N. 162 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 febbraio 2006

Ordinanza  emessa  il  16  febbraio  2006  dal tribunale di Parma nel
procedimento  civile  vertente tra Parmalat S.p.A. in amministrazione
straordinaria contro G.E. Capital Finance S.p.A.

Amministrazione  straordinaria  delle  grandi  imprese  in  stato  di
  insolvenza - Imprese insolventi ammesse alla procedura in base alla
  c.d. «legge Marzano» (d.l. 347/2003, convertito con modifiche nella
  legge  39/2004)  -  Esercizio delle azioni revocatorie da parte del
  Commissario straordinario - Proponibilita' anche nel corso e per la
  realizzazione  del  programma  di  ristrutturazione  dell'impresa -
  Lesione   dei   principi   di  eguaglianza  e  di  ragionevolezza -
  Ingiustificata  deroga  al  regime  della  c.d.  «legge  Prodi bis»
  (d.lgs.  270/1999), che esclude l'esercizio delle revocatorie nella
  fase  di  risanamento  dell'impresa  -  Irragionevole disparita' di
  trattamento fra terzi destinatari di azioni revocatorie - Contrasto
  con  il  principio  di  libera concorrenza - Discriminazione fra le
  imprese  operanti nel mercato - Irragionevole possibilita' di forme
  di finanziamento forzoso a favore delle imprese in crisi.
- Decreto  legge  23 dicembre  2003, n. 347, convertito con modifiche
  nella  legge  18 febbraio  2004, n. 39 (come modificato dal decreto
  legge  3 maggio  2004, n. 119, convertito con modifiche nella legge
  5 luglio 2004, n. 166, e dal decreto legge 28 febbraio 2005, n. 22,
  convertito  con  modifiche  nella  legge  29 aprile  2005,  n. 71),
  art. 6, comma 1.
- Costituzione,  artt. 3  e  41;  decreto  legislativo 8 luglio 1999,
  n. 270, artt. 49 e 91.
(GU n.23 del 7-6-2006 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  proc.  n. 1578/2005  RG.,  proposto  da  Parmalat S.p.A., in
amministrazione    straordinaria,    in   persona   del   commissario
straordinario  dott.  Enrico  Bondi,  attrice,  contro  G.E.  Capital
Finance S.p.A.;
    Letti gli atti ed a scioglimento della riserva;
    Ai  sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87, ha pronunciato
la seguente ordinanza.

                              F a t t o

    Con  atto  di  citazione  ritualmente notificato, Parmalat S.p.A.
esponeva che, con decreto del Ministro delle attivita' produttive del
24   dicembre   2003,   era  stata  assoggettata  alla  procedura  di
amministrazione  straordinaria ex d.l. n. 347/2003 (conv. nella legge
n. 39/2004)  e  d.lgs. n. 270/1999; che con sentenza depositata il 27
dicembre  2003,  l'intestato  tribunale aveva dichiarato l'insolvenza
della  societa' attrice, con estensione della procedura concorsuale a
Parmalat  Finanziaria  S.p.A.  ed  a  quasi  tutte  le altre societa'
riconducibili  alla  famiglia Tanzi, ed instava, quindi, per ottenere
la  revocatoria  -  ex  art.  67, secondo comma, 1.f. - dei pagamenti
eseguiti  da  Parmalat  S.p.A.  favore  della  convenuta G.E. Capital
Finance  S.p.A.  nel  corso  del  periodo  sospetto,  per  un importo
indicato  in  complessivi  Euro 82.463.693,47 ovvero in subordine per
ottenere la declaratoria di inefficacia ex art. 7 legge n. 52/1991 di
una  serie  di cessioni di credito e dei conseguenti atti di rimborso
effettuati  dalla societa' cessionaria a quella cedente per l'importo
complesssivo di Euro 62.062.693,4.
    Costituitasi  ritualmente  in  giudizio,  la  convenuta, prima di
scendere  all'esame  del  merito,  con  riferimento  all'elemento sia
soggettivo  che  oggettivo  della  azione  revocatoria,  ha sollevato
l'eccezione  pregiudiziale  di  incostituzionalita' dell'art. 6 della
legge  n. 39/2004, come modificato dalla legge n. 166/2004 con l'art.
3 della Costituzione.
    Cio'  posto  quanto  alla  natura delle difese rassegnate in atti
dalle parti, osserva in diritto questo giudice.

                            D i r i t t o


                      Rilevanza della questione

    La  rilevanza  della  questione di legittimita' costituzionale e'
insita  nella  proposizione  dell'azione revocatoria ex art. 67 legge
fall.,  richiamato  dall'art. 49 del d.lgs. n. 270 pur in presenza di
autorizzazione  all'esecuzione  del  programma  di  ristrutturazione,
possibilita'  concessa,  appunto,  dall'art. 6 d.l. 23 dicembre 2003,
n. 347,  conv.  con  mod.  in  legge 18 febbraio 2004, n. 39, e succ.
modd.,  azione  altrimenti  non proponibile, come meglio si vedra' in
seguito.
    In  particolare,  la parte attrice ha concluso, per quanto rileva
in questa sede, chiedendo al tribunale:
    «Nel merito:
        1.  - Revocare ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 67,
comma  2, legge fallimentare, i pagamenti eseguiti da Parmalat S.p.a.
a favore dell'odierna convenuta nell'anno precedente la dichiarazione
di  insolvenza  della  societa'  nell'ambito  della procedura ex d.l.
n. 347/2003 (convertito nella legge n. 39/2004), come meglio indicati
in narrativa, per l'importo complessivo di Euro 82.463.693,47, ovvero
per il diverso importo che sara' accertato in corso di causa».

                     Non manifesta infondatezza

    Gia' questo tribunale con ordinanza resa in data 18 novembre 2005
nel  proc.  n. 117/2005,  ha  ritenuto,  quanto  alla  non  manifesta
infondatezza  della  questione di costituzionalita' dell'art. 6 della
legge  n. 39/2004  con  gli  artt. 3  e 24 della Costituzione, quanto
segue:
        1.  -  Dedotta incostituzionalita' dell'art. 6 cit. legge per
contrarieta' ai principi di cui all'art. 3 Cost.
    La  Corte  costituzionale  ha,  in piu' occasioni, sancito che il
principio   di   eguaglianza   inibisce  al  legislatore  di  operare
arbitrarie  discriminazioni  fra  soggetti  in situazioni identiche o
affini;   il   giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  ai  sensi
dell'art. 3  Cost.  ha,  pertanto, ad oggetto la ragionevolezza delle
classificazioni legislative.
    Onde  valutare  il  rispetto  del  principio  di  uguaglianza  e'
fondamentale,  l'esatta  identificazione degli interessi sottesi alle
norme messe a raffronto: se coinvolgono interessi omogenei per essere
gli  stessi  partecipi di fattispecie identiche/analoghe, assicurando
una  tutela  di  diversa  intensita'  (senza  che esista un ulteriore
interesse    tutelando,    atto    a   giustificare   l'opzione   per
l'apprestamento  di  due  diversi  regimi),  la  norma  che tutela in
maniera  diversa  gli  interessi comuni ad entrambe, dovra' reputarsi
irragionevole  e contraria al precetto costituzionale di cui all'art.
3  cit.;  laddove,  invece, gli interessi sottesi non siano omogenei,
dovra' considerarsi irragionevole una disciplina di tipo analogo, che
non  tenga  conto  delle  disuguaglianze  fra  le situazioni di fatto
disciplinate.
    La  giurisprudenza  costituzionale  ha,  piu'  volte,  dichiarato
l'illegittimita'  di  norme  di  legge per violazione del solo art. 3
Cost., senza la necessita' di rilevarne il conflitto con altri valori
costituzionali (cosi', ad es., le sentenze n. 260 del 23 luglio 1997,
n. 162  del  28  maggio  2001, n. 254 del 20 giugno 2002), in ragione
dell'evidente  rilevanza assegnata al principio di ragionevolezza nel
senso indicato, quale parametro fondativo del precetto costituzionale
di eguaglianza.
    Nell'ipotesi  in  esame,  vanno  messi  a raffronto gli artt. 6 e
4-bis  del  d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in legge 18
febbraio 2004, n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119,
conv.  con mod. in legge 5 luglio 2004, n. 166 e dal d.l. 28 febbraio
2005,  n. 22,  conv.  con  mod. in legge 29 aprile 2005, n. 71, e gli
artt. 49 e 78 del d.lgs. 8 luglio 1999 n. 270 (c.d. Legge Prodi bis).
    Entrambi i provvedimenti regolano la procedura di amministrazione
straordinaria,  applicabile  alle  imprese  di  grandi dimensioni che
versino  in  stato  di  insolvenza, perseguendone la ristrutturazione
economica   e   finanziaria,   a  salvaguardia  degli  interessi  dei
lavoratori e dei fornitori, oltre che dei creditori; si differenziano
nelle   sole  fasi  di  ingresso  e  nei  requisiti  dimensionali  di
ammissione  alla  procedura (cfr. artt. 1 d.l. n. 347/2003 e 2 d.lgs.
n. 270/1999  citt.), in termini di personale ed ammontare dei debiti,
senza   che  a  tali  differenze  possa  assegnarsi  il  rango  della
ragionevolezza   costituzionalmente   necessario   a  preservarne  il
sindacato sotto il profilo indicato.
    In particolare, come osservato dalla unanime dottrina, comparando
i  richiamati  presupposti,  si  ricava  che  in  tutti i casi in cui
risulta  applicabile  la legge Marzano e' sempre applicabile anche la
Legge  Prodi  bis,  e  l'opzione per l'una o per l'altra procedura e'
rimessa,  dal  legislatore  interamente  alla  impresa insolvente, la
quale   manifesti  l'intenzione  di  «avvalersi  della  procedura  di
ristrutturazione economica e finanziaria di cui all'art. 27, comma 2,
lettera  b)  del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270»: in altri
termini,  la  Legge  Marzano  rimette  alla  sola  impresa insolvente
l'iniziativa    d'apertura    della    procedura,   nell'intento   di
salvaguardare  e  perseguire con immediatezza quello stesso programma
di  ristrutturazione  economica e finanziaria, cui la legge Prodi bis
da'  ingresso  solo in esito alla fase di valutazione delle «concrete
prospettive  di  recupero  dell'equilibrio  economico delle attivita'
imprenditoriali» di cui agli artt. 27-30 della citata legge.
    Il  richiamo  alla  legge  Prodi  bis rende pertanto evidenti gli
estremi  di  stretta  continuita'  esistenti  con  la  legge Marzano,
ponendosi  questa  come  opzione ulteriore dell'impresa insolvente il
cui  mancato  esercizio  da  parte  del  debitore non preclude il suo
assoggettamento  alla  procedura regolata dal d.lgs. n. 270/1999, con
il  perseguimento  - secondo il diverso snodo procedurale ricordato -
della  medesima  finalita'  quale  indicata  dall'art. 1 della citata
legge,  nella  «risfrutturazione  economica  e finanziaria previsto e
disciplinato dall'art 27, secondo comma lett. b)».
    Al   riguardo,  va  osservato  come  le  innovazioni  legislative
introdotte  dal  d.l.  n. 347  (e succ.modd.) tendono a dare maggiore
celerita'   alla  fase  di  ammissione  dell'impresa  alla  procedura
(art. 2,   Ammissione  immediata  all'amministrazione  straordinaria)
senza,  peraltro,  alterare  sostanzialmente  i  caratteri funzionali
della  procedura, che restano pur sempre comuni alla Legge Prodi bis,
quale  normativa  generale  di  riferimento  cui  la Legge Marzano fa
espresso rinvio.
    Cio'  posto  in  via  di  analisi del tessuto normativo in esame,
venendo   all'oggetto  del  presente  giudizio,  entrambi  i  sistemi
normativi  prevedono la possibilita' di esperire l'azione revocatoria
di  cui all'art. 67 l.f., ma in forza della ricorrenza di estremi fra
loro non serenamente conciliabili.
    In  argomento,  e'  noto  il dibattito giurisprudenziale apertosi
dopo l'emanazione della legge n. 95/1979 (c.d. Legge Prodi), sfociato
in  una  ferma  posizione assunta dalla Suprema Corte sul punto (cfr.
l'arresto  27  dicembre  1996,  n. 11519), che indusse il legislatore
alla  sostituzione  del  regime  istituito  con la legge del 1979 con
quello della c.d. Prodi bis, escludendo espressamente la possibilita'
per  il  commissario  straordinario di proporre le azioni revocatorie
fallimentari nel corso della fase di risanamento dell'impresa.
    L'art. 49,  comma 1, d.lgs. n. 270/1999, prevede infatti che: «le
azioni  per  la  dichiarazione  di inefficacia e la revoca degli atti
pregiudizievoli   ai  creditori  previste  dalle  disposizioni  della
sezione  III  del  capo  III  del  titolo II della legge fallimentare
possono  essere proposte dal commissario straordinario soltanto se e'
stata  autorizzata  l'esecuzione  di  un  programma  di  cessione dei
complessi aziendali».
    Detta   previsione   normativa  ha  reso  il  nostro  ordinamento
nuovamente   in   linea   con  le  finalita'  connaturate  all'azione
revocatoria  fallimentare,  la  quale mira, appunto, a ricostruire il
patrimonio  dell'imprenditore (secondo la teoria indennitaria) ovvero
a   ripartire   la   perdita   derivante   dall'insolvenza   tra  una
collettivita'  di  creditori piu' ampia rispetto ai soli soggetti che
si  trovano  ad  essere tali al momento dell'apertura della procedura
(teoria    anti-indennitaria);    duplice,   dunque,   la   funzione:
recuperatoria  e  ridistributiva,  inconciliabile  con  procedure non
finalizzate alla liquidazione bensi' alla conservazione dell'impresa,
nelle  quali  in  pendenza di risanamento, non vi e' un patrimonio da
ripartire tra i creditori, ne' una perdita da ridistribuire.
    L'art. 6  cit.  dispone  che  «il  commissario straordinario puo'
proporre  le azioni revocatorie previste dall'art. 49 e 91 del d.lgs.
n. 270  anche nel caso di autorizzazione all'esecuzione del programma
di  ristrutturazione,  purche'  si  traducano  in  un vantaggio per i
creditori».
    Ci  si trova di fronte ad una rinnovata estensione dell'ambito di
applicazione  dell'azione  revocatoria  fallimentare,  prevedendo  la
possibilita',  per  il commissario straordinario, di esperirla in una
procedura  finalizzata  alla  ristrutturazione  ed alla conservazione
dell'impresa  (come  palesato  dagli  artt.  1  d.l. n. 347 e 4 legge
n. 39/2004),  interrompendo  cosi'  immotivatamente  quel  legame  di
continuita'  prima evidenziato tra finalita' concretamente perseguite
dalla procedura e strumenti alla stessa connessi.
    Quanto  precede  comporta,  a  parere  di  chi  giudica,  la  non
manifesta  infondatezza  dei profili di incostituzionalita' dell'art.
6,  d.l.  n. 347, come modificato, con riferimento alla previsione di
cui   all'art.  49  Legge  Prodi  bis,  rapportato  al  principio  di
uguaglianza  di  cui  all'art.  3  della  Carta costituzionale: ed in
particolare, il legislatore del 1999, operando un bilanciamento degli
interessi  coinvolti  nel  dissesto  della  grande  impresa, ne aveva
limitato   l'esperibilita'   al   solo   programma   di  liquidazione
dell'impresa,  attuato  dagli  organi  della procedura, espressamente
escludendola  per  il programma di ristrutturazione, ritenendo che il
sacrificio patrimoniale dei terzi fosse ammissibile soltanto in vista
dell'interesse    -   ritenuto   meritevole   dell'ordinaria   tutela
concorsuale  -  alla ripartizione fra tutti i creditori (anche quelli
divenuti  tali  in  seguito alla revoca dei pagamenti) del patrimonio
del  debitore  insolvente,  secondo le regole stabilite dalla legge a
tutela   della  par  condicio  creditorum.  Rendendo  ammissibile  la
revocatoria  anche  durante  la  fase  di  risanamento  dell'impresa,
l'art. 6  della  Legge  Marzano  ha ampliato il sacrificio dei terzi,
ribaltando  la  scelta  consapevolmente  operata  con l'art. 49 della
Legge Prodi bis.
    Cio' appare privo di giustificazione se valutato alla stregua del
canone   di   ragionevolezza  costituzionale  sopra  evidenziato:  la
revocatoria  di  cui  all'art. 49  e  quella di cui all'art. 6, per i
motivi  esposti,  si collocano all'interno di procedure disciplinanti
fenomeni  analoghi,  coinvolgono  interessi  omogenei e perseguono il
medesimo obiettivo, cioe' il recupero dell'equilibrio economico delle
attivita'  imprenditoriali  mediante  «prosecuzione,  riattivazione o
riconversione»  (art.  1,  d.lgs.  n. 270/1999), per il tramite di un
programma  di  ristrutturazione  senza  che  sia  dato comprendere le
ragioni  del superamento di quanto cosi' recisamente escluso dall'art
49 del cit. d.lgs. n. 270.
    La  stessa  Corte  costituzionale,  nel  dichiarare  infondata la
questione  di  legittimita'  dell'art.  67  l.f.  in riferimento agli
artt. 3,  24,  47 della Costituzione, nella parte in cui assoggetta a
revocatoria   anche  i  pagamenti  di  debiti  liquidi  ed  esigibili
effettuati  con mezzi normali dal debitore nel periodo c.d. sospetto,
ha  espressamente  affermato  che,  con  detta  azione,  il principio
generale   della   stabilita'   dei   diritti  (con  cio'  intendendo
l'interesse  dei terzi a non subire la revoca dei pagamenti ricevuti)
subisce  una  deroga  solo  al  fine  di «... tutelare le ragioni del
concorso  tra  i  creditori  ... il legislatore ha costruito l'azione
revocatoria  fallimentare  per contemperare l'interesse dei creditori
di  recuperare  al  patrimonio  del  fallito la maggiore quantita' di
beni,  in  vista  dell'esecuzione  concorsuale, con quello al normale
svolgimento  dell'attivita' economica ed alla stabilita' dei diritti»
(cfr. Corte cost. 27 luglio 2000, n. 379).
    L'irragionevolezza  della  disparita' di trattamento riservata ai
terzi destinatari dall'azione revocatoria esperita ex art. 6 legge in
esame risulta, infine, amplificata, ove si consideri come l'opzione a
favore  della  «Marzano»  sia sostanzialmente rimessa dal legislatore
all'unilaterale iniziativa dell'impresa insolvente, la quale potrebbe
essere    opportunisticamente    motivata   dalle   possibilita'   di
eterofinanziamento   insito  nell'esercizio  di  azioni  revocatorie,
altrimenti precluse dal regime ordinario previsto dal citato art. 49.
    La   distorta   finalita'   attribuita   all'azione   revocatoria
nell'ambito   della   Legge  Marzano  non  puo'  dirsi  lenita  dalla
condizione   posta   al   suo   esercizio   (nella   versione  finale
faticosamente  raggiunta  dal  legislatore  dopo  due  interventi  di
modifica): subordinare l'esercizio al fatto che le azioni revocatorie
si  traducano  in un vantaggio per i creditori risulta in realta' del
tutto  pleonastico,  posto  che,  come  confermato  anche dalla Corte
costituzionale  nella  sentenza  citata,  l'interesse  dei  creditori
costituisce  l'unico  ed  esclusivo bene giuridico alla cui tutela e'
preordinato  l'istituto dell'azione revocatoria fallimentare, ragione
in  se'  della  norma e non finalita' da rimettere all'esito volubile
della verifica da operarsi concretamente nel singolo caso.
    Ne'  la  non manifesta infondatezza della previsione normativa in
esame  risulta lenita dalle considerazioni espresse alla difesa della
procedura  attrice,  per la quale l'azione revocatoria prevista dalla
legge  sarebbe  incompatibile  con  la  finalita'  di  prosecuzione e
risanamento  dell'attivita' d'impresa, qualora il risanamento andasse
a   beneficio   dell'imprenditore   insolvente  (Parmalat  S.p.A.  in
amministrazione  straordinaria,  odierna  attrice) - c.d. risanamento
soggettivo;  diverrebbe  compatibile,  qualora  l'attivita' d'impresa
venisse  ceduta,  anche  mediante patto di concordato, ad un soggetto
terzo  (l'assuntore  o la «nuova» Parmalat S.p.A.) - c.d. risanamento
oggettivo,  in  quanto  il regime di ragionevolezza non andrebbe piu'
vagliato  con  l'art.  49,  comma  1,  Legge  Prodi  bis  bensi'  con
l'art. 124,  comma  2, l.f. In particolare, assume la difesa di parte
attrice  come dovrebbe nell'ipotesi in esame operarsi una distinzione
fra risanamento oggettivo e soggettivo, in quanto la ristrutturazione
di  cui  all'art. 27,  comma  2,  lett.  b) del d.lgs. n. 270/1999 va
sempre a vantaggio dell'imprenditore insolvente, in quanto egli resta
titolare  e  gestore  dell'azienda  oggetto  di risanamento, donde il
divieto  l'esperimento  di  azioni revocatorie, invece consentito nel
caso di cessione dei complessi aziendali prevista dall'art. 27, comma
2,  lett. a); la ristrutturazione Parmalat mediante il concordato non
va  a vantaggio dell'imprenditore insolvente (e cioe' degli azionisti
della  «vecchia»  Parmalat),  sarebbe pertanto, sotto questo aspetto,
assimilabile alla cessione dei complessi aziendali prevista dall'art.
27,  comma  2, lett. a), cit., nonche' al concordato fallimentare con
cessione  delle  revocatorie  al terzo assuntore, di cui all'art. 124
l.fall.
    Siffatto  argomentare  poggia su assunti indimostrati, sulla base
dei quali raggiunge esiti non condivisibili in quanto:
        a)  va  osservato  che  la previsione di cui all'art. 6 della
Legge  Marzano  assicura  lo  strumento revocatorio alla procedura di
amministrazione  straordinaria  in  quanto  tale, per il programma di
ristrutturazione  perseguito,  a  nulla  rilevando che il commissario
provveda   al  suo  perseguimento  «in  via  ordinaria»,  secondo  le
modalita'  consuete  (art. 4)  ovvero  «straordinaria», attraverso il
concordato,   annoverato   tra   gli   strumenti   del  programma  di
ristrutturazione  (cfr.  art. 4-bis,  comma  1,  per  il  quale  «nel
programma  di  ristrutturazione,  il  commissario  puo'  prevedere la
soddisfazione dei creditori attraverso un concordato ...».
    In  altri  termini,  l'eccezione  di  parte fonda la legittimita'
costituzionale  della  previsione di cui all'art. 6 sulla proposta di
concordato,  nella  sola ipotesi in cui lo stesso preveda un patto di
assunzione  (con dubbio richiamo ai principi di cui all'art. 124 l.f.
e  superamento  immotivato  di ogni richiamo «mediano») agli artt. 78
Legge  Prodi  bis e art. 214 l.f.), concordato questo che costituisce
una  -  e  solo  una  -  delle  modalita'  di attuazione del piano di
ristrutturazione,  rendendo  cosi'  evidente  come tale condizione di
asserita  legittimita'  costituzionale  vacilli - nell'argomentazione
della   stessa   parte   -   in  ogni  ipotesi  altra  e  diversa  di
ristrutturazione.  Ne'  va, infine, sottaciuto come anche nella legge
Prodi  bis  sia  possibile  procedere  ad una ristrutturazione per il
tramite  di  un  concordato  proposto da un terzo, senza peraltro che
venga  alterata  la  scelta  lucidamente  operata dal legislatore del
1999,  permettendo  al  terzo  assuntore  di avvantaggiarsi di azioni
incompatibili con le finalita' della procedura di risanamento;
        b)   Il   concordato   in  esame  costituisce,  per  espressa
indicazione  di  legge  e  per  opzione  concretamente  perseguita  e
realizzata  dal  commissario  straordinario,  semplice  modalita' del
programma  di  ristrutturazione,  come  tale  inidoneo  a  sorreggere
l'assunto di parte, volto a privilegiare una considerazione del tutto
autonoma degli esiti concordatari e della normativa ad essa connessa,
rispetto  alla  Legge  Marzano.  Al  riguardo, si ricorda come con la
recente   sentenza  del  l°  ottobre  2005,  questo  tribunale  abbia
omologato  il  concordato  ex  art. 4-bis,  d.l.  n. 347/2003 e succ.
modd.,  «con  assunzione da parte della societa' Parmalat S.p.A., con
sede   legale   in   Collecchio   (Parma)»,   disponendo  l'immediato
trasferimento   all'Assuntore   «di  tutti  i  beni,  i  diritti,  le
partecipazioni sociali e le azioni giudiziarie promosse ...».
    Nella parte motiva si legge che «con decreto ministeriale in data
23  luglio  2004 il Ministro delle attivita' produttive, d'intesa con
il Ministro delle politiche agricole e forestali, visto il parere del
comitato  di  sorveglianza  in  data  20  luglio 2004, autorizzava il
programma  di  ristrutturazione  per le suddette societa'. In data 29
luglio  2004,  veniva  depositato  presso  il  Tribunale  di Parma il
programma  di  ristrutturazione autorizzato, unitamente alla proposta
di   concordato  e  all'elenco  dei  creditori  ...  la  proposta  di
concordato  costituisce,  per  espressa  previsione  normativa, parte
integrante   del   programma   di  ristrutturazione  predisposto  dal
commissario  straordinario ... la devoluzione esclusiva del potere di
iniziativa   al   commissario  straordinario  trova  la  sua  ragione
giustificatrice  nella  necessaria  integrazione  della  proposta  di
concordato  con  il  programma  di  ristrutturazione, mirando cosi' a
contemperare le finalita' connesse al ripristino di una condizione di
durevole   equilibrio   in  capo  alle  societa'  in  amministrazione
straordinaria  con  le  dinamiche solutorie proprie della proposta di
concordato.  L'adempimento  concordatario  costituisce  quindi  parte
integrante  del  piano  di  risanamento  cui  risulta  funzionalmente
rivolto,  assumendo quindi una dimensione di strumentalita' nuova per
l'istituto,  in  quanto la cessazione della procedura concorsuale con
il   soddisfacimento   a   saldo   del  ceto  creditorio  perde  ogni
connotazione  di  esclusivita'  valutativa normalmente presente nelle
varie  figure  di  concordato, venendo a contemperarsi per modalita',
interessi  coinvolti  e  termini di pagamento con le esigenze proprie
dei  processi  di ristrutturazione: in altri termini, il programma di
ristrutturazione   definisce   il   perimetro   delle  compatibilita'
solutorie  assicurate dal concordato in ragione della introduzione di
una  dimensione  di  flessibilita'  e/o  mobilita' degli istituti del
concorso mai prima registrata, attenuata negli estremi di illegiltima
assolutezza,  dalla  sua ricomposizione in una proposta concordataria
capace di consenso ...»
    In termini ultimi, si ritiene che le censure di illegittimita' si
incentrano  sulla disciplina generale della procedura stabilita dalla
stessa  Legge Marzano, nell'ambito della quale l'epilogo naturale del
processo  di  risanamento e' costituito dal ritorno dell'imprenditore
all'ordinaria  operativita'  industriale, a conclusione del programma
di  ristrutturazione  con  qualunque  modalita'  attuato  (artt. 4  e
4-bis),  ivi  compreso  il  concordato con assunzione che costituisce
un'ipotesi  del  tutto  eventuale  e  residuale  di  conclusione  del
programma   di  ristrutturazione  dell'impresa,  cui  il  legislatore
assegna  la  sola  valenza  di determinare l'immediata chiusura della
procedura  rispetto  alla  sua  fisiologica durata e dal suo naturale
espletamento.
        2.  -  Dedotta incostituzionalita' dell'art. 6 cit. legge per
contrarieta' ai principi di cui all'art. 41 Cost.
    La  facolta' di esperire l'azione revocatoria, nel corso e per la
realizzazione   della   ristrutturazione   aziendale,   evidenzia  un
ulteriore  profilo  di  irragionevolezza  della  norma  in esame, per
disparita'  di  trattamento  tra  le imprese operanti nel mercato, in
contrasto  con il principio della liberta' di concorrenza discendente
dall'art. 41 della Costituzione.
    Come affermato in dottrina, il risanamento agevolato da misure di
sostegno   finanziario  non  puo'  considerarsi  un  vero  e  proprio
risanamento ne' in senso economico ne' giuridico.
    Sotto  il  primo  profilo,  infatti, il risanamento equivale alla
ritrovata  capacita'  dell'impresa di conseguire dei ricavi superiori
ai  costi  sostenuti:  perche' sia effettivo, tuttavia, e' necessario
che  la  prevalenza  dei  ricavi sui costi consegua alla capacita' di
produrre  valore  e  ricchezza e non all'opportunistico intervento di
misure   esterne  alle  dimensioni  interessate  dalla  sua  concreta
operativita'.  Sotto  il  profilo  giuridico il risanamento indica la
ritrovata capacita' dell'impresa di adempiere regolarmente le proprie
obbligazioni;   se  la  solvibilita'  dell'impresa  e'  il  risultato
esclusivamente   del   positivo   esercizio   di  azioni  revocatorie
fallimentari non vi e' alcun vero risanamento.
    Il  risanamento  dell'impresa  mediante l'esperimento dell'azione
revocatoria   fallimentare   costituisce   quindi  un  ingiustificato
privilegio  per  l'impresa  ammessa alla procedura ex Legge Marzano e
determina un effetto distorsivo della concorrenza, in quanto permette
all'impresa  insolvente di restare sul mercato sfruttando anziche' le
proprie   capacita'   economiche,  risorse  finanziarie  precluse  ai
concorrenti.
    Detto   effetto   e'  essenzialmente  legato  alla  continuazione
dell'impresa: mentre nell'ambito delle procedure di tipo liquidatorio
le somme, eventualmente riscosse a seguito del vittorioso esperimento
dell'azione    revocatoria,    sono   esclusivamente   destinate   al
soddisfacimento   dei  creditori,  qualora  l'azione  sia  consentita
all'interno  di una procedura concorsuale di tipo risanatorio essa si
trasforma,  come  gia'  visto, in una forma di fmanziamento forzoso a
favore dell'impresa insolvente ed a carico dei terzi.
    La  critica  nei confronti di normative che, favorendo le imprese
in  fase di ristrutturazione, falsano la libera concorrenza non e' un
argomento  nuovo:  in  passato  sia  la  Corte  di Giustizia CE sia i
giudici  italiani  hanno  piu'  volte censurato per ragioni simili la
legge   n. 95/1979,   che  conteneva  diverse  disposizioni  tese  ad
agevolare  illegittimamente  l'impresa  insolvente  (cfr., di recente
Corte  di  Giustizia  CE 17 giugno 1999 (C-295/1997), Cass. 23 giugno
2000  n. 8539,  App. Trieste 10 febbraio 2004, App. Venezia 26 giugno
2003, etc.).
    In  realta'  al  di  la' dei profili comunitari, pur rilevanti in
sede  intepretativa, l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare
nell'ambito  di una procedura di ristrutturazione aziendale determina
una  forte  e  strutturale  distorsione  della libera concorrenza tra
imprese con conseguente violazione dell'art. 41 della Costituzione.
    L'instaurazione di un regime di libera concorrenza tra le imprese
e  la  sua  tutela sono strumentali all'effettiva realizzazione della
liberta'  di  iniziativa  economica  di cui all'art. 41 Cost., con la
conseguenza   che,   seppure   non   espressamente  menzionato  dalla
Costituzione,   il   principio   di   libera   concorrenza  ha  rango
costituzionale.
    Tale  linea  argomentativa e' stata fatta propria sia dalla Corte
costituzionale  che  dai  giudici  civili  ed amministrativi, i quali
hanno  ricondotto la tutela della liberta' di concorrenza all'art. 41
cit.
    «La liberta' di concorrenza tra imprese ha come noto, una duplice
finalita':  da  un  lato, integra la liberta' di iniziativa economica
che   spetta   nella  stessa  misura  a  tutti  gli  imprenditori  e,
dall'altro, e' diretta alla protezione della collettivita', in quanto
l'esistenza  di  una  pluralita'  di imprenditori, in concorrenza tra
loro,  giova  a  migliorare  la qualita' dei prodotti e a contenere i
prezzi»  (cfr.  Corte  cost.,  16 dicembre 1982, n. 223; nello stesso
senso si veda anche Cort costituzionale 13 ottobre 2000, n. 419).
    «La  liberta'  di  iniziativa  economica  privata garantita dalla
Costituzione  (art. 41, comma 1), comprensiva anche della liberta' di
concorrenza  tra  imprese,  attiene sicuramente a materia disponibile
posto  che  e'  espressione della liberta' di scelta e di svolgimento
delle  attivita'  economiche  riconosciuta al soggetto privato» (cfr.
Cass. 21 agosto 1996, n. 7733).
    In  altri  termini,  il  principio  di  liberta'  dell'iniziativa
economica   privata   garantisce,  inter  alia,  che  ogni  operatore
economico  possa operare sul mercato in una situazione di parita' con
gli  altri  imprenditori  e  che  il  profitto, e quindi il successo,
dell'impresa  dipenda dal giudizio insito nelle dinamiche di mercato,
come costituzionalmente garantite dall'art. 41 Cost.
    L'irragionevolezza  e  l'illegittimita'  di  una  disciplina  che
determini  una  discriminazione  tra  imprese in concorrenza e' stata
affermata  dalla  Corte costituzionale nella sentenza del 30 dicembre
1997  n. 443,  dichiarativa della incostituzionalita', per violazione
degli  artt. 3  e  41  della Costituzione, dell'art. 30 della legge 4
luglio  1967 n. 580 nella parte in cui non prevedeva che alle imprese
aventi  stabilimento  in  Italia fosse consentita, nella produzione e
nella  commercializzazione  di  paste  alimentari, l'utilizzazione di
ingredienti legittimamente impiegati, in base al diritto comunitario,
nel territorio della Comunita' europea.
    La  richiamata  ordinanza  resa  dal  Tribunale  di  Parma appare
pienamente  condivisibile  ed  alla  stessa  integralmente  si rinvia
quanto   alla   non   manifesta   infondatezza   della  questione  di
costituzionalita'  del menzionato art. 6 della legge n. 39/2004 con i
principi di cui all'art. 3 e 41 della Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 23,  legge  11 marzo 1953 n. 87, e gli artt. 3 e 41
Cost.
    Dichiara   la   rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  della
questione   di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,  d.l.  23
dicembre  2003,  n. 347,  conv.  con  mod. in legge 18 febbraio 2004,
n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119, conv. con mod.
in  legge  5  luglio  2004, n. 166, dal d.l. 28 febbraio 2005, n. 22,
conv.  con  mod.  in  legge 29 aprile 2005, n. 71, nella parte in cui
consente l'esercizio delle azioni revocatorie previste dagli artt. 49
e  91 d.lgs. n. 270 in costanza di un programma di ristrutturazione e
per l'effetto;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che,  a  cura della cancelleria il presente provvedimento
sia notificato alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Dispone   che   il  presente  provvedimento  sia  comunicato  dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Parma, addi' 14 febbraio 2006
                         Il giudice: Ciccio'
06C0463