N. 167 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 2006
Ordinanza emessa il 10 marzo 2006 dal tribunale di Bologna nei procedimenti penali riuniti a carico di Rosso Fausto ed altri Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative comportanti un regime piu' favorevole in tema di termini di prescrizione dei reati - Disciplina transitoria - Inapplicabilita' delle nuove norme ai processi gia' pendenti in primo grado ove, alla data di entrata in vigore della novella, vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento - Disparita' di trattamento tra imputati - Contrasto con il principio generale di diritto comunitario dell'applicazione retroattiva della pena piu' mite - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena - Violazione del principio di ragionevole durata del processo. - Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3. - Costituzione artt. 3, 10, primo comma, 27, comma terzo, e 111, comma secondo.(GU n.23 del 7-6-2006 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nel processo iscritto al n. 681/97, comprendente i processi riuniti 650/98, 651/98, 686/98 e 666/98, contro Rosso Fausto + 3. Fausto Rosso, Mauro Scala, Zaccarelli Paolo e Ranocchi Marco sono stati tratti a giudizio del tribunale di Bologna per rispondere, fra l'altro, in concorso con altri che hanno definito separatamente le loro posizioni, di numerosi atti di bancarotta fraudolenta impropria, documentale, per distrazione e a norma dell'art. 223, comma 2, n. 1 l.f., in relazione al fallimento della Kormak S.p.a., dichiarato l'11 agosto 1993, e della Fin Pach S.p.a., dichiarata fallita in data 12 agosto 1993. Si trata, in particolare, delle imputazione sub a) del processo 681/97, sub B) ed E) ed H) del processo 650/98; sub a) del processo 651/98. Il processo ha superato la fase preliminare e si trova all'odierna udienza del 10 marzo 2006 all'inizio dell'istruttoria dibattimentale, avviata dall'ordinanza ex art. 190 pronunciata in data 16 maggio 2005. Nelle more e' entrata in vigore la legge 5 dicembre 2005, n. 251, che, innovando nei tempi e nei criteri di calcolo di prescrizione dei reati, specificamente prevede per il reato di bancarotta fraudolenta, una prescrizione ordinaria di dieci anni, prorogabile per effetto di atti interrottivi, di non oltre un quarto, vale a dire di non oltre anni dodici e mesi sei. Applicando il nuovo termine di prescrizione i reati suddetti sarebbero oggi prescritti. All'applicazione del nuovo e piu' ridotto termine di prescrizione osta la disposizione transitoria di cui all'art. 10, comma 3, della legge, che limita l'applicazione della disciplina piu' mite ai procedimenti che non abbiano superato il momento della dichiarazione di apertura del dibattimento. Questa disposizione transitoria e' di dubbia costituzionalita' per le ragioni che seguono. La prescrizione e' un istituito di diritto sostanziale: estingue il reato e non l'azione penale, come invece espressamente prevedeva il codice del 1889; si giustifica generalmente con l'attenuarsi dell'interesse dello Stato alla punizione dei reati, il cui ricordo sociale si e' affievolito per il trascorrere del tempo; la sua disciplina delinea l'entita' e al contempo i limiti della sanzione penale, in armonia con la funzioni socialpreventiva e di difesa sociale della pena, da' rilevanza al dubbio che, trascorso un certo periodo di tempo dalla commissione del reato, la personalita' del colpevole possa essere cambiata; in sintonia con la funzione specialpreventiva e rieducativa della pena, ne impone la comminazione entro un ragionevole lasso di tempo, trascorso il quale avrebbe solo finzione afflittiva e retributiva e si porrebbe in contrasto con l'art. 27, secondo comma, della Costituzione (Corte cost. 11 giugno/7 agosto 1993, n. 306: «Tra le finalita' che la Costituzione assegna alla pena da un lato quella di prevenzione generale e difesa sociale, con i connessi caratteri di afflittivita' e retributivita', e, dall'altro, quelle di prevenzione speciale e rieducazione in funzione dell'obiettivo di risocializzazione del reo - non puo' stabilirsi a priori una gerarchia statica si' che il legislatore puo' - nei limiti della ragionevolezza - far tendenzialmente prevalere di volta in volta l'una o l'altra finalita' della pena a patto pero' che nessuna di esse ne risulti obliterata»; cfr. anche Corte cost. 25 marzo 1997-8 aprile 1997, n. 85, dove si afferma essere la finalita' rieducativa qualita' essenziale della pena, che l'accompagna dal suo nascere, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue). La natura sostanziale dell'istituto della prescrizione non e' intaccata o sminuita dall'essere i suoi atti interruttivi tipici altrettanti momenti del procedimento penale: la sua disciplina serve anche da stimolo al progredire del procedimento, ma una volta maturato il termine prescrittivo, ordinario o allungato, gli effetti che ne derivano incidono sul permanere della rilevanza penale del fatto reato, che cessa. (La Corte costituzionale nella citata sentenza 275/90 ha escluso che la prescrizione sia un «espediente processuale» e afferma la sua natura di «istituto sostanziale»). La determinazione del tempo necessario a prescrivere e' compito discrezionale del legislatore, il quale si rende interprete di quel che resta del risentimento sociale del fatto-reato e di quanto ancora possa svolgere funzione rieducativa una pena comminata una volta trascorso un certo lasso di tempo. La valutazione normativa che in tal modo compie il legislatore (che esaurisce il suo potere discrezionale, a differenza che per altre cause di estinzione del reato, come l'amnistia: cfr. Corte cost. 23 maggio 1990-31 maggio 1990, n. 275) concorre alla composizione degli effetti sostanziali del reato, tanto che di essa deve tenersi conto ogni qual volta deve individuarsi il trattamento piu' favorevole al reo (cfr. Cass., sez. un. 27/2000). Secondo un'opinione corrente (espressa anche da cass., 12 dicembre 2005-10 gennaio 2006), il legislatore, ove intenda rideterminare in minus il tempo necessario per la prescrizione del reato, e' anche libero di stabilire il dies a quo, che potrebbe essere ultrattivo o retroattivo rispetto all'intervento legislativo. L'art. 25, 2° Cost., invero, non garantisce la retroattivita' delle disposizioni piu' favorevoli. Non sarebbe quindi in contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione una legge che prevedesse disposizioni piu' favorevoli (come la riduzione del tempo necessario per la prescrizione) solo per l'avvenire, in armonia con l'art. 11 delle preleggi. In realta', secondo la Corte di giustizia delle Comunita' europee, «il principio dell'applicazione retroattiva della pena piu' mite fa parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri» e, come tale, questo «principio deve essere considerato come parte integrante dei principi generali del diritto comunitario che il giudice nazionale deve osservare quando applica il diritto nazionale adottato per attuare l'ordinamento comunitario» (C.G.C.E., grande sezione, 3 maggio 2005, in Foro it., 2005, IV, 285; C.G.C.E; sent. 12 giugno 2003, in Foro it., Rep. 2003, voce Unione europea, pag. 1073). Se questo principio va esteso a tutto il trattamento sanzionatorio, compreso il termine di prescrizione del reato, e' difficile negare che il principio di retroattivita' della disposizione piu' favorevole non trovi tutela nell'art. 10 della Carta costituzionale. Ma il punto non e' questo. Il punto e' che, quale che sia il dies a quo per l'applicazione del trattamento piu' favorevole, esso deve comunque applicarsi ragionevolmente e nella salvaguardia del principio di uguaglianza, sanciti dall'art. 3 della Costituzione. La legge 5 dicembre 2005, n. 251 in parte riduce, in parte aumenta i termini di prescrizione dei reati. Ponendosi in armonia con il principio del favor rei, proprio del diritto penale (e del principio comunitario e costituzionale sopra richiamato) si applica anche ai reati gia' consumati; una disposizione transitoria, limita tuttavia l'applicazione della disposizione piu' favorevole ai processi nei quali l'azione penale non abbia superato la fase della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. La ratio di questa disposizione transitoria sembra essere stata quella di evitare un «effetto amnistia», non tanto sotto il profilo dell'elusione della procedura specificamente all'uopo prevista dalla carta costituzionale (cosi' argomentando, invero, si priverebbe in ogni caso il legislatore ordinario della facolta' di ridurre i tempi di prescrizione dei reati) quanto sotto il profilo - socialmente rilevante - di evitare di porre nel nulla accertamenti giudiziali gia' avviati o addirittura conclusisi, ancorche' con sentenze non ancora definitive. Si e' quindi trattato di una soluzione imposta da ragioni eminentemente pratiche. I dubbi di costituzionalita' sono innanzi tutto legati alle ingiustificate e irrazionali disparita' di trattamento che comporta non solo fra imputati dello stesso reato, ma anche fra coimputati e concorrenti nello stesso reato, a seconda che il processo a carico dell'uno sia progredito maggiormente rispetto al processo a carico dell'altro. Cosa questa che e' del tutto fisiologica in un sistema che favorisce la separazione dei processi (artt. 17 e 18 cod. proc. pen.) e che consente, attraverso i riti alternativi, percorsi del tutto diversi anche per fatti strettamente connessi. In tutti questi casi la prescrizione o meno del fatto reato e' collegata a fattori del tutto casuali, in gran parte fuori dalla sfera di controllo dell'imputato, e genera disparita' di trattamento socialmente ingiustificate e avverse, che appaiono in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. In secondo luogo, il sistema che deriva da questa disposizione transitoria e' tale per cui, secondo la valutazione normativa gia' in vigore, per taluni reati i tempi di prescrizione cosi' ridotti sono gia' maturati - in coerenza. con una rinnovata valutazione della reazione sociale a distanza di un diverso (e minore) lasso di tempo, tale da ritenere non piu' giustificata sul piano della difesa sociale e non piu' rieducativa, sul piano della sua funzione costituzionale, l'inflizione di una pena -; e pero' per taluni imputati, e in concomitanza con fatti che non hanno nulla a che fare con la loro condotta (cfr. Corte cost., 23-31 maggio 1990, n. 275) e con la loro personalita', la nuova valutazione del diritto punitivo dello Stato non vale, in nome dell'esigenza di conservazione della parte gia' compiuta del procedimento penale. Questo pertanto, anziche' essere - come indubitabilmente e' - funzionale all'applicazione di una pena legittima (vale a dire socialmente giustificata e costituzionalmente orientata) diviene ragione per l'applicazione d'una pena che, in base alla nuova valutazione normativa, non e' piu' giustificata ne' sotto il profilo della difesa sociale ne' sotto il profilo rieducativo. Si assiste cioe' ad un inaccettabile ribaltamento della scala dei valori: se il processo penale e' il mezzo e un metodo per l'accertamento di fatti reato e per l'applicazione della pena prevista, in base a questa disposizione diviene la ragione che giustifica l'applicazione di una pena che, dato il decorso del tempo necessario a prescrivere e secondo la valutazione normativa gia' in vigore, e' divenuta anacronistica e ingiustificata. La soluzione adottata dal legislatore implica, a giudizio del collegio, anche una violazione del principio di ragionevole durata del processo. L'istituto della prescrizione, invero, concorre anche a realizzare la finalita' della ragionevole durata del processo penale. Prima che come regola di comportamento per lo Stato, in forza della nuova formulazione dell'art. 111, secondo comma, della Costituzione, quello alla ragionevole durata del processo e' stato e resta un diritto soggettivo dell'imputato, sancito dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Un tempo variabile di prescrizione del reato, funzione dello stato di progressione del processo, sul quale nulla o quasi nulla incide il comportamento dell'imputato, diversifica il diritto dell'uomo alla ragionevole durata del processo. Se l'istituto della prescrizione vale ad offrire un punto di riferimento certo (anche se non esaustivo) in relazione alle varie tipologie di reato, una sua diversificazione tra imputato e imputato che tenga conto dell'andamento del processo non solo all'interno dell'unico termine di prescrizione, ma anche oltre a quello normativamente stabilito e gia' in vigore, in nome dell'interesse generale alla conservazione del processo, crea sperequazioni incompatibili con la situazione giuridica soggettiva direttamente protetta dalla norma costituzionale.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 10, primo comma, 27, terzo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, la questione di costituzionalita' dell'art. 10, comma 3, della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui esclude l'applicazione delle nuove disposizioni ai processi gia' pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento. Sopende il presente processo. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Bologna, addi' 10 marzo 2006 Il Presidente: Gilotta 06C0468