N. 39 SENTENZA 25 gennaio - 8 febbraio 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Regione  Siciliana - Edilizia e urbanistica - Opere abusive ricadenti
  in  zone  vincolate  -  Concessione  o  autorizzazione  edilizia in
  sanatoria  -  Necessita' di nulla osta dell'autorita' preposta alla
  gestione  del  vincolo  limitatamente al caso in cui il vincolo sia
  antecedente  all'abuso  -  Denunciata  violazione  delle  norme che
  regolano la funzione legislativa delle Regioni - Omessa motivazione
  sui parametri evocati - Inammissibilita' della questione.
- Legge Regione Siciliana 16 aprile 2003, n. 4, art. 17, comma 11.
- Costituzione, artt. 117, 126 e 127.
Regione  Siciliana - Edilizia e urbanistica - Opere abusive ricadenti
  in  zone  vincolate  -  Concessione  o  autorizzazione  edilizia in
  sanatoria  -  Necessita' di nulla osta dell'autorita' preposta alla
  gestione  del  vincolo  limitatamente al caso in cui il vincolo sia
  antecedente   all'abuso  -  Limitazione  introdotta  con  norma  di
  interpretazione  autentica  priva  della  specifica  ragionevolezza
  necessaria    per    tali    testi   normativi   -   Illegittimita'
  costituzionale.
- Legge Regione Siciliana 16 aprile 2003, n. 4, art. 17, comma 11.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.7 del 15-2-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Annibale MARINI;
  Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei   giudizi   di   legittimita'   costituzionale  dell'articolo 17,
comma 11,  della  legge  della Regione Siciliana 16 aprile 2003, n. 4
(Disposizioni programmatiche e finanziarie per l'anno 2003), promossi
con  ordinanze  del  14 maggio  e  del  21 luglio  2004 dal Tribunale
amministrativo regionale della Sicilia, sede di Palermo, sez. II, sui
ricorsi  proposti  da  Martino Angela e da Ciolino Giuseppe contro la
Soprintendenza  ai  beni  culturali  e ambientali di Palermo ed altro
iscritte  ai  nn. 768  e 827 del registro ordinanze 2004 e pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn. 41  e 43, 1ª serie
speciale, dell'anno 2004;
    Visto l'atto di intervento della Regione Siciliana;
    Udito  nella  Camera di consiglio del 14 dicembre 2005 il giudice
relatore Ugo De Siervo.

                          Ritenuto in fatto

    1.   -  Con  ordinanza  in  data  14 maggio  2004,  il  Tribunale
amministrativo  regionale della Sicilia, sede di Palermo, sez. II, ha
sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 17,
comma 11,  della  legge  della Regione Siciliana 16 aprile 2003, n. 4
(Disposizioni  programmatiche  e  finanziarie  per  l'anno 2003), per
contrasto con gli artt. 3, 117, 126 e 127 Cost.
    2.  - Il giudizio a quo concerne il provvedimento prot. 775, pos.
BB.NN. 26455, del 1° febbraio 1988, con il quale la Soprintendenza ai
beni  culturali  e ambientali di Palermo si e' espressa negativamente
sul  progetto  di  sanatoria  edilizia presentato dalla ricorrente in
relazione ad un fabbricato di sua proprieta'.
    Il  rimettente  evidenzia  che con sentenza parziale, adottata in
pari  data  rispetto  all'ordinanza  di  rimessione,  due dei quattro
motivi  del ricorso sono stati ritenuti inammissibili mentre un terzo
motivo  e'  stato  dichiarato infondato. Quanto, invece, al rimanente
motivo  di  ricorso,  il  giudice  a  quo  riferisce come, secondo la
ricorrente,  l'Amministrazione  convenuta «non sarebbe stata titolata
ad  esprimere  un  proprio  parere sul progetto di sanatoria, poiche'
quest'ultimo  riguardava opere realizzate prima della imposizione del
vincolo».  Rilevato  che  la  fattispecie  oggetto  del  giudizio  e'
attualmente  regolata  dalla  disposizione  censurata  - sopravvenuta
rispetto  all'instaurazione  del  giudizio  - la quale, interpretando
autenticamente   l'art. 23,   comma 10,  della  legge  della  Regione
Siciliana 10 agosto  1985, n. 37 (Nuove norme in materia di controllo
dell'attivita' urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria
delle  opere  abusive),  prevede  la non necessarieta' del parere nel
caso  in  cui il vincolo sia posteriore rispetto alla ultimazione del
fabbricato,  il  collegio  rimettente  osserva  che  la decisione del
ricorso  presuppone  la  soluzione  dei  dubbi  di  costituzionalita'
concernenti  il  menzionato  art. 17, comma 11, della legge regionale
n. 4 del 2003.
    3.  -  Il Tribunale amministrativo espone brevemente l'evoluzione
della  normativa  regionale  che  regola  la  fattispecie oggetto del
giudizio a quo.
    L'atto   impugnato   e'   stato   adottato   durante  la  vigenza
dell'art. 23, comma 10, della legge della Regione Siciliana n. 37 del
1985,  secondo  il  quale  «per  le  costruzioni che ricadono in zone
vincolate  da  leggi  statali  o regionali per la tutela di interessi
storici,   artistici,   architettonici,   archeologici,   paesistici,
ambientali,  igienici,  idrogeologici,  delle coste marine, lacuali o
fluviali,  le concessioni in sanatoria sono subordinate al nulla-osta
rilasciato  dagli  enti  di  tutela  sempre  che  il  vincolo,  posto
antecedentemente    all'esecuzione    delle   opere,   non   comporti
inedificabilita' e le costruzioni non costituiscano grave pregiudizio
per la tutela medesima;».
    Successivamente   e'   intervenuta   la   legge   della   Regione
Siciliana 31 maggio  1994,  n. 17  (Provvedimenti  per la prevenzione
dell'abusivismo  edilizio  e  per  la  destinazione delle costruzioni
edilizie  abusive esistenti), il cui art. 5, comma 3, ha interpretato
autenticamente  il  menzionato  art. 23, comma 10, disponendo che «il
nulla  osta  dell'autorita'  preposta  alla  gestione  del vincolo e'
richiesto,  ai  fini  della concessione in sanatoria, anche quando il
vincolo  sia stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera
abusiva»,  prevedendo  altresi'  che  «nel  caso  di  vincolo apposto
successivamente,  e' esclusa l'irrogazione di sanzioni amministrative
pecuniarie, discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso».
    Secondo  il  giudice rimettente quest'ultima norma «interveniva a
risolvere  il  dubbio  interpretativo,  sollevato  dalla formulazione
dell'art. 23 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, dettante le
condizioni di applicabilita' della sanatoria edilizia, in ordine alla
rilevanza  o  meno,  ai  fini  dell'acquisizione del prescritto nulla
osta,  dei  vincoli storici, artistici, architettonici, etc., apposti
in  epoca  successiva  all'ultimazione  dell'opera,  ma  in vigore al
momento  dell'esame  della  istanza  di sanatoria». Nell'ordinanza di
rimessione  si  evidenzia, inoltre, come questa scelta interpretativa
compiuta   dal   legislatore   regionale  sia  stata  successivamente
condivisa  anche  dalla  giurisprudenza amministrativa, «in relazione
all'analogo   problema   postosi   per  la  corrispondente  normativa
nazionale,  la quale e' stata interpretata nel senso che, in presenza
quanto  meno di vincoli che non comportano inedificabilita' assoluta,
l'obbligo  di  pronuncia da parte dell'autorita' preposta alla tutela
del  vincolo  sussiste  in  relazione  alla  esistenza del vincolo al
momento  in  cui  deve  essere  valutata  la  domanda di sanatoria, a
prescindere  dall'epoca  della  sua  introduzione,  per l'esigenza di
vagliare  l'attuale  compatibilita'  con  il  vincolo  dei  manufatti
realizzati abusivamente».
    Nelle   more  del  giudizio  a  quo,  tuttavia,  e'  sopravvenuto
l'art. 17,  comma 11,  della  legge  della Regione Siciliana n. 4 del
2003,  che,  con  decorrenza  dal  1° gennaio  2003, ha modificato la
disposizione  interpretativa  contenuta  nell'art. 5,  comma 3, della
legge  regionale  n. 17  del  1994,  sostituendone il primo e secondo
capoverso  e  disponendo  in  senso  esattamente inverso alla stessa.
Infatti,  l'art. 23,  comma 10,  della  legge della Regione Siciliana
n. 37  del 1985 deve ora essere interpretato nel senso che «il parere
dell'autorita'  preposta  alla  gestione del vincolo e' richiesto, ai
fini  della  concessione o autorizzazione edilizia in sanatoria, solo
nel  caso  in  cui  il  vincolo sia stato posto antecedentemente alla
realizzazione dell'opera abusiva».
    4.    -    Nell'ordinanza   si   afferma   che   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 17,  comma 11,  della  legge  della Regione
Siciliana  n. 4  del  2003  sarebbe, innanzi tutto, determinata dalla
«efficacia retroattiva ad esso surrettiziamente attribuita attraverso
il  carattere  interpretativo che allo stesso deriva dalla tecnica di
novellazione  dell'art. 5,  comma 2,  l.r. 19/1994 cit., adottata dal
legislatore».  Tale  operazione  sarebbe  stata compiuta «non solo in
assenza   di  qualsivoglia  pur  residuo  dubbio  interpretativo  sul
significato  della norma interpretata (l'art. 23 della l.r. 37/1985),
ma  in  presenza di una precedente interpretazione autentica di detta
norma,  che  viene soppressa e diametralmente rovesciata». Del resto,
che  non  si  tratti  di  «mera  operazione  ermeneutica,  dettata da
esigenze   di  chiarezza  legislativa,  bensi'  di  un  mutamento  di
disciplina   indirizzato  a  facilitare  il  ricorso  alla  sanatoria
edilizia, con efficacia estesa anche al passato, cosi' da ampliare la
sfera   dei   possibili   beneficiari»,   sarebbe   dimostrato  dalla
circostanza  secondo  la  quale  la  stessa  rubrica  dell'art. 17 in
questione   e'   intitolata  «Recupero  di  risorse  derivanti  dalla
definizione delle pratiche di sanatoria edilizia».
    Secondo  il  Tribunale  rimettente, la disposizione censurata, in
realta',   introdurrebbe   «una   sostanziale   modificazione   della
disciplina  previgente», realizzando «un'ipotesi di eccesso di potere
legislativo»,  in  contrasto  «con  i  parametri  costituzionali  che
regolano  la  formazione  delle  leggi  (artt. 117,  123 e 127 Cost.,
relativi  all'attivita'  legislativa regionale), nonche' con l'art. 3
della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza».
    Al  riguardo,  il  rimettente  evidenzia  innanzi  tutto  come la
giurisprudenza   costituzionale   abbia   ritenuto  estensibili  alla
legislazione  regionale  i  principi ed i limiti elaborati in tema di
interpretazione    autentica   della   legge.   In   secondo   luogo,
nell'ordinanza  si  sottolinea che - anche se non costituzionalizzato
al  di  fuori  della  previsione  contenuta  nell'art. 25  Cost. - il
principio  di  irretroattivita'  della  legge,  manterrebbe  comunque
«valore  di  principio  generale  ai sensi dell'art. 11, primo comma,
delle  disposizioni preliminari del codice civile, cui il legislatore
deve in via preferenziale attenersi».
    In   quest'ambito,   la   giurisprudenza  costituzionale  avrebbe
ritenuto   costituzionalmente  legittimo  lo  strumento  delle  leggi
interpretative  solo  a  patto  che  esso  non  venga utilizzato «per
attribuire  a norme innovative una surrettizia efficacia retroattiva,
in  quanto in tal modo la legge interpretativa verrebbe meno alla sua
funzione  peculiare,  che  e'  quella  di  chiarire il senso di norme
preesistenti, ovvero di imporre una delle possibili varianti di senso
compatibili col tenore letterale». Il carattere interpretativo di una
norma  non  potrebbe  quindi  desumersi dalla sua autoqualificazione,
bensi'  «dalla  struttura  della  [...]  fattispecie  normativa»,  di
talche'  andrebbe  «riconosciuto carattere interpretativo soltanto ad
una  legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne
chiarisce  il  significato  normativo  ovvero  privilegia  una tra le
diverse interpretazioni possibili». Pertanto, precisa l'ordinanza, le
leggi  interpretative  sarebbero  soggette  ad  alcuni  limiti, tra i
quali, «oltre alla ragionevolezza della scelta operata, il divieto di
ingiustificata  disparita' di trattamento, la coerenza e certezza del
diritto,  il  rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al
potere    giudiziario»,    nonche'    la   «tutela   dell'affidamento
legittimamente  sorto  nei  soggetti quale principio connaturato allo
Stato di diritto».
    5.   -  Con  ordinanza  in  data  21 luglio  2004,  il  Tribunale
amministrativo  regionale della Sicilia, sede di Palermo, sez. II, ha
sollevato, nell'ambito di un diverso giudizio, identiche questioni di
legittimita'  costituzionale  del  medesimo  art. 17, comma 11, della
legge  della  Regione  Siciliana n. 4 del 2003, per contrasto con gli
artt. 3, 117, 126 e 127 Cost.
    6.  -  Premette  il  rimettente  che  il  giudizio a quo e' stato
instaurato   a  seguito  del  ricorso  proposto,  nei  confronti  del
provvedimento  prot.  6487,  pos. BB.NN. 23396, del 15 settembre 1987
con  cui  la  Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali, in data
15 settembre  1987,  ha  espresso  parere  negativo  sul  progetto di
sanatoria  di un immobile, da parte del proprietario di quest'ultimo.
I  motivi del ricorso sui quali il Tribunale amministrativo siciliano
e'  stato  chiamato a pronunziarsi sono due. Secondo il primo, l'atto
oggetto  del  giudizio  sarebbe  illegittimo a causa dell'invalidita'
dello  stesso provvedimento di apposizione del vincolo paesaggistico,
dal  momento  che  tale  provvedimento  sarebbe  stato adottato da un
organo  competente ma in composizione irregolare. Ne', d'altra parte,
varrebbe  in  senso  inverso  la  considerazione del medesimo vincolo
apposto  con  un  successivo  atto  della  Soprintendenza,  in quanto
quest'ultimo sarebbe posteriore alla ultimazione del fabbricato.
    Con il secondo motivo di ricorso, invece, il ricorrente ha inteso
far  valere  la  pretesa «violazione di legge sotto i diversi profili
del  difetto  di  motivazione e del difetto dei presupposti» da parte
del provvedimento impugnato.
    Il collegio rimettente evidenzia innanzi tutto di aver rigettato,
con  sentenza parziale adottata nella medesima data dell'ordinanza di
rimessione, tale ultimo motivo. Sottolinea, inoltre, di aver ritenuto
fondato il motivo del ricorso secondo il quale il vincolo imposto dal
decreto  presidenziale  n. 141/S.G. del 30 gennaio 1969 sarebbe nullo
per irregolare composizione dell'organo; peraltro - in conseguenza di
cio'  -  il  rigetto  o  l'accoglimento  del  ricorso  dipenderebbero
integralmente   dalla  valutazione  della  doglianza  concernente  la
asserita  non  necessarieta' del parere della Soprintendenza nel caso
in cui il vincolo sia stato imposto successivamente al momento in cui
l'immobile e' stato ultimato.
    In tal senso dispone la norma impugnata, della cui compatibilita'
con  la Costituzione, tuttavia, il ricorrente dubita in termini e con
argomenti in tutto identici rispetto a quelli svolti nella precedente
ordinanza di rimessione.
    7.  -  Con  atto depositato il 9 novembre 2004 e' intervenuto nel
giudizio  davanti a questa Corte introdotto con la prima ordinanza il
Presidente   della   Regione   Siciliana,   rappresentato   e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, sostenendo l'inammissiblita'
sia delle questioni sollevate in riferimento ai parametri di cui agli
artt. 117,  126 e 127 Cost., per assenza di adeguata motivazione, sia
delle questioni sollevate in riferimento all'art. 3 Cost.
    A  tale  ultimo riguardo, in particolare, l'Avvocatura rileva una
«sostanziale  perplessita'  di  fondo»  dell'ordinanza  di rimessione
circa  la  portata  della  norma  censurata, perplessita' dovuta alla
contraddittorieta'  che  assumerebbe  l'asserita retroattivita' della
norma rispetto all'esplicito riferimento che il giudice rimettente fa
al 1° gennaio 2003 quale dies a quo «della efficacia vincolante della
ribaltata  interpretazione  autentica  dell'art. 23,  l.r.  37/1985».
Secondo  l'Avvocatura,  tale contrasto - al quale si aggiungerebbe il
richiamo  ad  una «surrettizia efficacia retroattiva» argomentata con
esclusivo  riguardo  alla  «tecnica  della  novellazione  parziale» -
avrebbe   dovuto   suggerire  al  rimettente  il  ricorso  al  canone
ermeneutico «della interpretazione costituzionalmente conservatrice»,
la  quale risulterebbe ne' tentata, ne' tanto meno evocata per essere
esclusa.
    In   effetti,   a  giudizio  della  difesa  regionale,  la  norma
sospettata   d'irragionevolezza  sembrerebbe,  nel  provvedimento  di
rinvio,  «considerata  a  se'  ed  in  maniera  del  tutto avulsa dal
complessivo  provvedimento  col  quale  faceva corpo gia' quella (poi
sostituita  nel  2003) dell'art. 5, terzo comma, della l.r. 31 maggio
1994  n. 17;  e  segnatamente,  avulsa  dalle  disposizioni di questa
ordinate  (come  gli  artt. 4  e  5) a disciplinare - con le relative
eccezioni  -  la  concessione  del  diritto di abitazione sulle opere
edilizie  abusive  (acquisite  al  patrimonio comunale)». Infatti, un
approccio  esegetico non limitato al piano letterale, bensi' esteso a
quello  logico-sistematico  e  dunque  basato  sulle  finalita' della
normativa  in  tema di «destinazione delle costruzioni abusive» quale
dettata  dalla legge regionale n. 17 del 1994, avrebbe potuto indurre
il    remittente    «a    conciliare    la   (diversamente   anomala)
"interpretazione autentica", come novellata nel 2003, con la data del
1°  gennaio  2003» (stabilita per l'applicabilita' delle disposizioni
della  legge regionale censurata); e cosi' a superare il dubbio di un
radicale «rovesciamento» «che la stessa avrebbe realizzato - peraltro
con  anomala  efficacia  vincolante  solo dal 1° gennaio 2003 - della
soluzione  gia'  (in  precedenza)  autoritativamente  imposta  per  i
problemi  esegetici  connessi  alla  (originaria)  norma  della legge
regionale in tema di condono edilizio».
    Risulterebbero,  pertanto, del tutto inesplorati spunti e profili
ermeneutici desumibili in parte qua dalle leggi del 1994 e del 2003 e
suscettibili  di  deporre  nel  senso  che la disposizione oggetto di
censura  si  configuri  come  «innovazione legislativa di parziale (e
limitatissima)  efficacia  retroattiva  oltre  che di ridotta portata
quanto ad ambito d'applicazione». Di qui la evidente inammissibilita'
della questione prospettata in relazione all'art. 3 Cost.
    8.  -  L'Avvocatura dello Stato ha depositato una seconda memoria
nella quale, dopo aver ribadito le eccezioni di inammissibilita' gia'
formulate,  si  sofferma  nella  contestazione della fondatezza della
questione  sollevata dal rimettente in relazione all'art. 3 Cost., in
particolare   confutando   l'assunto  da  cui  prenderebbe  le  mosse
l'ordinanza di rimessione circa la presunta sovrapposizione, ad opera
del   legislatore   regionale,   di   due   contrastanti  o,  meglio,
diametralmente opposte «letture vincolanti» della stessa norma.
    Al riguardo, l'Avvocatura generale espone due distinti rilievi.
    In  primo  luogo,  osserva  che, "sul piano letterale", la «prima
norma  di  interpretazione autentica», ossia l'art. 5, comma 3, della
legge  regionale  n. 17  del  1994,  farebbe  riferimento al "parere"
dell'autorita'  preposta  alla  gestione  del  vincolo, richiedendolo
"solo"  nel caso in cui il vincolo sia antecedente alla realizzazione
dell'opera  abusiva;  al  contrario, l'art. 17, comma 11, della legge
regionale  n. 4  del  2003, farebbe riferimento al "nulla-osta" della
medesima   autorita',  richiedendolo  "anche"  nel  caso  di  vincolo
successivo.  Cio'  sarebbe rilevante, malgrado il riconoscimento «che
tra  nulla-osta e parere non sia infrequente uno scambio di termini»,
in  quanto  il  "nulla  osta" parteciperebbe «della natura degli atti
autorizzatori»,  che  siano  al contempo «espressivi di volonta', la'
dove   il   parere   -   ancorche'   vincolante,   eppero'  anch'esso
condizionante  dell'effetto  dell'atto  assistito - e' essenzialmente
espressione di un giudizio».
    In  secondo  luogo,  l'Avvocatura  ribadisce che la "prima" norma
interpretativa  si  iscriverebbe  «in  un  provvedimento normativo di
portata  piu'  circoscritta  rispetto  a  quella  della  legge  [...]
contenente   la   norma  interpretata»,  mentre  la  "seconda"  norma
interpretativa   avrebbe  carattere  piu'  generale  in  ragione  del
contesto  offerto  dalla  legge  nella quale e' inserita. Da cio' - a
giudizio  della difesa regionale - la conclusione secondo la quale la
prima interpretazione autentica avrebbe come ambito di applicazione i
soli  casi  considerati dalla legge n. 17 del 1994, mentre la seconda
avrebbe    "portata   generale".   Pertanto   le   due   disposizioni
interpretative non sarebbero sovrapponibili ne' fra loro antinomiche,
di talche' sarebbe esclusa l'irragionevolezza della norma impugnata.
    9.  -  In  una  terza  memoria, l'Avvocatura generale dello Stato
formula  una  ulteriore eccezione di inammissibilita' della questione
prospettata  dal  giudice rimettente e fondata sul presunto carattere
antinomico  delle  due  interpretazioni  autentiche  susseguitesi nel
tempo in relazione all'art. 23, comma 10, della legge regionale n. 37
del  1985.  La  questione,  infatti,  sarebbe  viziata  da difetto di
rilevanza   nel   giudizio   a  quo  sulla  base  del  seguente  iter
argomentativo.
    La  difesa  regionale  premette  che  la  disposizione originaria
(l'art. 23,    comma 10,   richiamato)   richiedeva   il   nulla-osta
dell'autorita'  competente  alla  tutela  del  vincolo solo se questo
fosse anteriore all'ultimazione delle opere; che l'art. 5 della legge
regionale  n. 17  del 1994 richiedeva il predetto nulla-osta anche se
il   vincolo   fosse  stato  apposto  successivamente  alla  data  di
ultimazione  della  costruzione;  che, infine, la disposizione di cui
all'art. 17,   comma 11,  della  legge  regionale  n. 4  del  2003  -
destinata  ad  avere  vigore  dal 1° gennaio 2003 - stabilisce che il
nulla-osta  (letteralmente il "parere") de quo e' necessario solo nel
caso di vincolo anteriore all'ultimazione dell'opera da sanare.
    In  questo quadro di evoluzione normativa, risultando il giudizio
a  quo  instaurato nel 1988 in relazione alla domanda di sanatoria di
un fabbricato realizzato anteriormente al dicembre 1983 e prima della
apposizione  del  vincolo,  l'Avvocatura  sostiene  che nulla avrebbe
impedito  al  rimettente  di  definire il giudizio alla stregua della
normativa  regionale vigente alla data del provvedimento impugnato (o
a  quella  di  proposizione  del  ricorso), ovvero alla stregua della
normativa  regionale nell'interpretazione autentica vigente alla data
dell'ordinanza  di  rimessione,  in  entrambi  i  casi  traendone  le
identiche conseguenze, stante la coincidente portata precettiva delle
due    disposizioni    da    applicare.    Pertanto    l'«oscillante»
interpretazione  autentica  cui  avrebbe  dato  vita  il  legislatore
regionale risulterebbe ininfluente per la formazione del giudizio del
Tribunale amministrativo regionale, con conseguente irrilevanza della
questione sottoposta al giudizio di questa Corte.

                       Considerato in diritto

    1. - Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sede di
Palermo,  sez.  II,  con  due  ordinanze  iscritte rispettivamente al
n. 768  e  al  n. 827  del  registro ordinanze del 2004, dubita della
legittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 11, della legge della
Regione Siciliana 16 aprile 2003, n. 4 (Disposizioni programmatiche e
finanziarie  per  l'anno 2003),  che ha sostituito l'art. 5, comma 3,
della   legge   della   Regione   Siciliana 31 maggio   1994,   n. 17
(Provvedimenti  per  la prevenzione dell'abusivismo edilizio e per la
destinazione  delle  costruzioni  edilizie  abusive  esistenti). Tale
ultima    disposizione,   interpretando   autenticamente   l'art. 23,
comma 10,  della  legge della Regione Siciliana 10 agosto 1985, n. 37
(Nuove    norme    in    materia    di    controllo    dell'attivita'
urbanistico-edilizia,  riordino  urbanistico  e sanatoria delle opere
abusive),  disponeva  che «il nulla-osta dell'autorita' preposta alla
gestione  del  vincolo  e'  richiesto,  ai  fini della concessione in
sanatoria,  anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente
all'ultimazione   dell'opera   abusiva».  In  base  invece  a  quanto
stabilito  attualmente  a  seguito dell'intervento della disposizione
oggetto  di  censura,  l'art. 23, comma 10, della legge della Regione
Siciliana  n. 37  del 1985 deve essere interpretato nel senso che «il
parere   dell'autorita'   preposta   alla  gestione  del  vincolo  e'
richiesto,  ai  fini  della  concessione o autorizzazione edilizia in
sanatoria,   solo  nel  caso  in  cui  il  vincolo  sia  stato  posto
antecedentemente alla realizzazione dell'opera abusiva».
    L'art. 17,  comma 11,  della  legge  n. 4  del  2003,  secondo la
prospettazione  del  rimettente,  contrasterebbe  con  l'art. 3 della
Costituzione,  in  quanto  -  essendo  stato  adottato in un contesto
caratterizzato da certezza interpretativa, sia sul versante regionale
per  effetto  di  una  precedente  interpretazione autentica, sia sul
versante   nazionale   per   effetto   di  una  giurisprudenza  ormai
consolidata concernente la analoga norma statale - contrasterebbe con
i   precetti   che   sono   stati   enucleati   dalla  giurisprudenza
costituzionale     in     tema    di    presupposti    giustificativi
dell'interpretazione autentica, ed in particolare con il principio di
ragionevolezza   della   scelta   operata,   con   il   «divieto   di
ingiustificata   disparita'  di  trattamento»,  con  la  «coerenza  e
certezza    del   diritto»,   con   il   «rispetto   delle   funzioni
costituzionalmente  riservate  al potere giudiziario», nonche' con la
«tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei  soggetti quale
principio connaturato allo Stato di diritto».
    Inoltre, la norma impugnata contrasterebbe con gli artt. 117, 126
e  127  Cost.,  in  quanto confliggerebbe con le norme che presiedono
all'esercizio della funzione legislativa delle Regioni.
    2.  -  Le due ordinanze di rimessione pongono identiche questioni
di  legittimita'  costituzionale, di talche' i giudizi debbono essere
riuniti per essere decisi con unica sentenza.
    3.  -  In via preliminare, va dichiarata l'inammissibilita' della
questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata da entrambe le
ordinanze   in   riferimento   agli   artt. 117,   126  e  127  della
Costituzione,  dal  momento  che,  come questa Corte ha costantemente
affermato  (si  vedano, da ultimo, sentenze n. 322 e n. 149 del 2005;
ordinanze  n. 414,  n. 197,  n. 126 e n. 23 del 2005, n. 318 e n. 156
del  2004),  il  giudice  rimettente non puo' in alcun modo sottrarsi
all'onere  di motivare adeguatamente e specificamente in punto di non
manifesta   infondatezza   il   denunciato  contrasto  tra  le  norme
legislative  censurate  e  i  parametri costituzionali esplicitamente
invocati.  Il  giudice  rimettente  si  limita  invece ad enunciare i
suddetti parametri, senza svolgere alcuna specifica considerazione al
riguardo.
    Questa  determinazione  preliminare evita che debba approfondirsi
se  fra  i  parametri  costituzionali  di cui il Tribunale rimettente
afferma  la  violazione rientri l'art. 126 Cost., come asserito nella
parte finale delle ordinanze, o l'art. 123 Cost., come asserito nelle
sommarie considerazioni in diritto sul punto contenute nelle medesime
ordinanze.
    4. - Relativamente alla censura sollevata in relazione all'art. 3
Cost.,    deve    essere   rigettata,   anzitutto,   l'eccezione   di
inammissibilita'  prospettata  dalla difesa regionale sul presupposto
della  diversa  possibile interpretazione dell'art. 5, comma 3, della
legge   della   Regione   Siciliana   n. 17   del  1994,  come  norma
interpretativa  esclusivamente  riferita  allo  specifico  oggetto di
quella   legge,  e  quindi  disomogenea  rispetto  alla  disposizione
censurata;  sia  la  lettera  dell'art. 5, comma 3, della legge della
Regione  Siciliana  n. 17  del  1994,  sia la sua applicazione in via
amministrativa   e  giurisdizionale  (anche  di  questa  Corte,  come
deducibile  dall'ordinanza  n. 44 del 2001), confermano pacificamente
la  sua  natura di norma interpretativa dell'art. 23, comma 10, della
legge  regionale  n. 37  del  1985,  riferita alla sanatoria edilizia
straordinaria  ivi  disciplinata (che sostanzialmente riproduceva gli
artt. 32  e  33  della legge statale 28 febbraio 1985, n. 47, recante
«Norme  in  materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia,
sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie»).
    In  quest'ambito  appare  priva  di pregio l'argomentazione, piu'
volte  ribadita  dalla  difesa  regionale,  secondo  cui  avrebbe una
possibile  rilevanza  nel negare l'effetto retroattivo la previsione,
contenuta  nell'art. 141,  comma 2,  della  legge  regionale n. 4 del
2003,  in  base  alla  quale «le disposizioni della presente legge si
applicano  con  decorrenza dal 1° gennaio 2003»; e', invece, evidente
che quest'ultima disposizione non fa altro che determinare la data di
entrata  in  vigore  delle  numerose disposizioni contenute in questa
legge,  eliminando  la  ordinaria vacatio legis delle leggi regionali
siciliane  (di  cui  all'art. 13,  terzo  comma,  della  legge  cost.
26 febbraio  1948, n. 2, recante «Conversione in legge costituzionale
dello   Statuto   della  regione  Siciliana,  approvato  con  decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455») e producendo su di esse anche un
limitato  effetto  retroattivo.  Tutto  cio',  peraltro,  non  incide
sull'effetto  pienamente  retroattivo,  seppure  dal 1° gennaio 2003,
delle   disposizioni   di   interpretazione  autentica  dell'art. 23,
comma 10, della legge regionale n. 37 del 1985, le quali sono appunto
contenute nell'art. 17, comma 11, della legge regionale n. 4 del 2003
e  che  si  sostituiscono a quanto era previsto nell'art. 5, comma 3,
della legge regionale n. 17 del 1994.
    Per   le   medesime   ragioni   e'   infondata   l'eccezione   di
inammissibilita'  sollevata  dalla  difesa  regionale sul presupposto
della carenza di rilevanza della questione prospettata nell'ordinanza
n. 768   del  2004,  dal  momento  che  il  Tribunale  amministrativo
regionale  avrebbe  potuto  giudicare  la  questione a lui sottoposta
sulla  base  della  legislazione  regionale  vigente  «alla  data del
provvedimento  impugnato  o  a  quella della proposizione del ricorso
giurisdizionale»  ovvero  «alla  stregua  della  normativa  regionale
nell'interpretazione  autentica  vigente  alla data dell'ordinanza di
rimessione»  e  cioe'  ignorando  la interpretazione data nella legge
regionale  n. 17  del  1994,  successivamente  abrogata  dalla  legge
regionale n. 4 del 2003.
    In  realta',  stante  il  carattere  retroattivo connaturato alle
norme  di  interpretazione autentica, le quali - una volta entrate in
vigore  - incidono fin dall'inizio sul significato della disposizione
interpretata,  del  tutto  correttamente  il giudice rimettente si e'
posto   il   problema   della   legittimita'   costituzionale   della
disposizione  di  interpretazione  autentica cosi' come novellata nel
2003, la quale riduce radicalmente la discrezionalita' interpretativa
dell'art. 23,   comma 10,   della  legge  regionale  n. 37  del  1985
spettante  all'organo  giudicante,  incidendo  sulla disposizione che
quest'ultimo e' chiamato ad applicare alla fattispecie al suo esame.
    5.  -  Nel  merito  la  questione  sollevata  in riferimento alla
lesione dell'art. 3 Cost. e' fondata.
    Se  per  ormai pacifica giurisprudenza di questa Corte le Regioni
possono  interpretare  autenticamente proprie precedenti disposizioni
legislative mediante apposite leggi, altrettanto pacifico e' che sono
estensibili  a  questo  tipo  di  leggi regionali i limiti in tema di
legittimita' delle disposizioni di interpretazione autentica che sono
stati  individuati  in  riferimento alle leggi statali (si vedano, ex
plurimis,  le  sentenze  n. 376 del 1995, n. 397 del 1994, n. 389 del
1991),  a cominciare dalla specifica ragionevolezza che e' necessaria
per testi normativi del genere.
    L'interpretazione  autentica  dell'art. 23, comma 10, della legge
regionale  n. 37 del 1985, fornita dallo stesso legislatore regionale
con  l'art. 5, comma 3, della legge n. 17 del 1994, ha contribuito al
consolidarsi  a  livello regionale di una interpretazione omogenea ed
incontrastata  di  una  disposizione  che  altrimenti  avrebbe potuto
produrre  applicazioni  difformi. D'altra parte, a livello nazionale,
si   e'   venuta   affermando   una  soluzione  analoga  in  sede  di
interpretazione  giurisprudenziale  dell'art. 32  della legge statale
n. 47  del  1985, specie dopo l'intervento dell'Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato con la sentenza del 22 luglio 1999, n. 20.
    In   ogni   caso,   e'   estraneo  a  qualunque  possibilita'  di
giustificazione sul piano della ragionevolezza un rinnovato esercizio
del  potere di interpretazione autentica di una medesima disposizione
legislativa,  per  di  piu'  dando ad essa un significato addirittura
opposto  a  quello  che  in  precedenza  si era gia' determinato come
autentico. Nel caso di specie, in realta', emerge piu' che la ricerca
di  una  variante  di  senso  compatibile con il tenore letterale del
testo  interpretato,  la  volonta'  di  rendere retroattivamente piu'
ampia l'area di applicazione del condono edilizio (in questo senso e'
rivelatrice  la intitolazione dell'art. 17 della legge regionale n. 4
del  2003,  che  si  riferisce  al  «recupero risorse derivanti dalla
definizione   delle  pratiche  di  sanatoria  edilizia»);  oltretutto
aggirando  in  tal  modo il problema dei limiti alla derogabilita' da
parte  del  legislatore  regionale  - che pure operi in un sistema di
autonomia  speciale  -  del  corrispondente principio contenuto nella
disposizione    statale,    quale   vivente   nella   interpretazione
giurisprudenziale   e   quale   anche  successivamente  ribadito,  in
relazione   al   piu'   recente   condono   edilizio   straordinario,
dall'art. 32,  comma 27,  del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269
(Disposizioni  urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione
dell'andamento   dei   conti   pubblici),   convertito   nella  legge
24 novembre 2003, n. 326 (cfr. sentenza n. 196 del 2004).
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 17, comma 11,
della    legge   della   Regione   Siciliana 16 aprile   2003,   n. 4
(Disposizioni programmatiche e finanziarie per l'anno 2003).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2006.
                        Il Presidente: Marini
                       Il redattore: De Siervo
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria l'8 febbraio 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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