N. 163 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 febbraio 2006
Ordinanza emessa il 23 febbraio 2006 dal tribunale di Parma nel procedimento civile vertente tra Parmalat Finance Corporation B.V. in amministrazione straordinaria contro UBS Limited ed altra Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza - Imprese insolventi ammesse alla procedura in base alla c.d. «legge Marzano» (d.l. 347/2003, convertito con modifiche nella legge 39/2004) - Esercizio delle azioni revocatorie da parte del Commissario straordinario - Proponibilita' anche nel corso e per la realizzazione del programma di ristrutturazione dell'impresa - Lesione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza - Ingiustificata deroga al regime della c.d. «legge Prodi bis» (d.lgs. 270/1999), che esclude l'esercizio delle revocatorie nella fase di risanamento dell'impresa - Irragionevole disparita' di trattamento fra terzi destinatari di azioni revocatorie - Contrasto con il principio di libera concorrenza - Discriminazione fra le imprese operanti nel mercato - Irragionevole possibilita' di forme di finanziamento forzoso a favore delle imprese in crisi. - Decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito con modifiche nella legge 18 febbraio 2004, n. 39 (come modificato dal decreto legge 3 maggio 2004, n. 119, convertito con modifiche nella legge 5 luglio 2004, n. 166, e dal decreto legge 28 febbraio 2005, n. 22, convertito con modifiche nella legge 29 aprile 2005, n. 71), art. 6, comma 1. - Costituzione, artt. 3 e 41; decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, artt. 49 e 91.(GU n.23 del 7-6-2006 )
IL TRIBUNALE Nel proc. n. 5158/2004 R.G., proposto da Parmalat Finance Corporation B.V., in amministrazione straordinaria; in persona del commissario straordinario dott. Enrico Bondi, attrice, con gli avv. G. Lombardi, U. Tracanella ed A. Scotti, contro UBS Limited, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, Lord Leon Brittan, convenuta, con gli avv. C. Visco, S. Orlando e S. Lazzaretti, prof. P. Schlesinger, prof. A. Mora ed avv. P. Morara, e nei confronti di Parmalat S.p.A. in a.s., in persona del commissario straordinario; Letti gli atti ed a scioglimento della riserva; Ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, ha pronunciato la seguente ordinanza. F a t t o Con atto di citazione ritualmente notificato, Parmalat Finance Corp. esponeva che, con decreto del Ministro delle attivita' produttive del 30 gennaio 2004, era stata assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria ex d.l n. 347/2003 (conv. nella legge n. 39/2004) e d.lgs. n. 270/1999; che con sentenza depositata il 5 febbraio 2004, l'intestato tribunale aveva dichiarato l'insolvenza della societa' attrice. Il commissario straordinario nell'ambito di un articolato lavoro di ricostruzione della pregressa operativita' della societa', si era imbattuto in una operazione di rilevante valore economico realizzata nel corso del 2003, con UBS Limited (interamente controllata dal «gruppo» bancario svizzero Ubs AG, attraverso l'emissione curata dall'attrice di due prestiti obbligazionari del valore nominale complessivo di Euro 420 milioni, sottoscritti da UBS e nel, contestuale, utilizzo, da parte della societa' emittente di oltre i due terzi del ricavato delle emissioni obbligazionarie per costruire nell'interesse ed a vantaggio della banca un meccanismo di protezione contro il rischio della propria insolvenza. Instava, quindi, premessa l'applicabilita' della legge italiana in materia, per la declaratoria di inefficacia, ai sensi dell'art. 67, comma uno n. 1 l.f. degli accordi stipulati da Parmalat BV, Parmalat ed UBS in data 9 giugno 2003 e, in particolare, dell'acquisto, da parte di Parmalat BV delle CLN Banco Totta, nonche', per l'effetto, condanna di UBS al pagamento, in favore di Parmalat BV la somma complessiva di Euro 290.000.000,00 ovvero quella maggior o minore accertando, oltre interessi e maggior danno ex art. 1224 c.c.; in via subordinata accertare e dichiarare l'inefficacia, ai sensi dell'art. 67, comma due, l.f. degli accordi stipulati da Parmalat BV, Parmalat ed UBS in data 9 giugno 2003 e, in particolare, dell'acquisto, da parte di Parmalat BV delle CLN Banco Totta, e del relativo pagamento di Euro 290.000.000,00 a favore di UBS, nonche', per l'effetto, condanna di UBS al pagamento, in favore di Parmalat BV la somma complessiva di Euro 290.000.000,00 ovvero quella maggior o minore accertando, oltre interessi e maggior danno ex art. 1224 c.c.; in via ulteriormente subordinata accertare e dichiarare l'inefficacia dell'acquisto da parte di Parmalat BV delle CLN Banco Totta ai sensi degli artt. 2901 c.c. ed art. 66 l.f., nonche', per l'effetto, condanna di UBS al pagamento, in favore di Parmalat BV la somma complessiva di Euro 290.000.000,00 ovvero quella maggior o minore accertando, oltre interessi e maggior danno ex art. 1224 c.c. Costituitasi ritualmente in giudizio, la UBS, prima di scendere all'esame del merito, con riferimento all'elemento sia soggettivo che oggettivo della azione revocatoria, ha sollevato le eccezioni pregiudiziali di incostituzionalita' e incompatibilita' dell'art. 6 cit. legge 39 (c.d. Marzano), rispettivamente con gli artt. 3 e 41 della Costituzione e con i principi di concorrenza sanciti dagli artt. 3, comma uno lett. g) del Trattato CE e quelle di carenza di legittimazione processuale del Commissario straordinario e di inapplicabiita' della legge italiana. Cio' posto quanto alla natura delle difese rassegnate in atti dalle parti, osserva in diritto questo giudice., richiamando quanto esposto in precedente ordinanza gia' trasmessa, D i r i t t o Rilevanza della questione La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale e' insita nella proposizione dell'azione revocatoria ex art. 67 l.fall., richiamato dall'art. 49 del d.lgs. n. 270 pur in presenza di autorizzazione all'esecuzione del programma di ristrutturazione, possibilita' concessa, appunto, dall'art. 6 d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in legge 18 febbraio 2004, n. 39, e succ. modd., azione altrimenti non proponibile, come meglio si vedra' in seguito. In particolare, la parte attrice ha concluso chiedendo al tribunale: «Nel merito: in via principale: 1. - accertare e dichiarare, per i motivi e nei termini di cui in atto, l'inefficacia, ai sensi dell'art. 67, comma uno n. 1 l.f. degli accordi stipulati da Parmalat BV, Parmalat UBS in data 9 giugno 2003 e, in particolare, dell'acquisto, da parte di Parmalat BV delle CLN Banco Totta; nonche' per l'effetto, 2. - condannare UBS a pagare, in favore di Parmalat BV la somma complessiva di Euro 290.000.000,00 ovvero la maggior o minore somma che sara' accertata in corso di causa, oltre interessi dal dovuto al saldo e maggior danno ex art. 1224, comma due del codice civile; in via subordinata: 3. - accertare e dichiarare, per i motivi e nei termini di cui in atto, l'inefficacia, ai sensi dell'art. 67, comma due, l.f. degli accordi stipulati da Parmalat BV, Parmalat ed UBS in data 9 giugno 2003 e, in particolare, dell'acquisto, da parte di Parmalat BV delle CLN Banco Totta, e del relativo pagamento di Euro 290.000.000,00 a favore di UBS; nonche', per l'effetto, 4. condannare UBS a pagare, in favore di Parmalat BV la somma complessiva di Euro 290.000.000,00 ovvero la maggior o minore somma che sara' accertata in corso di causa, oltre interessi dal dovuto al saldo e maggior danno ex art. 1224 c.c.; in via ulteriormente subordinata 5. - accertare e dichiarare per i motivi di cui in atto, l'inefficacia dell'acquisto da parte di Parmalat BV delle CLN Banco Totta ai sensi degli artt. 2901 c.c. ed art. 66 l.f.; nonche', per l'effetto, 6. - condannare UBS a pagare, in favore di Parmalat BV la somma complessiva di Euro 290.000.000,00 ovvero la maggior o minore somma che sara' accertata, altre interessi dal dovuto al saldo e maggior danno ex art. 1224, comma due, c.c. ... in ogni caso condannare UBS alla rifusione, in favore dell'attrice, di spese, diritti ed onorari di causa. Parte convenuta: In via pregiudiziale ovvero preliminare: 1. - dichiarare la carenza di giurisdizione dell'Autorita' giudiziaria ordinaria della Repubblica italiana, per essere tutte le domande proposte dall'attrice (ovvero, in subordine, la domanda avente ad oggetto la revocatoria ordinaria ex artt. 2901 cod.civ. e 66 l.fall.) devolute alla giurisdizione dell'autorita' giudiziaria inglese; 2. - in subordine, accertata la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1, del d.l. n. 119/2004 per violazione dell'art. 3 della Costituzione, rimettere gli atti di causa alla Corte costituzionale per la declaratoria di illegittimita' della denunciata norma di legge; 3. - in ulteriore subordine, disapplicare l'art. 6, comma 1, del d.l. n. 119/2004 per contrasto con l'art. 3, comma 1, lett. g), del Trattato CE, ovvero, occorrendo, trasmettere gli atti della presente causa alla Corte di giustizia delle Comunita' europee affinche' si pronunci in via preliminare (ai sensi dell'art. 234, comma 2, del Trattato CE) circa l'interpretazione dell'art. 3, comma 1, lett. g), dello stesso Trattato; 4. - in ulteriore subordine, dichiarare la carenza di legittimazione processuale del Commissario straordinario di Parmalat Finance Corporation B.V. a promuovere il presente giudizio, in quanto promosso senza alcuna previa autorizzazione ne' del giudice delegato ne' dell'autorita' amministrativa; 5. - in ulteriore subordine, dichiarare che il Commissario straordinario di Parmalat S.p.A. e' carente di legittimazione a rappresentare nel giudizio quella societa'; 6. - in ulteriore subordine, dichiarare l'inammissibilita' della revocatoria ordinaria ex artt. 2901 cod. civ. e 66 l. fall. nei confronti del contratto in quanto soggetto alla legge inglese; previa - occorrendo - trasmissione degli atti della presente causa alla Corte di giustizia delle Comunita' europee affinche' si pronunci in via preliminare (ai sensi dell'art. 234, comma 2, del Trattato CE) circa l'interpretazione dell'art. 4.2, lett. m) del Regolamento CE n. 1346/2000. Nel merito: accertare l'infondatezza delle domande tutte formulate contro la convenuta UBS Limited da Parmalat Finance Corporation B.V., e per l'effetto rigettarle integralmente. Con vittoria di spese, diritti e onorari. Non manifesta infondatezza 1. - Dedotta incostituzionalita' dell'art. 6 cit. legge per contrarieta' ai principi di cui all'art. 3 Cost. La Corte costituzionale ha, in piu' occasioni, sancito che il principio di eguaglianza inibisce al legislatore di operare arbitrarie discriminazioni fra soggetti in situazioni identiche o affini; il giudizio di legittimita' costituzionale, ai sensi dell'art. 3 Cost. ha, pertanto, ad oggetto la ragionevolezza delle classificazioni legislaive. Onde valutare il rispetto del principio di uguaglianza, e' fondamentale l'esatta identificazione degli interessi sottesi alle norme messe a raffronto: se coinvolgono interessi omogenei per essere gli stessi partecipi di fattispecie identiche/analoghe, assicurando una tutela di diversa intensita' (senza che esista un ulteriore interesse tutelando, atto a giustificare l'opzione per l'apprestamento di due diversi regimi), la norma che tutela in maniera diversa gli interessi comuni ad entrambe, dovra' reputarsi irragionevole e contraria al precetto costituzionale di cui all'art. 3 cit.; laddove, invece, gli interessi sottesi non siano omogenei, dovra' considerarsi irragionevole una disciplina di tipo analogo, che non tenga conto delle disuguaglianze fra le situazioni di fatto disciplinate. La giurisprudenza costituzionale ha, piu' volte, dichiarato l'illegittimita' di norme di legge per violazione del solo art. 3 Cost., senza la necessita' di rilevarne il conflitto con altri valori costituzionali (cosi', ad es., le sentenze n. 260 del 23 luglio 1997, n. 162 del 28 maggio 2001, n. 254 del 20 giugno 2002), in ragione dell'evidente rilevanza assegnata al principio di ragionevolezza nel senso indicato, quale parametro fondativo del precetto costituzionale di eguaglianza. Nell'ipotesi in esame, vanno messi a raffronto gli artt. 6 e 4-bis del d.l. 23 dicembre 2003, n. 47, conv. con mod. in legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119, conv. con mod. in legge 5 luglio 2004, n. 166 e dal d.l. 28 febbraio 2005, n. 22, conv. con mod. in legge 29 aprile 2005, n. 71, e gli artt. 49 e 78 del d.lgs. 8 luglio 1999 n. 270 (c.d. legge Prodi bis). Entrambi i provvedimenti regolano la procedura di amministrazione straordinaria, applicabile alle imprese di grandi dimensioni che versino in stato di insolvenza, perseguendone la ristrutturazione economica e finanziaria, a salvaguardia degli interessi dei lavoratori e dei fornitori, oltre che dei creditori; si differenziano nelle sole fasi di ingresso e nei requisiti dimensionali di ammissione alla procedura (cfr. artt. 1 d.l. 347/2003 e 2 d.lgs. 270/1999 citt.), in termini di personale ed ammontare dei debiti, senza che a tali differenze possa assegnarsi il rango della ragionevolezza costituzionalmente necessario a preservarne il sindacato sotto il proffio indicato. In particolare, come osservato dalla unanime dottrina, comparando i richiamati presupposti, si ricava che in tutti i casi in cui risulta applicabile la Legge Marzano e' sempre applicabile anche la Legge Prodi bis, e l'opzione per l'una o per l'altra procedura e' rimessa, dal legislatore interamente alla impresa insolvente, la quale manifesti l'intenzione di «avvalersi della procedura di ristrutturazione economica e finanziaria di cui all'art. 27, comma 2, lettera b) del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270»: in altri termini, la legge Marzano rimette alla sola impresa insolvente l'iniziativa d'apertura della procedura, nell'intento di salvaguardare e perseguire con immediatezza quello stesso programma di ristrutturazione economica e finanziaria, cui la Legge Prodi bis da' ingresso solo in esito alla fase di valutazione delle «concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attivita' imprenditoriali» di cui agli artt. 27-30 della citata legge. Il richiamo alla Legge Prodi bis rende pertanto evidenti gli estremi di stretta continuita' esistenti con la Legge Marzano, ponendosi questa come opzione ulteriore dell'impresa insolvente il cui mancato esercizio da parte del debitore non preclude il suo assoggettamento alla procedura regolata dal d.lgs. n. 270/1999, con il perseguimento - secondo il diverso snodo procedurale ricordato - della medesima finalita' quale indicata dall'art. 1 della citata legge, nella «ristrutturazione economica e finanziaria previsto e disciplinato dall'art. 27, secondo comma lett. b)». Al riguardo, va osservato come le innovazioni legislative introdotte dal d.l. n. 347 (e succ. modd.) tendono a dare maggiore celerita' alla fase di ammissione dell'impresa alla procedura (art. 2, Ammissione immediata all'amministrazione straordinaria) senza, peraltro, alterare sostanzialmente i caratteri funzionali della procedura, che restano pur sempre comuni alla Legge Prodi bis, quale normativa generale di riferimento cui la Legge Marzano fa espresso rinvio. Cio' posto in via di analisi del tessuto normativo in esame, venendo all'oggetto del presente giudizio, entrambi i sistemi normativi prevedono la possibilita' di esperire l'azione revocatoria di cui all'art. 67 l.f., ma in forza della ricorrenza di estremi fra loro non serenamente conciliabili. In argomento, e' noto il dibattito giurisprudenziale apertosi dopo l'emanazione della legge n. 95/1979 (c.d. Legge Prodi), sfociato in una ferma posizione assunta dalla suprema corte sul punto (cfr. l'arresto 27 dicembre 1996, n. 11519), che indusse il legislatore alla sostituzione del regime istituito con la legge del 1979 con quello della c.d. Prodi bis, escludendo espressamente la possibilita' per il commissario straordinario di proporre le azioni revocatorie fallimentari nel corso della fase di risanamento dell'impresa. L'art. 49, comma 1, d.lgs. n. 270/1999, prevede infatti che: «le azioni per la dichiarazione di inefficacia e la revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori previste dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo II della legge fallimentare possono essere proposte dal commissario straordinario soltanto se e' stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali». Detta previsione normativa ha reso il nostro ordinamento nuovamente in linea con le finalita' connaturate all'azione revocatoria fallimentare, la quale mira, appunto, a ricostruire il patrimonio dell'imprenditore (secondo la teoria indennitaria) ovvero a ripartire la perdita derivante dall'insolvenza tra una collettivita' di creditori piu' ampia rispetto ai soli soggetti che si trovano ad essere tali al momento dell'apertura della procedura (teoria anti-indennitaria); duplice, dunque, la funzione: recuperatoria e ridistributiva, inconciliabile con procedure non finalizzate alla liquidazione bensi' alla conservazione dell'impresa, nelle quali in pendenza di risanamento, non vi e' un patrimonio da ripartire tra i creditori, ne' una perdita da ridistribuire. L'art. 6 cit. dispone che «il commissario straordinario puo' proporre le azioni revocatorie previste dall'art. 49 e 91 del d.lg. n. 270 anche nel caso di autorizzazione all'esecuzione del programma di ristrutturazione, purche' si traducano in un vantaggio per i creditori». Ci si trova di fronte ad una rinnovata estensione dell'ambito di applicazione dell'azione revocatoria fallimentare, prevedendo la possibilita', per il commissario straordinario, di esperirla in una procedura flnalizzata alla ristrutturazione ed alla conservazione dell'impresa (come palesato dagli artt. 1 d.l. n. 347 e 4 legge n. 39/2004), interrompendo cosi' immotivatamente quel legame di continuita' prima evidenziato tra finalita' concretamente perseguite dalla procedura e strumenti alla stessa connessi. Quanto precede comporta, a parere di chi giudica, la non manifesta infondatezza dei profili di incostituzionalita' dell'art. 6, d.l. n. 347, come modificato, con riferimento alla previsione di cui all'art. 49 Legge Prodi bis, rapportato al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Carta costituzionale: ed in particolare, il legislatore del 1999, operando un bilanciamento degli interessi coinvolti nel dissesto della grande impresa, ne aveva limitato l'esperibilita' al solo programma di liquidazione dell'impresa, attuato dagli organi della procedura, espressamente escludendola per il programma di ristrutturazione, ritenendo che il sacrificio patrimoniale dei terzi fosse ammissibile soltanto in vista dell'interesse - ritenuto meritevole dell'ordinaria tutela concorsuale - alla ripartizione fra tutti i creditori (anche quelli divenuti tali in seguito alla revoca dei pagamenti) del patrimonio del debitore insolvente, secondo le regole stabilite dalla legge a tutela della par condicio creditorum. Rendendo ammissibile la revocatoria anche durante la fase di risanamento dell'impresa, l'art. 6 della Legge Marzano ha ampliato il sacrificio dei terzi, ribaltando la scelta consapevolmente operata con l'art. 49 della Legge Prodi bis. Cio' appare privo di giustificazione se valutato alla stregua del canone di ragionevolezza costituzionale sopra evidenziato: la revocatoria di cui all'art. 49 e quella di cui all'art. 6, per i motivi esposti, si collocano all'interno di procedure disciplinanti fenomeni analoghi, coinvolgono interessi omogenei e perseguono il medesimo obiettivo, cioe' il recupero dell'equilibrio economico delle attivita' imprenditoriali mediante «prosecuzione, riattivazione o riconversione» (art. 1, d.lgs. n. 270/1999), per il tramite di un programma di ristrutturazione senza che sia dato comprendere le ragioni del superamento di quanto cosi' recisamente escluso dall'art. 49 del cit. d.lgs. n. 270. La stessa Corte costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimita' dell'art. 67 l.f. in riferimento agli artt. 3, 24, 47 Cost., nella parte in cui assoggetta a revocatoria anche i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati con mezzi normali dal debitore nel periodo c.d. sospetto, ha espressamente affermato che, con detta azione, il principio generale della stabilita' dei diritti (con cio' intendendo l'interesse dei terzi a non subire una revoca dei pagamenti ricevuti) subisce una deroga solo al fine di «... tutelare le ragioni del concorso tra i creditori ... il legislatore ha costruito l'azione revocatoria fallimentare per contemperare l'interesse dei creditori di recuperare al patrimonio del fallito la maggiore quantita' di beni, in vista dell'esecuzione concorsuale, con quello al normale svolgimento dell'attivita' economica ed alla stabilita' dei diritti» (cfr. Corte cost. 27 luglio 2000, n. 379). L'irragionevolezza della disparita' di trattamento riservata ai terzi destinatari dall'azione revocatoria esperita ex art. 6 legge in esame risulta, infine, amplificata, ove si consideri come l'opzione a favore della «Marzano» sia sostanzialmente rimessa dal legislatore all'unilaterale iniziativa dell'impresa insolvente, la quale potrebbe essere opportunisticamente motivata dalle possibilita' di eterofinanziamento insito nell'esercizio di azioni revocatorie, altrimenti precluse dal regime ordinario previsto dal citato art. 49. La distorta finalita' attribuita all'azione revocatoria nell'ambito della Legge Marzano non puo' dirsi lenita dalla condizione posta al suo esercizio (nella versione finale faticosamente raggiunta dal legislatore dopo due interventi di modifica): subordinare l'esercizio al fatto che le azioni revocatorie si traducano in un vantaggio per i creditori risulta in realta' del tutto pleonastico, posto che, come confermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza citata, l'interesse dei creditori costituisce l'unico ed esclusivo bene giuridico alla cui tutela e' preordinato l'istituto dell'azione revocatoria fallimentare, ragione in se' della norma e non finalita' da rimettere all'esito volubile della verifica da operarsi concretamente nel singolo caso. Ne' la non manifesta infondatezza della previsione normativa in esame risulta lenita dalle considerazioni espresse dalla difesa della procedura attrice, per la quale l'azione revocatoria prevista dalla legge sarebbe incompatibile con la finalita' di prosecuzione e risanamento dell'attivita' d'impresa, qualora il risanamento andasse a beneficio dell'imprenditore insolvente (Parmalat S.p.A. in amministrazione straordinaria, odierna attrice) - cd. risanamento soggettivo; diverrebbe compatibile, qualora l'attivita' d'impresa venisse ceduta, anche mediante patto di concordato, ad un soggetto terzo (l'assuntore o la «nuova» Parmalat S.p.A.) - c.d. risanamento oggettivo, in quanto il regime di ragionevolezza non andrebbe piu' vagliato con l'art. 49 comma 1, Legge Prodi bis bensi' con l'art. 124, comma 2, l.f. In particolare, assume la difesa di parte attrice come dovrebbe nell'ipotesi in esame operarsi una distinzione fra risanamento oggettivo e soggettivo, in quanto la ristrutturazione di cui all'art. 27, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 270/1999 va sempre a vantaggio dell'imprenditore insolvente, in quanto egli resta titolare e gestore dell'azienda oggetto di risanamento, donde il divieto l'esperimento di azioni revocatorie, invece consentito nel caso di cessione dei complessi aziendali prevista dall'art. 27, comma 2, lett. a); la ristrutturazione Parmalat mediante il concordato non va a vantaggio dell'imprenditore insolvente (e cioe' degli azionisti della «vecchia» Parmalat), sarebbe pertanto, sotto questo aspetto, assimilabile alla cessione dei complessi aziendali prevista dall'art. 27, comma 2, lett. a), cit., nonche' al concordato fallimentare con cessione delle revocatorie al terzo assuntore, di cui all'art. 124 l.fall. Siffatto argomentare poggia su assunti indimostrati, sulla base dei quali raggiunge esiti non condivisibili in quanto: a) va osservato che la previsione di cui all'art. 6 della Legge Marzano assicura lo strumento revocatorio alla procedura di amministrazione straordinaria in quanto tale, per il programma di ristrutturazione perseguito, a nulla rilevando che il commissario provveda al suo perseguimento «in via ordinaria», secondo le modalita' consuete (art. 4) ovvero «straordinaria», attraverso il concordato, annoverato tra gli strumenti del programma di ristrutturazione (cfr. art. 4-bis, comma 1, per il quale «nel programma di ristrutturazione, il commissario puo' prevedere la soddisfazione dei creditori attraverso un concordato ...»). In altri termini, l'eccezione di parte fonda la legittimita' costituzionale della previsione di cui all'art. 6 sulla proposta di concordato, nella sola ipotesi in cui lo stesso preveda un patto di assunzione (con dubbio richiamo ai principi di cui all'art 124 l.f. e superamento immotivato di ogni richiamo «mediano» agli artt. 78, Legge Prodi bis e art. 214 l.f.), concordato questo che costituisce una - e solo una - delle modalita' di attuazione del piano di ristrutturazione, rendendo cosi' evidente come tale condizione di asserita legittimita' costituzionale vacilli - nell'argomentazione della stessa parte - in ogni ipotesi altra e diversa di ristrutturazione. Ne' va, infine, sottaciuto come anche nella Legge Prodi bis sia possibile procedere ad una ristrutturazione per il tramite di un concordato proposto da un terzo, senza peraltro che venga alterata la scelta lucidamente operata dal legislatore del 1999, permettendo al terzo assuntore di avvantaggiarsi di azioni incompatibili con le finalita' della procedura di risanamento. b) Il concordato in esame costituisce, per espressa indicazione di legge e per opzione concretamente perseguita e realizzata dal Commissario straordinario, semplice modalita' del programma di ristrutturazione, come tale inidoneo a sorreggere l'assunto di parte, volto a privilegiare una considerazione del tutto autonoma degli esiti concordatari e della normativa ad essa connessa, rispetto alla Legge Marzano. Al riguardo, si ricorda come con la recente sentenza del 1° ottobre 2005, questo tribunale abbia omologato il concordato ex art. 4-bis, d.l. n. 347/2003 e succ. modd., «con assunzione da parte della societa' Parmalat S.p.A., con sede legale in Collecchio (Parma)», disponendo l'immediato trasferimento all'Assuntore «di tutti i beni, i diritti, le partecipazioni sociali e le azioni giudiziarie promosse ...». Nella parte motiva si legge che «con decreto ministeriale in data 23 luglio 2004 il Ministro delle attivita' produttive, d'intesa con il Ministro delle politiche agricole e forestali, visto il parere del comitato di sorveglianza in data 20 luglio 2004, autorizzava il programma di ristrutturazione per le suddette societa'. In data 29 luglio 2004, veniva depositato presso il Tribunale di Parma il programma di ristrutturazione autorizzato, unitamente alla proposta di concordato e all'elenco dei creditori ... la proposta di concordato costituisce, per espressa previsione normativa, parte integrante del programma di ristrutturazione predisposto dal commissario straordinario ... la devoluzione esclusiva del potere di iniziativa al commissario straordinario trova la sua ragione giustificatrice nella necessaria integrazione della proposta di concordato con il programma di ristrutturazione, mirando cosi' a contemperare le finalita' connesse al ripristino di una condizione di durevole equilibrio in capo alle societa' in amministrazione straordinaria con le dinamiche solutorie proprie della proposta di concordato. L'adempimento concordatario costituisce quindi parte integrante del piano di risanamento cui risulta funzionalmente rivolto, assumendo quindi una dimensione di strumentalita' nuova per l'istituto, in quanto la cessazione della procedura concorsuale con il soddisfacimento a saldo del ceto creditorio perde ogni connotazione di esclusivita' valutativa normalmente presente nelle varie figure di concordato, venendo a contemperarsi per modalita', interessi coinvolti e termini di pagamento con le esigenze proprie dei processi di ristrutturazione: in altri termini, il programma di ristrutturazione definisce il perimetro delle compatibilita' solutorie assicurate dal concordato in ragione della introduzione di una dimensione di flessibilita' e/o mobilita' degli istituti del concorso mai prima registrata, attenuata negli estremi di illegittima assolutezza, dalla sua ricomposizione in una proposta concordataria capace di consenso ...». In termini ultimi, si ritiene che le censure di illegittimita' si incentrano sulla disciplina generale della procedura stabilita dalla stessa Legge Marzano, nell'ambito della quale l'epilogo naturale del processo di risanamento e' costituito dal ritorno dell'imprenditore all'ordinaria operativita' industriale, a conclusione del programma di ristrutturazione con qualunque modalita' attuato (artt. 4 e 4-bis), ivi compreso il concordato con assunzione che costituisce un'«ipotesi del tutto eventuale e residuale di conclusione del programma di ristrutturazione dell'impresa, cui il legislatore assegna la sola valenza di determinare l'immediata chiusura della procedura rispetto alla sua fisiologica durata ed al suo naturale espletamento. 2. - Dedotta incostituzionalita' dell'art. 6 cit. legge per contrarieta' ai pnncipi di cui all'art. 41 Cost. La facolta' di esperire l'azione revocatoria, nel corso e per la realizzazione della ristrutturazione aziendale, evidenzia un ulteriore profilo di irragionevolezza della norma in esame, per disparita' di trattamento tra le imprese operanti nel mercato, in contrasto con il principio della liberta' di concorrenza discendente dall'art. 41 della Costituzione. Come affermato in dottrina, il risanamento agevolato da misure di sostegno finanziario non puo' considerarsi un vero e proprio risanamento ne' in senso economico ne' giuridico. Sotto il primo profilo, infatti, il risanamento equivale alla ritrovata capacita' dell'impresa di conseguire dei ricavi superiori ai costi sostenuti: perche' sia effettivo, tuttavia, e' necessario che la prevalenza dei ricavi sui costi consegua alla capacita' di produrre valore e ricchezza e non all'opportunistico intervento di misure esterne alle dimensioni interessate dalla sua concreta operativita'. Sotto il profilo giuridico il risanamento indica la ritrovata capacita' dell'impresa di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni; se la solvibilita' dell'impresa e' il risultato esclusivamente del positivo esercizio di azioni revocatorie fallimentari non vi e' alcun vero risanamento. Il risanamento dell'impresa mediante l'esperimento dell'azione revocatoria fallimentare costituisce quindi un ingiustificato privilegio per l'impresa ammessa alla procedura ex Legge Marzano e determina un effetto distorsivo della concorrenza, in quanto permette all'impresa insolvente di restare sul mercato sfruttando anziche' le proprie capacita' economiche, risorse finanziarie precluse ai concorrenti. Detto effetto e' essenzialmente legato alla continuazione dell'impresa: mentre, nell'ambito delle procedure di tipo liquidatorio le somme, eventualmente riscosse a seguito del vittorioso esperimento dell'azione revocatoria, sono esclusivamente destinate al soddisfacimento dei creditori, qualora l'azione sia consentita all'interno di una procedura concorsuale di tipo risanatorio essa si trasforma, come gia' visto, in una forma di finanziamento forzoso a favore dell'impresa insolvente ed a carico dei terzi. La critica nei confronti di normative che, favorendo le imprese in fase di ristrutturazione, falsano la libera concorrenza non e' un argomento nuovo: in passato sia la Corte di giustizia CE sia i giudici italiani hanno piu' volte censurato per ragioni simili la legge n. 95/1979, che conteneva diverse disposizioni tese ad agevolare ilegittimamente l'impresa insolvente (cfr., di recente Corte di giustizia CE 17 giugno 1999 (C-295/1997), Cass. 23 giugno 2000 n. 8539, App. Trieste 10 febbraio 2004, App. Venezia 26 giugno 2003, etc.). In realta' al di la' dei profili comunitari, pur rilevanti in sede intepretativa, l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare nell'ambito di una procedura di ristrutturazione aziendale determina una forte e strutturale distorsione della libera concorrenza tra imprese con conseguente violazione dell'art. 41 della Costituzione. L'instaurazione di un regime di libera concorrenza tra le imprese e la sua tutela sono strumentali all'effettiva realizzazione della liberta' di iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost., con la conseguenza che, seppure non espressamente menzionato dalla Costituzione, il principio di libera concorrenza ha rango costituzionale. Tale linea argomentativa e' stata fatta propria sia dalla Corte costituzionale che dai giudici civili ed amministrativi, i quali hanno ricondotto la tutela della liberta' di concorrenza all'art. 41 cit. «La liberta' di concorrenza tra imprese ha, come noto, una duplice finalita': da un lato, integra la liberta' di iniziativa economica che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e, dall'altro, e' diretta alla protezione della collettivita', in quanto l'esistenza di una pluralita' di imprenditori, in concorrenza tra loro, giova a migliorare la qualita' dei prodotti e a contenere i prezzi» (cfr. Corte costituzionale, 16 dicembre 1982, n. 223; nello stesso senso si veda anche Corte costituzionale 13 ottobre 2000, n. 419). «La liberta' di iniziativa economica privata garantita dalla Costituzione (art. 41, comma 1), comprensiva anche della liberta' di concorrenza tra imprese, attiene sicuramente a materia disponibile posto che e' espressione della liberta' di scelta e di svolgimento delle attivita' economiche riconosciuta al soggetto privato» (cfr. Cass. 21 agosto 1996, n. 7733). In altri termini, il principio di liberta' dell'iniziativa economica privata garantisce, inter alia, che ogni operatore economico possa operare sul mercato in una situazione di parita' con gli altri imprenditori e che il profitto, e quindi il successo, dell'impresa dipenda dal giudizio insito nelle dinamiche di mercato, come costituzionalmente garantite dall'art. 41 Cost. L'irragionevolezza e l'illegittimita' di una disciplina che determini una discriminazione tra imprese in concorrenza e' stata affermata dalla Corte costituzionale nella sentenza del 30 dicembre 1997 n. 443, dichiarativa della incostituzionalita', per violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione, dell'art. 30 della legge 4 luglio 1967 n. 580 nella parte in cui non prevedeva che alle imprese aventi stabilimento in Italia fosse consentita, nella produzione e nella commercializzazione di paste alimentari, l'utilizzazione di ingredienti legittimamente impiegati, in base al diritto comunitario, nel territorio della Comunita' europea.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87, e gli artt. 3 e 41 Cost. Dichiara la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119, conv. con mod. in legge 5 luglio 2004, n. 166, dal d.l 28 febbraio 2005, n. 22, conv. con mod. in legge 29 aprile 2005, n. 71, nella parte in cui consente l'esercizio delle azioni revocatorie previste dagli articoli 49 e 91 d.lgs. 270 in costanza di un programma di ristrutturazione, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. e per l'effetto; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Ordina che, a cura della cancelleria il presente provvedimento sia notificato alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri; Dispone che il presente provvedimento sia comunicato dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Parma, addi' 23 febbraio 2006 Il giudice: Sinisi 06C0464