N. 46 ORDINANZA 25 gennaio - 8 febbraio 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Imposte  e  tasse  -  Agevolazioni  tributarie  - IRPEF - Trattamento
  pensionistico  privilegiato  -  Esenzione  dall'IRPEF  nel  caso di
  cumulo  con  la  pensione  ordinaria  comportante un decremento del
  reddito complessivo - Mancata previsione - Denunciata disparita' di
  trattamento  e  lesione  del  principio di capacita' contributiva -
  Questione  motivata  in modo contraddittorio, perplesso e illogico,
  descrizione insufficiente della fattispecie a quo, aberratio ictus,
  palese   erroneita'  del  presupposto  interpretativo  -  Manifesta
  inammissibilita'.
- D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34.
- Costituzione, artt. 3 e 53.
(GU n.7 del 15-2-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Annibale MARINI;
  Giudici:  Giovanni  Maria  FLICK, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 34 del decreto
del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601 (Disciplina
delle    agevolazioni    tributarie),    promosso    con    ordinanza
dell'11 ottobre  2004  dalla Commissione tributaria di primo grado di
Trento,  nella  controversia  tributaria vertente tra Attilio Murru e
l'Agenzia  delle entrate - Ufficio di Trento, iscritta al n. 1038 del
registro  ordinanze  2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 3, 1ª serie speciale, dell'anno 2005;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 14 dicembre 2005 il giudice
relatore Franco Gallo;
    Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da un maresciallo
maggiore aiutante dell'Esercito in congedo nei confronti dell'Ufficio
di   Trento   dell'Agenzia   delle   entrate  ed  avente  ad  oggetto
l'impugnazione del diniego di rimborso delle ritenute operate ai fini
dell'IRPEF  sulla  pensione  privilegiata ordinaria «militare comune»
percepita  dal contribuente, la Commissione tributaria di primo grado
di  Trento  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 53 della
Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 34
del  d.P.R.  29 settembre 1973, n. 601 (Disciplina delle agevolazioni
tributarie),  «nella parte in cui non prevede, tra le agevolazioni ai
fini  dell'imposta  sul  reddito delle persone fisiche anche le somme
corrisposte  a  titolo  di trattamento pensionistico privilegiato, in
aumento  della pensione normale, specialmente quando, per effetto del
cumulo,  le  stesse  determinano, per il beneficiario, un decremento,
anziche' un incremento di reddito»;
        che  la  Commissione  riferisce, in punto di fatto: a) che il
contribuente,  a  fronte  di  un  importo di lire 232.416 percepito a
titolo  di detta pensione privilegiata, aveva chiesto alla competente
sezione  distaccata della Direzione delle entrate il rimborso di lire
304.440,   quali   ritenute  effettuate  su  tale  pensione  ai  fini
dell'IRPEF  dal 1° ottobre 1995 al 31 gennaio 1996, ed aveva per tale
ragione  invocato  l'esenzione  dall'imposta di cui al citato art. 34
del  d.P.R.  n. 601  del 1973; b) che l'istanza di rimborso era stata
respinta  dall'Ufficio finanziario in base al rilievo che l'esenzione
era   prevista   soltanto  per  le  pensioni  privilegiate  ordinarie
cosiddette  «militari tabellari», di natura risarcitoria, e non anche
per   quelle   privilegiate   ordinarie   «militari  comuni»  di  cui
all'art. 67  del  d.P.R.  29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del
testo  unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti
civili  e  militari dello Stato), di natura pacificamente reddituale;
c)  che  lo  stesso  contribuente, nell'impugnare il provvedimento di
diniego,  aveva  chiesto,  in  via  principale,  la  dichiarazione di
esenzione   dall'IRPEF  della  pensione  privilegiata,  con  condanna
dell'Amministrazione finanziaria al rimborso delle suddette ritenute,
e,  in  subordine,  la  dichiarazione di esenzione dall'imposta degli
«assegni     connessi»     a    detta    pensione,    con    condanna
dell'Amministrazione resistente al rimborso delle ritenute effettuate
sugli  assegni  stessi  dal  1° ottobre  1995 al «31.10.1996» (recte:
31 gennaio  1996);  d)  che la resistente Agenzia delle entrate aveva
ribadito    in    giudizio    l'inapplicabilita'   alla   fattispecie
dell'invocata  esenzione  di  cui  all'art. 34  del d.P.R. n. 601 del
1973,   estesa   alla  sola  categoria  delle  pensioni  privilegiate
ordinarie   «militari   tabellari»   dalla   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 387 del 1989;
        che  il  giudice  rimettente afferma, in punto di diritto: a)
che «non par dubbio che l'assegno corrisposto al ricorrente «a titolo
di   trattamento   pensionistico  privilegiato»  [...]  abbia  natura
risarcitoria», in quanto il diritto a pensione privilegiata, ai sensi
dell'art. 64  del  citato  d.P.R.  n. 1092  del  1973,  deriva da una
lesione  o  da  una  infermita', dipendenti da causa di servizio, che
abbiano   reso  il  soggetto  inabile  alle  mansioni  proprie  della
qualifica  posseduta  ed  esercitate  alla  data  del  collocamento a
riposo,  qualunque  sia  stato il motivo formale della cessazione dal
servizio;  b)  che,  secondo  l'orientamento  della giurisprudenza di
legittimita',  «la  natura  di  pensione privilegiata dell'aumento in
questione,   tuttavia,   non   e'   sufficiente  ai  fini  della  sua
assimilazione  alle  pensioni  di guerra», esenti dall'IRPEF ai sensi
del  citato art. 34, primo comma, del d.P.R. n. 601 del 1973; c) che,
«nella  specie, l'aumento in questione e' stato concesso «a titolo di
trattamento  pensionistico  privilegiato» e non di assegno connesso a
tale  pensione»,  espressamente  esentato  dall'IRPEF  in  forza  del
medesimo  art. 34, primo comma; d) che, pertanto, «a differenza degli
assegni ad esse connessi, le pensioni privilegiate ordinarie non sono
sottratte all'imposta sul reddito delle persone fisiche»;
        che,  sulla  base  di tali premesse, il giudice a quo ritiene
che  l'esclusione  «dell'aumento in parola» dall'agevolazione fiscale
di  cui al menzionato art. 34 del d.P.R. n. 601 del 1973 comporti, in
conseguenza  del «cumulo» di tale «aumento» con gli altri redditi del
contribuente,  la  violazione degli evocati parametri costituzionali,
sotto quattro profili;
        che in primo luogo, «gia', in via di principio, il cumulo dei
redditi  in  capo al  medesimo percettore» sarebbe costituzionalmente
illegittimo,  in  quanto,  «attraverso  il  meccanismo  dell'aliquota
progressiva»,  determinerebbe «una evidente disparita' di trattamento
tra  famiglie  composte  da  piu'  percettori  di  reddito e famiglie
composte da un percettore di reddito», minando percio', «all'interno,
specialmente,  dei  nuclei  familiari  il  principio  di  eguaglianza
sostanziale»;
        che,   in  secondo  luogo,  il  suddetto  «aumento»  potrebbe
trasformarsi,  per  effetto del cumulo e dell'aliquota di imposta sui
redditi  cumulati,  in  uno  strumento  di decremento del reddito del
contribuente,  «come,  nella  specie, sembra essere avvenuto, laddove
(come  deduce  il  ricorrente) a fronte di un riconosciuto e concesso
incremento della pensione di L. 232.416, l'importo sottratto a titolo
di IRPEF e' stato di L. 304.440»;
        che,  in  terzo  luogo,  «detto  cumulo»  contrasterebbe  con
l'art. 53   Cost.,   in  quanto  nella  «previsione  della  capacita'
contributiva»   non   potrebbero  «farsi  rientrare  somme  (peraltro
generalmente   modeste),  riconosciute  e  corrisposte  a  titolo  di
infermita'  subite  dal contribuente nell'espletamento di un servizio
reso  a  vantaggio  della collettivita' (qual e' il servizio militare
anche  se  non  di  leva) ed inidonee persino a compensare le perdite
che,  sia  pure  a livello di mera potenzialita', il titolare avrebbe
potuto conseguire in difetto delle subite infermita»;
        che,  infine, «il cumulo in parola» violerebbe anche l'art. 3
Cost.,  perche',  con riferimento al primo comma, determinerebbe «una
disparita'   di   trattamento  rispetto  a  quanti,  non  affetti  da
infermita'  ed  essendo  percettori  di  piu'  redditi, si trovino in
situazioni  diverse  rispetto  a  quella  in  cui  versa  il soggetto
infermo»,   e   perche',  con  riferimento  al  secondo  comma,  tale
disparita'  di  trattamento  si  tradurrebbe  in  un  «decremento  di
reddito»  ostativo  al  «pieno  sviluppo  della  persona umana» ed in
contrasto  «con la riconosciuta necessita» di incrementare il reddito
medesimo;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  una  pronuncia  di inammissibilita' o di manifesta
infondatezza della questione sollevata;
        che,   quanto   all'eccepita  inammissibilita',  l'Avvocatura
erariale  rileva  che  la fattispecie sarebbe stata descritta in modo
lacunoso  dal  giudice  a  quo,  il  quale, pur denunziando l'effetto
negativo    del   «cumulo»   degli   emolumenti   determinato   dalla
progressivita'  dell'IRPEF, non spiegherebbe se e come la fattispecie
al suo esame integri un'ipotesi di cumulo di redditi e si limiterebbe
ad  esporre  «esclusivamente  la differenza negativa tra l'incremento
della   pensione   e   l'importo   dell'IRPEF   relativa  al  periodo
considerato»,  omettendo  di  indicare gli elementi di fatto decisivi
per  stabilire  se,  nella  specie,  siano state applicate differenti
aliquote d'imposta per scaglioni di reddito diversi;
        che,  sempre  quanto all'inammissibilita' della questione, la
difesa  dello  Stato  osserva,  altresi',  che  i  lamentati  effetti
decrementativi  del  reddito conseguenti a detto cumulo non sarebbero
ne'  sufficientemente  illustrati, ne' tanto meno dimostrati, perche'
il  rimettente,  da  un  lato,  avrebbe  motivato  sul  punto in modo
perplesso  ed  in base alle sole deduzioni della parte privata, senza
procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze processuali e,
dall'altro,  non  avrebbe  considerato che l'affermato decremento del
reddito  complessivo  del  contribuente  -  per effetto dell'«aumento
della   pensione»  -  sarebbe  escluso  in  radice  dalla  «forma  di
progressivita'  [...] per scaglioni», in quanto l'aliquota IRPEF piu'
elevata,  corrispondente  allo  scaglione  di  reddito  superiore, si
applicherebbe  «esclusivamente alla quota di reddito rientrante nello
scaglione»   stesso   e   non   inciderebbe,   percio',  sul  reddito
complessivo;
        che inoltre, ad avviso dell'Avvocatura erariale, la sollevata
questione   sarebbe   inammissibile,   perche'  i  lamentati  effetti
incostituzionali  del  suddetto  cumulo deriverebbero non dalla norma
censurata,  ma semmai dall'applicazione del non censurato art. 11 del
d.P.R.  22 dicembre  1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle
imposte sui redditi), relativo alla determinazione dell'IRPEF;
        che,  per  la  difesa  dello  Stato, l'inammissibilita' della
questione  deriverebbe  anche dal fatto che la censura concernente la
dedotta  disparita'  di  trattamento tra le famiglie monoreddito e le
altre,  nonche'  tra  percettori  di  reddito  infermi  e non infermi
sarebbe  insufficientemente  argomentata  e, comunque, prospettata in
modo   astratto,  non  avendo  il  giudice  a  quo  precisato  se  il
contribuente  sia  inserito in un nucleo familiare e, in tal caso, se
sia l'unico percettore di reddito;
        che,  infine,  sempre in punto di inammissibilita', la difesa
erariale  deduce  che  la pronuncia additiva richiesta dal rimettente
non  sarebbe  costituzionalmente  necessitata,  comportando invece la
scelta  tra  una  pluralita'  di  soluzioni e, quindi, valutazioni di
opportunita' riservate alla discrezionalita' del legislatore;
        che,  quanto al merito della questione, l'Avvocatura generale
dello Stato, con riferimento alla dedotta violazione del principio di
capacita'   contributiva,   richiama   la   costante   giurisprudenza
costituzionale  e  di  legittimita'  circa la natura reddituale e non
risarcitoria della pensione privilegiata ordinaria e, con riferimento
al   denunciato  contrasto  con  l'art. 3,  primo  comma,  Cost.  del
trattamento  fiscale  complessivamente  piu'  oneroso  derivante  dal
«cumulo» dei redditi a carico delle famiglie monoreddito, richiama la
sentenza  n. 358  del  1995  della  Corte  costituzionale - cui si e'
costantemente conformata la Corte di cassazione - che ha gia' escluso
la fondatezza di tale dubbio di incostituzionalita';
        che, sempre ad avviso della difesa erariale, anche la censura
relativa  alla  violazione  dell'art. 3, secondo comma, Cost. sarebbe
palesemente   infondata,   sia   perche'  la  stessa  previsione  del
trattamento   pensionistico   privilegiato   si  inserirebbe  in  una
prospettiva  di  attuazione del principio di eguaglianza sostanziale,
sia  perche'  gli  effetti  fiscali  di detto trattamento sul reddito
complessivo  del  contribuente  troverebbero una specifica disciplina
costituzionale  di  riferimento  nell'art. 53  Cost.,  laddove questo
sancisce   la  generalita'  dell'obbligo  di  concorrere  alle  spese
pubbliche.
    Considerato  che  la  Commissione  tributaria  di  primo grado di
Trento  dubita,  in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione,
della  legittimita' dell'art. 34 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601
(Disciplina  delle  agevolazioni tributarie), «nella parte in cui non
prevede,  tra  le agevolazioni ai fini dell'imposta sul reddito delle
persone  fisiche  anche  le somme corrisposte a titolo di trattamento
pensionistico   privilegiato,  in  aumento  della  pensione  normale,
specialmente  quando,  per effetto del cumulo, le stesse determinano,
per  il  beneficiario,  un  decremento,  anziche'  un  incremento  di
reddito»;
        che la Commissione, nel sollevare la questione, riferisce che
il  contribuente,  militare  in  congedo  -  sulla  premessa  di aver
percepito  la somma di lire 232.416 a titolo di pensione privilegiata
ordinaria  nel  periodo  dal  1° ottobre 1995 al 31 gennaio 1996 e di
aver  subito  nel medesimo periodo ritenute su detta pensione ai fini
dell'IRPEF  pari  a  lire  304.440  -  ha chiesto, in via principale,
previa  dichiarazione  di  esenzione  dall'IRPEF di detto trattamento
pensionistico,  il  rimborso  delle  ritenute e, in subordine, previa
dichiarazione  di esenzione dall'imposta degli «assegni connessi alla
pensione privilegiata», il rimborso delle ritenute effettuate su tali
assegni;
        che,  per  il  rimettente,  «le somme corrisposte a titolo di
trattamento  pensionistico  privilegiato,  in  aumento della pensione
normale»,   non   costituiscono   «assegni  connessi»  alla  pensione
privilegiata  ordinaria  e quindi, a differenza di questi ultimi, non
possono  ritenersi  esenti  dall'imposta  sul  reddito  delle persone
fisiche in forza del censurato art. 34 del d.P.R. n. 601 del 1973;
        che, secondo il giudice a quo, la fattispecie e' disciplinata
dall'art. 67,  quarto  comma,  del  d.P.R.  29 dicembre 1973, n. 1092
(Approvazione   del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento  di
quiescenza  dei  dipendenti civili e militari dello Stato), il quale,
nel  determinare  la  misura della pensione privilegiata spettante ai
militari   con  anzianita'  di  almeno  quindici  anni  di  servizio,
stabilisce  che tale pensione «e' liquidata nella misura prevista per
la pensione normale aumentata di un decimo»;
        che  lo  stesso  rimettente riconduce le «somme corrisposte a
titolo  di  trattamento  pensionistico privilegiato, in aumento della
pensione  normale»,  a  quelle costituite dall'«aumento di un decimo»
della  pensione normale, previsto da detto art. 67, quarto comma, del
d.P.R. n. 1092 del 1973;
        che, ad avviso del giudice a quo, l'omessa inclusione di tale
aumento  tra le ipotesi di esenzione dall'IRPEF, di cui al menzionato
art. 34   del   d.P.R.   n. 601  del  1973,  violerebbe  i  parametri
costituzionali  evocati,  nel  caso  in  cui  l'aumento  stesso - per
effetto  del cumulo con gli altri redditi del contribuente e, quindi,
dell'applicazione  di  una  maggiore  aliquota di imposta sui redditi
cumulati  -  determini un decremento del reddito complessivo, come si
sarebbe   verificato   nella   specie   secondo  quanto  dedotto  dal
contribuente medesimo;
        che  la  Commissione  rimettente  afferma,  altresi',  che il
cumulo  dei redditi ai fini dell'IRPEF in capo al medesimo percettore
determinerebbe  la lesione del principio di uguaglianza, in quanto, a
causa  dell'aliquota  progressiva dell'imposta, si verificherebbe una
disparita'   di  trattamento  tra  famiglie  monoreddito  e  famiglie
«composte  da  piu' percettori di reddito», nonche' tra percettori di
piu'  redditi,  a  seconda  che  siano  affetti  o  no  da infermita'
dipendenti da fatti di servizio;
        che  detto  cumulo  violerebbe,  altresi',  il  principio  di
capacita'  contributiva,  in  ragione  della  esiguita'  della  somma
percepita  a  titolo di aumento di un decimo della pensione normale e
della  inidoneita'  di  tale somma a compensare le perdite subite per
infermita'   dipendenti   da  un  servizio  reso  a  vantaggio  della
collettivita';
        che    la    sollevata    questione   appare   manifestamente
inammissibile, per diversi e concorrenti motivi;
        che   il   giudice   a  quo  argomenta  le  censure  in  modo
contraddittorio,   perche'  nega  natura  reddituale  all'aumento  in
questione («non par dubbio che l'assegno corrisposto al ricorrente «a
titolo  di trattamento pensionistico privilegiato» [...] abbia natura
risarcitoria»),  con  la  conseguente  sua  non cumulabilita' ai fini
fiscali  con gli altri redditi del contribuente, e contemporaneamente
afferma detta natura, denunciando l'illegittimita' costituzionale del
«cumulo»  del  reddito  costituito  dall'aumento  di  un decimo della
pensione normale con altri redditi;
        che,  inoltre, la questione e' prospettata in modo perplesso,
perche'  i  denunciati effetti di «decremento del reddito», derivanti
dall'applicazione   di   un'aliquota   d'imposta   progressiva,  sono
affermati  dal rimettente in base non gia' ad un'autonoma valutazione
delle   risultanze   processuali,   ma   alle   sole   deduzioni  del
contribuente,  riportate  oltretutto in modo dubitativo («cosi' come,
nella   specie,   sembra   essere   avvenuto  [...]  come  deduce  il
ricorrente»);
        che   l'ordinanza  risulta  poi  motivata  in  modo  illogico
perche',  nel  censurare  il  «cumulo dei redditi in capo al medesimo
percettore»,  adduce,  a  dimostrazione  della dedotta illegittimita'
costituzionale,  ipotesi  non  correlabili  con  quella  censurata in
quanto  concernenti  la  disparita'  di  trattamento non tra soggetti
percettori  di  piu'  redditi  cumulati, ma tra «famiglie composte da
piu'  percettori di reddito e famiglie composte da un solo percettore
di reddito»;
        che  nell'ordinanza  di  rimessione  la  fattispecie  risulta
descritta  anche  in  modo  insufficiente,  perche'  il giudice a quo
omette  di indicare elementi decisivi ai fini del controllo di questa
Corte  sulla rilevanza della questione (qualita' e misura dei redditi
che   sarebbero   oggetto   di   cumulo,   reddito   complessivo  del
contribuente,  scaglioni  di reddito e relative aliquote applicabili,
calcolo dell'asserito decremento);
        che,  infine, il rimettente incorre in una evidente aberratio
ictus,  perche'  non  considera che i denunciati effetti negativi del
cumulo  dell'«aumento  della  pensione normale» con gli altri redditi
del   contribuente   non   deriverebbero  dalla  censurata  norma  di
agevolazione di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 601 del 1973, ma semmai
dall'applicazione  delle  norme previste dal d.P.R. 22 dicembre 1986,
n. 917  (Approvazione  del testo unico delle imposte sui redditi), in
tema di cumulo dei redditi ai fini dell'IRPEF;
        che,  pertanto,  la  sollevata  questione  e'  manifestamente
inammissibile per tutti i motivi sopra indicati; e cio' a prescindere
dalla  pure  palese  erroneita' del presupposto interpretativo da cui
muove  la  Commissione  rimettente,  la quale ritiene che il suddetto
«aumento»  costituisce  un  reddito  autonomo  rispetto alla pensione
normale,  cumulabile  con  questa  e  con tutti gli altri redditi del
contribuente,  senza  considerare  che  esso,  ai  sensi  del  citato
art. 67,  quarto  comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, e' invece privo
di  autonomo  rilievo reddituale, concorrendo a determinare l'importo
complessivo   della   pensione   privilegiata   militare   ordinaria,
sostitutiva  della  pensione  normale  (v., in tal senso, la sentenza
n. 151 del 1981).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 34  del  d.P.R.  29 settembre
1973,  n. 601  (Disciplina delle agevolazioni tributarie), sollevata,
in   riferimento   agli   artt. 3  e  53  della  Costituzione,  dalla
Commissione  tributaria  di  primo  grado  di  Trento con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2006.
                        Il Presidente: Marini
                         Il redattore: Gallo
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria l'8 febbraio 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
06c0102