N. 53 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 dicembre 2005

Ordinanza  emessa  il  27  dicembre  2005  dal tribunale di parma nel
procedimento  civile  vertente tra Parmalat S.p.a. in amministrazione
straordinaria  ed altra contro Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a.
ed altri 20

Amministrazione  straordinaria  delle  grandi  imprese  in  stato  di
  insolvenza - Imprese insolventi ammesse alla procedura in base alla
  c.d.  «legge  Marzano»  (d.l. n. 347/2003, convertito con modifiche
  nella  legge  n. 39/2004)  -  Esercizio delle azioni revocatorie da
  parte  del  Commissario  straordinario  -  Proponibilita' anche nel
  corso  e  per  la  realizzazione  del programma di ristrutturazione
  dell'impresa   -   Lesione   dei   principi  di  eguaglianza  e  di
  ragionevolezza  - Ingiustificata deroga al regime della c.d. «legge
  Prodi  bis»  (d.lgs.  n. 270/1999),  che  esclude l'esercizio delle
  revocatorie  nella fase di risanamento dell'impresa - Irragionevole
  disparita'   di   trattamento   fra  terzi  destinatari  di  azioni
  revocatorie  -  Contrasto  con il principio di libera concorrenza -
  Discriminazione fra le imprese operanti nel mercato - Irragionevole
  possibilita'  di  forme  di  finanziamento  forzoso  a favore delle
  imprese in crisi.
- Decreto-legge    23 dicembre    2003,   n. 347,   convertito,   con
  modificazioni,  nella legge 18 febbraio 2004, n. 39 (modificato dal
  decreto-legge  3 maggio  2004, n. 119, convertito con modificazioni
  nella  legge 5 luglio 2004, n. 166, e dal decreto-legge 28 febbraio
  2005,  n. 22,  convertito  con  modificazioni nella legge 29 aprile
  2005, n. 71), art. 6.
- Costituzione,  artt. 3  e  41;  decreto  legislativo 8 luglio 1999,
  n. 270, artt. 49 e 91.
(GU n.8 del 22-2-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  proc.  n. 1760/2005  R.G.,  proposto  da Parmalat S.p.a., in
amministrazione    straordinaria,    in   persona   del   Commissario
straordinario  dott.  Enrico  Bondi,  attrice,  con  gli  avvocati E.
Bernardi e M. Scartazza;
    Contro  Banca  Monte  dei Paschi di Siena S.p.a. con gli avvocati
prof.  L.  Stanghellini e A.M. Piazza; Banca delle Marche S.p.a., con
gli  avvocati  prof.  E.  Ginevra e R. Menoni; Banca Popolare di Lodi
s.c.ar.l.,  con  gli  avvocati  G. Iannacone e G. Maghenzani Taverna;
Banca  popolare  del Lazio s.c.ar.l., con gli avvocati R. Allegrucci,
C.   Cardillo  e  M.  Ferrari;  Banca  popolare  dell'Emilia  Romagna
s.c.ar.l.,  con  gli  avvocati  prof.  S.  Bonfatti e F. Ferri; Banca
Toscana S.p.a., con gli avvocati prof. L. Stanghellini e A.M. Piazza,
Banco  di Sardegna S.p.a., con gli avvocati M. Lori e F. Ferri; Bipop
-  Carire  S.p.a.,  con  gli  avvocati  prof.  P.  Schlesinger  e  A.
Cremonini,  Cariprato  -  Cassa di Risparmio di Prato S.p.a., con gli
avvocati  U.  Maggio e G. Traversa; Cassa di Risparmio di Alessandria
S.p.a.,  con  gli  avvocati  prof. V. Mariconda e M. Piazza, Cassa di
risparmio di Padova e Rovigo S.p.a, con gli avvocati M. Cavestro e G.
Bertora; Cassa di Risparmio di Savona (Carisa) S.p.a., con l'avvocato
D.  De  Michele;  CommerzBank  Ag,  con  gli  avvocati O. Schmidt, S.
Giunchino  e  U.  Serra;  Credito Siciliano S.p.a., con avv. prof. A.
Mora;  Finecogroup  S.p.a.,  Monte  dei  Paschi  di Siena - Banca per
l'impresa  S.p.a.,  con  gli  avvocati  prof. L. Stanghellini e A. M.
Piazza; UniCredit Banca d'Impresa S.p.a., UniCredito Italiano S.p.a.,
UniCredit  Banca  -  Credito  Italiano  S.p.a.,  UniCredito  gestione
Crediti  S.p.a.,  Banca per la Gestione dei Crediti, con gli avvocati
P. Dalmartello, D. Discepolo, P. Bazini e L. Bazini; con l'intervento
di Parmalat S.p.a., con gli avvocati E. Bernardi e M. Scartazza;
    Letti gli atti ed a scioglimento della riserva;
    Ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, ha pronunciato
la seguente ordinanza:

                              F a t t o

    Con  atto  di  citazione  ritualmente notificato, Parmalat S.p.a.
esponeva che, con decreto del Ministro delle attivita' produttive del
24   dicembre   2003,   era  stata  assoggettata  alla  procedura  di
Amministrazione   straordinaria  ex  d.l.  n. 347/2003  (conv.  nella
legge n.  39/2004)  e d.lgs. n. 270/1999; che con sentenza depositata
il   27   dicembre   2003,  l'intestato  tribunale  aveva  dichiarato
l'insolvenza  della  societa' attrice, con estensione della procedura
concorsuale  a  Parmalat Finanziaria S.p.a. ed a quasi tutte le altre
societa' riconducibili alla famiglia Tanzi; che, nel dicembre 1998 la
societa'  aveva  simulato,  con  un  pool  di Banche - capofila Monte
Paschi  Siena S.p.a. - ciascuna partecipante per la propria quota, un
contratto  di finanziamento per un ammontare complessivo di (vecchie)
L. 140.000.000.000, concordando un piano di restituzione che, in base
ad  un  calendario,  avrebbe  penato  al rimborso dell'intera somma e
degli interessi entro i successivi cinque anni.
    I  rimborsi  alle  varie  scadenze  venivano  effettuati mediante
ordini  di  bonifico  impartiti  alla  capofila,  che li eseguiva con
addebito  dei  corrispondenti  importi  sul  conto corrente ordinario
n. 15780.17;  instava,  quindi,  per  ottenere  la  revocatoria  - ex
art. 67,  secondo  comma  l.f.  -  dei pagamenti eseguiti a titolo di
rimborso  di  finanziamento,  per  quota  capitale  ed interessi, nel
periodo «sospetto».
    Costituitesi  ritualmente in giudizio, le banche convenute, prima
di  scendere  all'esame  del merito, con riferimento all'elemento sia
soggettivo che oggettivo della azione revocatoria, hanno sollevato le
eccezioni  pregiudiziali  di  incostituzionalita'  e incompatibilita'
dell'art. 6  cit.,  legge  39 (c.d. Marzano), rispettivamente con gli
artt. 3  e  41  della  Costituzione  e  con i principi di concorrenza
sanciti dagli articoli 3, 10, 82, 87 e 88 del Trattato CE.
    Cio'  posto  quanto  alla  natura delle difese rassegnate in atti
dalle  parti,  in diritto questo giudice ribadisce quanto evidenziato
in una predente ordinanza

                            D i r i t t o


                      Rilevanza della questione

    La  rilevanza  della  questione di legittimita' costituzionale e'
insita  nella  proposizione dell'azione revocatoria ex art. 67, legge
fall.  richiamato  dall'art. 49  del  d.lgs.  270  pur in presenza di
autorizzazione  all'esecuzione  del  programma  di  ristrutturazione,
possibilita'  concessa,  appunto, dall'art. 6, d.l. 23 dicembre 2003,
n. 347,  conv.  con  mod.  in  legge 18 febbraio 2004, n. 39, e succ.
modd.,  azione  altrimenti  non proponibile, come meglio si vedra' in
seguito.
    In  particolare, la parte attrice evidenziato che il programma di
ristrutturazione   adottato   dal   «gruppo»   Parmalat   prevede  la
soddisfazione  dei  creditori attraverso un concordato con assunzione
delle  attivita'  da  parte  di societa' costituita dal Commissario e
destinata ad essere totalmente partecipata dai creditori concorrenti,
ha  concluso chiedendo al tribunale, nel merito, di revocare ai sensi
e per gli effetti di cui all'art. 67, comma 2, legge fallimentare, il
pagamento  e  seguito  da  Parmalat  S.p.a.  a  titolo di rimborso di
finanziamento  a  ciascuno  degli  istituti  convenuti; per l'effetto
dichiarare  tenuta  e  condannare  ciascuna  convenuta  a pagare alla
procedura  di  Amministrazione straordinaria di Parmalat S.p.a. e per
essa   al   suo   Commissario  straordinario,  l'importo  ricostruito
contabilmente  o  che  sara' ritenuto di giustizia, oltre interessi e
maggior danno dalla domanda al saldo.

                     Non manifesta infondatezza

    1.  -  Dedotta  incostituzionalita'  dell'art. 6  cit.  legge per
contrarieta' ai principi di cui all'art. 3 Cost.
    La  Corte  costituzionale  ha,  in piu' occasioni, sancito che il
principio   di   eguaglianza   inibisce  al  legislatore  di  operare
arbitrarie  discriminazioni  fra  soggetti  in situazioni identiche o
affini;   il   giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  ai  sensi
dell'art. 3  Cost.  ha,  pertanto, ad oggetto la ragionevolezza delle
classificazioni legislative.
    Onde  valutare  il  rispetto  del  principio  di  uguaglianza, e'
fondamentale  l'esatta  identificazione  degli interessi sottesi alle
norme messe a raffronto: se coinvolgono interessi omogenei per essere
gli  stessi  partecipi di fattispecie identiche/analoghe, assicurando
una  tutela  da  diversa  intensita'  (senza  che esista un ulteriore
interesse    tutelando,    atto    a   giustificare   l'opzione   per
l'apprestamento  di  due  diversi  regimi),  la  norma  che tutela in
maniera  diversa  gli  interessi comuni ad entrambe, dovra' reputarsi
irragionevole   e   contraria   al  precetto  costituzionale  di  cui
all'art. 3  cit.;  laddove,  invece,  gli interessi sottesi non siano
omogenei,  dovra'  considerarsi  irragionevole una disciplina di tipo
analogo,  che  non tenga conto delle disuguaglianze fra le situazioni
di fatto disciplinate.
    La  giurisprudenza  costituzionale  ha,  piu'  volte,  dichiarato
l'illegittimita'  di  norme  di  legge per violazione del solo art. 3
Cost., senza la necessita' di rilevarne il conflitto con altri valori
costituzionali (cosi', ad es., le sentenze n. 260 del 23 luglio 1997,
n. 162  del  28  maggio  2001, n. 254 del 20 giugno 2002), in ragione
dell'evidente  rilevanza  assegnata  al principio di «ragionevolezza»
nel   senso   indicato,   quale   parametro  fondativo  del  precetto
costituzionale di eguaglianza.
    Nell'ipotesi  in  esame, vanno messi a raffronto gli articoli 6 e
4-bis  del  d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in legge 18
febbraio 2004, n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119,
conv.  con mod. in legge 5 luglio 2004, n. 166 e dal d.l. 28 febbraio
2005,  n. 22,  conv.  con  mod. in legge 29 aprile 2005, n. 71, e gli
artt. 49  e  78  del  d.lgs.  8 luglio 1999, n. 270 (c.d. legge Prodi
bis).
    Entrambi i provvedimenti regolano la procedura di amministrazione
straordinaria,  applicabile  alle  imprese  di  grandi dimensioni che
versino  in  stato  di  insolvenza  perseguendone la ristrutturazione
economica   e   finanziaria,   a  salvaguardia  degli  interessi  dei
lavoratori e dei fornitori, oltre che dei creditori; si differenziano
nelle   sole  fasi  di  ingresso  e  nei  requisiti  dimensionali  di
ammissione alla procedura (cfr. artt. 1, d.l. n. 347/2003 e 2, d.lgs.
n. 270/1999  citt.), in termini di personale ed ammontare dei debiti,
senza   che  a  tali  differenze  possa  assegnarsi  il  rango  della
ragionevolezza   costituzionalmente   necessario   a  preservarne  il
sindacato sotto il profilo indicato.
    In particolare, come osservato dalla unanime dottrina, comparando
i  richiamati  presupposti,  si  ricava  che  in  tutti i casi in cui
risulta  applicabile  la legge Marzano e' sempre applicabile anche la
legge  Prodi  bis,  e  l'opzione per l'una o per l'altra procedura e'
rimessa,  dal  legislatore  interamente  alla  impresa insolvente, la
quale   manifesti  l'intenzione  di  «avvalersi  della  procedura  di
ristrutturazione  economica  e  finanziaria  di  cui all'articolo 27,
comma 2,  lettera  b) del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270»:
in  altri  termini,  la  legge  Marzano  rimette  alla  sola  impresa
insolvente  l'iniziativa  d'apertura della procedura, nell'intento di
salvaguardare  e  perseguire con immediatezza quello stesso programma
di  ristrutturazione  economica e finanziaria, cui la legge Prodi bis
da'  ingresso  solo in esito alla fase di valutazione delle «concrete
prospettive  di  recupero  dell'equilibrio  economico delle attivita'
imprenditoriali» di cui all'artt. 27-30 delle citata legge.
    Il  richiamo  alla  legge  Prodi  bis rende pertanto evidenti gli
estremi  di  stretta  continuita'  esistenti  con  la  legge Marzano,
ponendosi  questa  come opzione ulteriore dell'impresa irisolvente il
cui  mancato  esercizio  da  parte  del  debitore non preclude il suo
assoggettamento  alla  procedura regolata dai d.lgs. n. 270/1999, con
il  perseguimento  - secondo il diverso snodo procedurale ricordato -
della  medesima  finalita'  anale  indicata  dall'art. 1 della citata
legge,  nella  «ristrutturazione  economica  e finanziaria previsto e
disciplinato dall'art. 27, secondo comma lett. b).
    Al   riguardo,  va  osservato  come  le  innovazioni  legislative
introdotte  dal  d.l.  347  (e  succ.modd.)  tendono  a dare maggiore
celerita'   alla  fase  di  ammissione  dell'impresa  alla  procedura
(art. 2,   Ammissione  immediata  all'amministrazione  straordinaria)
senza,  peraltro,  alterare  sostanzialmerne  i  caratteri funzionali
della  procedura, che restano pur sempre comuni alla legge Prodi bis,
quale  normativa  generale  di  riferimento  cui  la legge Marzano fa
espresso rinvio.
    Cio'  posto  in  via  di  analisi del tessuto normativo in esame,
venendo   all'oggetto  del  presente  giudizio,  entrambi  i  sistemi
normativi  prevedono la possibilita' di esperire l'azione revocatoria
di  cui all'art. 67 l.f., ma in forza delle ricorrenza di estremi fra
loro non serenamente conciliabili.
    In  argomento,  e'  noto  il dibattito giurisprudenziale apertosi
dopo l'emanazione della legge n. 95/1979 (c.d. legge Prodi), sfociato
in  una  ferma  posizione assunta dalla suprema Corte sul punto (cfr.
l'arresto  27 dicembre 1996, n. 11519), che indusse se il legislatore
alla  sostituzione  del  regime  istituito  con la legge del 1979 con
quello della c.d. Prodi bis, escludendo espressamente la possibilita'
per  il  commissario  straordinario di proporre le azioni revocatorie
fallimentari nel corso della fase di risanamento dell'impresa.
    L'art. 49,  comma 1, d.lgs. n. 270/1999, prevede infatti che: «Le
azioni  per  la  dichiarazione  di inefficacia e la revoca degli atti
pregiudizievoli   ai  creditori  previste  dalle  disposizioni  della
sezione  III  del  capo  III  del  titolo II della legge fallimentare
possono  essere proposte dal commissario straordinario soltanto se e'
stata  autorizzata  l'esecuzione  di  un  programma  di  cessione dei
complessi aziendali».
    Detta   previsione   normativa  ha  reso  il  nostro  ordinamento
nuovamente   in   linea   con  le  finalita'  connaturate  all'azione
revocatoria  fallimentare,  la  quale mira, appunto, a ricostruire il
patrimonio  dell'imprenditore (secondo la teoria indennitaria) ovvero
a   ripartire   la   perdita   derivante   dall'insolverza   tra  una
collettivita'  di  creditori piu' ampia rispetto ai soli soggetti che
si  trovano  ad  essere tali al momento dell'apertura della procedura
(teoria    anti-indennitaria);    duplice,   dunque,   la   funzione:
recuperatoria  e  ridistributiva,  inconciliabile  con  procedure non
finalizzate alla liquidazione bensi' alla conservazione dell'impresa,
nelle  quali  in  pendenza di risanamento, non vi e' un patrimonio da
ripartire tra i creditori, ne' una perdita da ridistribuire.
    L'art. 6  cit.  dispone  che  «il  commissario straordinario puo'
proporre  le azioni revocatorie previste dall'art. 49 e 91 del d.lgs.
n. 270  anche nel caso di autorizzazione all'esecuzione del programma
di  ristrutturazione,  purche'  si  traducano  in  un vantaggio per i
creditori».
    Ci  si trova di fronte ad una rinnovata estensione dell'ambito di
applicazione  dell'azione  revocatoria  fallimentare,  prevedendo  la
possibilita',  per  il commissario straordinario, di esperirla in una
procedura  finalizzata  alla  ristrutturazione  ed alla conservazione
dell'impresa  (come  palesato  dagli  artt. 1, d.l. n. 347 e 4, legge
n. 39/2004),  interrompendo  cosi'  immotivatamente  quel  legame  di
continuita'  prima evidenziato tra finalita' concretamente perseguite
dalla procedura e strumenti alla stessa connessi.
    Quanto  precede  comporta,  a  parere  di  chi  giudica,  la  non
manifesta    infondatezza    dei   profili   di   incostituzionalita'
dell'art. 6,  d.l.  n. 347,  come  modificato,  con  riferimento alla
previsione  di  cui  all'art. 49,  Legge  Prodi  bis,  rapportato  al
principio    di   uguaglianza   di   cui   all'art. 3   della   Carta
costituzionale:  ed in particolare, il legislatore del 1999, operando
un  bilanciamento degli interessi coinvolti nel dissesto della grande
impresa,  ne  aveva  limitato  l'esperibilita'  al  solo programma di
liquidazione  dell'impresa,  attuato  dagli  organi  della procedura,
espressamente  escludendola  per  il  programma  di ristrutturazione,
ritenendo  che il sacrificio patrimoniale dei terzi fosse ammissibile
soltanto  in vista del interesse - ritenuto meritevole dell'ordinaria
tutela  concorsuale  - alla ripartizione fra tutti i creditori (anche
quelli  divenuti  tali  in  seguito  alla  revoca  dei pagamenti) del
patrimonio del debitore insolvente, secondo le regole stabilite dalla
legge a tutela della par condicio creditorum. Rendendo ammissibile la
revocatoria  anche  durante  la  fase  di  risanamento  dell'impresa,
l'art. 6  della  legge  Marzano  ha ampliato il sacrificio dei terzi,
ribaltando  la  scelta  consapevolmente  operata  con l'art. 49 della
legge Prodi bis.
    Cio' appare privo di giustificazione se valutato alla stregua del
canone   di   ragionevolezza  costituzionale  sopra  evidenziato:  la
revocatoria  di  cui  all'art. 49  e  quella di cui all'art. 6, per i
motivi  esposti,  si collocano all'interno di procedure disciplinanti
fenomeni  analoghi,  coinvolgono  interessi  omogenei e perseguono il
medesimo obiettivo, cioe' il recupero dell'equilibrio economico delle
attivita'  imprenditoriali  mediante  «prosecuzione,  riattivazione o
riconversione»  (art.  1,  d.lgs.  n. 270/1999), per il tramite di un
programma  di  ristrutturazione  senza  che  sia  dato comprendere le
ragioni   del   superamento   di  quanto  cosi'  recisamente  escluso
dall'art. 49 del cit. d.lgs. n. 270.
    La  stessa  Corte  costituzionale,  nel  dichiarare  infondata la
questione  di  legittimita'  dell'art. 67  l.f.,  in riferimento agli
art. 3,  24,  47  Cost.  nella  parte in cui assoggetta a revocatoria
anche i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati con mezzi
normali  dal  debitore  nel  periodo  c.d. sospetto, ha espressamente
affermato   che,   con  detta  azione  il  principio  generale  della
stabilita'  dei  diritti (con cio' intendendo l'interesse dei terzi a
non  subire la revoca dei pagamenti ricevuti) subisce una deroga solo
al  fine di «... tutelare le ragioni del concorso tra i creditori ...
il  legislatore  ha  costruito  l'azione revocatoria fallimentare per
contemperare  l'interesse  dei  creditori di recuperare al patrimonio
del  fallito  la maggiore quantita' di beni, in vista dell'esecuzione
concorsuale,   con   quello  al  normale  svolgimento  dell'attivita'
economica ed alla stabilita' dei diritti» (cfr. Corte cost. 27 luglio
2000, n. 379).
    L'irragionevolezza  della  disparita' di trattamento riservata ai
terzi  destinatari  dall'azione revocatoria esperita ex art. 6, legge
in   esame  risulta,  infine,  amplificata,  ove  si  consideri  come
l'opzione  a  favore  della «Marzano» sia sostanzialmente rimessa dal
legislatore  all'unilaterale  iniziativa  dell'impresa insolvente, la
quale potrebbe essere opportunisticamente motivata dalle possibilita'
di  eterofinanziamento  insito  nell'esercizio di azioni revocatorie;
altrimenti precluse dal regime ordinario previsto dal citato art. 49.
    La   distorta   finalita'   attribuita   all'azione   revocatoria
nell'ambito   della   legge  Marzano  non  puo'  dirsi  lenita  dalla
condizione   posta   al   suo   esercizio   (nella   versione  finale
faticosamente  raggiunta  dal  legislatore  dopo  due  interventi  di
modifica): subordinare l'esercizio al fatto che le azioni revocatorie
si  traducano  in un vantaggio per i creditori risulta in realta' del
tutto  pleonastico,  posto  che,  come  confermato  anche dalla Corte
costituzionale  nella  sentenza  citata,  l'interesse  dei  creditori
costituisce  l'unico  ed  esclusivo bene giuridico alla cui tutela e'
preordinato  l'istituto dell'azione revocatoria fallimentare, ragione
in  se'  della  norma e non finalita' da rimettere all'esito volubile
della verifica da operarsi concretamente nel singolo caso.
    Ne'  la  non manifesta infondatezza della previsione normativa in
esame risulta lenita dalle considerazioni espresse dalla difesa della
procedura  attrice,  per la quale l'azione revocatoria prevista dalla
legge  sarebbe  incompatibile  con  la  finalita'  di  prosecuzione e
risanamento  dell'attivita' d'impresa, qualora il risanamento andasse
a   beneficio   dell'imprenditore   insolvente  (Parmalat  S.p.a.  in
amministrazione  straordinaria,  odierna  attrice) - c.d. risanamento
soggettivo;  diverrebbe  compatibile,  qualora  l'attivita' d'impresa
venisse  ceduta,  anche mediante patto di concordato, a d un soggetto
terzo  (l'assuntore  o la «nuova» Parmalat S.p.a.) - c.d. risanamento
oggettivo,  in  quanto  il regime di ragionevolezza non andrebbe piu'
vagliato  con  l'art. 49,  comma  1,  legge  Prodi  bis,  bensi'  con
l'art. 124,  comma  2, l.f. In particolare, assume la difesa di parte
attrice  come dovrebbe nell'ipotesi in esame operarsi una distinzione
fra risanamento oggettivo e soggettivo, in quanto la ristrutturazione
di cui all'art. 27, comma 2, lett. b del d.lgs. n. 270/1999 va sempre
a  vantaggio  dell'imprenditore  insolvente,  in  quanto  egli  resta
titolare  e  gestore  dell'azienda  oggetto  di risanamento, donde il
divieto  l'esperimento  di  azioni revocatorie, invece consentito nel
caso di cessione dei complessi aziendali prevista dall'art. 27, comma
2,  lett. a); la ristrutturazione Parmalat mediante il concordato non
va  a vantaggio dell'imprenditore insolvente (e cioe' degli azionisti
della  «vecchia»  Parmalat),  sarebbe pertanto, sotto questo aspetto,
assimilabile   alla   cessione   dei   complessi  aziendali  prevista
dall'art. 27,   comma  2,  lett.  a),  cit.,  nonche'  al  concordato
fallimentare  con  cessione  delle revocatorie al terzo assuntore, di
cui all'art. 124 1. fall.
    Siffatto  argomentare  poggia su assunti indimostrati, sulla base
dei quali raggiunge esiti non condivisibili in quanto:
        a)  va  osservato  che  la previsione di cui all'art. 6 della
legge  Marzano  assicura  lo  strumento revocatorio alla procedura di
amministrazione  straordinaria  in  quanto  tale, per il programma di
ristrutturazione  perseguito,  a  nulla  rilevando che il commissario
provveda   al  suo  perseguimento  «in  via  ordinaria»,  secondo  le
modalita'  consuete  (art. 4)  ovvero  «straordinaria», attraverso il
concordato,   annoverato   tra   gli   strumenti   del  programma  di
ristrutturazione  (cfr.  art. 4-bis,  cernita  1,  per  il quale «nel
programma  di  ristrutturazione,  il  commissario  puo'  prevedere la
soddisfazione dei creditori attraverso un concordato ...».
    In  altri  termini,  l'eccezione  di  parte fonda la legittimita'
costituzionale  della  previsione di cui all'art. 6 sulla proposta di
concordato,  nella  sola ipotesi in cui io stesso preveda un patto di
assunzione (con dubbio richiamo ai principi di cui all'art. 124 l.f.,
e  superamento  immotivato  di ogni richiamo «mediano» agli artt. 78,
legge  Prodi  bis e art. 214 l.f.). concordato questo che costituisce
una  -  e  solo  una  -  delle  modalita'  di attuazione del piano di
ristrutturazione,  rendendo  cosi'  evidente  come tale condizione di
asserita  legittimita'  costituzionale  vacilli - nell'argomentazione
della   stessa   parte   -   in  ogni  ipotesi  altra  e  diversa  di
ristrutturazione.  Ne'  va, infine, sottaciuto come anche nella legge
Prodi  bis  sia  possibile  procedere  ad una ristrutturazione per il
tramite  di  un  concordato  proposto  da un terzo senza peraltro che
venga  alterata  la  scelta  lucidamente  operata dal legislatore del
1999,  permettendo  al  terzo  assuntore  di avvantaggiarsi di azioni
incompatibili con le finalita' della procedura di risanamento.
        b)   il   concordato   in  esame  costituisce,  per  espressa
indicazione  di  legge  e  per  opzione  concretamente  perseguita  e
realizzata  dal  Commissario  straordinario,  semplice  modalita' del
programma  di  ristrutturazione,  come  tale  inidoneo  a  sorreggere
l'assunto di parte, volto a privilegiare una considerazione del tutto
autonoma degli esiti concordatari e della normativa ad essa connessa,
rispetto  alla  legge  Marzano.  Al  riguardo, si ricorda come con la
recente   sentenza   del  1° ottobre  2005,  questo  tribunale  abbia
omologato  il concordato ex art. 4-bis, d.l. n. 347/2003 e succ. mod.
«con  assunzione  da  parte  della societa' Parmalat S.p.a., con sede
legale  in  Collecchio  (PR)»,  disponendo  l'immediato trasferimento
all'Assuntore  «di tutti i beni, i diritti, le partecipazioni sociali
e le azioni giudiziarie promosse ...».
    Nella parte motiva si legge che «con decreto ministeriale in data
23  luglio  2004 il Ministro delle attivita' produttive, d'intesa con
il Ministro delle politiche agricole e forestali, visto il parare del
Comitato  di  sorveglianza  in  data  20  luglio 2004, autorizzava il
programma  di  ristrutturazione  per le suddette societa'. In data 29
luglio  2004;  veniva  depositato  presso  il  Tribunale  di Parma il
programma  di  ristrutturazione autorizzato, unitamente alla proposta
di   concordato  e  all'elenco  dei  creditori  ...  la  proposta  di
concordato  costituisce,  per  espressa  previsione  normativa, parte
integrante   del   programma   di  ristrutturazione  predisposto  dai
Commissario  straordinario ... la devoluzione esclusiva del potere di
iniziativa   al   Commissario  straordinario  trova  la  sua  ragione
giustificatrice  nella  necessaria  integrazione  della  proposta  di
concordato  con  il  programma  di  ristrutturazione, mirando cosi' a
contemperare le finalita' connesse al ripristino di una condizione di
durevole   equilibrio   in  capo  alle  societa'  in  amministrazione
straordinaria  con  le  dinamiche solutorie proprie della proposta di
concordato.  L'adempimento  concordatario  costituisce  quindi  parte
integrante  del  piano  di  risanamento  cui  risulta  funzionalmente
rivolto,  assumendo quindi una dimensione di strumentalita' nuova per
l'istituto,  in  quanto la cessazione della procedura concorsuale con
il   soddisfacimento   a   saldo   del  cero  creditorio  perde  ogni
connotazione  di  esclusivita'  valutativa normalmente presente nelle
varie  figure  di  concordato, venendo a contemperarsi per modalita',
interessi  coinvolti  e  termini di pagamento con le esigenze proprie
dei  processi  di ristrutturazione: in altri termini, il programma di
ristrutturazione   definisce   il   perimetro   delle  compatibilita'
solutorie  assicurate dal concordato in ragione della introduzione di
una  dimensione  di  flessibilita'  e/o  mobilita' degli istituti del
concorso mai prima registrata, attenuata negli estremi di illegittima
assolutezza,  dalla  sua ricomposizione in una proposta concordararia
capace di consenso ...».
    In  termini  ultimi, si ritiene che le censure di illettimita' si
incentrano  sulla disciplina generale della procedura stabilita dalla
stessa  legge Marzano, nell'ambito della quale l'epilogo naturale del
processo  di  risanamento e' costituito dal ritorno dell'imprenditore
all'ordinaria  operativita'  industriale, a conclusione del programma
di  ristrutturazione  con  qualunque  modalita'  attuato  (artt.  4 e
4-bis),  ivi  compreso  il  concordato con assunzione che costituisce
un'ipotesi  del  tutto  eventuale  e  residuale  di  conclusione  del
programma   di  ristrutturazione  dall'impresa,  cui  il  legislatore
assegna  la  sola  valenza  di determinare l'immediata chiusura della
procedura  rispetto  alla  sua  fisiologica durata ed al suo naturale
espletamento.
    2.   Dedotta  incostituzionalita'  dell'art. 6  cit.,  legge  per
contrarieta' ai principi di cui all'art. 41 della Costituzione.
    La  facolta' di esperire l'azione revocatoria, nel corso e per la
realizzazione   della   ristrutturazione   aziendale,   evidenzia  un
ulteriore  profilo  di  irragionevolezza  della  norma  in esame, per
disparita'  di  trattamento  tra  le imprese operanti nel mercato, in
contrasto  con il principio della liberta' di concorrenza discendente
dall'art. 41, della Costituzione.
    Come affermato in dottrina, il risanamento agevolato da misure di
sostegno   finanziario  non  puo'  considerarsi  un  vero  e  proprio
risanamento ne' in senso economico ne' giuridico.
    Sotto  il  primo  profilo,  infatti, il risanamento equivale alla
ritrovata  capacita'  dell'impresa di conseguire dei ricavi superiori
ai  costi  sostenuti:  perche' sia effettivo, tuttavia, e' necessario
che  la  prevalenza  dei  ricavi sui costi consegua alla capacita' di
produrre  valore  e  ricchezza e non all'opportunistico intervento di
misure   esterne  alle  dimensioni  interessate  dalla  sua  concreta
operativita'.  Sotto  il  profilo  giuridico il risanamento indica la
ritrovata capacita' dell'impresa di adempiere regolarmente le proprie
obbligazioni;   se  la  solvibilita'  dell'impresa  e'  il  risultato
esclusivamente   del   positivo   esercizio   di  azioni  revocatorie
fallimentari non vi e' alcun vero risanamento
    Il  risanamento  dell'impresa  mediante l'esperimento dell'azione
revocatoria   fallimentare   costituisce   quindi  un  ingiustificato
privilegio  per  l'impresa  ammessa alla procedura ex legge Marzano e
determina un effetto distorsivo della concorrenza, in quanto permette
all'impresa  insolvente di restare sul mercato sfruttando anziche' le
proprie   capacita'   economiche,  risorse  finanziarie  precluse  ai
concorrenti.
    Detto   effetto   e'  essenzialmente  legato  alla  continuazione
dell'impresa: mentre nell'ambito delle procedure di tipo liquidatorio
le somme, eventualmente riscosse a seguito del vittorioso esperimento
dell'azione    revocatoria,    sono   esclusivamente   destinate   al
soddisfacimento   dei  creditori,  qualora  l'azione  sia  consentita
all'interno  di una procedura concorsuale di tipo risanatorio essa si
trasforma,  come  gia' visto, in una forma di finanziamento forzoso a
favore dell'impresa insolvente ed a carico dei terzi.
    La  critica  nei confronti di normative che, favorendo le imprese
in  fase di ristrutturazione, falsano la libera concorrenza non e' un
argomento  nuovo:  in  passato  sia  la  Corte  di Giustizia CE sia i
giudici  italiani  hanno  piu'  volte censurato per ragioni simili la
legge   n. 95/1979,   che  conteneva  diverse  disposizioni  tese  ad
agevolare  illegittimamente  l'impresa  insolvente  (cfr.  di recente
Corte  di  Giustizia  CE 17 giugno 1999 (C-295/1997), Cass. 23 giugno
2000,  n. 8539, App. Trieste 10 febbraio 2004, App. Venezia 26 giugno
2003, etc.).
    In  realta'  al  di  la' dei profili comunitari, pur rilevanti in
sede  intepretativa. l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare
nell'ambito  di una procedura di ristrutturatione aziendale determina
una  forte  e  strutturale  distorsione  della libera concorrenza tra
imprese con conseguente violazione dell'art. 41 della Costituzione.
    L'instaurazione di un resime di libera concorrenza tra le imprese
e  la  sua  tutela sono strumentali all'effettiva realizzazione della
liberta'   di   iniziativa   economica   di  cui  all'art.  41  della
Costituzione,  con  la  conseguenza  che,  seppure  non espressamente
menzionato  dalla Costituzione, il principio di libera concorrenza ha
rango costituzionale.
    Tale  linea  argomentativa e' stata fatta propria sia dalla Corte
costituzionale  che  dai  giudici  civili  ed amministrativi, i quali
hanno  ricondotto la tutela della liberta' di concorrenza all'art. 41
cit.
    «La  liberta'  di  concorrenza  tra  imprese  ha,  come noto, una
duplice  finalita':  da  un  lato,  integra la liberta' di iniziativa
economica  che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e,
dall'altro, e' diretta alla protezione della collettivita', in quanto
l'esistenza  di  una  pluralita'  di  imprenditort in concorrenza tra
loro,  giova  a  migliorare  la qualita' dei prodotti e a contenere i
prezzi»  (cfr.  Corte  cost.  16  dicembre 1982, n. 223; nello stesso
senso  si  veda  anche Corte costituzionale 13 ottobre 2000, n. 419).
«La   liberta'   di  iniziativa  economica  privata  garantita  dalla
Costituzione  (art. 41, comma 1). comprensiva anche della liberta' di
concorrenza  tra  imprese,  attiene sicuramente a materia disponibile
posto  che  e'  espressione della liberta' di scelta e di svolgimento
delle  attivita'  economiche  riconosciuta al soggetto privato» (cfr.
Cass. 21 agosto 1996, n. 7733).
    In   altri  termini  il  principio  di  liberta'  dell'iniziativa
economica   privata   garantisce,  inter  alia,  che  ogni  operatore
economico  possa operare sul mercato in una situazione di parita' con
gli  alti  imprenditori  e  che  il  profitto,  e quindi il successo,
dell'impresa  dipenda dal giudizio insito nelle dinamiche di mercato,
come costituzionalmente garantite dall'art. 41 della Costituzione.
    L'irragionevolezza  e  l'illegittimita'  di  una  disciplina  che
determini  una  discriminazione  tra  imprese in concorrenza e' stata
affermata  dalla  Corte costituzionale nella sentenza del 30 dicembre
1997,  n. 443, dichiarativa della incostituzionalita', per violazione
degli  artt. 3  e  41  della Costituzione, dell'art. 30 della legge 4
luglio 1967, n. 580 nella parte in cui non prevedeva che alle imprese
aventi  stabilimento  in  Italia fosse consentita, nella produzione e
nella  commercializzazione  di  paste  alimentari, l'utilizzazione di
ingredienti legittimamente impiegati, in base al diritto comunitario,
nel territorio della Comunita' europea.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art.  23,  legge  11 marzo 1953 n. 87, e gli att. 3 e 41
della Costituzione.
    Dichiara   la  rilevanza  e  non  manifesta  inforndatezza  della
questione  di  legittimita'  costituzionale 6, d.l. 23 dicembre 2003,
n. 347,  conv.  con  mod.  in  legge  18  febbraio  2004, n. 39, come
modificata  dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119, conv. con mod. in legge 5
luglio 2004, n. 166, dal d.l. 28 febbraio 2005, n. 22, conv. con mod.
in  legge  29  aprile  2005,  n. 71,  nella  parte  in  cui  consente
l'esercizio  delle  azioni  revocatorie  previste dagli artt. 49 e 91
d.lgs.  n. 270  in costanza di un programma di ristrutturazione e per
l'effetto,
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che,  a  cura della cancelleria il presente provvedimento
sia notificato alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Dispone   che   il  presente  provvedimento  sia  comunicato  dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Parma, addi' 27 dicembre 2005
                         Il giudice: Sinisi
06C0143