N. 166 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 febbraio 2006
Ordinanza emessa il 20 febbraio 2006 dal tribunale di Parma nel procedimento civile vertente tra Parmalat S.p.a. in amministrazione straordinaria contro Cassa di risparmio di Pisa S.p.a. Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza - Imprese insolventi ammesse alla procedura in base alla c.d. «legge Marzano» (d.l. 347/2003, convertito con modifiche nella legge 39/2004) - Esercizio delle azioni revocatorie da parte del Commissario straordinario - Proponibilita' pur in presenza di autorizzazione all'esecuzione del programma di ristrutturazione dell'impresa - Lesione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza - Ingiustificata deroga al regime della c.d. «legge Prodi bis», che esclude l'esercizio delle revocatorie nella fase di risanamento dell'impresa - Irragionevole disparita' di trattamento fra terzi destinatari di azioni revocatorie, nonche' fra imprese in stato di insolvenza (a seconda che la procedura di a. s. sia avviata su iniziativa dei creditori o su iniziativa dell'imprenditore rivolta al Ministro) - Incompatibilita' con la finalita' di ristrutturazione dell'impresa, pur se attuata mediante concordato con assunzione - Contrasto con la disciplina quadro della «legge Prodi bis», con il diritto vivente e con la dottrina maggioritaria - Violazione del principio costituzionale di libera concorrenza - Discriminazione fra le imprese operanti nel mercato - Irragionevole possibilita' di forme di finanziamento forzoso a favore delle imprese in crisi - Richiamo alla sentenza n. 379/2000 della Corte costituzionale. - Decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito con modifiche nella legge 18 febbraio 2004, n. 39 (come modificato dal decreto legge 3 maggio 2004, n. 119, convertito con modifiche nella legge 5 luglio 2004, n. 166, e dal decreto legge 28 febbraio 2005, n. 22, convertito con modifiche nella legge 29 aprile 2005, n. 71), art. 6, comma 1. - Costituzione, artt. 3 e 41; decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, artt. 49 e 78. Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza - Imprese insolventi ammesse alla procedura in base alla c.d. «legge Marzano» (d.l. 347/2003, convertito con modifiche nella legge 39/2004) - Esercizio delle azioni revocatorie da parte del Commissario straordinario - Computo dei termini relativi al c.d. periodo sospetto stabiliti dalla sez. III del capo III del titolo II della legge fallimentare - Prevista decorrenza dalla data di emanazione del decreto ministeriale di ammissione dell'impresa alla procedura di a. s. e di nomina del Commissario - Prevista applicabilita' di tale disposizione anche nei casi di conversione della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento - Irragionevole e ingiustificata diversita' rispetto al regime della c.d. «legge Prodi bis», che fa decorrere il «periodo sospetto» dalla dichiarazione dello stato di insolvenza. - Decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito con modifiche nella legge 18 febbraio 2004, n. 39 (come modificato dal decreto legge 3 maggio 2004, n. 119, convertito con modifiche nella legge 5 luglio 2004, n. 166, e dal decreto legge 28 febbraio 2005, n. 22, convertito con modifiche nella legge 29 aprile 2005, n. 71), art. 6, comma 1-ter. - Costituzione, art. 3; decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, art. 49, comma 2. Amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza - Imprese insolventi ammesse alla procedura in base alla c.d. «legge Marzano» (d.l. 347/2003, convertito con modifiche nella legge 39/2004) - Esercizio delle azioni revocatorie da parte del Commissario straordinario pur in presenza di autorizzazione all'esecuzione del programma di ristrutturazione dell'impresa - Possibilita' per i soccombenti in revocatoria di far valere il corrispondente diritto di credito nei confronti della procedura in caso di approvazione di concordato - Esclusione, essendo la sentenza di approvazione produttiva di effetti rispetto ai soli creditori per fatto anteriore all'apertura della procedura di a. s. - Sostanziale espropriazione del credito spettante ex art. 71 della legge fallimentare. - Decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito con modifiche nella legge 18 febbraio 2004, n. 39 (come modificato dal decreto legge 3 maggio 2004, n. 119, convertito con modifiche nella legge 5 luglio 2004, n. 166, e dal decreto legge 28 febbraio 2005, n. 22, convertito con modifiche nella legge 29 aprile 2005, n. 71), combinato disposto degli artt. 6, comma 1, e 4-bis, comma 10. - Costituzione, art. 42; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 71.(GU n.23 del 7-6-2006 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza, ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, nella causa proposta da Parmalat S.p.a., in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario dott. Enrico Bondi, parte attorea, con l'avv. Alberto Maffei Alberti, contro Cassa di risparmio di Pisa S.p.a., in persona del suo legale rappresentante, Roberto Guzzelloni, convenuta, con gli avv.ti G. Iannaccone, L. Finocchiaro del Foro di Milano, G. Maghenzani Taverna e A. Pangrazi Liberati. Il Giudice istruttore dott. Pietro Iovino, letti gli atti ed a scioglimento della riserva, osserva in fatto ed in diritto quanto segue. F a t t o Con atto di citazione ritualmente notificato, Parmalat S.p.a. esponeva che, con decreto del Ministro delle attivita' produttive del 24 dicembre 2003, era stata assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria ex d.l. n. 347/2003 (conv. nella legge n. 39/2004) e d.lgs. n. 270/1999; che con sentenza depositata il 27 dicembre 2003, l'intestato Tribunale aveva dichiarato l'insolvenza della societa' attrice, con estensione della procedura concorsuale a Parmalat Finanziaria S.p.a. ed a quasi tutte le altre societa' riconducibili alla famiglia Tanzi; che la societa' aveva intrattenuto con Cassa di risparmio di Pisa S.p.a. un rapporto di conto corrente bancario in corso nell'anno anteriore al 24 dicembre 2003. Chiedeva, quindi, revocarsi ai sensi dell'art. 67, secondo comma, l.f., applicabile in virtu' del richiamo operato dal combinato disposto degli artt. 6 d.l. n. 347/2003 e 49 d.lgs. n. 270/1999, le rimesse in conto corrente, pagamenti ed accrediti in genere portati in diminuzione dell'esposizione debitoria nel corso del periodo sospetto per l'importo complessivamente indicato in citazione, chiedendo, quindi, la condanna della banca al pagamento della corrispondente somma ovvero di quella diversa risultante nel corso del processo. Costituitosi ritualmente in giudizio, l'Istituto, pur affrontando per completezza il merito della causa col negare il fondamento dell'azione revocatoria, ha sollevato le eccezioni pregiudiziali di: 1. incostituzionalita' sia dell'intero d.l. n. 347/2003, conv. in legge n. 39/2004 e successive modifiche sia dell'art. 6 d.l. cit. in relazione agli artt. 41, laddove si consente l'ammissione delle imprese in crisi alla procedura di amministrazione straordinaria in assenza di qualsivoglia verifica sull'effettiva risanabilita' delle stesse imprese, e 3, 24, laddove si consente la proponibilita' dell'azione revocatoria fallimentare anche in presenza della prosecuzione dell'esercizio dell'impresa, della Carta Costituzione; 2. inapplicabitita' dell'art. 6 cit. in quanto in palese violazione del divieto di aiuti di Stato di cui all'art. 87 (gia' 92) del Trattato CE. In proposito giova ricordare che questo stesso Tribunale nella persona del G.I. dott. Nicola Sinisi, con distinte ordinanze 18 novembre 2005 e 27 dicembre 2005, ha gia' sollevato la questione di costituzionalita', dichiarandola rilevante e non manifestamente infondata, cosi' rimettendo gli atti alla Consulta. Questo stesso G.I. ritiene condivisibile tale giudizio per le seguenti ed in parte coincidenti ragioni, gia' ritenute con le suddette ordinanze e per quelle che andranno ulteriormente ad esplicarsi. D i r i t t o A. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale La rilevanza e' insita nella possibilita' stessa di proporre l'azione revocatoria di cui all'art. 67 l.f., richiamato dall'art. 49 del d.lgs. n. 270/1999, pur in presenza di autorizzazione all'esecuzione del programma di ristrutturazione. Tale possibilita' e' concessa, appunto, dall'art. 6, comma 1, d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in legge 18 febbraio 2004, n. 39, e succ. mod. (per il proseguimento anche legge Marzano), senza la cui previsione tale azione non sarebbe altrimenti proponibile, come meglio si vedra' in seguito. In particolare le stesse conclusioni di parte attrice rendono rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1, cit., in quanto, una volta eliminata tale norma dall'ordinamento non sarebbe piu' possibile proporre l'azione revocatoria intentata, giova ribadirlo, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 67 l.f. La rilevanza riverbera, poi, anche sotto il profilo del computo dei termini del cosi' detto periodo sospetto, cosi' come previsti dall'art. 6, comma 1-ter, cit., in quanto e' evidente che, qualora si superasse la questione precedente, nel corso del processo sarebbe indispensabile esaminare i crediti revocandi a partire da un determinato momento storico in poi, integrante, appunto, il gia' detto periodo sospetto, all'interno del quale deve ricadere l'atto solutorio oggetto dell'azione revocatoria. E' evidente, quindi, che tale aspetto potra' essere esaminato, perche' rilevante, soltanto in caso di mancato accoglimento del precedente rilievo. B. Non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale 1. - Assunta incostituzionalita' dell'art. 6, comma 1, legge Marzano per contrarieta' ai principi di cui all'art. 3 Cost. La Corte costituzionale ha, in piu' occasioni, sancito che il principio d'eguaglianza inibisce al legislatore di operare arbitrarie discriminazioni fra soggetti in situazioni identiche o affini; il giudizio di legittimita' costituzionale, ai sensi dell'art. 3 Cost. ha, pertanto, ad oggetto la ragionevolezza delle classificazioni legislative. Per valutare il rispetto del principio d'uguaglianza, e' fondamentale l'esatta identificazione degli interessi sottesi alle norme messe a raffronto: se esse coinvolgono interessi omogenei, per essere gli stessi partecipi di fattispecie identiche o analoghe, assicurandosi cosi' una tutela di diversa intensita' (senza che esista un ulteriore interesse atto a giustificare due i diversi regimi di tutela), la norma che tutela in maniera diversa gli interessi comuni ad entrambe, dovra' reputarsi irragionevole e contraria al precetto costituzionale di cui all'art. 3 cit.; laddove, invece, gli interessi sottesi non siano omogenei dovra' considerarsi irragionevole una disciplina di tipo identico od analogo, che non tenga conto delle disuguaglianze fra le situazioni di fatto disciplinate. La giurisprudenza costituzionale ha, piu' volte, dichiarato l'illegittimita' di norme di legge per violazione del solo art. 3 Cost., senza la necessita' di rilevarne il conflitto con altri valori costituzionali (cosi', ad es., le sentenze n. 260 del 23 luglio 1997, n. 162 del 28 maggio 2001, n. 254 del 20 giugno 2002), in ragione dell'evidente rilevanza assegnata al principio di ragionevolezza nel senso indicato, quale parametro fondante il precetto costituzionale d'eguaglianza. Nell'ipotesi in esame, vanno messi a raffronto gli articoli 6 e 4-bis del d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119, conv. con mod. in legge 5 luglio 2004, n. 166 e dal d.l. 28 febbraio 2005, n. 22, conv. con mod. in legge 29 aprile 2005, n. 71, e gli artt. 49 e 78 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (in prosieguo anche legge Prodi bis). Entrambi i provvedimenti regolano la procedura d'amministrazione straordinaria, applicabile alle imprese di grandi dimensioni che versino in stato d'insolvenza, perseguendone la ristrutturazione economica e finanziaria, a difesa degli interessi dei lavoratori e dei fornitori, oltre che dei creditori; essi si differenziano nelle sole fasi d'ingresso e nei requisiti dimensionali d'ammissione alla procedura (cfr. artt. 1 d.l. n. 347/2003 e 2 d.lgs. n. 270/1999), in termini di personale ed ammontare dei debiti, senza che a tali differenze possa assegnarsi il rango della ragionevolezza costituzionalmente necessario a preservarne il sindacato sotto il profilo indicato. In particolare, come osservato dalla unanime dottrina, comparando i richiamati presupposti, si ricava che in tutti i casi in cui risulta applicabile la legge Marzano e' sempre applicabile anche la legione Prodi bis, e l'opzione per l'una o per l'altra procedura e' rimessa, dal legislatore interamente alla impresa insolvente, la quale manifesti l'intenzione di «avvalersi della procedura di ristrutturazione economica e finanziaria di cui all'art. 27, comma 2, lettera b) del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270». In altri termini legge Marzano rimette alla sola impresa insolvente l'iniziativa d'apertura della procedura, nell'intento di salvaguardare e perseguire con immediatezza quello stesso programma di ristrutturazione economica e finanziaria, cui la legge Prodi bis da' ingresso solo in esito alla fase di valutazione delle «concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attivita' imprenditoriali» di cui agli artt. 27-30 della citata legge. Il richiamo alla legge Prodi bis rende, pertanto, evidenti gli estremi di stretta continuita' esistenti con la legge Marzano, ponendosi questa come opzione ulteriore dell'impresa insolvente, il cui mancato esercizio da parte del debitore non preclude il suo assoggettamento alla procedura regolata dal d.lgs. n. 270/1999, con il perseguimento - secondo il diverso snodo procedurale ricordato - della medesima finalita' quale indicata dall'art. 1 della citata legge, nella «ristrutturazione economica e finanziaria previsto e disciplinato dall'art. 27, secondo comma, lett. b)». Al riguardo, va osservato come le innovazioni legislative introdotte dalla legge Marzano tendono a dare maggiore celerita' alla fase d'ammissione dell'impresa alla procedura (art. 2, Ammissione immediata all'amministrazione straordinaria) senza, peraltro, alterare sostanzialmente i caratteri funzionali della procedura, che restano pur sempre comuni alla legge Prodi bis, quale normativa generale di riferimento, cui la legge Marzano fa espresso rinvio. Infatti, uno dei primi interrogativi che hanno interessato gli interpreti e' stato quello di stabilire se il d.l. n. 347/2003 sia l'espressione di una nuova procedura concorsuale, una sorta di tertium genus tra la procedura d'amministrazione straordinaria di cui alla legge Prodi bis e le restanti procedure concorsuali, ovvero non sia altro che una particolare modalita' applicativa e, quindi, sostanzialmente una sottospecie, dell'amministrazione straordinaria di cui alla legge Prodi bis. Stando al tenore letterale delle premesse del decreto stesso, dove si fa espresso riferimento a «misure integrative e correttive della normativa vigente in materia d'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d'insolvenza», non puo' che darsi preferenza alla seconda delle riferite opzioni ermeneutiche, cosi' evidenziando come gia' fatto da autorevole dottrina che la novella introdotta dalla legge Marzano fa riferimento ad una procedura che va certamente ricondotta all'amministrazione straordinaria vigente pur se le deviazioni dal modello comune, non rilevanti certo dal punto di vista quantitativo, appaiono in alcuni tratti veramente qualificanti. Cio' posto in via di analisi del tessuto normativo in esame, venendo all'oggetto del presente giudizio, entrambi i sistemi normativi prevedono la possibilita' di esperire l'azione revocatoria di cui all'art. 67 l.f., ma in forza delle ricorrenza di estremi fra loro non serenamente conciliabili. In argomento, e' noto il dibattito giurisprudenziale apertosi dopo l'emanazione della legge n. 95/1979 (c.d. legge Prodi), sfociato in una ferma posizione assunta dalla suprema Corte sul punto (cfr. l'arresto 27 dicembre 1996, n. 11519), che indusse il legislatore alla sostituzione del regime istituito con la legge del 1979 con quello della c.d. Prodi bis, escludendo espressamente la possibilita' per il Commissario straordinario di proporre le azioni revocatorie fallimentari nel corso della fase di risanamento dell'impresa. L'art. 49, comma 1, d.lgs. n. 270/1999, prevede, infatti, che: «le azioni per la dichiarazione di inefficacia e la revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori previste dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo II della legge fallimentare possono essere proposte dal commissario straordinario soltanto se e' stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali». Detta previsione normativa ha reso il nostro ordinamento nuovamente in linea con le finalita' connaturate all'azione revocatoria fallimentare, la quale mira, appunto, a ricostruire il patrimonio dell'imprenditore (secondo la teoria indennitaria) ovvero a ripartire la perdita derivante dall'insolvenza tra una collettivita' di creditori piu' ampia rispetto ai soli soggetti che si trovano ad essere tali al momento dell'apertura della procedura (teoria anti-indennitaria); duplice, dunque, la funzione: recuperatoria e redistributiva, inconciliabile con procedure non finalizzate alla liquidazione bensi' alla conservazione dell'impresa, nelle quali in pendenza di risanamento, non vi e' un patrimonio da ripartire tra i creditori, ne' una perdita da ridistribuire. L'art. 6, comma 1, cit. dispone, nella versione da ultimo faticosamente raggiunta, che «il commissario straordinario puo' proporre le azioni revocatorie previste dall'art. 49 e 91 del d.lgs. n. 270 anche nel caso di autorizzazione all'esecuzione del programma di ristrutturazione, purche' si traducano in un vantaggio per i creditori». Non e' del tutto inutile pero' ricordare che la versione originaria prevedeva la possibilita' di avvalersi delle azioni revocatorie anche dopo l'autorizzazione all'esecuzione del programma di ristrutturazione, purche' funzionali al perseguimento dell'obiettivo del risanamento. Ci si trova ed a maggior ragione ci si trovava nella versione originaria, di fronte ad una rinnovata estensione dell'ambito di applicazione dell'azione revocatoria fallimentare, prevedendo la possibilita', per il Commissario straordinario, di esperirla in una procedura finalizzata alla ristrutturazione ed alla conservazione dell'impresa (come palesato dagli artt. 1 d.l. n. 347 e 4 legge n. 39/2004), interrompendo cosi' immotivatamente quel legame di continuita' prima evidenziato tra finalita' concretamente perseguite dalla procedura e strumenti alla stessa connessi. Quanto precede comporta, a parere di chi giudica, la non manifesta infondatezza dei profili d'incostituzionalita' dell'art. 6, comma 1, d.l. n. 347, anche come da ultimo modificato, con riferimento alla previsione di cui all'art. 49, legge Prodi bis, rapportato al principio d'uguaglianza di cui all'art. 3 della Carta costituzionale. In particolare, il legislatore del 1999, operando un bilanciamento degli interessi coinvolti nel dissesto della grande impresa, ne aveva limitato l'esperibilita' al solo programma di liquidazione dell'impresa, attuato dagli organi della procedura, espressamente escludendola per il programma di ristrutturazione, ritenendo che il sacrificio patrimoniale dei terzi fosse ammissibile soltanto in vista dell'interesse - ritenuto meritevole dell'ordinaria tutela concorsuale - alla ripartizione fra tutti i creditori (anche quelli divenuti tali in seguito alla revoca dei pagamenti) del patrimonio del debitore insolvente, secondo le regole stabilite dalla legge a tutela della par condicio creditorum. Rendendo ammissibile la revocatoria anche durante la fase di risanamento dell'impresa, l'art. 6, comma 1, della legge Marzano ha ampliato il sacrificio dei terzi, cosi' ribaltando la scelta consapevolmente operata con l'art. 49 della legge Prodi bis. Cio' appare privo di giustificazione se valutato alla stregua del canone di ragionevolezza costituzionale sopra evidenziato: la revocatoria di cui all'art. 49 cit. e quella di cui all'art. 6 cit., per i motivi esposti, si collocano all'interno di procedure disciplinanti fenomeni analoghi, coinvolgono interessi omogenei e perseguono il medesimo obiettivo, cioe' il recupero dell'equilibrio economico delle attivita' imprenditoriali mediante «prosecuzione, riattivazione o riconversione» (art. 1 d.lgs. n. 270/1999), per il tramite di un programma di ristrutturazione senza che sia dato comprendere le ragioni del superamento di quanto cosi' recisamente escluso dall'art. 49 del cit. d.lgs. n. 270, secondo il quale le azioni revocatorie «possono essere proposte dal commissario straordinario soltanto se e' stata autorizzata l'esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali, salvo il caso di conversione della procedura in fallimento». La rottura e', poi, ancora piu' forte se sol si consideri, non solo, quanto gia' detto circa la natura e la portata della novella, ossia che la legge Marzano non e' una nuova ed ulteriore figura di amministrazione straordinaria, avulsa dal contesto generale delle norme regolanti il fenomeno amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, ma anche, il fatto che la finalita' prettamente conservativa della procedura di cui alla legge Marzano non puo' seriamente essere messa in dubbio, cosi' come emblematicamente e' rappresentato nel testo dell'art. 1, laddove si dice che tale procedura si applica «alle imprese soggette alle disposizioni sul fallimento in stato di insolvenza che intendono avvalersi della procedura di ristrutturazione economica e finanziaria di cui all'art. 27, comma 2, lettera b) del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270...», con la conseguenza che la suddetta finalita' diviene esclusivamente conservativa del patrimonio produttivo mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attivita' imprenditoriali entrate in crisi. La stessa Corte costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimita' dell'art. 67 l.f. in riferimento agli artt. 3, 24, 47 Cost., nella parte in cui assoggetta a revocatoria anche i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, effettuati dal debitore con mezzi normali nel periodo c.d. sospetto, ha espressamente affermato che, con detta azione, il principio generale della stabilita' dei diritti (con cio' intendendo l'interesse dei terzi a non subire la revoca dei pagamenti ricevuti) subisce una deroga solo al fine di «... tutelare le ragioni del concorso tra i creditori ... il legislatore ha costruito l'azione revocatoria fallimentare per contemperare l'interesse dei creditori di recuperare al patrimonio del fallito la maggiore quantita' di beni, in vista dell'esecuzione concorsuale, con quello al normale svolgimento dell'attivita' economica ed alla stabilita' dei diritti» (cfr. Corte cost. 27 luglio 2000, n. 379). Un'ulteriore riflessione induce il sospetto di un ulteriore profilo d'illegittimita' costituzionale della norma. Infatti, come pur evidenziato da autorevole dottrina, di fronte a due imprese in stato d'insolvenza, per le quali sia prospettabile il programma di ristrutturazione, pur alla presenza di situazioni omogenee, per il solo fatto che in un caso la procedura si avvii su iniziativa dei creditori e nell'altro caso su iniziativa dell'imprenditore rivolta al Ministro, si diversfica il trattamento dei creditori e dei terzi che nella seconda ipotesi sono esposti al rischio dell'esercizio delle azioni revocatorie. Questa differenza di trattamento e' ingiustificata e si mostra in palese violazione dell'art. 3 Cost., in quanto situazioni omogenee, per non dire identiche, sono regolate da un regime differente. Ne' puo' dirsi che la ragione della distinzione possa ricondursi alla condizione contenuta nella clausola contenuta nell'inciso finale dell'art. 6, comma 1, legge Marzano «purche' si traducano in un vantaggio per i creditori», che nella versione attuale ha sostituito quello originario «purche' funzionali al raggiungimento degli obiettivi del programma». Sia che ci riferisca all'uno sia che si prenda in considerazione l'altro dei presupposti suddetti non puo' seriamente dubitarsi che l'esercizio delle azioni revocatorie puo' essere funzionale, vantaggioso ed utile anche all'amministrazione straordinaria delineata nella legge Prodi bis, dove pero' e' stato espressamente escluso in quanto la prosecuzione dell'attivita' e l'obiettivo del risanamento sono inconciliabili con lo strumento revocatorio. L'irragionevolezza della disparita' di trattamento riservata ai terzi destinatari dall'azione revocatoria esperita ex art. 6 in esame risulta, infine, amplificata, ove si consideri come l'opzione a favore della legge Marzano sia sostanzialmente rimessa dal legislatore all'unilaterale iniziativa dell'impresa insolvente, la quale potrebbe essere opportunisticamente motivata dalla possibilita' di poter ricorrere a cio' che nella sostanza concretizzerebbe un vero e proprio eterofinanziamento, insito nell'esercizio d'azioni revocatorie, altrimenti precluse dal regime ordinario previsto dal citato art. 49. La finalita' attribuita all'azione revocatoria nell'ambito della legge Marzano non puo' dirsi esclusa dalla condizione posta al suo esercizio nella versione finale, raggiunta dal legislatore dopo due interventi di modifica. Subordinare l'esercizio dell'azione revocatoria al fatto che tali azioni si traducano in un vantaggio per i creditori risulta in realta' del tutto pleonastico, posto che, come confermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza gia' citata, l'interesse dei creditori costituisce l'unico ed esclusivo bene giuridico alla cui tutela e' preordinato l'istituto dell'azione revocatoria fallimentare, ragione in se' della norma e non finalita' da rimettere all'esito volubile della verifica da operarsi concretamente caso per caso e passibile di interpretazioni rimesse di volta in volta agli operatori. Ne' la non manifesta infondatezza della questione risulta superata dalle considerazioni espresse dalla difesa della procedura attrice, per la quale l'azione revocatoria prevista sarebbe incompatibile con la finalita' di prosecuzione e risanamento dell'attivita' d'impresa, qualora il risanamento andasse a beneficio dell'imprenditore insolvente (Parmalat S.p.a. in amministrazione straordinaria, odierna attrice) - cd. risanamento soggettivo; diverrebbe compatibile, qualora l'attivita' d'impresa fosse ceduta, anche mediante patto di concordato, ad un soggetto terzo (l'acquirente dell'azienda o l'assuntore) - cd. risanamento oggettivo, in quanto il regime di ragionevolezza non andrebbe piu' vagliato con l'art. 49, comma 1, d.lgs. n. 279/1999 bensi' con l'art. 124, comma 2, l.f. In particolare, la difesa attorea assume come nell'ipotesi in esame dovrebbe operarsi una distinzione fra risanamento oggettivo e soggettivo, in quanto la ristrutturazione di cui all'art. 27, comma 2, lett. b)del d.lgs. n. 270/1999 va sempre a vantaggio dell'imprenditore insolvente, in quanta egli resta titolare e gestore dell'azienda oggetto di risanamento, donde il divieto l'esperimento di azioni revocatorie, esperimento invece consentito nel caso di cessione dei complessi aziendali prevista dall'art. 27, comma 2, lett. a). La ristrutturazione Parmalat mediante il concordato non va a vantaggio dell'imprenditore insolvente (e cioe' degli azionisti della «vecchia» Parmalat), e sarebbe, pertanto, sotto quest'aspetto, assimilabile alla cessione dei complessi aziendali prevista dall'art. 27, comma 2, lett. a), cit., nonche' al concordato fallimentare con cessione delle revocatorie al terzo assuntore, di cui all'art. 124 l.fall. Siffatta argomentazione poggia invero su assunti non dimostrati ne' convincenti, sulla base dei quali raggiunge risultati non condivisibili in quanto: a) va osservato che la previsione di cui all'art 6, comma 1, in questione assicura lo strumento revocatorio alla procedura di amministrazione straordinaria in quanto tale, ossia anche nell'ipotesi in cui sia perseguito il programma di ristrutturazione, a nulla rilevando che il commissario provveda al suo perseguimento «in via ordinaria» secondo le modalita' consuete (art. 4) ovvero «straordinaria», attraverso il concordato, annoverato tra gli strumenti del programma di ristrutturazione (cfr. art. 4-bis, comma 1, per il quale «nel programma di ristrutturazione, il commissario puo' prevedere la soddisfazione dei creditori attraverso un concordato ...»). In altri termini, l'eccezione di parte fonda la legittimita' costituzionale della previsione di cui all'art 6 sulla proposta di concordato, nella sola ipotesi in cui lo stesso preveda un patto di assunzione (con dubbio richiamo ai principi di cui all'art 124, l.f. e superamento immotivato di ogni richiamo «mediano» agli artt. 78 l. Prodi bis e art. 214 l.f.), concordato questo che costituisce una - e soltanto una - delle possibili modalita' di attuazione del piano di ristrutturazione, rendendo cosi' evidente come tale condizione di assenta legittimita' costituzionale vacilli - nell'argomentazione della stessa parte - ogni altra e diversa ipotesi di ristrutturazione. Ne' va, infine, sottaciuto come anche nella legge Prodi bis sia possibile procedere ad una ristrutturazione per il tramite di un concordato proposto da un terzo, senza peraltro che venga alterata la scelta lucidamente operata dal legislatore del 1999, permettendo al terzo assuntore di avvantaggiarsi di azioni incompatibili con le finalita' della procedura di risanamento. Infatti il ricorso al concordato, anche nell'ipotesi di terzo assuntore di esso, e' gia' espressamente previsto dalla legge Prodi bis, laddove agli artt. 74, comma 1, lett. c) e 78 si prevede espressamente il concordato come una delle possibili cause di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria e si individuano le modalita' di accesso al concordato medesimo, con il rinvio espresso all'art. 214, commi 2, 3, 4 e 5 l.f. E' piuttosto pacifico, oltre che evidente nella lettera della legge, che tale misura sia consentita per entrambe le ipotesi alternative di procedura gia' previste dall'art. 27, che giova ricordarlo, prevede un programma di cessione dei beni aziendali (lett. a) ed uno di ristrutturazione dell'impresa (lett. b). Tuttavia nessuno ha mai teorizzato che, qualora la procedura di amministrazione straordinaria ex legge Prodi bis sia perseguita attraverso il programma di ristrutturazione e qualora si profili sullo sfondo la possibilita' di un concordato, per cio' solo possa venir meno il divieto delle azioni revocatorie imposto dall'art. 49. In dottrina si ammette l'esperibilita' delle azioni revocatorie e la conseguente e successiva cessione di esse all'assuntore solo quando il concordato sia previsto nell'ambito di un'amministrazione straordinaria realizzata attraverso un programma di cessione e non certo di ristrutturazione. Consegue a cio' che il richiamo che parte attorea fa all'art. 124, comma 2, l.f. si mostra piuttosto ardito se sol si consideri che in sede fallimentare il potere/dovere da parte del curatore di far ricorso alle azioni revocatorie non dipende certamente dalla possibilita' o dalla previsione di un concordato, ma dal fatto che il fallimento e' una procedura tipicamente liquidatoria; b) il concordato in esame costituisce, per espressa indicazione di legge e per opzione concretamente perseguita e realizzata dal commissario straordinario, semplice modalita' del programma di ristrutturazione, come tale inidoneo a sorreggere l'assunto di parte, volto a privilegiare una considerazione del tutto autonoma degli esiti concordatari e della normativa ad essa connessa, rispetto alla legge Marzano. Al riguardo, si ricorda come con la recente sentenza del 1° ottobre 2005, questo Tribunale abbia omologato il concordato ex art. 4-bis, d.l. n. 347/2003 e succ. mod., «con assunzione da parte della societa' Parmalat S.p.a., con sede legale in Collecchio (PR)», disponendo l'immediato trasferimento all'Assuntore «di tutti i beni, i diritti, le partecipazioni sociali e le azioni giudiziarie promosse ...». Nella parte motiva si legge che «con decreto ministeriale in data 23 luglio 2004 il Ministro delle attivita' produttive, d'intesa con il Ministro delle potitiche agricole e forestali, visto il parere del Comitato di sorveglianza in data 20 luglio 2004, autorizzava il programma di ristrutturazione per le suddette societa'. In data 29 luglio 2004, veniva depositato presso il Tribunale di Parma il programma di ristrutturazione autorizzato, unitamente alla proposta di concordato e all'elenco dei creditori ... la proposta di concordato costituisce, per espressa previsione normativa, parte integrante del programma di ristrutturazione predisposto dal commissario straordinario ... la devoluzione esclusiva del potere di iniziativa al commissario straordinario trova la sua ragione giustificatrice nella necessaria integrazione della proposta di concordato con il programma di ristrutturazione, mirando cosi' a contemperare le finalita' connesse al ripristino di una condizione di durevole equilibrio in capo alle societa' in amministrazione straordinaria con le dinamiche solutorie proprie della proposta di concordato. L'adempimento concordatario costituisce quindi parte integrante del piano di risanamento cui risulta funzionalmente rivolto, assumendo quindi una dimensione di strumentalita' nuova per l'istituto, in quanto la cessazione della procedura concorsuale con il soddisfacimento a saldo del ceto creditorio perde ogni connotazione di esclusivita' valutativa normalmente presente nelle varie figure di concordato, venendo a contemperarsi per modalita', interessi coinvolti e termini di pagamento con le esigenze proprie dei processi di ristrutturazione: in altri termini, il programma di ristrutturazione definisce il perimetro delle compatibilita' solutorie assicurate dal concordato in ragione della introduzione di una dimensione di flessibilita' e/o mobilita' degli istituti del concorso mai prima registrata, attenuata negli estremi di illegittima assolutezza, dalla sua ricomposizione in una proposta concordataria capace di consenso ...». In termini ultimi, si ritiene che le censure d'illegittimita' s'incentrano sulla disciplina generale della procedura stabilita dalla stessa legge Marzano, nell'ambito della quale l'epilogo naturale del processo di risanamento e' costituito dal ritorno dell'impresa all'ordinaria operativita' industriale, a conclusione del programma di ristrutturazione con qualunque modalita' attuato (artt. 4 e 4-bis), ivi compreso il concordato con assunzione che costituisce un'ipotesi del tutto eventuale e residuale di conclusione del programma di ristrutturazione dell'impresa, cui il legislatore assegna la sola valenza di determinare l'immediata chiusura della procedura rispetto alla sua fisiologica durata ed al suo naturale espletamento. A differenza della procedura di cui alla legge Prodi bis quella introdotta dalla legge Marzano vuole essere ed e', null'altro che una procedura di ristrutturazione, come si evince da alcuni indici normativi inequivoci, quali ad esempio l'art. 1, dove si riserva l'accesso alle imprese che intendano avvalersi della procedura di ristrutturazione economica e finanziaria di cui all'art. 27, comma 2, lett. b) del d.lgs n. 270/1999 e, quindi, non alle imprese che vogliano attuare un programma liquidativo secondo l'alternativa prevista dall'art. 27, comma 2, lett. a) cit.; l'art. 2, secondo il quale solo l'impresa insolvente, con esclusione di altri soggetti, puo' chiedere l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria tramite ristrutturazione economica e finanziaria, l'art. 4, comma 2, che obbliga alla presentazione di un programma che per espressa finalita' di legge deve essere votato alla ristrutturazione economica e finanziaria sulla base di un programma di risanamento, a differenza della legge Prodi bis, che all'art. 54 prevede un piano da adottarsi secondo uno degli indirizzi alternativi previsti dall'art 27, comma 2; l'art. 7, dove si prevede che, se alla procedura in questione intenda accedere un'impresa che operi nella produzione, prima trasformazione e commercializzazione nei settori connessi a prodotti agricoli ed alimentari, il Ministro delle attivita' produttive autorizza l'esecuzione del programma di ristrutturazione di intesa con il Ministro delle politiche agricole e forestali. Consegue a cio' che diventa un mero artificio logico e lessicale quello di distinguere tra imprenditore ed impresa, tra risanamento oggettivo e soggettivo, tra diversita/terzieta' del soggetto assuntore del concordato ed imprenditore/proprieta' originaria, posto che l'impresa resta sempre identica a se stessa. La legge Marzano ha un unico intento dichiarato e palese: consentire un programma di ristrutturazione dell'impresa, cosi' salvaguardandola nel suo complesso e nella sua individualita' di fattore produttivo. Consentire lo strumento dell'azione revocatoria per una tale finalita', pare a questo Tribunale, operazione che si pone in contrasto con la stessa disciplina quadro della legge Prodi bis, con il diritto vivente e l'opinione pressocche' unanime della dottrina, e per quel che piu' conta, rimanendo nell'ambito delle finalita' precipue del presente provvedimento, con i principi di eguaglianza e ragionevolezza espressi dalla Carta costituzionale all'art. 3 e, per quanto si dira' immediatamente dopo, con quelli espressi dall'art. 41 della Costituzione. 2. - Assunta incostituzionolita' dell'art. 6, comma 1, legge Marzano per contrarieta' ai principi di cui agli artt. 3 e 41 Cost. La possibilita' di esperire l'azione revocatoria nel corso e per la realizzazione della ristrutturazione aziendale, evidenzia, poi, un ulteriore profilo d'irragionevolezza della norma in esame, alterandosi il principio della liberta' di concorrenza discendente dall'art. 41 della Costituzione, letto in stretta connessione con l'art. 3 della Costituzione per disparita' di trattamento tra le imprese operanti nel mercato. Come affermato in dottrina, il risanamento agevolato da misure di sostegno finanziario non puo' considerarsi un vero e proprio risanamento ne' in senso economico ne' giuridico. Sotto il primo profilo, infatti, il risanamento equivale alla ritrovata capacita' dell'impresa di conseguire dei ricavi superiori ai costi sostenuti: perche' sia effettivo, tuttavia, e' necessario che la prevalenza dei ricavi sui costi consegua alla capacita' di produrre valore e ricchezza e non all'opportunistico intervento di misure esterne alle dimensioni interessate dalla sua concreta operativita'. Sotto il profilo giuridico il risanamento indica la ritrovata capacita' dell'impresa di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni; se la solvibilita' dell'impresa e' il risultato esclusivamente del positivo esercizio di azioni revocatorie fallimentari non vi e' alcun vero risanamento. Il risanamento dell'impresa mediante l'esperimento dell'azione revocatoria fallimentare costituisce, quindi, un ingiustificato privilegio per l'impresa ammessa alla procedura ex legge Marzano e determina un effetto distorsivo della concorrenza, in quanto permette all'impresa insolvente di restare sui mercato sfruttando, anziche' le proprie capacita' economiche, risorse finanziarie precluse ai concorrenti. Detto effetto e' essenzialmente legato alla continuazione dell'impresa: mentre nell'ambito delle procedure di tipo liquidatorio le somme, eventualmente riscosse a seguito del vittorioso esperimento dell'azione revocatoria, sono esclusivamente destinate al soddisfacimento dei creditori, qualora l'azione sia consentita all'interno di una procedura concorsuale di tipo risanatorio essa si trasforma, come gia' visto, in una forma di finanziamento forzoso a favore dell'impresa insolvente ed a carico dei terzi. La critica nei confronti di normative che, favorendo le imprese in fase di ristrutturazione, falsano la libera concorrenza non e' un argomento nuovo: in passato sia la Corte di giustizia CE sia i giudici italiani hanno piu' volte censurato per ragioni simili la legge n. 95/1979, che conteneva diverse disposizioni tese ad agevolare illegittimamente l'impresa insolvente (cfr. di recente Corte di giustizia CE 17 giugno 1999 (C-295/1997), Cass. 23 giugno 2000 n. 8539, App. Trieste 10 febbraio 2004, App. Venezia 26 giugno 2003, etc.). In realta' al di la' dei profili comunitari, pur rilevanti in sede interpretativa, l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare nell'ambito di una procedura di ristrutturazione aziendale determina una forte e strutturale distorsione della libera concorrenza tra imprese con conseguente violazione dell'art. 41 della Costituzione. L'instaurazione di un regime di libera concorrenza tra le imprese e la sua tutela sono strumentali all'effettiva realizzazione della liberta' di iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost., con la conseguenza che, seppure non espressamente menzionato dalla Costituzione, il principio di libera concorrenza ha rango costituzionale. Tale linea argomentativa e' stata fatta propria sia dalla Corte costituzionale che dai giudici civili ed amministrativi, i quali hanno ricondotto la tutela della liberta' di concorrenza all'art. 41 cit.. «La liberta' di concorrenza tra imprese ha, come noto, una duplice finalita': da un lato, integra la liberta' di iniziativa economica che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e, dall'altro, e' diretta alla protezione della collettivita', in quanto l'esistenza di una pluralita' di imprenditori, in concorrenza tra loro, giova a migliorare la qualita' dei prodotti e a contenere i prezzi» (cfr.Corte cost., 16 dicembre 1982, n. 223; nello stesso senso si veda anche Corte costituzionale 13 ottobre 2000, n. 419). «La liberta' di iniziativa economica privata garantita dalla Costituzione (art. 41, comma 1), comprensiva anche della liberta' di concorrenza tra imprese, attiene sicuramente a materia disponibile posto che e' espressione della liberta' di scelta e di svolgimento delle attivita' economiche riconosciuta al soggetto privato» (cfr. Cass. 21 agosto 1996, n. 7733). In altri termini, il principio di liberta' dell'iniziativa economica privata garantisce, inter alia, che ogni operatore economico possa operare sul mercato in una situazione di parita' con gli altri imprenditori e che il profitto, e quindi il successo, dell'impresa dipenda dal giudizio insito nelle dinamiche di mercato, come costituzionalmente garantite dall'art 41 Cost. L'irragionevolezza e l'illegittimita' di una disciplina che determini una discriminazione tra imprese in concorrenza e' stata affermata dalla Corte costituzionale nella sentenza del 30 dicembre 1997 n. 443, dichiarativa dell'incostituzionalita', per violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione, dell'art. 30 della legge 4 luglio 1967, n. 580, nella parte in cui non prevedeva che alle imprese aventi stabilimento in Italia fosse consentita, nella produzione e nella commercializzazione di paste alimentari, l'utilizzazione di ingredienti legittimamente impiegati, in base al diritto comunitario, nel territorio della Comunita' europea. Infatti, la sostanziale reintroduzione della possibilita' di esperire all'interno di una procedura di risanamento delle azioni revocatorie fallimentare, che abbiamo visto accordata indiscriminatamente dall'art. 6, comma l, legge Marzano, risulta in contrasto con la funzione e la struttura stessa dell'azione de qua, cosi' come e' stato ben messo in evidenza da numerose voci dottrinali e giurisprudenziali all'indomani della c.d. prima versione dell'amministrazione straordinaria disciplinata dalla ex legge n. 95/1979. In proposito giova richiamare il principio di un importante arresto della Suprema Corte, secondo la quale «se infatti l'azione revocatoria ha come presupposto la lesione del principio della parita' di trattamento dei creditori cagionato dal compimento, da parte del debitore, dell'atto di disposizione patrimoniale, risulta da cio' evidente che la finalita' recuperatoria che a suo mezzo viene esercitata, mentre appare coerente con una procedura ontologicamente strutturata in vista della liquidazione del patrimonio e del soddisfacimento delle ragioni dei creditori, non si concilia affatto con una procedura che nella sua connotazione tipica e' preordinata alla gestione dell'impresa in vista del suo reinserimento nel mercato. L'ambito operativo dell'azione va necessariamente riferito al momento in cui inizia la fase della liquidazione dei beni perche' soltanto allora insorge e si impone la necessita' di soddisfare quelle ragioni creditorie a tutela delle quali essa e' predisposta.» (cfr. Cass. 27 dicembre 1996, n. 11519). Consegue che il consentire nell'ambito di una procedura di risanamento dell'impresa, quale e' certamente l'amministrazione straordinaria di cui alla legge Marzano, l'esercizio dell' azione revocatoria, comporta che l'eventuale ricavato del positivo esperimento dell'azione revocatoria venga reimmesso nel circuito finanziario dell'impresa, costituendo cosi' a conti fatti una sorta di finanziamento a favore dell'impresa insolvente, cosi' consentendo la messa a disposizione di risorse economiche che a nessuna impresa insolvente sarebbe consentito acquisire. Non v'e' dubbio che l'attribuzione al commissario, operata dall'art. 6, comma 1, legge Marzano, della facolta' di promuovere revocatorie nell'ambito di una procedura che, pur presupponendo l'insolvenza dell'impresa, e' univocamente e dichiaratamente volta alla ristrutturazione e, quindi, al proseguimento di essa, piuttosto che alla sua espulsione dal mercato, configura una misura di legge in violazione della libera concorrenza fra imprese. Non solo, infatti, l'impresa insolvente ammessa all'amministrazione straordinaria de qua riesce ad evitare il fallimento e puo' continuare la propria attivita', restando sul mercato, anche quando tale possibilita' e' negata alle imprese concorrenti che, pur insolventi, non abbiano i requisiti o non abbiano optato per la «variante della legge Marzano», ma anche, riesce a godere dell'ulteriore vantaggio derivante dalla possibilita' di esperire le azioni revocatorie fallimentari, vantaggio precluso, non solo ed ovviamente, alle altre imprese in bonis, non solo, alle altre grandi imprese insolventi sottoposte all'amministrazione straordinaria secondo la legge Prodi bis, ma anche e soprattutto, a quelle imprese che, pur avendo i requisiti dimensionali per accedere alla legge Marzano in concreto non vi accedono per scelta dell'imprenditore insolvente medesimo. In un contesto simile e' evidente che i proventi delle azioni revocatorie fallimentari andrebbero a sostenere l'impresa, rendendo possibile in maniera ancora piu' incisiva il risanamento, tanto che autorevole dottrina, sia pure per altri fini (la concorrenza a livello comunitario), ha ipotizzato l'introduzione di uno strumento atto a falsare la concorrenza fra le imprese, ed a mantenere sul mercato, con un ausilio decisamente «anomalo», imprese altrimenti destinate ad esserne espulse. E' evidente, poi, che un tal ragionamento involgerebbe, quasi certamente, anche profili di violazione delle regole comunitarie in materia omologa (in particolare art. 3, comma 1, lett. g, nonche' artt. 81 - 89 Trattato), o in materia di misure costituenti aiuti di Stato, ma tale investigazione esula dal campo d'indagine prefissato. 3. - Assunta per incostituzionalita' dell'art. 6, comma 1-ter, legge Marzano con area ai principi di cui all'art. 3 Cost. La norma oggetto del sospetto di costituzionalita' prevede testualmente che «i termini stabiliti dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo secondo del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, si computano a decorrere dalla data di emanazione del decreto di cui al comma 2 dell'art. 2. Tale disposizione si applica anche in tutti i casi di conversione della procedura in fallimento.». Si tratta all'evidenza del decreto con cui il Ministro provvede all'ammissione dell'impresa alla procedura d'amministrazione straordinaria ed alla nomina del commissario. Viceversa l'art. 49, comma 2, legge Prodi bis fa decorrere i medesimi termini e, quindi l'inizio del c.d. periodo sospetto, dalla dichiarazione dello stato d'insolvenza e, quindi, da un momento ben successivo rispetto a quello indicato dall'art. 6, comma 1-ter, cit. La anticipazione attuata da tale ultima disposizione legislativa si presenta del tutto ingiustificata ed irragionevole per quanto gia' detto in precedenza circa i rapporti tra la legge Prodi bis e la legge Marzano, quindi, foriera di una questione di costituzionalita' non manifestamente infondata rispetto alla violazione dell'art. 3 della Costituzione. Tale questione, poi, si mostra ancor piu' evidente laddove si consideri l'ultimo periodo della norma, ossia l'ipotesi in cui avvenga la conversione della procedura d'amministrazione straordinaria in fallimento. Ancor piu' palese si mostrerebbe l'irragionevole differenza di decorrenza dei termini in situazioni assolutamente eguali, non giustificando la diversita' di regime il fatto che nel nostro caso si perverrebbe al fallimento dopo l'infruttuoso esperimento del salvataggio dell'impresa. 4. - Assunta incostituzionalita' del combinato disposto dell'art. 6, comma 1, e dell'art. 4-bis, comma 10, d.l. n. 347/2003 per contrarieta' ai principi di cui all'art. 42 Cost. Discende dai principi generali in materia fallimentare che, qualora il commissario o chi per lui, dovesse risultare vittorioso nell'esperimento dell'azione revocatoria fallimentare, il creditore soccombente diverrebbe titolare di un corrispondente diritto di credito, d'ammontare pari a quello della soccombenza, che potrebbe far valere ex art. 7, l.f. nei confronti della Procedura. Inoltre non si dubita che il credito restitutorio sorgerebbe dopo l'effettivo pagamento effettuato dal creditore in esecuzione della sentenza d'accoglimento. Nel Programma di ristrutturazione approvato dal Ministro (cfr. pag. 153) si legge che «i soggetti eventualmente soccombenti in revocatoria avranno diritto, ai sensi dell'art. 71 legge fallimentare, al riconoscimento del loro credito, soggetto alle modalita' della falcidia concordataria, cosi' come risultante dal concordato approvato». Tale affermazione, tuttavia, non trova riscontro nella legge Marzano ed anzi e' contraddetta dalla disposizione dettata dall'art. 4-bis, comma 10, il quale dispone che in caso d'approvazione del concordato «la sentenza e' provvisoriamente esecutiva e produce effetti nei confronti di tutti i creditori per titolo, fatto, ragione o causa anteriore all'apertura della procedura di amministrazione straordinaria.». Posto che non e' seriamente dubitabile che il credito ex art. 71 l.f., scaturente da una postulata soccombenza nell'azione revocatoria, ha fonte da un fatto sicuramente posteriore all'apertura della procedura, nei suoi confronti non dovrebbe trovare applicazione alcuna previsione del concordato, le quali in tesi possono spiegare effetti nei confronti dei soli crediti sorti per titoli anteriori all'apertura della procedura. Non essendo ipotizzabile una responsabilita' dell'assuntore per debiti non trasferiti con il concordato, debiti che nella specie non erano neppure ancora sorti, ne consegue una evidente non manifesta infondatezza dell'illegittimita' costituzionale del combinato disposto dell'art. 6, comma 1, e dell'art. 4-bis, comma 10 del d.l. n. 347/2003, cosi' come convertito e successivamente modificato, in relazione all'art. 42 della Costituzione, in quanto che si consentirebbe una sostanziale espropriazione del credito di cui all'art. 71 l.f., essendo evidente che, a tutto concedere, l'unico soggetto chiamato a rispondere nei confronti del creditore potrebbe essere proprio l'imprenditore insolvente.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, e gli artt. 3, 41 e 42 Cost. Dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale: A) dell'art. 6, comma 1, d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119, conv. con mod. in legge 5 luglio 2004, n. 166, dal d.l. 28 febbraio 2005, n. 22, conv. con mod. in legge 29 aprile 2005, n. 71, nella parte in cui consente l'esercizio delle azioni revocatorie previste dagli articoli 49 e 91 d.lgs. n. 270 in costanza di un programma di ristrutturazione, in relazione agli artt. 3 e 41 della Costituzione; B) dell'art. 6, comma 1-ter, d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119, conv. con mod. in legge 5 luglio 2004, n. 166, dal d.l. 28 febbraio 2005, n. 22, conv. con mod. in legge 29 aprile 2005, n. 71, nella parte in cui dispone che i termini stabiliti dalle disposizioni della sezione III del capo III del titolo secondo del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, si computano a decorrere dalla data di emanazione del decreto di cui al comma 2 dell'art. 2 d.l. cit. e rende applicabile tale disposizione anche in tutti i casi di conversione della procedura in fallimento, in relazione all'art. 3 della Costituzione; C) del combinato disposto dell'art. 6, comma 1, e dell'art. 4-bis, comma 10, d.l. 23 dicembre 2003, n. 347 conv .con mod. in legge 18 febbraio 2004, n. 39, come modificata dal d.l. 3 maggio 2004, n. 119, conv. con mod. in legge 5 luglio 2004, n. 166, dal d.l. 28 febbraio 2005, n. 22, conv. con mod. in legge 29 aprile 2005, n. 71, nella parte in cui consente una sostanziale espropriazione del credito di cui all'art. 71 l.f., in relazione all'art. 42 della Costituzione; e per l'effetto, Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Ordina che, a cura della cancelleria il presente provvedimento sia notificato alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri; Dispone che il presente provvedimento sia comunicato dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Parma, addi' 20 febbraio 2006 Il giudice istruttore: Iovino 06C0467