N. 168 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 gennaio 2006
Ordinanza emessa il 25 gennaio 2006 dal tribunale di Varese nel procedimento penale a carico di Aidi Parietti Gaudenzio ed altri Processo penale - Mezzi di ricerca delle prove - Disciplina delle intercettazioni delle comunicazioni tra presenti - Mancata estensione a «qualsiasi captazione di immagini in luoghi di privata dimora» - Lesione della liberta' personale, dell'inviolabilita' del domicilio e della liberta' di comunicazione - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 135/2002. - Codice di procedura penale, art. 266, comma 2. - Costituzione, artt. 13, commi primo e secondo, 14, commi primo e secondo, e 15.(GU n.23 del 7-6-2006 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza (art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87) nel procedimento penale n. 136/01 R.G. Trib. (6553/00 rgnr) a carico di Gaudenzio Aidi Parietti, Francesco Sozzi, Leonardo Bogarelli per delitti di cui agli artt. 81 cpv. c. pen., 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Rilevato che, si procede a carico degli imputati sopra citati per una serie di episodi di illecito acquisto e illecita cessione di stupefacenti, buona parte dei quali, nell'ipotesi accusatoria, si sarebbero verificati avendo come luogo di consumazione del reato o quantomeno di recapito di somme costituenti prezzo dello stupefacente ovvero di prelievo di sostanza stupefacente, ad opera degli imputati e di acquirenti, l'abitazione di Gaudenzio Aidi Parietti. A sostegno dell'accusa il pubblico ministero ha chiesto ed ottenuto gli esami testimoniali di ufficiali di polizia giudiziaria che hanno svolto indagini tra l'altro controllando personalmente i movimenti di diverse persone; e l'acquisizione documentale di una consistente quantita' di esiti di videoriprese. Nella discussione finale, valutando a scopi decisori l'utilizzabilita' degli atti, e' emerso (e la difesa ha a partire da cio' argomentato sulla ritenuta necessita' del vaglio della Corte costituzionale) che le videoriprese erano state effettuate per lungo tempo da appartenenti alla polizia giudiziaria, senza che vi fosse, a monte, un qualsivoglia provvedimento giurisdizionale, ne' del giudice per le indagini preliminari, ne' del pubblico ministero. Quest'ultimo, con memoria sensi dell'art. 121 c.p.p., ha affermato, in sintesi: che le videoriprese registrate equivalgono ad una osservazione a distanza eventualmente svolta da un operatore di polizia giudiziaria presente sul posto; che le videoriprese in questione documentano fatti e non comunicazioni tra persone; che nessun potenziale attentato al domicilio e' rinvenibile nel caso di specie posto che le riprese sono state effettuate all'esterno dell'abitazione dell'indagato. E' noto a questo remittente che la Corte costituzionale, con sentenza 11-24 aprile 2002, n. 135, ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalita' dell'art. 266, comma 2, c.p.p. («segnatamente», di tale norma, poiche' il remittente aveva individuato una pluralita' di articoli del codice di rito) negando conseguentemente «una pronuncia additiva che aillinei la disciplina processuale delle riprese visive in luoghi di privata dimora a quella delle intercettazioni di comunicazioni fra presenti nei medesimi luoghi». Tuttavia la rilevanza della questione permane, ad avviso di questo giudice, posto che, nel presente processo, il pubblico ministero, proprio in forza di quel pregresso (e persistente, nonostante il dictum della Corte costituzionale) vuoto normativo, ha potuto introdurre nel processo, sulla base della loro natura documentale, gli esiti di videoriprese in luogo di privata dimora, effettuate senza alcun provvedimento giurisdizionale autorizzatorio. Va precisato che la videocamera, situata su un edificio adiacente l'abitazione dell'imputato, era puntata sulla zona del davanzale di una finestra della stessa, punto certamente riconducibile a domicilio e privata dimora. La giurisprudenza di legittimita', nella sua evoluzione piu' recente (si fa riferimento a Cass., IV, 19 gennaio22 marzo 2005, n. 11181) rifiuta espressamente la possibilita' di utilizzare nel processo penale gli esiti di videoregistrazioni in privata dimora sulla sola base del principio di liberta' della prova di cui all'art. 189 c.p.p., e - con richiamo esplicito alla citata sentenza n. 135/2002 della Corte costituzionale - afferma la legittimita' delle videoriprese in luoghi di privata dimora «con conseguente utilizzabilita' processuale dei relativi esiti, nei limiti e con gli effetti stabiliti dall'art. 266, secondo comma, c.p.p., che, nel consentire, alle condizioni ivi descritte, le intercettazioni ambientali, ricomprende nel proprio ambito previsionale non solo la comunicazione convenzionale mediante l'uso del linguaggio, ma anche quella gestuale [...] In altri termini, le video-riprese in luoghi privati sarebbero legittime se ed in quanto ricomprese nell'ambito della disciplina delle intercettazioni ambientali, riguardando queste ultime la captazione delle conversazioni tra presenti vuoi espresse a parole, vuoi espresse a gesti». Per altro verso la giurisprudenza di legittimita' esclude dalla previsione di garanzia costituita dal provvedimento giurisdizionale autorizzativo sia le videoriprese in luoghi diversi da quelli privati (Cass., V, 7-31 maggio 2004 n. 24715) sia «ogni altra captazione di immagini non avente natura di un messaggio intenzionalmente trasmesso da un soggetto ad un altro» (Cass., IV, 9 dicembre 2004 - 22 febbraio 2005, n. 6710). In questi casi le videoriprese sono da considerarsi, secondo la Corte di cassazione, prove documentali non espressamente disciplinate dalla legge, non appartenenti al genus delle intercettazioni di comunicazioni o di conversazioni in luoghi di privata dimora. Si deve notare tuttavia una persistente incertezza, se la citata sentenza n. 24715/2004 afferma che «ne deriva che alle medesime non si applica la disciplina prevista dagli artt. 266 e segg. c.p.p., fermo restando il limite della tutela della liberta' domiciliare di cui all'art. 14 della Costituzione da valutarsi di volta in volta». Un riferimento ad un limite ulteriore, non definito dalla legge, che potrebbe «di volta in volta» altrimenti condizionare l'utilizzabilita' delle captazioni. Cio' che rileva e' invece, ad avviso di questo giudice, per l'appunto la mancanza di un divieto normativo ovvero di una norma regolatrice esplicita di queste attivita', in quanto svolte in legittimo ambito investigativo e sotto la direzione del pubblico ministero. Si puo' incidentalmente notare che norme espressamente regolatrici e divieti non sono rinvenibili nel d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196. Nel provvedimento generale sulla videosorveglianza del 29 aprile 2004, il Garante per la protezione dei dati personali, richiamando il principio di liceita' di cui agli artt. 18 ss. d.lgs. n. 196/2003, non puo' che limitarsi ad affermare la necessita' del rispetto delle norme penali che vietano le intercettazioni di comunicazioni e conversazioni. Ritiene, sul punto, questo giudice, che esista un'area normativamente non definita, tale da porre in contrasto la formulazione attuale dell'art. 266, secondo comma, c.p.p. con le norme costituzionali poste a tutela della liberta' personale, dell'inviolabilita' del domicilio e della liberta' di comunicazione; inaccettabile sarebbe infatti la diversa conclusione dell'esistenza di un confine definito e rigido tra intercettazioni disciplinate dal codice di procedura penale ed altre captazioni investigative - quali quelle di cui qui si discute - penalmente illecite ai sensi dell'art. 615-bis c. pen. Inoltre il vuoto normativo a suo tempo evidenziato da codesta Corte costituzionale, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali citati, porta, in casi come quello palesatosi nel presente processo, ad invertire la sequenza di garanzia, sovrapponendo impropriamente le forme processuali di corretta acquisizione di fonti di prova alle garanzie di liberta' fondamentali. Ed infatti, quella giurisprudenza ordinaria finisce con il dire al pubblico ministero e alla stessa alla polizia giudiziaria: e' possibile «captare» all'interno di luoghi di privata dimora senza autorizzazione giurisdizionale; se poi si saranno captate «comunicazioni» gli esiti saranno inutilizzabili, altrimenti si saranno ottenute prove documentali utilizzabili. Si tratta a parere di questo giudice di una situazione che vulnera i principi costituzionali espressi negli artt. 13, primo comma e 2, 14, primo e secondo comma, e 15 della Costituzione, non e' risolubile per sola via interpretativa. Non a caso, nella citata sentenza n. 135/2002, quando si parla di «captazione di immagini in luoghi di privata dimora» si fa riferimento ad un concetto che eccede la possibilita' di estensione della portata dell'art. 266, secondo comma, c.p.p. Non si puo' infatti ritenere che qualsiasi captazione, in quanto potenzialmente acquisitiva di [o potenzialmente incidente su] comunicazioni tra presenti in luoghi di privata dimora rientri nella previsione dell'art. 266 c.p.p.; ed allora vi sono captazioni che non necessariamente sono acquisitive di [o incidenti su] comunicazioni tra presenti in luoghi di privata dimora e che, in quanto tali, rimangono prive di regolamentazione e limiti. Quest'ultimo stato di cose ha consentito di agire in corso di indagine senza autorizzazioni giurisdizionali e di introdurre nel processo, quali documenti, esiti di captazioni domiciliari. D'altro canto la particolarita' della materia, e la stessa la rapida evoluzione delle tecnologie, non consentono di accettare che la situazione, puntualmente evidenziata, all'epoca, dalla Corte costituzionale, rimanga tale, nella perdurante inerzia del legislatore, lasciando la stessa fondamentale ricognizione dei confini di legittimita' di «forme di intrusione divenute attuali solo per effetto dei progressi tecnici successivi», alla mera interpretazione giurisprudenziale dei giudici ordinari di merito e di legittimita'. Si consideri - e si tratta di semplici esempi di tecnologie gia' diffuse e note: altre, piu' efficaci ed invasive, sono di sicura imminente introduzione - la possibilita' di inspicere dall'alto garantita dalle immagini satellitari con un livello di definizione tale da consentire, ad esempio, di seguire i movimenti di persone presenti in un luogo di privata dimora (un terrazzo, un giardino) pur chiuso a livello del suolo agli sguardi esterni da mura o altro; ovvero alla termografia a raggi infrarossi, una tecnica che sfrutta l'energia emessa spontaneamente da qualsiasi corpo, e che avvalendosi di una strumentazione portatile costituita essenzialmente da una telecamera/termocamera e da una centralina di rilevazione, consente di localizzare, dall'esterno, la presenza di persone, il loro profilo e il loro movimento all'interno di edifici. Situazioni non diverse, qualitativamente, da quella evidenziatasi nel presente processo, in cui captazioni di immagini in un luogo di privata dimora (l'abitazione dell'imputato Parietti, comprensiva del davanzale della sua finestra) sono avvenute senza alcun provvedimento autorizzativo giurisdizionale e si dovrebbero tradurre in documenti utilizzabili nel processo - salva ovviamente la loro concreta valutazione probatoria - in quanto riproducenti comportamenti «non comunicativi» del titolare del domicilio e di altre persone in esso recatesi. La necessita', minima, di assoggettare a provvedimento autorizzatorio giurisdizionale, che ad avviso di questo giudice, per la natura dei beni tutelati, dovrebbe essere, come per le intercettazioni «tradizionali», il giudice per le indagini preliminari, comporta che il giudizio in corso non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 266, secondo comma, c.p.p. in relazione agli artt. 13, primo e secondo comma, 14, primo e secondo comma, e 15 della Costituzione. La pronuncia che si chiede alla Corte costituzionale, alla luce della citata sentenza 11-24 aprile 2002, n. 135, e' una sentenza additiva, che estenda la previsione regolatrice di «intercettazione di comunicazioni tra presenti» a qualsiasi «captazione di immagini in luoghi di privata dimora» (sent. 135/2002 1/2 2.2) sia pure non configurabile in concreto come forma di intercettazione di comunicazioni fra presenti. Non si ritiene di sottoporre all'esame della Corte costituzionale alcuna altra norma del codice di procedura penale in materia di intercettazioni, essendo sufficiente l'esame dell'art. 266, secondo comma, c.p.p. alla luce dei rinvii contenuti all'interno del capo IV del libro III, titolo III del codice di procedura penale.
P. Q. M. Il tribunale, visto l'art. 23, terzo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuto che il giudizio in corso non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 266, secondo comma, c.p.p. in relazione agli artt. 13, primo e secondo comma, 14, primo e secondo comma, e 15 della Costituzione, sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che a cura della cancelleria la presente ordinanza venga integralmente notificata al pubblico ministero, agli imputati e ai loro difensori, nonche' al Presidente ael Consiglio dei ministri e che venga comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera dei deputati. Varese, addi' 13 gennaio 2006 Il giudice: Battarino 06C0469