
giudizio   amministrativo,  dipendendo  dall'esito  del  giudizio  di
legittimita'  costituzionale la sorte dell'ordinanza cautelare emessa
(come  testualmente  recita,  nel  caso  di  specie,  l'ordinanza  di
sospensione   dell'efficacia  del  provvedimento)  «nelle  more»  del
relativo giudizio;
        che  la  questione, peraltro, e' manifestamente inammissibile
sotto altro profilo;
        che   il   giudice  rimettente,  infatti,  muove  alla  norma
denunciata  censure  che,  da  un lato, sembrano investirla nella sua
interezza   (cosi',   peraltro,   il  dispositivo  dell'ordinanza  di
rimessione)  e,  dall'altro lato, sembrano rivolte alla parte di essa
che pretenderebbe applicarsi «retroattivamente»;
        che  la  segnalata  ambiguita'  non  consente  di cogliere se
oggetto  di censura sia, in se', il criterio adottato dalla legge per
risolvere il conflitto tra emittenti che utilizzano denominazioni tra
loro confondibili, ovvero se si contesta il potere del legislatore di
introdurre   una   disciplina   atta   ad   evitare   confusione  tra
denominazioni   in  precedenza  utilizzate,  ovvero  ancora  se,  pur
riconoscendosi  tale  potere al legislatore, il criterio di soluzione
adottato   debba   essere   sostituito  da  altro  costituzionalmente
necessitato,  e  cio'  sia che il diritto all'uso della denominazione
sia sorto a titolo originario che a titolo derivativo;
        che inoltre il giudice rimettente - il quale pure denuncia il
mancato  rispetto,  da  parte  del  legislatore,  del principio della
priorita'  temporale  dell'uso del marchio - non precisa quando nella
specie  l'emittente  nazionale  abbia cominciato ad utilizzare la sua
denominazione,  ma  si  limita  a indicare la data in cui l'emittente
locale  ha  ottenuto  il  rilascio  della concessione per l'esercizio
della radiodiffusione sonora.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'    costituzionale    dell'art. 2,    comma 2-bis,    del
decreto-legge  30 gennaio  1999,  n. 15  (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo  equilibrato  dell'emittenza  televisiva  e  per  evitare la
costituzione  o  il  mantenimento  di posizioni dominanti nel settore
radiotelevisivo), convertito, con modificazioni, nella legge 29 marzo
1999,  n. 78,  sollevata, in riferimento agli articoli 3, 41, 42 e 21
della  Costituzione,  dal  Consiglio  di  Stato  con  l'ordinanza  in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2006.
                         Il Presidente: Bile
                      Il redattore: Vaccarella
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 27 gennaio 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
06C0055