N. 71 ORDINANZA 20 - 24 febbraio 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Procedimento    civile    -    Intervento    coattivo   in   giudizio
  dell'amministrazione  statale - Applicazione del «foro erariale» su
  richiesta  della  stessa  -  Denunciata  lesione  del principio del
  giudice  naturale  precostituito  per  legge - Difetto di chiarezza
  della censura - Manifesta inammissibilita' della questione.
- Regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 6, comma secondo.
- Costituzione, art. 25, comma primo.
(GU n.9 del 1-3-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Annibale MARINI;
  Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo
DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 6,  comma
secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del
testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza
e  difesa  in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura
dello  Stato),  promosso con ordinanza del 26 luglio 2004 dalla Corte
di  cassazione  sul  ricorso  proposto da Maurizio Pazzagli contro il
Ministero  per  i beni e le attivita' culturali ed altri, iscritta al
n. 342  del  registro  ordinanze  2005  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 28, 1ª serie speciale, dell'anno 2005.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 25 gennaio 2006 il giudice
relatore Romano Vaccarella.
    Ritenuto che la Corte di cassazione - investita di un ricorso per
regolamento  di  competenza, proposto avverso una sentenza con cui il
Tribunale  ordinario  di  Pisa,  all'esito  di un giudizio civile tra
parti  private,  nel  quale  era  stato chiamato a intervenire, iussu
iudicis,  il  Ministero  per  i  beni  e  le  attivita' culturali, ha
dichiarato   la   propria   incompetenza   territoriale,  per  essere
competente  il  Tribunale  ordinario  di  Firenze,  quale «foro della
pubblica amministrazione» - ha sollevato, con ordinanza del 26 luglio
2004,   questione  di  legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
all'art. 25,  comma  primo,  della  Costituzione,  dell'art. 6, comma
secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del
testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza
e  difesa  in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura
dello  Stato),  nella  parte  in cui «prevede, in caso di chiamata in
giudizio dello Stato, che la competenza si radichi, alternativamente,
nel  foro  erariale  o  in  quello naturale in base al mero esercizio
discrezionale di scelta dell'amministrazione»;
        che,  in  punto  di fatto, la Corte rimettente riferisce che,
nel corso di un giudizio tra privati avente ad oggetto l'accertamento
del  diritto  di  proprieta'  pro quota di una scultura archeologica,
l'adito  Tribunale  ordinario  di  Pisa, in composizione monocratica,
aveva  ordinato,  ai  sensi  dell'art. 107  del  codice  di procedura
civile,  la chiamata in causa del Ministero per i beni e le attivita'
culturali,   il   quale,  costituitosi,  ha  eccepito  l'incompetenza
territoriale  del predetto Tribunale, essendo competente il Tribunale
ordinario di Firenze, a norma dell'art. 25 cod. proc. civ;
        che,  avendo  il  giudice  accolto  l'eccezione,  l'attore ha
impugnato la sentenza dichiarativa dell'incompetenza con l'istanza di
regolamento, ai sensi dell'art. 42 cod. proc. civ., sostenendo che il
«foro  erariale»  trova  applicazione soltanto nei processi davanti a
giudici  collegiali,  dal  momento  che  l'art. 7  del  regio decreto
n. 1611  del  1933  deve  essere  interpretato, alla luce del decreto
legislativo  19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione
del  giudice  unico  di primo grado), nel senso che la previsione dei
«giudizi  innanzi  ai  pretori  ed  ai conciliatori», per i quali «le
norme  ordinarie  di  competenza rimangono ferme, anche quando sia in
causa  un'amministrazione  dello Stato», si riferisce oggi ai giudizi
gia'  innanzi  ai pretori ed ora innanzi ai tribunali in composizione
monocratica;
        che  il  Ministero  per  i  beni  e le attivita' culturali ha
resistito  all'impugnazione, chiedendo che, a conferma dell'impugnata
sentenza,  sia  dichiarata  la  competenza del Tribunale ordinario di
Firenze, a norma dell'art. 6 del regio decreto n. 1611 del 1933 e che
il   ricorrente,   a   sua   volta,   ha   eccepito  l'illegittimita'
costituzionale di tale norma;
        che  la  Corte rimettente - rilevato, preliminarmente, che la
normativa  del decreto legislativo n. 51 del 1998, essendo entrata in
vigore  il  2  giugno 1999,  e' irrilevante, a norma dell'art. 5 cod.
proc.  civ., ai fini della determinazione della competenza, posto che
il   giudizio   e'  stato  instaurato  con  citazione  notificata  il
14 gennaio   1999 -   osserva   che  la  competenza  a  giudicare  la
controversia  de  qua  va  determinata in base all'art. 25 cod. proc.
civ. e all'art. 6 del regio decreto n. 1611 del 1933, il quale - dopo
aver stabilito (al primo comma, il cui disposto e' stato poi recepito
nell'art. 25  cod.  proc.  civ.)  che  «la competenza per cause nelle
quali  e'  parte  una  amministrazione dello Stato, anche nel caso di
piu' convenuti [...], spetta al tribunale o alla corte di appello del
luogo  dove  ha  sede  l'ufficio  dell'Avvocatura dello Stato nel cui
distretto  si  trova  il  tribunale  o la corte d'appello che sarebbe
competente  secondo  le norme ordinarie» - prevede (al secondo comma)
che,  «quando un'amministrazione dello Stato e' chiamata in garanzia,
la  cognizione  cosi'  della  causa  principale  come della azione in
garanzia  e' devoluta, sulla semplice richiesta dell'amministrazione,
con  ordinanza  del presidente all'autorita' giudiziaria competente a
norma del comma precedente»;
        che tale ultima disposizione si applica anche nei casi in cui
il  giudice  ordini  l'intervento  di un'amministrazione statale, cui
ritenga comune la causa, ai sensi dell'art. 107 cod. proc. civ., come
gia'  affermato dallo stesso giudice di legittimita' (Cass. 17 aprile
1982, n. 2340);
        che,  quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo
osserva  che,  alla  stregua del richiamato indirizzo interpretativo,
dovrebbe  essere  dichiarata la competenza del Tribunale ordinario di
Firenze,  ove ha sede l'Avvocatura dello Stato, poiche' il Ministero,
chiamato  in  causa iussu iudicis, ha chiesto l'applicazione del foro
erariale,  ai  sensi  dell'art. 6,  comma  secondo, del regio decreto
n. 1611 del 1933;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
il  giudice  rimettente osserva che la norma denunciata, collegando -
nel  caso  di  chiamata  in  garanzia ovvero per ordine del giudice -
l'applicazione    del    «foro    erariale»   alla   mera   richiesta
dell'amministrazione  statale,  intervenuta coattivamente in giudizio
(ex  art. 106 o 107 cod. proc. civ.), e, quindi, facendo dipendere da
tale  richiesta  lo  spostamento  del  giudice competente a conoscere
della  causa  principale,  sembra  porsi  in contrasto con l'art. 25,
comma  primo, Cost., poiche' le parti di detta causa vengono distolte
dal  «giudice naturale precostituito per legge» in ordine alla stessa
causa,  per  effetto  di  una  scelta  rimessa  alla  libera volonta'
dell'amministrazione e non disciplinata in alcun modo dalla legge;
        che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   il   quale   ha   concluso   per  l'inammissibilita'  ovvero
l'infondatezza  della  questione,  osservando,  in linea preliminare,
che, nel caso di specie, si versa in un'ipotesi non gia' di «chiamata
in  garanzia», prevista dall'art. 6, comma secondo, del regio decreto
n. 1611  del  1933, bensi' di «comunanza di causa», cui si applica la
disposizione  del  primo  comma del medesimo art. 6 e che, secondo un
consolidato  orientamento  della  giurisprudenza  di legittimita', il
cosiddetto   «foro  erariale»  e'  inderogabile  ed  attrae  l'intera
controversia,  in  caso  sia  di  litisconsorzio  necessario,  sia di
litisconsorzio   facoltativo,  sia  di  litisconsorzio  successivo  a
seguito  di  intervento  coatto,  sicche', in tali casi, non sussiste
alcun  margine  di  discrezionalita'  nello  spostamento  della causa
innanzi al tribunale del luogo dove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura
dello Stato;
        che, inoltre, la Corte costituzionale, con ripetute pronunce,
ha  ritenuto  conforme  a Costituzione la normativa dell'art. 25 cod.
proc.  civ.  e del regio decreto n. 1611 del 1933, osservando che «la
regola  del  foro  dello  Stato,  per  un  verso  non  menoma in modo
apprezzabile  l'esercizio del diritto di difesa da parte del singolo,
ne'  sotto  il  profilo  del  costo ne' sotto quello del disagio; per
altro   verso  ha  una  adeguata  giustificazione  nelle  ragioni  di
interesse  generale  (ridondanti  anche  a  beneficio  dei  singoli),
collegabili  al  soddisfacimento  dell'esigenza  di  concentrare - in
vista  di un servizio organizzato in modo da importare minori oneri e
migliori  risultati per la collettivita' - gli uffici dell'Avvocatura
dello  Stato  e  dell'esigenza  di  concentrare - ancora una volta in
vista  del migliore rendimento del servizio - i giudizi cui partecipa
lo  Stato  presso un numero ristretto di sedi giudiziarie» (ordinanza
n. 189 del 1989);
        che,  in  tale contesto, la questione e' infondata, in quanto
la  norma denunciata rende derogabile (su eccezione di parte) un foro
che,  per  regola  generale,  e'  automatico  e  inderogabile,  cosi'
rimettendo,  ragionevolmente,  al  prudente apprezzamento della parte
pubblica   chiamata   in   causa   la   valutazione  della  rilevanza
dell'interesse pubblico coinvolto nel giudizio.
    Considerato  che la Corte di cassazione dubita della legittimita'
costituzionale,   in  riferimento  all'art. 25,  comma  primo,  della
Costituzione,   dell'art. 6,   comma   secondo,   del  regio  decreto
30 ottobre  1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e
delle  norme  giuridiche  sulla  rappresentanza  e difesa in giudizio
dello  Stato  e  sull'ordinamento  dell'Avvocatura  dello  Stato), in
quanto,  collegando  -  nel  caso  di chiamata in garanzia ovvero per
ordine  del  giudice  -  l'applicazione del «foro erariale» alla mera
richiesta  dell'amministrazione statale, intervenuta coattivamente in
giudizio  (ex  art. 106  o  107  del  codice di procedura civile), e,
quindi,  facendo  dipendere  da  tale  richiesta  lo  spostamento del
giudice  competente  a conoscere della causa principale, distoglie le
parti  di detta causa dal «giudice naturale precostituito per legge»,
per   effetto   di   una   scelta   rimessa   alla   libera  volonta'
dell'amministrazione e non disciplinata in alcun modo dalla legge;
        che  la  questione e' manifestamente inammissibile, in quanto
l'ordinanza  di rimessione, nel censurare la norma che riconosce alla
pubblica amministrazione il potere di far valere o non l'incompetenza
del giudice adito in favore di quello del cosiddetto «foro erariale»,
non  lascia  comprendere se la pretesa violazione del precetto di cui
all'art. 25  Cost.  sia  ravvisata  nella  circostanza  che  le parti
private  sono  distolte  dal  giudice  naturale  da  esse individuato
secondo  le regole ordinarie ovvero nella circostanza che, potendo la
pubblica  amministrazione non proporre l'eccezione d'incompetenza, ad
essa   sia  consentito,  a  suo  libito,  di  sottrarsi  al  criterio
inderogabile del «foro erariale»; in sintesi, non e' dato comprendere
se  si  censuri  la  circostanza  che  parti  private  possano essere
distolte  dal  loro  giudice  naturale  ovvero  la circostanza che la
pubblica amministrazione possa sottrarsi al suo giudice naturale, non
avanzando la richiesta di cui alla norma censurata;
        che,   nel   primo   caso,   risolvendosi  la  censura  nella
contestazione   della  stessa  previsione  del  «foro  erariale»,  e'
evidente che la Corte rimettente avrebbe dovuto fare oggetto dei suoi
rilievi  l'art. 25 cod. proc. civ. (ovvero l'art. 6, comma primo, del
regio  decreto  n. 1611  del  1933),  cosi' come e' evidente che, nel
secondo  caso,  la  questione  e'  irrilevante nel giudizio a quo, in
quanto  per  tale  giudizio  e'  stata  dichiarata  la competenza del
giudice naturale della pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 25
cod. proc. civ.
    Visti  gli  artt. 26,  comma  secondo, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 6,  comma  secondo, del regio
decreto  30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle
leggi  e  delle  norme  giuridiche  sulla  rappresentanza e difesa in
giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato),
sollevata,   in   riferimento   all'art. 25,   comma   primo,   della
Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2006.
                        Il Presidente: Marini
                      Il redattore: Vaccarella
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 24 febbraio 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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